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Prato: detenuto trovato morto; suicidio l’ipotesi più probabile
Il Tirreno, 15 febbraio 2005
Un detenuto è stato trovato cadavere domenica sera nella sua cella del carcere della Dogaia e la magistratura ha aperto un’inchiesta per accertare le cause del decesso. Dalle prime frammentarie informazioni che sono trapelate, l’ipotesi più accreditata è che si sia trattato di un suicidio. Il detenuto, di nazionalità italiana, sarebbe stato trovato appeso a una sbarra con un pezzo di stoffa intorno al collo. Se si è trattato di un suicidio, l’uomo ha usato l’unico sistema che gli era consentito, quello di ricavare una corda dalla stoffa dei lenzuoli. All’ingresso in carcere, infatti, ai detenuti vengono tolte stringe e cinture, proprio per evitare tentativi di suicidio. Il detenuto è stato trovato cadavere nel tardo pomeriggio di domenica. Sul posto è stato fatto intervenire immediatamente un medico, ma ormai non c’era più nulla da fare. Del fatto è stato informato il sostituto procuratore di turno, Ettore Squillace, che ieri ha disposto l’autopsia sulla salma del detenuto. L’esame verrà eseguito con tutta probabilità stamattina all’Istituto di anatomia patologica dell’ospedale. Il detenuto trovato morto era in attesa di giudizio. Sull’episodio viene mantenuto il più stretto riserbo. Roma: malato di Aids a Rebibbia, esce dal carcere già in coma
Liberazione, 15 febbraio 2005
Alla fine è arrivato in ospedale, ma in coma. Aveva chiesto di curarsi, aveva chiesto di uscire dal carcere perché gravemente malato di Aids, richieste avanzate per mesi e sempre respinte. Fino a domenica, quando ha ottenuto la scarcerazione ma solo perché è entrato in coma e così è stato trasferito dal carcere romano di Rebibbia al Policlinico Gemelli. L’episodio è stato reso noto ieri dall’ufficio del garante regionale dei detenuti. "Come mai si è aspettato che l’uomo entrasse in coma per concedere la scarcerazione? Dovranno rispondere in molti. Purtroppo questi episodi non sono rari e dimostrano che non c’è sensibilità nei confronti delle persone malate e questo al di là di quanto impone la legge" denuncia Vittorio Antonini, portavoce dell’associazione dei detenuti Papillon. "Trovo sia grave che una persona per essere scarcerata a causa delle sue cattive condizioni di salute debba aspettare di entrare in coma - commenta lo stesso garante Angiolo Marroni -. Non mi spiego come, ancora alla fine di gennaio, il tribunale di sorveglianza abbia rigettato l’istanza di scarcerazione di questa persona". Sulla gravità dell’episodio è intervenuto ieri anche Ferdinando Aiuti, presidente dell’Anlaids: "Il ministro della giustizia Castelli apra subito un’inchiesta nelle carceri italiane per accertare perché non viene applicata la legge che impone la scarcerazione di un detenuto affetto da Aids o sieropositivo con meno di 200 CD4". Nuoro: denuncia della Cisl, a Badu e’ Carros è emergenza
La Nuova Sardegna, 15 febbraio 2005
"La situazione che si sta venendo a creare nel carcere di Nuoro è allarmante. Sabato sono arrivati, sfollati dal carcere di Milano, trenta detenuti, la maggior parte nord-africani. Attualmente sono aperte la prima e la seconda sezione. La terza è chiusa da oltre un anno per lavori di ristrutturazione che nel frattempo sono stati interrotti. Nella seconda sezione sono quindi ospitati 178 detenuti, mentre nella prima ce ne sono una ottantina. Siamo sulla soglia del sovraffollamento". Lo denuncia la federazione territoriale della Cisl di Nuoro precisando che il carcere di "Badu e Carros" può sopportare dai 260 ai 350 detenuti, ma con le quattro sezioni aperte, compreso il femminile. "La situazione di equilibrio che gli operatori e i detenuti erano riusciti a creare con grande impegno da entrambe le parti oggi, con questo "innesto", viene destabilizzata". Aumenta il lavoro per tutti (poliziotti, sanitari, educatori), mentre cresce il nervosismo fra i detenuti, anche quelli notoriamente tranquilli, e fra il personale che vede il proprio lavoro mortificato dalle scelte del Dipartimento. "Aumenta anche il rischio di situazioni difficili o di "incidenti" imprevisti. Sale l’esasperazione e il tasso di conflittualità. A Nuoro non si vedeva un’assegnazione così massiccia di detenuti da almeno una decina di anni. A ciò si aggiungano - prosegue il rapporto denuncia della Cisl - ulteriori notizie non certamente positive per Nuoro: "L’educatrice e la ragioniera che erano state assegnate per un anno a Badu e Carros hanno ottenuto l’assegnazione la prima a Monza l’altra a Milano. Per cui da marzo tornerà in completa solitudine l’unica educatrice "storica" in servizio. Ma non basta. L’intero settore di ragioneria è destinato al collasso: due addetti stanno partecipando a un corso semestrale di riqualificazione professionale, mentre gli altri due sono in malattia. Probabilmente già dai prossimi giorni a Badu e Carros non ci sarà un responsabile della cassa, a meno che tale incarico non lo assuma il direttore. Ma non basta: gli operatori esterni convenzionati (psicologi, criminologi, esperti vari) hanno ricevuto una lettera dal Dipartimento centrale con la quale vengono sensibilmente ridotte le ore di lavoro (valga come esempio quello della psicologa nella casa di reclusione di Mamone che da 33 deve scendere a 18 ore mensili). Come se non bastasse, il direttore del carcere si trova assegnato in missione a Nuoro dal 12 luglio dello scorso anno. Badu ‘e Carros è di nuovo una polveriera.
Da dieci anni non si faceva una operazione così massiccia
Torna alta la tensione nel carcere di Badu’e Carros. Da sabato scorso sono arrivati una trentina di detenuti, sfollati dal carcere di Milano Si tratta sopratutto di nord-africani. Alcuni anche in non buone condizioni sanitarie. E la situazione sta diventando nuovamente esplosiva: non solo perché da un punto di vista numerico si sta ormai sfiorando la soglia del sovraffollamento. Sopratutto perché questi nuovi arrivi turbano equilibri faticosamente raggiunti. Provocando invece esasperazioni che contribuiscono a rendere ancora più difficile l’ambiente. La denuncia arriva da Giorgio Mustaro, segretario territoriale della Cisl. Il fatto è che il penitenziario, al di là di tutte le promesse e i (presunti) miglioramenti dell’ultimo periodo, è di nuovo in piena emergenza. "Attualmente sono aperte la prima e la seconda sezione. La terza è chiusa da oltre un anno per lavori di ristrutturazione che nel frattempo sono stati interrotti. Nella seconda sezione sono quindi ospitati 178 detenuti, mentre nella prima ce ne sono una ottantina. Siamo sulla soglia del sovraffollamento", dice Mustaro. E i conti sono presto fatti: Badu e Carros può sopportare dai 260 ai 350 detenuti, ma con le quattro sezioni aperte, compresa quella femminile. "L’aspetto più grave è quello della pericolosa promiscuità: già prima, in seconda sezione, convivevano imputati e definitivi. Ora si aggiungono gli extracomunitari che aumentano gli elementi di instabilità. Cioè la situazione di equilibrio che gli operatori ed i detenuti erano riusciti a creare con grande impegno da entrambe le parti oggi, con questo "innesto", viene destabilizzata. Aumenta il lavoro per tutti: poliziotti, sanitari, educatore, etc. Cresce il nervosismo fra i detenuti (anche quelli notoriamente tranquilli) e fra il personale che vede il proprio lavoro mortificato dalle scelte del Dipartimento", sottolinea Mustaro. Che aggiunge: "Qualcuno dice che per sistemare i penitenziari della penisola "rovinano" istituti tranquilli, come Badu e Carros. Infatti vengono sfollati, evidentemente, i detenuti più rissosi, esasperati o con problemi di salute". Cresce il rischio di situazioni difficili o di "incidenti" imprevisti. A Nuoro non si vedeva un’assegnazione così massiccia di detenuti da almeno una decina di anni. Tra gli operatori dei vari settori c’è una fortissima preoccupazione. Ma non basta: ci sono altre notizie che preoccupano. L’educatrice e la ragioniera che erano state assegnate per un anno a Badu e carros, assunte il 20 dicembre scorso, hanno ottenuto l’assegnazione la prima a Monza l’altra a Milano. Per cui da marzo tornerà in completa solitudine Silvana Arru, l’unica educatrice "storica" in servizio. L’intero settore di ragioneria è destinato al collasso: due addetti stanno partecipando ad un corso semestrale di riqualificazione professionale, mentre gli altri due sono in malattia. "Probabilmente - è ancora Mustaro che parla - già dai prossimi giorni a Badu e carros non ci sarà un responsabile della cassa (a meno che l’ incarico non lo assuma il Direttore). Ma non basta. Gli operatori esterni convenzionati (psicologi, criminologi, esperti vari) hanno ricevuto in queste ore una lettera dal Dipartimento centrale con la quale vengono sensibilmente ridotte le ore di lavoro (valga come esempio quello della psicologa nella Casa di reclusione di Mamone che da 33 deve scendere a 18 ore mensili)". Ciliegina sulla torta, la questione direttore. "Il direttore si trova assegnato in missione a Nuoro dal 12 luglio dello scorso anno. Cioè a marzo al dottor Paolo Sanna scade la possibilità di ulteriore proroga dell’incarico. Quindi o l’amministrazione assegna con incarico definitivo questo funzionario oppure all’interessato dovrà essere trovata un’altra sede e a Nuoro potrebbe arrivare un nuovo direttore". Che sarebbe il 23esimo direttore in meno di 5 anni. Forse è il casi di iniziare a preoccuparsi.
