Rassegna stampa 20 dicembre

 

L’amnistia e lo sciocchezzaio politico nazionale

di Andrea Boraschi e Luigi Manconi

 

L’Unità, 20 dicembre 2005

 

Fin qui si sapeva della sua predilezione per le linguine all’astice di Adriano Pica, lo chef del ristorante Quattro Colonne, proprio a due passi dal Senato; e di una passione viscerale per le alici in tortiera. Oggi, grazie a un pezzo di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, chi si fosse perso un vertice assoluto di politica catodica (va da sé: chez Vespa), apprende con ritardo della sua perizia ai fornelli, declinata, ovviamente, in salsa campana: "A Natale sto a casa mia a cucinare il cardone. Come, cos’è il cardone? Non mi ha visto a Porta a Porta? È una pianta tipicamente beneventana, che si prepara solo la notte del 24, in brodo, con polpette, uova, cannella". A rispondere così, è il leader dell’Udeur, Clemente Mastella, interpellato a proposito della marcia di Natale, promossa dai Radicali di Marco Pannella (e da molti altri) per sollecitare il Parlamento ad un’amnistia in favore dei detenuti italiani. Il buongustaio di Ceppaloni chiarisce di essere favorevole a quel provvedimento: "Ma perché ce l’ha chiesto Giovanni Paolo II. Non perché lo chiede Pannella. (...) E a Natale sto a casa mia a cucinare il cardone..." (il sottinteso: invece di prendere parte alla marcia per l’amnistia). Beh, dev’essere proprio buono questo cardone, non c’è da dubitarne, se può essere manovrato con tanto ilare acume per motivare un’assenza. Non che sia obbligatorio prendervi parte, alla marcia, per carità: tant’è che molti, anche tra quanti si dicono favorevoli all’amnistia, quel giorno non ci saranno. Chi per motivi indiscutibili, come il senatore a vita Giulio Andreotti, che porta a sua discolpa l’età ("capitemi, i prossimi sono 87") e una certa indole sedentaria; chi per umori politici primitivi, come il ministro Francesco Storace, il quale, senza prendere posizione nel merito della proposta radicale, fa spirito di patate: "Non andrò alla marcia per evitare il rischio di incrociare Prodi". C’è, poi, chi offre appoggio politico ma non "compartecipazione", come il segretario della Cgil Guglielmo Epifani: "non si può chiedere ai lavoratori di sfilare pure il 25 dicembre". E c’è infine chi, come Marco Follini, esprimendo il suo sostegno ma interpretando, al contempo, il senso di una festa che è anche celebrazione dei legami familiari, precisa: "la presenza alla marcia dipende da mia moglie e mia figlia". Ebbene, questa piccola carrellata di autorevoli dichiarazioni per dire due-cose-due: che l’iniziativa di Marco Pannella ha tutto il nostro appoggio, poiché le carceri italiane soffrono di un sovraffollamento cronico, che andrà peggiorando - e di molto - con l’approvazione della così detta "ex Cirielli". E quell’affollamento coincide (e, insieme, ne è causa) con una buona parte dei mali che fanno del nostro sistema penitenziario un meccanismo efficientissimo di riproduzione di devianza, marginalità e crimine. Che l’iniziativa di Pannella possa andare a buon fine, pur dinanzi a tanto sfascio (l’ultimo suicidio risale a venerdì: un uomo di 36 anni, a San Vittore; e, il giorno prima, uno di 68, a Spoleto), è cosa difficile, se non improbabile. Lo diciamo senza pessimismi di maniera. Il dibattito su una questione quale l’amnistia può rivelarsi complesso: giusto che sia così, non v’è nulla di scontato in quella proposta. Legittimo, quindi, che alcuni segnalino la loro disponibilità al provvedimento, facendo eccezione per alcuni particolari reati (mafia, terrorismo, corruzione...); o che altri preferiscano discutere di un indulto limitato, piuttosto che di amnistia tout court. In ogni caso, l’impressione che si ricava in questi giorni è che la classe politica guardi alla marcia di Natale o con distrazione o con sufficienza; che intenda abbandonare i Radicali alla loro "funzione testimoniale", riconoscendo le ragioni della mobilitazione senza volerne assumere il peso politico. Fatto salvo chi esprime apertamente la propria contrarietà e chi, come Paolo Bonaiuti, portavoce di Forza Italia, interpreta al meglio un grande classico dello sciocchezzaio nazionale simil-etico ("sull’amnistia non prendiamo posizione ufficiale, lasciamo libertà di coscienza"); per il resto si contano molte pacche sulle spalle di Pannella, molti incoraggiamenti e adesioni poco convinte e convincenti; e, ancora, richieste di tempo per riflettere meglio, mezze frasi e mezze parole, giravolte dialettiche per dire che sì, siamo d’accordo, ce l’ha chiese persino il Pontefice... Sì, sì, siamo proprio d’accordo: andate avanti voi, ché tra un po' arriviamo. In ogni caso, alla fine della partita, si potranno tirare le somme e vedere chi ha latitato, chi non ha battuto colpo, chi se n’è lavato le mani: convinti, ahinoi, che nessuno di costoro, per una mancata amnistia, perderà la faccia o dovrà assumersi una responsabilità politica che produca un qualche riflesso elettorale. C’è, infine, un’ultima considerazione: che non è direttamente "politica", dal momento che qui non amiamo i moralismi di alcuna sorta. È, piuttosto, questione di stile (che, a ben vedere, ha relazioni assai strette con la politica): perché persino chi parteciperà (forse) alla marcia ha trovato modo di misconoscerne peso e valenza, dichiarando: "Parto per lo Sri Lanka, però ho il volo a Santo Stefano e quindi a Natale marcio" (Gianni De Michelis). Quindi, viene da pensare, se parte il giorno dopo, la sera del 25 può pure assaggiare il cardone di Mastella e parlarci un po’ di amnistia... Chissà? Ah, a proposito, Buon Natale. Ai buoni e ai cattivi.

Giustizia: Castelli; "no ad amnistia o indulto…"

 

La Provincia di Sondrio, 20 dicembre 2005

 

No alla grazia, ma nemmeno all’amnistia o all’indulto. Neppure in un momento come questo, in cui il sovraffollamento delle carceri rischia di trasformarsi in emergenza. Lo ha ribadito ieri a Cantù il ministro di Grazia e giustizia Roberto Castelli, alle premiazioni per il progetto-merletto, realizzato dalle detenute del carcere comasco del Bassone. Proprio ieri, Castelli ha deciso di non costituirsi in giudizio nel conflitto di attribuzione sollevato davanti alla Corte Costituzionale dal presidente della Repubblica sul potere di concessione della grazia. Se cioè tale potere spetti al Quirinale o al Guardasigilli. Che cosa significa? Significa che non desidero prendermi la responsabilità di firmare la grazia verso persone che non ritengo siano meritevoli di averla.

(Il riferimento è alla possibilità di concedere provvedimenti di clemenza ad Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, detenuti per l’omicidio Calabresi, ndr). E significa che io non ho una tesi preconcetta da difendere. Su questo non vi è alcun contrasto con il presidente della Repubblica. Gli articoli 87 e 89 della Costituzione sono in apparente contraddizione, per cui mi rimetto alla decisione della Corte costituzionale. Anche oggi ha denunciato il sovraffollamento delle carceri e la difficoltà di venirne a capo per problemi finanziari. Amnistia o indulto non sarebbero una soluzione? Su questo, troppe volte la politica ha avuto il sopravvento sul punto di vista umano. Tutti quelli che parlano di amnistia creano speranze in chi soffre in carcere, ma parlano senza la minima sensibilità perché sanno perfettamente che non ci sarà mai in Parlamento la maggioranza necessaria, di due terzi. Lei, personalmente, come la pensa? L’amnistia finirebbe per scaricare sui cittadini un problema che è del governo. Ed è sbagliato. Si sa, con l’amnistia escono anche quelli che tornano a delinquere, e questo andrebbe a danno di tutti. Il sovraffollamento, allora, come si risolve? Con le pene alternative: si pensi ad esempio agli arresti domiciliari.

O stanziando risorse per nuovi penitenziari. Caso Fazio. Le dimissioni del governatore vi hanno risolto un problema? Beh, faciliteranno una soluzione. Per lui la situazione era molto difficile. Adesso vedremo chi sarà la figura più adatta a ricoprire questo incarico. Ma Fazio è solo uno degli aspetti in gioco. La partita, piuttosto, è su chi in Italia prende le grandi decisioni e su questo auspico che la politica sia forte e autorevole. Mi spiace che questa partita l’abbia giocata soprattutto la magistratura. Ma non perché non doveva intervenire, ma perché in un paese normale queste partite dovrebbero giocarla il mercato o il potere politico. Il clima nel paese è teso. Lo conferma l’aggressione a Borghezio, europarlamentare della Lega. Occorre che i responsabili vengano isolati e puniti. La Lega è stata spesso fatta segno di minacce e insulti. Loro sono dei facinorosi che godono di vaste aree di simpatia e protezione. