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Giustizia: intervista all’On. Cirielli; anch’io ho dei dubbi…
Corriere della Sera, 24 febbraio 2005
Onorevole, lei aveva proposto un testo per punire con rigore i recidivi, ma ora lo ripudia perché ha subito una trasformazione in corso d’opera… Forza Italia l’ha di fatto stravolto. Prima con l’emendamento Pepe che prevedeva le attenuanti generiche obbligatorie per gli incensurati che, tutto sommato, poteva anche essere in linea con lo spirito della legge: mano tesa a chi sbaglia una volta, pugno di ferro con chi sbaglia più volte. Poi però si è passati a una riforma complessiva della prescrizione. A questo punto io ho obiettato che questo non c’entrava niente con la mia legge. (...) Posso anche essere d’accordo che non ci debba essere più una discrezionalità del giudice sulla prescrizione. Ma cosa c’entra con la mia legge? Io alla Camera ho votato contro e poi sono uscito dall’Aula perché molti reati si prescriveranno in corso d’opera.
Condivide le preoccupazioni dei magistrati che vedranno molti processi andare in fumo? Sì, assolutamente. Magari non condivido la pretestuosità di certa parte della magistratura e del centrosinistra che non ha mai fatto nulla per reprimere la criminalità. Loro il testo che ho presentato contro la recidiva l’hanno chiamato "norma barbara".
Al Senato, ora, la Cdl ha una grande fretta di approvare il testo. Solo Alemanno sembra avere qualche dubbio, suggerisce il quotidiano. Quello che ha detto Alemanno lo pensano un po’ tutti, in An. Lui ha parlato e ha espresso un senso d’inquietudine diffuso nel partito che, con il suo elettorato, è un po’ in difficoltà. Non sono state valutate bene le conseguenze di questa legge, perciò auspico che ci sia un ripensamento anche se mi rendo conto che noi facciamo parte di una coalizione", conclude Cirielli. Giustizia: Castelli; Csm dice "no" a pdl ex-Cirielli? fa politica…
Ansa, 24 febbraio 2005
Il Csm boccia senza appello la ex Cirielli. "Avrà effetti devastanti", sostiene l’organo di autogoverno della magistratura in una relazione approvata oggi a larga maggioranza, e "vanificherà" anni di lavoro. La Cdl però respinge le critiche e contrattacca. Accusa i consiglieri di Palazzo dei Marescialli "di fare politica" e di essere diventati ormai "il terzo filtro" per le leggi del Parlamento. Dopo la firma del Capo dello Stato e il vaglio della Corte Costituzionale. "L’applicazione del nuovo regime ai processi in corso - si legge nella risoluzione del Csm - comporterà un vero e proprio cataclisma organizzativo all’interno di un sistema di giustizia penale che già oggi riesce con assoluta difficoltà a fronteggiare il numero elevatissimo dei procedimenti". E "provocherà la vanificazione di gran parte del lavoro svolto dall’intero sistema giudiziario nel corso di alcuni anni". I consiglieri di Palazzo dei Marescialli indicano quindi con precisione i processi destinati ad essere spazzati via. Fornendo dati che, richiesti più volte dall’opposizione al ministero della Giustizia, non erano mai stati resi noti. Quasi tutti i processi per reati puniti con la reclusione tra i cinque e i sei anni - scrivono a Palazzo dei Marescialli - e la maggioranza di quelli puniti con il carcere fino a otto anni "sono destinati a sicura prescrizione". Il che vuol dire che rischiano di essere vanificati tutti i processi in corso per reati di corruzione, violenza o minaccia a pubblico ufficiale, truffa, usura e rivelazione di segreto di Stato. Solo per citarne alcuni. E questa previsione, assicurano, è fondata sui numeri. Come dimostrano un’analisi compiuta dalla corte di Appello di Bologna, secondo la quale i processi a rischio di estinzione sarebbero circa 4.500, e uno studio della Cassazione, secondo il quale i procedimenti penali per reati puniti con una condanna compresa tra 5 e 8 anni che giungono al vaglio della stessa Corte avrebbero una durata media di nove anni. E questo significa che per la maggior parte dei processi la prescrizione maturerebbe "prima della sentenza definitiva, ma dopo la decisione di Appello, e cioè in un contesto che comporta per il sistema giustizia il massimo spreco di energie". Il nuovo regime poi, spiega sempre il Csm, "impedirà al giudice di controllare lo sviluppo dell’istruttoria dibattimentale e di gestire i tempi di lavoro", visto che la nuova disciplina renderà "del tutto naturale per i difensori fare ricorso agli istituti che comportano la sospensione del processo anche solo al fine di far maturare il limite di prescrizione". Governo e maggioranza insorgono. Il Consiglio Superiore della magistratura, osservano, non può entrare "a gamba tesa" nell’attività del Parlamento. E il primo a reagire è il ministro della Giustizia Roberto Castelli che critica, prima di tutto, i numeri forniti ("Non si capisce proprio da dove vengano. Neanche i nostri uffici infatti sono riusciti ad averli"), e poi punta il dito contro il Csm che ormai "è diventato un organismo politico che ragiona come il Parlamento". Ha da ridire anche un altro ministro leghista, Roberto Calderoli: "Dopo la firma del Capo dello Stato e la valutazione della Corte costituzionale - dichiara - ora abbiamo anche un terzo filtro, visto che il Csm si mette anche a valutare le leggi che fa il Parlamento". E invita il Capo dello Stato a ‘bacchettarè ancora di più i consiglieri di Palazzo dei Marescialli. Ciampi, infatti, oggi ha inviato una lettera al vice presidente del Csm Virginio Rognoni per lamentarsi dei ritardi nelle nomine dei vertici della magistratura. "Il polverone sollevato dal Csm - incalza la vice presidente del gruppo di FI alla Camera Isabella Bertolini - conferma che quello che dovrebbe essere un organo di autogoverno della magistratura è in realtà uno strumento di pressione politica che entra a gamba tesa sulla volontà democratica del Parlamento". Analogo il commento del capogruppo di An in commissione Giustizia della Camera Sergio Cola: "Il Csm ha interferito pesantemente e illegittimamente sulle prerogative del potere legislativo". L’opposizione invece difende i magistrati. La proposta di legge che dimezza i tempi di prescrizione dei reati e che l’opposizione continua a definire salva-Previti è, per il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, "rivoltante". "Per uno smaccato favoritismo personale - aggiunge - si mette a repentaglio l’intero sistema e la sicurezza". E di "rischio mortale" rappresentato da questo provvedimento e di "amnistia surrettizia" parla poi il responsabile Giustizia dello Sdi Enrico Buemi. "Nell’ansia di salvare gli amici del presidente del Consiglio - accusa il capogruppo dei Ds in Antimafia Giuseppe Lumia - questa legge manderà di nuovo liberi ed impuniti molti mafiosi". Nonostante le critiche, la maggioranza è intenzionata a non mollare. E la cosiddetta salva-Previti potrebbe arrivare nell’Aula del Senato già la prossima settimana, anche se il suo esame in commissione non si è ancora concluso. Pochi nella maggioranza infatti credono alla possibilità, ventilata ieri dal "Sole 24 ore", che il capo dello Stato possa non firmare il provvedimento rimandandolo alle Camere. Così come è accaduto per la riforma dell’ordinamento giudiziario. "Veramente - dichiara Castelli - l’unico richiamo che ho sentito fare oggi dal presidente della Repubblica è stato sui ritardi delle nomine. Ciampi cioè ha detto che il Csm è troppo lento. Evidentemente questo vuol dire che la giustizia è lenta ovunque...". Giustizia: Biondi; occorre esaltare la terzietà di chi giudica...
Ansa, 24 febbraio 2005
Esaltare la terzietà dei giudici. È l’invito che Alfredo Biondi, vicepresidente della Camera e deputato di Fi, rivolge ai magistrati a proposito della lettera aperta inviata dalla giunta esecutiva dell’Anm all’avvocatura. "Sono d’accordo sulla duplice esigenza che la magistratura sia indipendente e si comporti come tale e che anche l’avvocatura sia libera - afferma Biondi - Forse per il necessario equilibrio processuale e perché la bilancia della giustizia non corra il rischio di pendere dall’una o dall’altra parte, sarebbe bene che accusa e difesa fossero sempre sullo stesso piano esaltando così la terzietà di chi giudica". Giustizia: Csm boccia salva-Previti; Ciampi bacchetta il Csm
Giornale di Brescia, 24 febbraio 2005
"L’ex Cirielli avrà effetti devastanti". Il Csm ha bocciato la legge che introduce pene severissime per i recidivi e dimezza i tempi della prescrizione per gli incensurati, meglio nota come "salva-Previti". Se la proposta di legge passerà in Parlamento, si legge nella risoluzione approvata ieri a larga maggioranza (16 voti su 26) con il sì di tutti i togati, dei laici di centrosinistra e dei vertici della Cassazione, produrrà "un cataclisma" negli uffici giudiziari; farà quadruplicare i reati prescritti: il colpo di spugna riguarderebbe corruzione e favoreggiamento, truffa allo Stato e reati societari; spazzerà via migliaia di processi in corso: forse anche quello sulla bancarotta Parmalat, oltre a quelli a Cesare Previti; "con grave violazione del principio di ragionevole durata", come dire che la legge è in contrasto con i principi costituzionali. Una bocciatura annunciata, quella della proposta di legge attualmente all’esame del Senato, preceduta negli ultimi mesi dalla censura di costituzionalisti e penalisti, Associazione magistrati e processualisti. E sulla quale forse pure il Quirinale nutre dubbi, anche se Virginio Rognoni, vice presidente del Csm, ha smentito che nell’incontro con Ciampi si sia parlato della legge. Ma i laici della Casa delle libertà, che hanno votato un documento del consigliere Giorgio Spangher, Fi, hanno respinto il catastrofismo dei togati, sottolineando la "legittimità" dell’intervento legislativo. E il consigliere Nicola Buccico, An, ha definito "paradossale ed estremistica" la tesi secondo cui la prima riforma globale della prescrizione "determinerebbe un effetto criminogeno". La replica di Roberto Castelli, ministro della Giustizia, che non ha mai chiesto un parere sulla ex Cirielli, non si è fatta attendere. Il Guardasigilli ha definito il Csm "un organismo politico che ragiona come il Parlamento. In funzione dell’orientamento", ha aggiunto, "dichiara che i fatti sono bianchi o neri". E al centrosinistra ha mandato a dire: "smetta di tirare Ciampi per la giacchetta, tentando di coinvolgerlo nelle diatribe politiche". "Sono la Casa delle libertà e il governo", replica Guido Calvi, Ds, "a essere sordi a qualsiasi ragionevole osservazione". Ma proprio dal Quirinale, nel giorno della censura ufficiale della "salva Previti", è arrivata al Csm, la "bacchettata" di Ciampi. Il Csm è finito sotto accusa per i ritardi nelle nomine di vertice della magistratura. Il richiamo sulla lentezza delle procedure è contenuto in una lettera indirizzata a Rognoni e questo è stato anche uno degli argomenti del faccia a faccia con il capo dello Stato. L’iniziativa di Ciampi è partita da dati di fatto, tant’è che alla lettera sono state allegate cinque pagine di tabelle. Non è stata fatta ancora alcuna proposta per 20 posti direttivi messi a concorso dal Csm, almeno nove mesi fa (e in certi casi da un anno e mezzo); 13 incarichi sono stati assegnati oltre un anno dalla loro pubblicazione; e restano senza titolare 27 uffici direttivi messi a concorso a partire dallo scorso luglio. Addirittura per due "scoperture" ereditate dal precedente Consiglio, ci sono voluti più di due anni per arrivare alla nomina dei nuovi titolari. La situazione non è migliore per gli incarichi semi-direttivi, cioè i posti di procuratore aggiunto e di presidente di sezione dei tribunali. "Dei 109 posti pubblicati nel maggio e nel luglio 2003", sottolinea il Quirinale, "57 sono stati assegnati oltre un anno dalla pubblicazione, tre posti risultano tuttora vacanti pur essendo decorsi almeno un anno e sei mesi dalla loro pubblicazione. Gli altri 49 sono stati assegnati tra i sei e gli 11 mesi. Dei 38 posti pubblicati il 5 aprile del 2004 solo 10 sono stati assegnati. Dei 30 posti pubblicati il 23 luglio del 2004 nessuno risulta essere stato assegnato". L’iniziativa di Ciampi non ha precedenti recenti e ha spinto Rognoni a convocare immediatamente presidenti e vicepresidenti delle Commissioni che al Csm si occupano di nomine. Quasi certamente sulla questione sarà convocati un plenum straordinario. E sul fronte dell’elezione dei due giudici della Corte Costituzionale, non sembra essere servito a nulla, finora, il rinvio della seduta congiunta di Senato e Camera, che si sarebbe dovuta tenere ieri. Marcello Pera e Pier Ferdinando Casini. avevano accolto la richiesta di Elio Vito, Fi, e Gavino Angius, Ds, ai quali i due schieramenti hanno affidato il compito di trovare un’intesa. Ma il loro incontro non solo non ha sbloccato nulla, ma sembra aver ancor più complicato la situazione. Angius ha avvertito che la candidatura di Luciano Violante, resta sul tavolo e che l’opposizione non è disposta ad accettare veti. "Non abbiamo avanzato né intendiamo avanzare alcun veto nei confronti di possibili candidati della Casa delle libertà o di Fi. E non intendiamo subirne". Nessun veto su Violante, ha replicato Vito: è una questione di opportunità, ha spiegato, che spinge la maggioranza a preferire due non parlamentari per la carica di giudici costituzionali. Roma: Sappe incontra Sottosegretario alla Giustizia Vitali
Adnkronos, 24 febbraio 2005
Un incontro "molto franco e cordiale" quello avvenuto questa mattina al ministero della Giustizia tra una delegazione della segreteria generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) e il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali. Lo rende noto il segretario generale del Sappe, Donato Capece, aggiungendo che Vitali "ha assicurato la massima disponibilità ed il suo totale impegno (anche interessandone personalmente il ministro della Giustizia, Castelli, ed il presidente del Consiglio, Berlusconi) in relazione a due importanti provvedimenti". "Il primo - comunica il Sappe - riguarda l’incorporamento in ferma definitiva dei circa 500 agenti ausiliari di Polizia Penitenziaria attualmente in servizio, che potrebbe avvenire con un provvedimento correttivo o integrativo della legge Finanziaria che, a costo zero sfruttando le vacanze dei ruoli superiori, scongiuri l’interruzione dal servizio ed il conseguente licenziamento degli Agenti Ausiliari". L’altro punto, secondo quanto riferisce Sappe, sarebbe "l’impegno a sostenere e favorire l’iter della legge delega al Governo per il riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di Polizia". "Nel corso dell’incontro - continua la nota del sindacato della Polizia Penitenziaria - si è registrata la disponibilità del Sottosegretario all’apertura del tavolo politico presso il ministero della Giustizia per la modifica del decreto ministeriale che recepisce le piante organiche del Corpo di Polizia Penitenziaria, non rispondente alle realtà operative". E ancora, "l’immediata riapertura (comunque non oltre metà marzo) del tavolo per le trattative per la cosiddetta coda contrattuale e l’impegno concreto in seno al Consiglio dei Ministri affinché, nella Finanziaria 2006, gli oneri di spesa per il rinnovo contrattuale delle Forze di Polizia e per la parte accessoria siano incrementati". Mandato arresto Ue: sì, ma solo se ci sono indizi gravi
Ansa, 24 febbraio 2005
Il provvedimento, che ha ricevuto l’ok della Camera e ora torna al Senato, recepisce il mandato d’arresto europeo ed è destinato a dare attuazione alla decisione quadro firmata dai Quindici a Laeken nel 2001. In base a questa decisione, l’euromandato sarebbe dovuto diventare operativo dal 1 gennaio 2004 per rafforzare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati soprattutto nella lotta al terrorismo internazionale. Ma l’Italia è ora l’unica in Europa a non averlo ancora recepito. Il provvedimento, che punta a sostituire l’attuale estradizione con l’euromandato, contiene anche un elenco di 32 reati: dalla partecipazione ad organizzazioni criminali, al terrorismo, dai crimini contro l’ambiente alla frode agli interessi finanziari delle comunità europee, per i quali non è necessario il requisito della doppia incriminazione (ossia la garanzia per il soggetto per il quale viene chiesta la consegna che il fatto sia previsto come reato tanto nello Stato che lo richiede, quanto nel Paese nel quale l’arresto deve essere eseguito). Per i reati diversi da quelli indicati il requisito della doppia incriminazione è invece necessario. Nel mandato d’arresto devono poi essere indicate una serie di informazioni relative all’identità della persona ricercata, all’autorità giudiziaria che emette il provvedimento, alla natura e alle circostanze del reato, all’esistenza di una sentenza esecutiva, di un mandato d’arresto o analogo provvedimento, alla pena prevista o a quella già inflitta. Se il soggetto acconsente alla sua consegna la procedura è semplificata. Se invece si oppone, il quadro si complica. Spetterà all’autorità giudiziaria competente, ascoltato il ricercato, decidere e richiedere, qualora ce ne fosse bisogno, informazioni supplementari al Paese straniero. L’indagato poi avrà una serie di garanzie: oltre a quella di essere ascoltato, dovrà essere informato del contenuto del mandato ed essere assistito da un difensore e da un interprete. Entro 60 giorni dalla data dell’arresto, l’autorità giudiziaria, che può accettare o meno di consegnare il ricercato, dovrà decidere. Salva la possibilità di una proroga di altri 30 giorni e sempre che sussistano "gravi" indizi di colpevolezza. Entro 10 giorni massimo dalla sua decisione dovrà eseguire la consegna. Il Senato aveva preferito la formula "indizi sufficienti", ma l’Aula della Camera oggi ha approvato due emendamenti identici della Lega e del Prc per ripristinare i "gravi indizi". Due proposte di modifica che sono state votate dalla Cdl, ma anche dai verdi e dal Pdci. L’autorità giudiziaria deve rifiutarsi di farla se contro quella persona c’è già stata una sentenza passata in giudicato per lo stesso reato anche in uno Stato diverso da quello richiedente; se il reato è già stato amnistiato; se aveva meno di 18 anni nel momento in cui ha commesso il reato punito "con una pena inferiore nel massimo a nove anni". L’attuazione della decisione quadro, si legge sempre nel testo ora all’esame della Camera, dovrà poi avvenire nel rispetto dei principi costituzionali in tema di diritti di libertà e del giusto processo. Secondo l’articolo 4 del provvedimento, che la scorsa settimana era stato bocciato dall’Aula della Camera, toccava al ministro della Giustizia ricevere e trasmettere i mandati. Bergamo: agenti penitenziari protestano contro trasferimenti
Ansa, 24 febbraio 2005
Astensione dalla mensa per solidarietà con i colleghi trasferiti in Sardegna. Protagonisti della protesta gli agenti di polizia penitenziaria della casa circondariale di Bergamo che oggi hanno inteso in questo modo contestare la decisione di spostare due sovrintendenti dopo gli accertamenti seguiti all’evasione, avvenuta il 15 ottobre, di due detenuti, Max Leitner ed Emanuele Radosta. Cgil, Cisl e Uil sottolineano che il provvedimento è stato assunto "senza che sia stata appurata da parte del Dipartimento di amministrazione penitenziaria alcuna responsabilità dei due agenti". Non solo: si chiede "che cosa abbia fatto l’amministrazione per adeguare la casa circondariale di Bergamo a caratteristiche di sicurezza, perché debbano pagare persone che sono note per le loro capacità professionali e come mai la stessa amministrazione decida di smentire, con trasferimenti punitivi, l’esplicito apprezzamento e la totale fiducia nei confronti degli operatori penitenziari che era stata espressa dal ministro della Giustizia, dal capo dell’amministrazione e dal prefetto di Bergamo". Droghe: Catania (Prc); interrogazione a commissario Ue Frattini
Ansa, 24 febbraio 2005
"La scelta del governo di affidare a San Patrignano la gestione di un carcere che ospiterà tossicodipendenti è assolutamente inquietante: non si possono confondere le competenze di una struttura privata di recupero dei tossicodipendenti con la funzione sociale delle carceri, che deve essere garantita esclusivamente da un servizio pubblico". Lo afferma Giusto Catania, eurodeputato del Prc e relatore sulla strategia antidroga dell’Unione europea. Catania ha presentato un’interrogazione al Commissario europeo per la giustizia e gli affari interni, Franco Frattini, nella quale si afferma che "i metodi abitualmente usati dalla comunità di San Patrignano sono in palese violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, che vieta tutti trattamenti inumani e degradanti". "La storia di San Patrignano è costellata di tante ombre - sottolinea l’eurodeputato - e la scelta del governo italiano muove solo da logiche clientelari ed elettorali ed è assolutamente in contrasto con la risoluzione adottata dal Parlamento europeo nel dicembre scorso". Giustizia: Pecoraro; da Csm atto dovuto contro salva-Previti
Ansa, 24 febbraio 2005
"Questa legge è rivoltante. Per uno smaccato favoritismo personale si mette a repentaglio il sistema giudiziario e la sicurezza di tutti". Lo ha detto il presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio, secondo il quale "la decisione del Csm riguardo alla ex Cirielli è un atto dovuto in difesa dell’ordine costituzionale e contro una legge golpista". "È sempre più necessaria una rivolta morale dei cittadini italiani - aggiunge il leader dei Verdi - Per favorire alcuni amici attentano alla sicurezza di tutti. È insopportabile questo continuo ricorrere a leggi ad personam per garantire amici e interessi". Giustizia: Bobbio; sblindatura della Cirielli? non mi risulta
Ansa, 24 febbraio 2005
"Non mi risulta proprio che si sia deciso di "sblindare" l’ex Cirielli. Anzi. L’indicazione che abbiamo è quella di andare avanti e in fretta". Il senatore di An Luigi Bobbio commenta così la notizia pubblicata da un quotidiano secondo la quale la Cdl avrebbe deciso di tirare il freno a mano sulla proposta di legge che dimezza i tempi di prescrizione dei reati. "Il testo dell’ex Cirielli - aggiunge - a me risulta blindato, anzi, blindatissimo...". Droghe: pene alternative, più tutele per operatori comunità
Ansa, 24 febbraio 2005
Gli operatori dei centri di accoglienza e delle comunità terapeutiche che ospitano anche detenuti tossicodipendenti sono poco tutelati ed esposti a ogni tipo di ricatto e di ritorsione: l’allarme è stato lanciato oggi, nel corso di una tavola rotonda organizzata da Villa Maraini, storica comunità terapeutica romana, sulle prospettive e le difficoltà dei provvedimenti alternativi alla detenzione. Villa Maraini, che fornisce da anni una serie variegata di servizi che vanno dal "Telefono in aiuto" al "Progetto Carcere" alla comunità terapeutica vera e propria, ospita anche un "Centro arresti domiciliari" che dal 2000 ha una convenzione con il Ministero della giustizia e che si rivolge a tossicodipendenti in misura di custodia cautelare, con un percorso che dura in media 24 mesi e che ha come obiettivo finale l’indipendenza e il reinserimento della persona. Nel 2004 il numero di utenti del Cad è diminuito rispetto agli anni precedenti - hanno spiegato i responsabili - e questo è dovuto alle "enormi difficoltà incontrate", sia di natura amministrativa (le rette pagate dall’amministrazione penitenziaria sono troppo basse e vengono pagate con enorme ritardo) sia di gestione degli utenti che usufruiscono della pena alternativa. In particolare, alcuni operatori hanno vissuto in prima persona una serie di problemi, principalmente connessi con la decisione di revocare gli arresti domiciliari ad alcuni utenti; alle revoche, che nel 2004 hanno riguardato il 16% degli utenti, si arriva quando si capisce che non c’è più alcuna possibilità di intervento. Casi che hanno portato a denunce e conseguenti inchieste, che hanno coinvolto operatori particolarmente "indifesi" in quanto a loro volta ex tossicodipendenti ed ex detenuti, quindi - hanno sottolineato i responsabili di Villa Maraini - maggiormente "ricattabili". "Siamo un carcere senza carcerieri - ha detto il presidente di Villa Maraini, Gabriele Mori - e i nostri operatori sono in balia dell’utenza, non garantiti dalle norme vigenti". Una risposta è giunta dal sostituto procuratore Maria Monteleone, che ha suggerito alle comunità di dare una disponibilità a termine, sin dall’inizio, a questo tipo di utenza, di preparare una sorta di vademecum delle regole del centro da consegnare al momento dell’accoglienza, e soprattutto di "spersonalizzare" le iniziative di revoca: l’utente, ha detto, non deve assolutamente sapere chi ha fatto la proposta. infine, la comunità - ha aggiunto il magistrato - deve "innalzare barriere particolari intorno agli operatori ex detenuti o ex tossicodipendenti", insomma tutelare maggiormente quelli più esposti. D’accordo la consigliera regionale Giulia Rodano (Ds), secondo la quale bisogna inoltre individuare delle forme di accreditamento per tutelare queste strutture e individuare delle formule assicurative per gli operatori. Sulmona: polizia penitenziaria, pronti i nuovi agenti
Il Messaggero, 24 febbraio 2005
Sono stati 114 gli allievi del 153esimo corso della scuola di Polizia penitenziaria che ieri hanno prestato giuramento davanti alle massime autorità regionali. Il direttore della scuola, Luigi Magri, si è detto molto soddisfatto del risultato ed ha annunciato che i nuovi agenti della Polizia penitenziaria da Sulmona saranno inviati nelle varie zone d’Italia dove presteranno servizio negli istituti penitenziari. L’aspetto importante per la Città è che sono ripresi in maniera regolare i corsi che portano a Sulmona centinaia di giovani. Augusta (Sr): An prepara dossier su situazione carcere
La Sicilia, 24 febbraio 2005
Il Circolo "Almirante" di An si attiva per la risoluzione delle problematiche che assillano la casa di reclusione di Augusta. Lo stato precario in cui versa il penitenziario, sia da un punto di vista strutturale che per quanto concerne la carenza di organico, sarà oggetto di una relazione che il circolo invierà al Dipartimento Sicurezza di An ed ai vertici nazionali del partito, per sollecitare un intervento. Lo ha dichiarato il coordinatore provinciale di An del collegio Siracusa Nord, Massimo Casertano. "Stiamo raccogliendo dati ed informazioni - ha spiegato Casertano - sulla situazione in atto nel carcere di contrada Piano Ippolito per redigere un dossier. Siamo vicini agli agenti di polizia penitenziaria, sottoposti quotidianamente ad un difficile e delicato compito nello svolgimento del regolare servizio, reso ancora più arduo dalle particolari condizioni di precarietà della struttura e della dotazione organica in atto. La situazione denunciata dal responsabile provinciale del Coordinamento Nazionale Polizia Penitenziaria è davvero allarmante; per questa ragione esprimiamo solidarietà e sostegno al responsabile provinciale del sindacato di categoria, Massimiliano Di Carlo". Proprio nei giorni scorsi infatti la Fsa (Cnpp e Ugl) ha scritto al ministro Castelli sottolineando la gravità di una situazione divenuta insostenibile. Ai disagi legati alla carenza di personale, le cui unità sono di numero nettamente inferiore del previsto, si aggiungono i problemi strutturali che investono gli ambienti di lavoro e di detenzione mettendo a repentaglio l’incolumità fisica degli agenti e dei reclusi". Nuoro: domani Commissione "Diritti Civili" a Badu ‘e Carros
L’Unione Sarda, 24 febbraio 2005
Domani la commissione "Diritti Civili" del Consiglio regionale sarà in visita al carcere nuorese di Badu 'e Carros. È una nuova tappa delle visite nelle carceri della Sardegna della commissione presieduta da Paolo Pisu, consigliere di Rifondazione comunista. Domani l’organismo consiliare visiterà (alle 11) il carcere di Badu ‘e Carros. Il programma prevede anche un incontro (alle 13) nell’aula consiliare del Comune a cui parteciperanno il sindaco Mario Zidda e i rappresentanti di organizzazioni ed associazioni che si occupano dei problemi del carcere. Alle 16, invece, è prevista la visita della Commissione al "Laboratorio Europa" del Carrefour Sardegna in via Manzoni. "L’incontro - si legge in una nota della Comunità montana del Nuorese, che gestisce l’attività del Laboratorio Europa - servirà fra l’altro a discutere della nuova strategia di informazione dell’Unione Europea in ambito regionale e locale, con particolare riferimento ai diversi scenari che si delineeranno con l’attuazione dei nuovi regolamenti sui fondi strutturali 2007-2013". Saranno presenti il presidente Peppino Mureddu, l’assessore Cianino Ticca e il direttore Salvatore Boeddu. Roma: lezione d’italiano, rispondono ragazzi di Rebibbia
Corriere della Sera, 24 febbraio 2005
Erano in 25 alla prima lezione d’italiano, in una stanza di Rebibbia che si sforzava di non somigliare a una cella, di 17 diverse nazionalità. Sono misteriosi i sentieri che una lingua può percorrere per cercare di difendere il proprio carisma e spesso passano molto lontano dalle stanze ufficiali. D’altronde nessuno meglio di noi sa che l’italiano non si impone per legge: il fascismo ci ha provato per vent’anni, con provvedimenti che andavano dal ridicolo (contro la resistenza dei dialetti) alla violenza (contro le legittime tradizioni delle minoranze etniche). L’Italiano che mi serve, terza edizione di una esperienza sostenuta dagli assessorati alla Scuola e alla Cultura del Campidoglio e dalle Biblioteche romane, rappresenta una traccia importante e inconsueta: non solo perché si propone di insegnare la lingua italiana agli stranieri che vivono a Roma e ai detenuti. Quest’anno gli iscritti sono 600 per 27 corsi; 90 i partecipanti nelle carceri. Li accompagnerà un libro di testo che cerca di affiancare gli immigrati spiegando leggi, pratiche, consuetudini: "I corsisti - hanno spiegato Maria Coscia e Gianni Borgna - potranno capire e leggere un contratto di lavoro o d’affitto, iscrivere correttamente un figlio a scuola o capire le istruzione dei farmaci". Sette biblioteche (Corviale, Elsa Morante, Enzo Tortora, Penazzato, Rugantino, Valle Aurelia, Villa Mercede) e sette Centri territoriali permanenti ospiteranno i corsi. Iniziative come questa "potranno sembrare anche una piccola cosa" scrive nella presentazione Igino Poggiali, presidente delle biblioteche romane, eppure sono i semi fondamentali di una cultura dell’accoglienza, della non discriminazione, della solidarietà. Fiorella Farinelli, a cui si devono alcuni degli studi più seri sull’alfabetizzazione a Roma, non si è ancora stancata di ripetere quanto conoscenza della lingua, ruolo della scuola e integrazione sociale fanno parte dello stesso discorso. È la differenza tra l’essere schiavi di una condizione economica e culturale di subalternità e uomini in grado di progettare il proprio futuro. In italiano. Terni: "musica d’evasione" nella casa circondariale
Il Messaggero, 24 febbraio 2005
L’Associazione di volontariato Ora d’Aria insieme ad Ephebia Rock e in collaborazione con la direzione della Casa Circondariale di Terni, ha organizzato una rassegna di concerti musicali che vedrà l’esibizione di gruppi ternani, dal titolo "Ma sei fuori? Musica per evadere" che avrà luogo all’interno dell’istituto penitenziario. La manifestazione è patrocinata dal Comune di Terni dall’ Assessorato alle Politiche Sociali e dall’Assessorato alle Politiche Culturali. Il primo concerto si terrà oggi. La rassegna avrà termine a giugno. Si esibiranno durante i vari concerti i Sixe Live, I Mandras, gli Slegatamenta, gli Altaband, i Reggae Fistols e Le Nuove Impressioni. L’idea di realizzare la rassegna nasce dall’esperienza maturata dall’associazione di volontariato Ora d’Aria nell’organizzazione di eventi culturali all’interno della Casa Circondariale di Terni, dall’esperienza di Ephebia Rock nell’articolazione di rassegne musicali e soprattutto dalla disponibilità emersa tra i gruppi musicali ternani che si esibiscono gratuitamente. Roma: carcere ingiusto, risarcito il liutaio di Sacrofano
Corriere della Sera, 24 febbraio 2005
L’accusa di essere il "mostro" che violentava le donne l’ha sempre respinta, giurando che la sua vita era cambiata. "Joe Codino è morto, non esiste più, oggi c’è soltanto Sergio Marcello Gregorat", ripeteva nel ‘97 tentando di allontanare i fantasmi del passato. Era disperato il liutaio di Sacrofano, finito nel rullo compressore delle indagini sulle aggressioni alle donne di Talenti e Montesacro per colpa della vecchia condanna. Non era lui a seminare il terrore in quei quartieri, gridava, ma quasi nessuno credeva alla sua verità. Tranne la fidanzata e le due donne avvocato, Anna Isa Garcea e Pina Tenga, che lo hanno sempre difeso con il collega Giovanni Aricò. Dopo cinque anni di processi e tre di reclusione (tra carcere e arresti domiciliari), il 13 luglio 2002 Gregorat, 42 anni, è stato assolto con la formula "perché il fatto non sussiste". E ieri la quarta sezione della corte d’appello ha disposto il risarcimento per ingiusta detenzione. Ma il contenzioso del liutaio con la giustizia è destinato a proseguire. Il collegio ha stabilito un indennizzo di duecentomila euro ma, a causa dei precedenti che macchiano il certificato penale dell’ex imputato, la somma liquidata sarà pari alla metà: centomila euro. Gregorat di euro ne aveva chiesti cinquecentomila, il massimo consentito. "Ricorreremo in Cassazione", protesta Garcea, secondo cui la legge non permette un "taglio" fondato sui "trascorsi" di chi chiede il risarcimento. E, in polemica con la procura e i giudici che si sono occupati di Gregorat, afferma: "C’è stato un imbarbarimento dell’accusa e giustizialismo da parte del tribunale. I soldi sarebbero da addebitare ai magistrati, non allo Stato". Il soprannome di Joe Codino, che il liutaio, figlio e fratello di musicisti, odia con tutto il cuore, gli viene affibbiato nella primavera del 1987, quando a Montesacro si sparge il panico per una serie di aggressioni a sfondo sessuale. Donne di tutte le età, che vengono avvicinate di sera davanti al portone di casa, descrivono un giovane di statura media, con una corporatura atletica e i capelli raccolti in un codino. Le manette scattano il 13 agosto, quando Gregorat ha 25 anni. Al termine del processo viene condannato a nove anni di reclusione per aver aggredito, rapinato e in un caso violentato tredici vittime. Tra l’uscita dal carcere e il nuovo arresto, il 22 maggio ‘97, trascorre soltanto qualche mese. Infatti poco dopo che il liutaio è tornato in libertà le aggressioni riprendono. E per di più nella stessa zona. Tutto sembra combaciare, l’accusa di aver violentato o molestato sei ragazze appare supportata da indizi concreti. Non è così, ma ci vorranno cinque anni per ottenere l’assoluzione definitiva. "L’innocenza di Gregorat - sottolinea Garcea - era già evidente a gennaio ‘98, quando emerse che le tracce biologiche sugli indumenti di due presunte vittime non gli appartenevano". Nonostante l’altra, possibile verità, in primo grado il liutaio viene condannato a cinque anni e quattro mesi e in appello a tre anni e nove mesi. La Cassazione però annulla la sentenza e nel nuovo processo arriva l’assoluzione. Ora resta da chiarire: chi ha aggredito le donne a Montesacro e Talenti tra ottobre ‘96 e aprile ‘97? Amnesty: proteggere donne e cambiare leggi discriminatorie
Redattore Sociale, 24 febbraio 2005
ROMA - È stato presentato oggi il nuovo rapporto di Amnesty International dal titolo "Iraq: dopo decenni di sofferenza, ora le donne meritano un destino migliore". Attraverso il documento, l’organizzazione per i diritti umani chiede un ruolo attivo delle donne nella costruzione del futuro del loro paese. "Le autorità irachene dovranno prendere misure efficaci per proteggere le donne e cambiare le leggi discriminatorie che facilitano la violenza ai loro danni", ha dichiarato Cecilia Nava, vicepresidente della Sezione Italiana di Amnesty International. "Le donne in Iraq - ha proseguito Nava - vivono nella costante paura di subire violenza. L’attuale mancanza di sicurezza ha spinto molte di esse a ritirarsi dalla vita pubblica, cosa che ostacola fortemente l’avanzamento dei loro diritti". Dalla guerra del 2003, i gruppi armati hanno preso di mira e assassinato diverse esponenti politiche e attiviste per i diritti umani e il rapporto di Amnesty International mette in evidenza come le donne vengano colpite proprio in quanto donne e quale sia stata la loro sofferenza durante decenni di repressione governativa e di conflitto armato. "Le autorità irachene dovranno quindi introdurre misure concrete per proteggere le donne e dire in modo chiaro e tondo che la violenza contro di loro non sarà tollerata, che indagheranno su ogni denuncia e porteranno di fronte alla giustizia chiunque si sia reso responsabile di questi abusi, a prescindere dalla sua affiliazione politica". Tre guerre e oltre un decennio di sanzioni economiche hanno avuto effetti disastrosi. Sotto il governo di Saddam Hussein, le donne venivano sottoposte a stupro e ad altre forme di violenza sessuale o colpite in quanto attiviste politiche, parenti di attivisti o appartenenti a gruppi etnici o religiosi. Il rapporto di Amnesty International illustra come la discriminazione di genere di cui è permeata la legislazione irachena contribuisca al perpetuarsi della violenza contro le donne. Molte di esse rischiano di essere ferite o assassinate dai propri parenti maschi se ritenute portatrici di un comportamento lesivo dell’onore della famiglia. "Le autorità di Baghdad devono riesaminare le leggi discriminatorie contro la donne e adeguarle al diritto internazionale. Soprattutto, devono garantire che la nuova Costituzione e tutte le nuove leggi prevedano risarcimenti per tutte le forme di discriminazione e di violenza basata sul genere", ha aggiunto ancora Nava. Alcune donne irachene sono state prese in ostaggio da gruppi armati che hanno avanzato richieste politiche, così come alcune donne di cittadinanza non irachena sono state catturate da gruppi che chiedono il ritiro delle truppe straniere dall’Iraq. Una di esse, Margaret Hassan, è stata assassinata. Attualmente, sono ancora in ostaggio le giornaliste Giuliana Sgrena e Florence Aubenas. Amnesty International rinnova ancora una volta l’appello ai gruppi armati affinché cessino immediatamente ogni forma di violenza - intimidazioni, minacce di morte, attentati, sequestri e uccisioni - contro le donne. E allo stesso tempo, chiede alla forza multinazionale a guida Usa di migliorare la tutela delle donne detenute e svolgere tempestive indagini sulle denunce di violenza, compresi gli abusi sessuali compiuti dai soldati o da altro personale della forza multinazionale. Le organizzazioni irachene per i diritti delle donne chiedono da tempo l’adozione di provvedimenti per porre fine alla violenza e alla discriminazione e negli ultimi anni sono sorti numerosi gruppi e organismi non governativi per i diritti delle donne. Nonostante ciò, le attiviste per i diritti umani si trovano spesso a fronteggiare minacce e attacchi provenienti dalle stesse famiglie delle donne che difendono. Il rapporto di Amnesty International auspica che le donne siano al centro del processo decisionale iracheno, soprattutto sui temi che le riguardano direttamente e che siano rappresentate a ogni livello per garantire al meglio la loro protezione. Nella neo-eletta Assemblea nazionale e nel prossimo governo le donne dovranno assumere un ruolo decisivo nell’assicurare che la legislazione vigente e quella che verrà introdotta saranno in linea con gli standard del diritto internazionale. Il rapporto "‘Iraq: dopo decenni di sofferenza, ora le donne meritano un destino migliore" è disponibile presso il sito Internet. Usa: nuove restrizioni a interrogatori dei prigionieri
Agi, 24 febbraio 2005
Sulla scia delle polemiche per lo scandalo degli abusi contro i detenuti nel carcere iracheno di Abu Ghraib, e per il trattamento riservato ai presunti estremisti rinchiusi nel campo speciale "Delta" della Baia di Guantanamo a Cuba, il Pentagono ha deciso di introdurre nuove restrizioni nella conduzione degli interrogatori dei prigionieri, così da rendere la relativa disciplina maggiormente conforme ai principi stabiliti dalla Convenzione di Ginevra; in particolare, è stato ordinata l’osservanza di tutta una serie di limiti nell’ispezionare gli orifizi e le cavità corporali dei carcerati. Lo ha annunciato in conferenza stampa il capo della polizia militare Usa, generale Donald Ryder, secondo cui si tratta dei risultati di una serie di inchieste condotte dalle Forze Armate americane su oltre trecento casi di presunti abusi perpetrati a danno di sospetti catturati in Iraq e in Afghanistan. "Delimitazioni comportamentali", è stata la definizione sintetica che della nuova regolamentazione ha fornito dal canto suo un portavoce dei servizi segreti dell’Esercito statunitense, Thomas Gandy. Minori: assistenti sociali criticano deformazioni loro immagine
Avvenire, 24 febbraio 2005
Non più "lupi cattivi" che portano via i bambini dalle loro famiglie, ma professionisti che vogliono sempre più aiutare i genitori in difficoltà. Gli assistenti sociali rivendicano il loro ruolo professionale e chiedono di creare una rete di protezione all’interno della quale sostenere i bambini e le loro famiglie, così da evitare il più possibile l’allontanamento coatto dei minori. Già da tempo la presidente del Consiglio nazionale di categoria, Paola Rossi, ha chiesto al Consiglio superiore della Magistratura, alle Corti di appello per i minorenni e la famiglia, al Tribunale per i minori e alle associazioni di rappresentanza degli enti locali che venga fatta chiarezza sul loro ruolo nell’esecuzione coattiva di provvedimenti relativi a minori. Continuano infatti ad essere segnalati al Consiglio provvedimenti di allontanamento di bambini dal nucleo familiare, adottati dalle autorità giudiziarie e amministrative, con l’obbligo di esecuzione imposto però all’assistente sociale, coadiuvato da personale di polizia . E l’assistente sociale, anche nel caso in cui dissenta, non può sottrarsi a questi provvedimenti, emanati sotto forma di decreto. Ma, sempre secondo l’Ordine, questo utilizzo sarebbe improprio, perché per legge l’esecuzione coattiva dovrebbe essere affidata agli ufficiali giudiziari e agli organi di pubblica sicurezza. L’assistente sociale dovrebbe invece intervenire in questi casi solo come consulente professionale, per assicurare che il provvedimento venga attuato con modalità e accorgimenti che tutelino soprattutto i minori. Ma chi sono queste figure professionali? La maggior parte degli assistenti sociali (un esercito di circa 32mila persone con una formazione sempre più a livello universitario, grazie al corso di laurea triennale in Scienze del servizio sociale, con aumento negli ultimi anni del 20% di laureati all’anno) lavora nel settore pubblico, ma sta aumentando anche il numero di consulenti liberi professionisti. Nell’area pubblica lavorano nei servizi alla persona degli enti locali, in quelli socio-sanitari territoriali delle Asl, nel servizio minori della giustizia e in quello per gli adulti dell’amministrazione penitenziaria; nelle prefetture, nelle case di riposo, in quelle famiglia e in quelle di accoglienza per le donne maltrattate. Il lavoro viene eseguito soprattutto sul territorio, dove gli assistenti si occupano di un monitoraggio costante, di raccogliere le istanze dei soggetti più deboli, di classificarle per urgenza, per arrivare poi alla parte operativa, cioè al raccordo di rete con le altre figure professionali che possono essere di aiuto, come psicologi, medici, avvocati e amministratori pubblici. Quindi, aiuto e non castigo. Ma la realtà viene dipinta dalla cronaca in modo diverso. Spesso il lavoro non viene capito e si arriva a casi limite come quello denunciato qualche mese fa a Catania, dove un’assistente sociale è stata addirittura aggredita e picchiata, come "punizione" per aver svolto il suo lavoro. Quindi, per svolgere nel miglior modo possibile e più sereno il loro ruolo, sempre l’Ordine chiede anche che i piani di zona decollino, per un maggior coordinamento. "L’aiuto - spiega tra l’altro la presidente dell’organismo di categoria Paola Rossi- non può essere frutto di individuale buona volontà e disponibilità, ma di un sistema articolato e organizzato dei servizi sociali e sociosanitari. Con professionisti dotati soprattutto di professionalità e inseriti in un’organizzazione solidamente piantata nel territorio che dimostrino capacità di leggere, interpretare, intervenire in modo continuativo, mirato e con precise finalità".
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