I numeri del disagio: direttori in transito, pochi agenti
I numeri sono quelli che sono. E parlano chiaro. Intanto la questione fondamentale. Quella, invocata da sindacati, lavoratori, e persino detenuti, della stabilità della dirigenza. Paolo Sanna è il ventiduesimo direttore di Badu e Carros dall’aprile duemila. Le promesse, in questi cinque anni, si sono succedute. A parole, di Nuoro si sono occupati in tanti, ai massimi livelli: a partire dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, proseguendo per commissioni parlamentari, consiglieri regionali e via discorrendo. La realtà è che Paolo Sanna ha un incarico a termine e se non verrà assegnato in pianta stabile a Nuoro, tra un mese dovrà fare le valigie. Aprendo la strada al 23esimo dirigente. E poi ci sono i numeri del disagio, quelli dei lavoratori e dei detenuti. Attualmente gli agenti sono 200 (ma tra ferie, riposi e malattie ne risultano molti meno in servizio). Dovrebbero essere circa 250. Nel 2001 erano 230: trenta uomini sono andati via e non sono mai stati sostituiti. Mentre gli amministrativi sono 18 su trenta, l’educatrice sta per ritornare nella sua condizione di solitudine, e c’è una drastica riduzione delle ore assegnate alle professionalità in convenzione.
La protesta: "Ci manca persino l’acqua calda"
Quali miglioramenti. "Da quando è arrivato il direttore Paolo Sanna la vivibilità interna al carcere è peggiorata. Da circa due mesi non possiamo mettere piede nel campo sportivo e passiamo l’ora d’aria in una voliera. Per evitare eventuali fughe cerebrali, da sei mesi non possiamo leggere i libri della biblioteca perché in attesa di quella nuova la vecchia è stata chiusa. Ci sono stati tolti due posti di lavoro. Da due anni non possiamo usufruire del dentista". Le aperture, o presunte tali, del carcere, viste dal di dentro. Un gruppo di detenuti ha scritto una lettera aperta denunciando il venire meno di opportunità e di piccoli spazi di libertà guadagnati alle ore interminabili. Ma più che altro, denunciano la insussistenza delle condizioni minime di vivibilità e dignità. "Manca il riscaldamento sufficiente e nelle celle c’è umidità. Per la cattiva manutenzione degli infissi dalle finestre entra acqua. Ci sono tre docce funzionanti per novanta detenuti, con due ore di acqua calda per piano ad orari inadeguati, tanto è vero che al piano terra due reclusi si sono ammalati di polmonite. Ad altri due compagni sono stati ritirati stampante e scanner perché uno di questi aveva scritto al sindaco di Nuoro. Spesso i detenuti rifiutano il cibo perché c’è un solo carrello che serve tre piani (portato a mano da un piano all’altro) e man mano che arriva nelle ultime celle il cibo diventa immangiabile, una specie di pastone per galline. I porta vitto non sono forniti di guanti, berretti, grembiuli, carrelli termici...". Altro che concerti e partite. Restano irrisolti altri gravissimi problemi. Ascoli: il caso Costantini, quando di carcere si può morire
Resto del Carlino, 15 febbraio 2005
Sovraffollamento, ritmi di lavoro esasperati degli agenti di polizia giudiziaria, tipologie di reati e di persone forse troppo diverse fra loro. Certo, un carcere non è un hotel a cinque stelle, ma nella struttura di Marino del Tronto i problemi sono parecchi e da parecchi anni. Non è la prima volta che si verificano episodi di violenza e proteste, anche eclatanti, fra i detenuti e dei detenuti. Il Carlino, anche in passato, ha pubblicato diverse volte lettere, a volte struggenti, di alcuni reclusi che denunciavano situazioni di vita insostenibili. E sono proprio i cosiddetti "comuni" quelli costretti a convivere con le problematiche più serie. Fra i tanti casi registrati negli ultimi anni dalle cronache, quelli che certamente ha fatto più scalpore ha riguardato Giuliano Costantini, morto nel settembre del 2000. Era un uomo di quarant’anni con un passato da tossicodipendente che aveva però un futuro davanti. Di lì a qualche mese, infatti, sarebbe uscito dal carcere e, per il suo buon carattere, era già stato "adottato" all’esterno. Fu ricoverato in ospedale d’urgenza con lesioni gravissime all’addome. Inutile il tentativo dei chirurghi che cercarono di salvarlo con un intervento d’urgenza. In un primo momento si pensò che le lesioni fossero state provocate da un pestaggio all’interno dell’istituto di pena. Ma dall’autopsia non risultarono chiari segni di percosse, quanto, piuttosto, un’infezione trascurata e mal curata. Per quel fatto fu aperto un procedimento giudiziario a carico di alcuni medici del carcere. Ma, a prescindere dalle accuse e dalle eventuali verità processuali, quello che colpì di quell’episodio fu che di carcere si poteva anche morire. Per paura di lamentarsi, per negligenza da parte di chi avrebbe il compito di tutelare comunque la salute dei detenuti o solo per la tragica fatalità inevitabilmente viaggiare a braccetto con i più deboli. E la riabilitazione? Bah! Opg Castiglione delle Stiviere, bufera sul reparto dei minori
Gazzetta di Mantova, 15 febbraio 2005
È bufera intorno alla comunità psichiatrica protetta per minori, istituita nel maggio scorso all’Opg di Castiglione, dopo l’interrogazione presentata dal deputato di Rifondazione Comunista Tiziana Valpiana. Nel documento la parlamentare aveva definito "una soluzione inaccettabile e indegna rinchiudere minori in un ospedale psichiatrico-giudiziario". La risposta del direttore dell’Opg Antonino Calogero non si è fatta attendere: "Noi non siamo un carcere, ma una struttura sanitaria che cura i propri pazienti, sia adulti che giovani. Il nostro sia per gli adulti che per i minorenni, è un ospedale e non un carcere. Non ci sono da noi agenti di custodia". E spiega come nasce il reparto sperimentale per ragazzi al di sotto dei 18 anni: "Abbiamo fatto una convenzione, nel maggio 2004, con il Ministero della Giustizia per una prima sperimentazione dal luglio al dicembre 2004 di una comunità psichiatrica protetta per minori. Il tutto nasce dall’esigenza che la giustizia minorile ha di far fronte ai problemi psichiatrici che emergono con sempre maggior frequenza tra i giovani detenuti. La sperimentazione sta andando avanti e ora abbiamo 4 ricoverati. Mi stupisco dello stupore che manifesta qualcuno e, soprattutto, della faziosità con cui si reagisce al nostro lavoro". Calogero entra nei dettagli: "Dai centri del dipartimento di giustizia minorile viene inviata una richiesta a Roma per ricoverare giovani che hanno commesso reati e che presentano problemi di salute mentale; al ministero si decide se mandare i ragazzi da noi o altrove. Ripeto, noi siamo un ospedale: qui ricomponiamo il quadro clinico dei giovani pazienti, insomma li curiamo e, dopo 3-4 mesi di ricovero, li rimandiamo da dove sono venuti oppure nelle comunità educative più adatte a loro. Non facciamo certo pubblicità promettendo la piscina, che pure abbiamo, o comfort di ogni genere. Soprattutto, non siamo una comunità per tossicodipendenti". Tra i ricoverati minorenni e gli adulti non esiste alcuna commistione, assicura il direttore: "I percorsi riabilitativi e le degenze sono completamente separati da quelli degli adulti, così come lo staff, sia medico che di educatori, infermieri e assistenti, che li segue". Nuoro: 30 detenuti da Milano, il sovraffollamento è allarmante
Redattore Sociale, 15 febbraio 2005
"La situazione che si sta venendo a creare nel carcere di Nuoro è allarmante. Sabato scorso sono arrivati, sfollati dal carcere di Milano, trenta detenuti, la maggior parte nord-africani. Attualmente sono aperte la prima e la seconda sezione. La terza è chiusa da oltre un anno per lavori di ristrutturazione che nel frattempo sono stati interrotti. Nella seconda sezione sono quindi ospitati 178 detenuti, mentre nella prima ce ne sono una ottantina. Siamo sulla soglia del sovraffollamento". Lo denuncia la federazione territoriale della Cisl di Nuoro precisando che "Badu e Carros può sopportare dai 260 ai 350 detenuti, ma con le quattro sezioni aperte, compreso il femminile". "L’aspetto più grave - è scritto in una nota - è quello della pericolosa promiscuità: già prima, in seconda sezione, convivevano imputati e definitivi. Ora si aggiungono gli extracomunitari che aumentano gli elementi di instabilità. Cioè la situazione di equilibrio che gli operatori e i detenuti erano riusciti a creare con grande impegno da entrambe le parti oggi, con questo "innesto", viene destabilizzata. Aumenta il lavoro per tutti (poliziotti, sanitari, educatori), mentre cresce il nervosismo fra i detenuti, anche quelli notoriamente tranquilli, e fra il personale che vede il proprio lavoro mortificato dalle scelte del Dipartimento. Aumenta anche il rischio di situazioni difficili o di "incidenti" imprevisti. Sale l’esasperazione e il tasso di conflittualità. A Nuoro non si vedeva un’assegnazione così massiccia di detenuti da almeno una decina di anni. A ciò si aggiungano - prosegue la nota - ulteriori notizie non certamente positive per Nuoro. L’educatrice e la ragioniera che erano state assegnate per un anno a Badu e Carros hanno ottenuto l’assegnazione la prima a Monza l’altra a Milano. Per cui da marzo tornerà in completa solitudine l’unica educatrice "storica" in servizio. Ma non basta. L’intero settore di ragioneria è destinato al collasso: due addetti stanno partecipando a un corso semestrale di riqualificazione professionale, mentre gli altri due sono in malattia. Probabilmente già dai prossimi giorni a Badu e Carros non ci sarà un responsabile della cassa, a meno che tale incarico non lo assuma il direttore". Ma non basta: gli operatori esterni convenzionati (psicologi, criminologi, esperti vari) hanno ricevuto una lettera dal Dipartimento centrale con la quale vengono sensibilmente ridotte le ore di lavoro (valga come esempio quello della psicologa nella casa di reclusione di Mamone che da 33 deve scendere a 18 ore mensili). Il direttore del carcere si trova assegnato in missione a Nuoro dal 12 luglio dello scorso anno. A marzo scade la possibilità di ulteriore proroga del suo incarico. Quindi o l’amministrazione assegna con incarico definitivo questo funzionario oppure all’interessato dovrà essere trovata un’altra sede e a Nuoro potrebbe arrivare un nuovo direttore. Genova: la colomba "ricercata", prodotta dalle detenute
Secolo XIX, 15 febbraio 2005
Dopo i panettoni, le colombe. La scommessa della cooperativa Tara per offrire lavoro a detenuti delle case circondariali di Marassi e Pontedecimo alla vigilia della liberazione, dopo il successo dell’esperimento natalizio per il confezionamento dei pandolci, riparte nei giorni che precedono la Pasqua con un accordo che coinvolge la ditta Preti di Sant’Olcese e, per la distribuzione, il circuito della Coop della Liguria, del Piemonte e della Lombardia. Si chiamerà, con un pizzico di incoscienza e autoironia "La ricercata": è una colomba in vendita a sei euro, preparata con il contributo diretto, dalla panificazione al confezionamento, di sette detenute di Pontedecimo e un detenuto di Marassi. "Le ragazze hanno iniziato a lavorare con noi il dieci gennaio - racconta Alfredo Breschi, presidente del consiglio di amministrazione della Preti - e rimarranno fino a marzo. Si stanno dimostrando ottime lavoratrici e almeno qualcuna di loro proseguirà la collaborazione anche al termine della detenzione". Alla Preti lavorano stabilmente una trentina di dipendenti. Ma trovare personale adeguato per i picchi stagionali che precedono le feste, rivela Breschi, non è così facile. Malgrado la crisi occupazionale. Ecco allora che l’accordo con il mondo delle carceri fa convergere esigenze in apparenza molto distanti, mette in comunicazione il mondo delle celle, quello della produzione e l’intimità di centinaia di famiglie. Le colombe "Ricercate" si distinguono anche perché le confezioni sono una diversa dall’altra, decorate con fiori di stoffa scelti e composti dalle mani delle detenute. "La collaborazione con la Coop è stata decisiva per la distribuzione di un prodotto sul quale non guadagneremo nulla: sarà in vendita a sei euro, un prezzo probabilmente un po’ più alto di altri prodotti, giustificato dal fatto che si tratta di un prodotto semi artigianale. Ma la Preti non guadagnerà un euro: la differenza tra il costo di produzione e il prezzo di vendita andrà tutta alla cooperativa Tara per il sostegno dei detenuti". Modena: domani conferenza stampa dei sindacati di polizia pen.
Sesto Potere, 15 febbraio 2005
Fp Cgil, Uil Penitenziari, Sappe e Fsa di Modena convocano una conferenza stampa per mercoledì 16 febbraio alle ore 11 presso la Cgil di Modena (Piazza Cittadella 36, Sala Europa) per denunciare la cronica carenza di personale di Polizia penitenziaria alla Casa circondariale di Sant’Anna (Modena), con particolare riferimento al settore femminile, e l’aggravarsi delle condizioni di sicurezza carceraria. Saranno presenti Vincenzo Santoro, segreteria Fp Cgil Modena; Raffaelle Mininno, responsabile provinciale Uil Penitenziari; Francesco Campobasso, responsabile provinciale Sappe; Antonino Iachetta, responsabile provinciale Fsa; Luciano Ianigro e Franco Finocchio, agenti di Polizia penitenziaria della casa circondariale Sant’Anna; una rappresentanza femminile delle agenti di Polizia penitenziaria della casa circondariale Sant’Anna. Milano: Telecom Italia porta la musica classica a San Vittore
Corriere della Sera, 15 febbraio 2005
La gazza ladra finisce in carcere. E a San Vittore sono in molti ad aspettarla. Perché le scintillanti arie di Rossini, le sue travolgenti sinfonie potranno rendere - almeno per qualche istante - più lieve e lieta l’aria difficile del dietro le sbarre. Che si schiuderanno alla musica classica per la prima volta in modo non occasionale. Cinque concerti, una vera piccola stagione, si terranno con cadenza mensile da qui a maggio. Ciascuno di essi preceduto da una lezione introduttiva, sia dal punto di vista musicale sia storico, a cura di Ettore Napoli, docente di Storia della musica al Conservatorio. Un’idea audace, quasi una provocazione in tempi di tagli per la cultura e la musica, che nasce dalla nuova collaborazione tra la Fondazione Orchestra Sinfonica e Coro Giuseppe Verdi e il carcere di San Vittore, e che verrà sostenuta per intero da Telecom Italia nell’ambito di "Progetto Italia". Oggi, nello spazio del Terzo Raggio, la prima lezione concerto. Presenti 150 detenuti, vedrà la partecipazione di alcuni invitati "esterni", esponenti autorevoli della città, dal presidente della Provincia Penati a quello della Telecom Tronchetti Provera. In programma trascrizioni per Ottetto di fiati di alcune celebri pagine operistiche di Mozart e Rossini. Gli appuntamenti successivi alterneranno grandi pagine classiche di Mozart, Haydn, Stravinskij, Schnittke, con altre dedicate ai ritmi più "leggeri" dei Beatles, Jimi Hendrix, Piazzolla. "Una proposta certo non facile ma a cui crediamo fortemente", commenta Gloria Manzelli, direttrice di San Vittore, che già lo scorso 7 dicembre aveva ospitato la diretta su maxi schermo della prima della Scala. "La musica - prosegue la dottoressa Manzelli - è sempre stata di casa qui dentro. Certo, quasi sempre si tratta di rock o delle canzonette trasmesse dalle radioline e cd delle varie celle... Certo è una bella sfida. Per realizzarla al meglio, abbiamo voluto integrare queste nuove proposte musicali col supporto didattico di un esperto capace di guidare verso nuovi ascolti". La risposta della nuova "platea" non si è fatta aspettare e molti detenuti si sono già prenotati. Genova: anziana ruba cibo, condanna "sociale", 100 euro di multa
Secolo XIX, 15 febbraio 2005
Tenta una spesa sociale per indigenza, a settant’anni di età, la paga con una condanna da cento euro. Nascosti sotto la gonna di E.F. - la sestrese giudicata ieri mattina dal tribunale di Chiavari -, all’uscita di un supermercato di Sestri, i commessi del supermercato che l’hanno poi denunciata, avevano trovato pacchi di prosciutto, un barattolo di marmellata, e altri generi di consumo di prima necessità che l’anziana non voleva pagare aveva tentato di non pagare. Sola, con una piccola pensione per sé, la donna si era spinta fino all’estremo gesto del furto per arrivare alla fine del mese con il frigorifero pieno. "Ho applicato una pena al di sotto del minimo previsto per il furto, considerata l’età e la situazione al limite indigenza della signora", spiega il giudice Viviana Villa che, ieri mattina, ha condannato la donna a tre mesi di carcere con la sospensione (anche considerato che la donna è incensurata), e a una multa di cento euro. Così E.F., che non aveva abbastanza soldi per comprarsi da mangiare, dovrà pagare cento euro quei pochi articoli alimentari che aveva tentato di trafugare presa dalla disperazione e dalla necessità. Come E.F., sono molti gli anziani soli che non riescono più ad arrivare alla fine del mese con le pensioni, e magari fanno la fila al supermercato per comperare una confezione di sottilette o di prosciutto, un po’ di pane o poco più. Lo notano i commessi ogni giorno, lo denunciano anche la Chiesa e le associazioni di solidarietà. Opg Castiglione Stiviere: il direttore; 700 permessi per 170 internati
Corriere di Como, 15 febbraio 2005
I pazienti fanno jogging nel parco, nuotano in piscina, dipingono nell’atelier, bevono il cappuccino al bar o ordinano la pizza, vanno dal parrucchiere gratis, giocano a bocce con il sindaco e la gente di Mantova. Se fanno i bravi escono spesso in permesso premio, magari anche due volte al giorno. Piccolo particolare: hanno sparato, strozzato, defenestrato, massacrato, lapidato, iniettato aria nelle vene, accoltellato, ferito, ucciso e magari anche fatto a pezzi i corpi di figli o genitori, bambini piccoli o anziani, sorelle o amanti, mariti o sconosciuti. Però erano infermi mentali. Quindi non devono stare in carcere. Devono curare i loro problemi psichiatrici. Ed è questo che fanno, lontano da casa, protetti dalle mura di un posto che assomiglia a una beauty farm. Benvenuti all’ospedale psichiatrico giudiziario, ex manicomio criminale, di Castiglione delle Stiviere, dove un paziente su due è del centro nord perché sette delitti della follia su 10 avvengono lì. Immerso nel verde di una collina, stanze a due o quattro letti, nessuna guardia carceraria in giro, ma assistenza continua di 210 tra infermieri, educatori, assistenti, psichiatri, psicologi, medici. Benvenuti nella nuova casa di Sonya Caleffi e della giovane mamma di Caccivio che accoltellò la figlioletta di tre anni sull’altare della chiesa. La casa di Ferdinando Caretta che massacrò i genitori e il fratello, la fece franca, scappò a Londra salvo poi confessare la verità dieci anni dopo. La casa di 14 mamme (ma adesso ce ne sono dieci) che si sono disfate dei loro neonati come se fossero sacchetti della spazzatura. L’infermiera di Tavernerio è andata a vivere qui e avrà diritto allo stesso trattamento confortevole di tutti gli altri. In una stanza doppia, non si sa ancora con quale compagna autrice di quale delitto, ha già ricevuto la visita del convivente Gianmarco Belloni. Nella saletta comune con gli altri pazienti, sorvegliati solo da un addetto. "La prassi comune - spiega il direttore Antonino Calogero -. I nostri pazienti, che al momento sono 170 possono incontrare i parenti se sono autorizzati, ma noi li portiamo anche spesso fuori, per esempio in una piscina coperta a fare idroterapia. Abbiamo 700 uscite permesso all’anno, ma chi scappa è una minoranza. Anzi, direi che questo problema si verifica davvero raramente". Non vogliono scappare i pazienti. Si scappa da dove non si sta bene e a Castiglione, nell’Opg fondato nel 1939 e forse a rischio chiusura per i costi altissimi che il direttore non vuole svelare ("la spesa maggiore è il personale, ma capirà che con il tipo di pazienti che abbiamo è necessario"), si sta benissimo. "I pazienti dormono fino alle otto del mattino, fanno colazione, c’è la terapia farmacologica e le attività previste per il recupero. La nostra struttura è convenzionata con il ministero della salute ma a differenza degli altri cinque che ci sono in Italia ha personale sanitario proprio. C’è anche un reparto per minori ("autorizzato dal dipartimento minori del ministero di Giustizia") con personale a sé. "Di solito i pazienti hanno un percorso di cura decennale ma in genere dopo cinque, sei anni possono uscire. Solo che noi li dimettiamo soltanto se abbiamo attivato una convenzione con le comunità o con i servizi Asl perché sono pazienti che hanno sempre bisogno di assistenza. All’origine dei reati che hanno commesso ci sono malattie mentali, depressioni maggiori e il nostro compito è quello di ricostruire il quadro psichico di ogni persona". Cirielli: la legge che ammazzerà Gozzini, di Salvatore Ferraro
Agenzia Radicale, 15 febbraio 2005
Sintomatico di un modo di agire tutto italiano è il fatto che parte dell’opinione pubblica e pubblici opinionisti, anchorman e vignettisti abbiano schiaffeggiato il bozzetto di legge 3247 (al secolo Ddl Cirielli - Vitali) in quanto considerato "irridente mistificazione legale para Previti" limitando i coreografici moti di indignazione ai primi articoli della legge senza, peraltro, addurre ragioni di contrasto totalmente plausibili. La seconda parte del disegno (precisamente art. 4 e 7 del testo), quello giuridicamente più devastante che, senza scomodare semantiche millenariste, porterebbe le carceri italiani nel giro di non più di otto mesi di almeno 50 anni indietro, alla quintuplicazione della sua popolazione (lo sostiene anche il ministro Castelli), e a una impressionante ondata di violenza e suicidi, è rimasta lettera morta ancorata alle parole spuntate di operatori penitenziari e volontari, alla sempre più presente "radio carcere", a un paio di illuminate penne non più di prima pagina. Niente di più. Eppure il problema c’è: serio, drammatico, sconvolgente. Sotto la falsa certezza che l’inasprimento della penalità possa produrre forte deterrenza alla devianza, sotto la voglia, davvero ispirata, di ispirare falso senso di sicurezza, questa seconda parte della legge, in caso di approvazione, farebbe sprofondare l’istituzione carceraria, col poco di legalità annesso, nel peggiori degli abissi possibili. La legge, in sintesi, prevede l’abolizione dei benefici previsti dalla legge Gozzini per i recidivi (quindi l’80% dell’attuale popolazione carceraria) e la maggiorazione delle pene anche per i reati meno gravi e l’estinzione, alla commissione del terzo reato, di qualsiasi beneficio di legge. A vedere in trasparenza la filigrana di questo disegno di legge si potrebbe scorgere l’applicazione di quel three strikes law (il blocco dei benefici e la maggiorazione della pena in seguito alla terza trasgressione del reo recidivo) di matrice americana. Sul punto occorre fare una precisazione di non poco conto. Il sistema carcerario americano mantiene una penalità pesante e fortemente discutibile ma possiede, altresì, la serietà procedurale di rileggere anzi "riascoltare" (da cui il termine tecnico hearing con cui si designa la revisione processuale e quella penitenziaria) la posizione del detenuto fino ad arrivare addirittura a scarcerarlo molti anni prima del fine pena (la procedura di "ascolto", a differenza che in Italia, è molto scrupolosa). Nel nostro ordinamento la chiusura dei benefici combacerebbe più semplicemente col dare in pasto il detenuto alla sua cella e a trasformarlo da uomo "da rieducare" a uomo "che non ha più nulla da perdere" con le conseguenze, ovvie, che un tale status psicologico può generare in termini di condotta intramuraria. Il pregio della legge Gozzini, lo sappiamo, è stato di tipo politico-giuridico. Questa legge ha trasformato la realtà carceraria, l’ha resa più vivibile, ha messo i detenuti nelle condizioni di dover ponderare le proprie condotte e gestirle più utilitaristicamente. Ha, così, posto, nonostante i limiti, basi solide per una politica di applicazione di misure alternative alle mura per i reati minori e spunti ragionevoli per riconsiderare la penalità anche in materia di droghe. Questa nuova legge cancellerà tutto riportandoci ai climi roventi di contestazione carceraria e affosserà definitivamente ogni possibilità di riabilitazione del detenuto e questo anche in stridente disaccordo con quanto stabilito dalla Costituzione. È un disegno di legge che, quindi, merita degna opposizione, quella civilmente più elevata, disinteressata, civilmente orientata ad affermare valori giuridici che questa parte di legge rischia definitivamente di cancellare. Pisa: serata beneficenza per i detenuti dedicata a Gaber
Nove da Firenze, 15 febbraio 2005
Si svolgerà a Pisa al Teatro Verdi, Lunedì 28 Febbraio 2005 ore 20 e 30 "L’illogica allegria" Per Gaber senza Gaber. Serata di beneficenza a favore dei detenuti del carcere Don Bosco di Pisa All’interno dell’iniziativa del Comune di Pisa "Io che ero Gaber" viaggio nell’opera di Sandro Luporini (pittore e coautore di tutti i testi teatrali di Gaber), durante lo svolgimento della sua mostra "Metafisica del quotidiano", per ricordare la figura di Giorgio Gaber a due anni dalla scomparsa, un gruppo di amici artisti darà vita a una serata di beneficenza il cui incasso sarà devoluto interamente al fondo per i detenuti del carcere Don Bosco di Pisa. Una celebrazione non fine a se stessa, ma indirizzata verso uno scopo sociale e concreto, nello spirito dell’opera e della vita di Giorgio Gaber. Su questa idea, Sandro Luporini, Adriano Sofri e Sergio Staino hanno deciso di impegnarsi. Le associazioni del volontariato attive nel carcere pisano: Arci, Conferenza regionale del volontariato penitenziario, Controluce, Cooperatriva Don Bosco, Liberi Liberi e la Direzione della casa circondariale hanno raccolto questo progetto per organizzarlo, garantirne l’esito e le finalità. Il Cesvot ha raccolto la loro richiesta e ha fornito il proprio essenziale contributo. Con la regia di Sergio Staino, condotti e presentati da Daria Bignardi, parteciperanno: Bandabardò, Alessandro Benvenuti, Davide Calabrese e Lorenzo Scuda, Giulio D’Agnello, Ginevra Di Marco, Carlo Fava, Dario Fo, Paolo Hendel, Mauro Pagani, David Riondino, Bobo Rondelli, Paolo Rossi, Mario Spallino, Paola Turci, Sergio Staino, Dario Vergassola . I biglietti sono in vendita presso il Teatro Verdi di Pisa tutti i giorni ore 16/19 (festività escluse) e al mattino con servizio telefonico (050941111). In Toscana presso i punti vendita del Circuito Box Office. On line sul sito http://www.boxol.it attraverso il link Teatro Verdi Pisa. Sarà possibile effettuare prenotazioni attraverso le associazioni dei volontari. Radio Carcere: rettifica all’articolo pubblicato ieri (di Riccardo Arena)
Riccardo Arena, autore e conduttore della trasmissione Radio Carcere, precisa quanto segue: il 14 febbraio 2005 è stata pubblicato sul sito "Papaboys" un articolo a firma di Gisella Desiderato e Danilo Di Mita, articolo riportato nella preziosa rassegna stampa curata da Ristretti Orizzonti. Nell’articolo, intitolato "Frequenze in cella una voce contro l’isolamento" si fa una disamina delle trasmissioni radiofoniche che si occupano di detenzione in Italia. Va premesso che lo stesso identico articolo, era già stato pubblicato l’8 gennaio del 2003, su un sito legato all’Università Cattolica. Nel corpo dell’articolo si parla anche di Radio Carcere, in onda su Radio Radicale. A tal proposito si legge: "…Radio Radicale preferisce un taglio politico" …ed ancora "Ogni martedì alle 21 Giovanni Reanda e Riccardo Arena, gli autori, parlano di carcere dal punto di vista politico-giuridico" L’articolo in questione contiene affermazioni false e imprecise. Non è vero infatti che Radio Carcere abbia un contenuto squisitamente politico. Radio Carcere è essenzialmente un programma di informazione sui diritti delle persone detenute e sul processo penale che ne è la necessaria premessa. Basta ascoltare due puntate di Radio Carcere per avere conferma di ciò. Non la politica ma l’illegalità, il non rispetto della legge in carcere, i diritti violati dei cittadini detenuti e la sofferenza dell’uomo che ne deriva è la caratteristica di Radio Carcere. Ed ancora non la politica ma il funzionamento della la giustizia penale come bene comune è l’oggetto dell’attenzione di Radio Carcere. Tale circostanza è confermata dalla qualità dell’approfondimento informativo che ogni settimana offre Radio Carcere, dalle numerosissime testimonianze di persone detenute che vengono mandate in onda a Radio Carcere, dalle lettere dal carcere che vengono lette a fine di ogni puntata, dai tanti giuristi, magistrati e avvocati ospiti di Radio Carcere. Certo non mancano puntate con politici. Ma questa è solo una delle forme in cui si articola la complessa informazione fornita da Radio Carcere. Quanto all’affermazione contenuta nell’articolo che attribuisce a Giovanna Reanda l’essere un autore di Radio Carcere. Anche tale affermazione è falsa. Giovanna Reanda, ha collaborato non come autore ma come giornalista di Radio Radicale ad alcune puntate di Radio Carcere. Ma non ne è mai stata l’autrice, così come scritto nell’articolo. Inoltre la collaborazione della Reanda a Radio Carcere è venuta meno, dopo alcuni mesi. A conferma di ciò è il contratto stipulato tra Riccardo Arena e Radio Radicale che ha ad oggetto la cessione di diritti di autore di Radio Carcere e che riconosce a Riccardo Arena l’unica paternità su "Radio Carcere". Inoltre sia il titolo "Radio Carcere", che il tipo di programma, che il logo, sono depositati e sottoposti a tutela giuridica il cui unico titolare è il sottoscritto. Ci poniamo il problema su come fare informazione sulla detenzione? Beh allora iniziamo a non scrivere cose inesatte. Grazie per l’attenzione.
Avv. Riccardo Arena Nuoro: protesta a Badu ‘e Carros, la situazione è allarmante
L’Unione Sarda, 15 febbraio 2005
"La situazione che si sta venendo a creare nel carcere di Nuoro è allarmante. Sabato sono arrivati, sfollati dal carcere di Milano, trenta detenuti, la maggior parte nordafricani. Attualmente sono aperte la prima e la seconda sezione, mentre la terza è chiusa da oltre un anno per lavori di ristrutturazione che nel frattempo sono stati interrotti. Nella seconda sezione sono ospitati cento settantotto detenuti, mentre nella prima ce ne sono una ottantina. Siamo sulla soglia del sovraffollamento". Lo denuncia la federazione territoriale della Cisl di Nuoro precisando che "Badu ‘e Carros può sopportare dai 260 ai 350 detenuti, ma con le quattro sezioni aperte, compreso il braccio femminile". L’aspetto più grave è quello della pericolosa promiscuità. "Già in precedenza, in seconda sezione, - è scritto nella nota - convivevano imputati e definitivi. Ora si aggiungono gli extracomunitari che con la loro presenza accrescono gli elementi di instabilità. Aumenta il lavoro per tutti (poliziotti, sanitari, educatori), mentre cresce il nervosismo fra i detenuti, e fra il personale che vede il proprio lavoro mortificato dalle scelte del Dipartimento. Sale l’esasperazione e il tasso di conflittualità. A Nuoro non si vedeva un’assegnazione così massiccia di detenuti da almeno una decina di anni". A ciò si aggiungano ulteriori notizie non certamente positive il carcere legate alla riduzione del personale e alla presenza dei volontari. Sempre dal penitenziario di Badu e Carros arriva una nuova protesta. Sei detenuti sardi hanno scritto e si lamentano delle le condizioni di vita proibitive e umilianti all’interno del carcere, "peggiorate - scrivono - da quando è arrivato alla guida dell’istituto di pena il direttore Paolo Sanna". Nella lettera si parla di disagi e di continue privazioni. Dalla situazione all’interno delle celle, anguste e sovraffollate all’impossibilità di praticare attività sportiva, né tantomeno di studiare o lavorare. Anche i detenuti sardi non vedono di buon occhio le recenti iniziative della direzione, che ha promosso numerose iniziative di carattere culturale. Iglesias: dopo la protesta dei detenuti ora indaghi il Parlamento…
L’Unione Sarda, 15 febbraio 2005
Dopo le proteste all’interno delle celle, un’interrogazione parlamentare. E i disagi del carcere di Iglesias finiscono sui banchi di Montecitorio. Ad annunciare la presentazione di un’interrogazione al ministro della Giustizia (iniziativa prevista per martedì) è Francesco Carboni, deputato e vice presidente del Comitato Carceri all’interno della Commissione Giustizia alla Camera. Non un atto d’accusa, ma una richiesta di chiarimenti sulle vicende che nell’arco di una cinquantina di giorni hanno fatto finire sulle pagine dei giornali le vicende registrate all’interno del carcere mandamentale di Iglesias. Dove alle proteste dei detenuti, che lamentano la carenza di servizi essenziali, si sono aggiunte quelle del personale che lavora nel carcere e deve far fronte ogni giorno a gravi carenze organizzative. "A questo punto, e dopo quanto si è appreso dai giornali - fa sapere Carboni - è necessario capire cosa stia succedendo all’interno del carcere. Ma soprattutto è doveroso capire cosa intenda fare il ministero per risolvere i disagi con cui sono costretti a convivere gli uomini della polizia penitenziaria e gli stessi detenuti". Circa un centinaio di persone condannate a pene che, nella maggior parte dei casi non superano i dieci anni, e nel sessanta per cento dei casi provengono dai Paesi extracomunitari. A spingere Carboni, che è anche avvocato penalista, a seguire le vicende del carcere di Iglesias anche la protesta dei detenuti per la mancanza d’acqua calda e il sovraffollamento. "È necessario capire cosa si intende fare per porre fine a questi disagi perché, come prevede la Costituzione, il fine del carcere non è quello di umiliare le persone ma di recuperarle". Carboni ricorda anche la protesta del 22 gennaio, quando i detenuti hanno manifestato battendo le tazze e le posate nelle porte ferrate delle celle. A sollecitare migliori condizioni di vita all’interno della struttura erano stati i giorni scorsi anche i rappresentanti della commissione regionale per i Diritti civili. Ma, per dovere di cronaca, non si può dire che tutto vada storto nel carcere di Iglesias. È appena il caso di ricordare che, tra i vari servizi per i detenuti, funziona anche una biblioteca. Non è comunque tutto. Nella struttura detentiva, situata lungo la strada provinciale Iglesias Carbonia, i detenuti così come gli agenti della polizia penitenziaria devono fare i conti con le carenze. Quelle di organico che riguardano il personale della polizia penitenziaria e degli addetti all’assistenza e inoltre con la mancanza di attività lavorative per i detenuti. Sino a oggi, infatti, sembra essere caduto nel vuoto l’appello lanciato qualche mese fa dalla direttrice agli imprenditori del territorio per sfruttare la cosiddetta legge Smuraglia. Per la precisione lo strumento legislativo che dà la possibilità agli imprenditori che impiantano la propria attività all’interno di un carcere assumendo detenuti di avere agevolazioni. Progetti rimasti nel cassetto che, come precisano anche i rappresentanti della commissione Diritti civili "non fanno che inasprire gli animi". Latina: arrestano il marito per droga, la moglie si uccide
Il Messaggero, 15 febbraio 2005
Si è uccisa nel cuore della notte. Si è tagliata le vene e la gola, con una determinazione impressionante. Una tragedia che si è consumata nell’abitazione dove la giovane donna viveva a Cori, con la sua bambina. L’amore e l’affetto di mamma non sono bastati per farle cambiare idea, per evitare che spegnesse la sua vita e interrompesse così drammaticamente il legame con la figlioletta. È stata proprio lei, svegliata di soprassalto, come se avesse avuto una intuizione nel sonno, a cercare la mamma nel buio, a chiamarla. E non avendo avuto risposta, intimorita, ha acceso la luce ed ha chiamato un altro familiare. Dal bagno, chiuso, usciva dell’acqua, vagamente rossastra. Inutile il tentativo di chiamare la donna. Il suo corpo, quando è stata sfondata la porta, era immerso nella vasca. Era morta dissanguata, lentamente, in silenzio e in solitudine. Per scrupolo è stato chiamato il 118 ma i medici non hanno potuto far altro che constatare il decesso. Sul posto, per gli accertamenti si sono recati gli agenti del commissariato di Cisterna diretti dal dirigente Edoardo Menghi che hanno avvertito il magistrato di turno. Aveva solo 33 anni. Non ha lasciato nulla che potesse spiegare il suo drammatico gesto. Due giorni fa il marito era stato coinvolto in un’operazione antidroga ed era finito in carcere. Proprio ieri avrebbe dovuto essere interrogato. Una vicenda che potrebbe aver intaccato la sua fragilità. La vergogna, la paura di affrontare la gente, la rabbia, il risentimento e chissà cos’altro le hanno fatto perdere ogni fiducia. E l’altra notte forse non è riuscita neppure a prendere sonno. Ha aspettato che gli altri in casa, soprattutto la figlioletta, si addormentassero e ha messo in atto il suo proposito. Un ultimo saluto alla bambina e poi ha afferrato un coltello, si è chiusa in bagno, si è immersa nella vasca e si è tagliata le vene, ferendosi anche al collo, forse nel tentativo di recidere la giugulare e affrettare la fine. Editoria: le lettere dei detenuti italiani in Germania (1999 - 2003)
News Italia Press, 15 febbraio 2005
Si intitola "Che qualcuno passi a sentire come stiamo. Lettere di carcerati italiani in Germania / Briefe italienischer Gefangener in Deutschland" il volume che, a firma di Mauro ed Elke Montanari, raccoglie le lettere inviate dai carcerati italiani in Germania al Corriere d’Italia dal 1999 al 2003. In quell’arco temporale, il settimanale italiano diede l’avvio a un’azione per l’abbonamento gratuito del giornale a quanti, carcerati italiani in Germania, ne avessero fatta domanda. Il finanziamento dell’operazione - viene spiegato nell’introduzione del libro - fu richiesto ai normali abbonati, che potevano pagare per un carcerato un abbonamento a metà prezzo (il resto era a carico dell’amministrazione del giornale). "L’azione ebbe successo - racconta Montanari - e in qualche mese riuscimmo a raccogliere fondi per circa 250 abbonamenti che mantenemmo, appunto, fino allo scorso 2003". Lo scopo dell’azione era quello di rimettere in contatto i detenuti con il circuito esterno della vita e dell’informazione, e questo anche nella consapevolezza che la maggior parte dei carcerati italiani in Germania non conosce la lingua tedesca e non ha accesso ai canali di informazione a disposizione dei normali detenuti. Cominciarono così ad arrivare in redazione, dalle carceri di tutta la Germania, una quantità di lettere che denunciavano soprusi, razzismi, indifferenza delle istituzioni italiane, così come di quelle tedesche; "quindi situazioni allarmanti di malattia e di disinformazione sulla profilassi, incapacità di comunicare con gli altri a causa dell’ignoranza della lingua". Il Corriere d’Italia fu per quattro anni una delle poche finestre sul mondo che i detenuti italiani avevano a disposizione. "Il giornale pubblicava tutte le loro lettere e costringeva in questo modo le istituzioni a rispondere e ad occuparsi di più di loro; l’azione di solidarietà umana diventava un atto consapevolmente sociale e l’indice veniva puntato sul fatto che nè l’amministrazione italiana in Germania né quella tedesca avevano un progetto credibile per creare un circuito di integrazione all’interno delle carceri per quei particolari detenuti italiani (e stranieri) che non potevano altrimenti integrarsi nella vita sociale del carcere ". Ora, con questo volume, i due autori hanno voluto illuminare il luogo dove stanno i dimenticati due volte: "La prima perché italiani all’estero, la seconda perché carcerati; lo facciamo ovviamente con perfetta consapevolezza dei rischi che questa operazione comporta". L’azione del Corriere d’Italia si interruppe nel 2004 a causa della grave crisi finanziaria del giornale, ma anche perché alcuni tra i normali lettori cominciarono a sentirsi infastiditi dalla convivenza, all’interno delle pagine del giornale, con i detenuti, i quali spesso riempivano la rubrica delle lettere. Droghe: ecco il piano "svuota carceri", di Stefano Arduini
Vita, 15 febbraio 2005
Processi per direttissima. E poi affidamento alle strutture pubbliche o del privato sociale. Sarà la procedura per chi viene arrestato per reati minori legati alla droga. Grandi manovre sul pianeta carcere. In superficie traspare ancora poco, ma dietro le quinte l’ambiente è in fibrillazione. Il sasso nello stagno è stato lanciato dal Dap, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, che il 27 gennaio scorso ha reso noto il progetto Dap Prima. Un’iniziativa presentata in pompa magna (per l’evento si è scomodato persino il premier Berlusconi: "I tossicodipendenti non possono stare in carcere, ma devono essere ricoverati in strutture adeguate e gestite da professionisti") che consentirà ai detenuti con problemi di droga di lasciare la cella (nel 2004 sono transitati per le patrie galere 24.113 tossicodipendenti). L’idea è di costituire, seguendo l’esempio americano, una rete di drug court, ovvero sezioni di tribunali ad hoc che si occuperebbero di reati correlati alla dipendenza. Questi uffici si dovrebbero avvalere di un servizio di connessione gestito da un’équipe di esperti sul modello di quella operante a Milano dal 1993 e guidata da Dario Foà.
Sovraffollamento addio
Il tossicodipendente fermato o arrestato per reati minori sarebbe processato per direttissima e quindi preso in carico dal servizio pubblico o dal privato sociale. Se questo sistema fosse applicato a livello nazionale (per ora sono state predisposte sperimentazioni a Roma, Padova, Reggio Calabria e Catania, oltre che a Milano) la stragrande maggioranza dei 15.097 tossici detenuti al 31 dicembre 2004 (il 26,93% del totale della popolazione carceraria) prenderebbero la strada dei Sert o delle comunità. Una vera e propria rivoluzione. Ma anche una risposta tangibile alla questione del sovraffollamento: 56.068 detenuti a fronte di 41mila posti disponibili. Con uno scarto proprio di 15mila unità. L’iniziativa del Dap arriva in un frangente non casuale. Ha, infatti, anticipato di pochi giorni la presentazione, per iniziativa governativa, della modifica degli articoli 89, 90 e 94 del disegno di legge Fini. In particolare quest’ultimo tratta l’affidamento in prova delle persone tossicodipendenti. Nella nuova versione l’articolo 94 prevede l’equiparazione fra strutture sanitarie pubbliche e private oltre ad ampliare il limite di pena consentito. Una modifica che riporta all’ordine del giorno l’idea di un "carcere privato per i tossicodipendenti". L’ipotesi era già stata bocciata nel dicembre 2001, quando la Comunità di San Patrignano fu ad un passo dall’assumere la gestione dell’ex carcere di Castelfranco in Emilia Romagna. Quell’idea però non è mai stata abbandonata. Lo ammette il capo del Dipartimento nazionale antidroga Nicola Carlesi, e lo conferma il passaggio di competenze da Gianfranco Fini a Carlo Giovanardi. Da poche ore infatti l’agenda della politica sulla droga è nelle mani del ministro per i rapporti con il Parlamento, che, in via del tutto informale, ha però di fatto ereditato la delega dal neo ministro degli Esteri, evidentemente troppo assorbito dagli impegni in giro per il mondo per seguire le sorti della legge che reca la sua firma. E proprio Giovanardi nel 2001 fu un accanito sponsor di Andrea Muccioli.
Giro di vite sulla recidiva
Ma c’è di più. La conclusione dell’iter parlamentare della legge Fini (attesa per le settimane successive alle elezioni del 3 e 4 aprile) sarà anticipato dal giro di vite sulla recidiva (il tasso per i tossicodipendenti si aggira intorno al 70%) previsto dalla Cirielli-Vitali (meglio nota come "salva Previti"). Un provvedimento che restringendo l’accesso alle misure alternative rischia di vanificare il progetto svuota carceri del Dap: infatti l’associazione Antigone per la sola "salva Previti" prevede una media di 20mila nuove presenze. Nel frattempo, il progetto del ministro della Giustizia, Roberto Castelli di costruire 23 nuove carceri rimane fermo al palo. Il Cipe - Comitato interministeriale per la programmazione economica ha infatti approvato la versione aggiornata del programma di edilizia penitenziaria (oltre 214 milioni di euro per il triennio 2003/2004) da cui risultano "finalità essenzialmente manutentorie degli interventi previsti". Di fronte allo spettro di un black out del sistema, il governo ha giocato quindi il jolly delle comunità terapeutiche. Ma il Dap ha fatto i conti senza l’oste. Giovanni Tinebra, numero uno dell’amministrazione penitenziaria, ha salutato il progetto Dap Prima come "conveniente anche dal punto di vista economico". Peccato che le comunità la pensino diversamente. Non si è fatta attendere la replica della Fict, la federazione delle comunità terapeutiche, che per bocca del presidente don Egidio Smacchia ha ricordato allo stesso Tinebra che "la nostra federazione vanta un credito nei confronti del Dap di 634.503 euro derivante da rette non pagate", osservando anche che "attualmente la retta giornaliera percepita per la presa in carico di detenuti tossicodipendenti è di 30,99 euro, mediamente pari al 60% di quelle corrisposte dalle Asl regionali per l’inserimento in comunità di drogati non colpevoli di reati". Droghe: San Patrignano? Un buon modello, di Stefano Arduini
Vita, 15 febbraio 2005
Intervista a Nicola Carlesi. "Dobbiamo fa conciliare il diritto a essere curati con l’esigenza di sicurezza della società". Nicola Carlesi, psichiatra in quota ad An, dirige da quasi un anno il Dnpa, il Dipartimento nazionale politiche antidroga. Sulla sua scrivania sono nate le proposte di modifica al disegno di legge sulla droga in merito alle misure di detenzione dei tossicodipendenti.
L’accusa parla chiaro. L’idea di mandare i tossici in comunità è figlia del sovraffollamento delle carceri, non certo del desiderio di riabilitarli. Come si difende? Il punto di partenza è che il carcere non cura. Anzi. In quel contesto la dipendenza non può far altro che aggravarsi. Dopo di che abbiamo un problema di sicurezza sociale. I reati connessi alla tossicodipendenza sono pur sempre reati. Non possiamo far finta che non sia così. Dobbiamo trovare il giusto equilibrio fra queste due esigenze.
La soluzione si chiama San Patrignano? Indubbiamente per alcuni reati di grave allarme sociale il modello è quello della custodia residenziale protetta. L’esperienza di Muccioli è sicuramente un punto di riferimento, ma non è la sola. Per altri tipi di reato di portata minore si ricorrerebbe ad altre misure, penso agli arresti domiciliari da scontare in strutture riabilitative pubbliche o private.
Che però andrebbero sostenute. Non crede? E qui tocca un tasto dolente. Se si vuole intervenire davvero è necessario investire, altrimenti sono parole vuote.
Ha avuto rassicurazioni in merito? Nessuna.
Potrebbe intervenire il suo dipartimento, non crede? In Finanziaria ho ricevuto una dotazione di 20 milioni di euro. Risorse che spenderò interamente per far funzionare la struttura. Per il resto in portafoglio non ho nemmeno un centesimo. L’ultima Finanziaria si è dimenticata del fondo nazionale antidroga
Un altro punto critico riguarda l’effettiva libertà di scelta da parte del detenuto tossicodipendente. Non voglio nascondermi dietro un dito, è un problema vero. Che si può superare solo affidandoci alla professionalità e al controllo del piano terapeutico proposto dalle comunità.
Quale incidenza crede che avrà l’attuazione della legge Fini sul numero dei carcerati per reati connessi alla droga? Questo è un punto da chiarire. So che in molti hanno paventato un’escalation delle detenzioni. Io penso che siano allarmismi privi di qualsiasi fondamento. Aumenteranno, questo sì, le sanzioni amministrative. Sul versante penale, invece, cambierà poco o nulla.
Non crede che valga la pena rilanciare l’idea della custodia attenuata? Non alzo alcun muro. In questo caso però bisogna invertire gli schemi. Gli istituti a custodia attenuata devono essere integrati nell’ambito delle aziende sanitarie locali o di strutture terapeutiche di tipo riabilitativo gestite dal privato sociale. Altrimenti si rischia di ripercorrere la strada, fallimentare, delle sezioni speciali all’interno delle carceri. Invece si dovrebbe pensare a qualcosa di simile a quello che è stato realizzato meravigliosamente a Castiglione delle Stiviere con i malati di mente. Caso unico in Italia dove l’ospedale psichiatrico giudiziario è parte integrante dell’azienda sanitaria locale. Droghe: la voce delle comunità; il governo vuole solo risparmiare di Stefano Arduini
Vita, 15 febbraio 2005
Il presidente del Cnca accusa: "Il loro modello è la comunità con le sbarre, altro che riabilitazione". Lucio Babolin è il presidente del Cnca - Coordinamento nazionale comunità terapeutiche, una corazzata che riunisce 2.089 strutture residenziali o semiresidenziali in tutta Italia. Attualmente sono 34.036 le persone prese in carico. Sette su dieci per problemi connessi all’uso di droghe. Babolin è uno che da sempre sostiene che il carcere "dovrebbe essere anche un luogo del reinserimento sociale" e invece "lì dentro non si fa altro che perdere tempo" con il risultato "di rimettere in circolazione gente assetata di vendetta verso la società". Ma nonostante questo background la proposta di trasferire i tossicodipendenti detenuti in comunità gli ha fatto dissotterrare l’ascia di guerra: "Mi auguro si tratti di una sparata".
Sta dicendo che vuole tenere i tossicodipendenti in cella? Assolutamente no. Dico solo che della proposta del Dap non vi era alcun bisogno.
Fa il disfattista? Quello che ci chiedono le istituzioni, in nome della sicurezza della pena, è la comunità con le sbarre modello San Patrignano. E chi dovrebbe tenere le chiavi? Noi educatori. Un’assurdità. E infatti quando i detenuti escono per lavorare o studiare c’è la gara per andare da Vespa e gridare allo scandalo.
Qual è allora la strada giusta? Proporre al detenuto la falsa alternativa "cella - comunità" significa metterlo con le spalle al muro. Chi è lo scemo che ti dirà di voler restare dentro? Ovviamente nessuno. In questo modo, però, la comunità è destinata a trasformarsi in nuovo carcere: da lì dentro non puoi uscire fino a quando non hai scontato la pena. Salvo ovviamente tornare in prigione. Il corto circuito è completo. Io invece dico, ed è d’accordo con me il 90% degli operatori del settore: portiamo la riabilitazione dentro al carcere e fra le possibili opzioni - lavorative, scolastiche, sociali - mettiamoci pure anche la comunità. Su questo terreno dovremmo poter contare sul sostegno del Dipartimento nazionale antidroga, purtroppo però quello che doveva essere un organismo tecnico si è trasformato in un avamposto politico.
Quante chance ha questa ipotesi di trasformarsi in realtà? Tantissime, basta volerlo. Alcune sperimentazioni in questo senso sono state fatte. E funzionavano bene, fino a quando si è deciso di buttare tutto a carte quarantotto. L’esempio classico è stato il carcere a custodia attenuata di Eboli. Oggi quel modello è stato messo in crisi. Hanno mandato via la direttrice (Lucia Castellano, ndr), tagliato i finanziamenti e trasferito in modo coatto detenuti che non avevano nessuna intenzione di uscire dalla dipendenza con il solo scopo di alleggerire il sovraffollamento di altri istituti. Così il giocattolo si è rotto. E non era difficile immaginarselo. Poi c’è una questione che si fa finta di non vedere: nessuno parla di risorse.
Ne parli lei... Un tossicodipendente in carcere costa 400 euro al giorno, mentre la retta che il ministero della Giustizia riconosce alla comunità per la presa in carico dei detenuti è 10 volte inferiore. Retta che è erogata con anni di ritardo. Siamo di fronte a un colossale tranello: come fai a dire "punto sulle comunità" se poi non gli dai gli strumenti per lavorare. Risparmiare, è questo il vero obiettivo. Nient’altro che risparmiare. Argentina: Padre Oliva seda rivolta nel carcere di Cordoba
News Italia Press, 15 febbraio 2005
"Determinante". Così il quotidiano nazionale argentino Clarìn definisce l’intervento di padre Hugo Oliva nell’ambito della rivolta carceraria scoppiata nei giorni scorsi nel penitenziario della città di Cordoba. L’italo-argentino cappellano del carcere si è offerto per trattare con i detenuti in rivolta e sabato scorso è entrato nel penitenziario con un gruppo di familiari dei reclusi: è stato lui a ritirare le armi e a chiedere e ottenere la liberazione degli ostaggi sequestrati dai rivoltosi, tra cui il direttore della prigione e 25 guardie carcerarie. Otto morti e circa 35 feriti sarebbe quindi il bilancio definitivo di quella che lo stesso Clarin definisce la rivolta "più sanguinosa della storia di questa provincia e il terzo più grave di tutto il Paese, dopo quello di Villa Devoto nel 1978 e quello di Sierra Chica nel 1996". Dopo 24 ore di lotta, tutta all’interno della struttura carceraria, la conclusione della rivolta fa tirare un sospiro di sollievo. "Quando sono entrato - ha detto padre Oliva al Clarìn - sembrava l’inferno. Padiglione dopo padiglione, quando abbiamo raggiunto un accordo passavamo all’ala successiva, fino a raggiungere la maggior parte di tutti i detenuti". Tutto sembra essere iniziato per chiedere migliori condizioni di vita all’interno del penitenziario che, abilitato a una capacità di 930 persone, ne ospita oltre 1.600. la mediazione del prete italico sembra aver fatto raggiungere un accordo anche sulle condizioni all’interno del carcere, nonché sugli sviluppi all’indomani del riconoscimento di responsabilità per la rivolta. Ma a Cordoba l’interrogativo prevalente è dove e come i reclusi possano aver raccolto tutte le armi che hanno provocato le sparatorie all’interno del carcere. Lecce: l’Orlando Furioso in scena nella casa circondariale
Gazzetta del Mezzogiorno, 15 febbraio 2005
Quella del teatro carcere è sicuramente tra le esperienze più interessanti emerse nell’ultimo decennio nel panorama teatrale italiano ed europeo. Punta d’eccellenza in questo campo è sicuramente quella della Compagnia della Fortezza di Volterra guidata da Armando Punzo che è riuscito a formare una vera e propria compagnia teatrale di detenuti che da qualche anno girano in tournèe i teatri italiani e che ora portano con successo sui palcoscenici il loro "I pescecani" ispirato a "L’Opera da tre soldi" di Bertolt Brecht, vincitore tra l’altro di un premio Ubu 2004. Da anni impegnati anche sul terreno del teatro sociale sono i Cantieri Teatrali Koreja di Lecce con azioni e progetti rivolti alla fasce deboli (minori a rischio, reclusi dell’Istituto Penale Minorile di Lecce, disabili etc.). Ma nel programma della stagione in corso si segnala per la novità e l’interesse il progetto su "L’Orlando Furioso" di Ludovico Ariosto che sta per concludersi presso la Casa Circondariale di Borgo S. Nicola a Lecce. Avviata su richiesta della direzione dell’istituto penitenziario, dal mese di ottobre 2005 è in corso di svolgimento una attività di laboratorio teatrale diretta dall’attore Fabrizio Saccomanno che ha messo insieme un gruppo di reclusi con un gruppo di giovani allievi in formazione che stanno per concludere un percorso formativo per esperti di teatro sociale. Un percorso lungo iniziato nel maggio 2003 su iniziativa dei Cantieri Koreja, dell’Istituto Professionale "De Pace" di Lecce, dell’Università degli Studi di Lecce e dell’Enfap con il sostegno della Regione Puglia e che ha visto questi giovani misurarsi con l’apprendimento oltre che di contenuti collegati con la psicologia, la pedagogia, la comunicazione, la storia del teatro anche di tecniche più specificatamente collegate al teatro-minori, teatro ed handicap, teatro-scuola, teatro-terapia, teatro-ludico, teatro comico, teatro d’improvvisazione. Il lavoro sinora fatto avrà un primo momento di visibilità appunto con il saggio-spettacolo su "L’Orlando Furioso" che verrà presentato per una unica ed esclusiva recita mercoledì 23 febbraio alle ore 15 alla Casa Circondariale di Lecce alla presenza dei reclusi, delle autorità invitate, operatori del sociale e di quanti hanno dichiarato il loro interesse a seguire i risultati del progetto. Criminalità organizzata transnazionale: memorandum Onu - Dna
Ministero della Giustizia, 15 febbraio 2005
Un Memorandum di collaborazione per canalizzare il flusso di dati e informazioni tra Stati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale. Lo firmano mercoledì 16 febbraio 2005 alle ore 16, presso la sede della Direzione Nazionale Antimafia, in via Giulia a Roma, la Dna e l’Onudc, l’organo delle Nazioni Unite che assiste gli Stati nel contrasto al traffico di droga, alla criminalità e al terrorismo. Alla cerimonia della firma seguono gli interventi del procuratore nazionale antimafia, Piero Luigi Vigna, del rappresentante Onu, Antonio Maria Costa, e del capo dipartimento per gli Affari di Giustizia del ministero, Augusta Iannini. A seguire è prevista una conferenza stampa. I giornalisti e i cine-foto operatori interessati a seguire l’evento, dovranno accreditarsi a mezzo fax o posta elettronica entro il domani, martedì 15 febbraio 2005, indicando cognome e nome, testata e numero di tessera professionale.
Ufficio Stampa tel: 06.68897501 – 06.68852201 fax: 06.68891493 e-mail: ufficio.stampa@giustizia.it
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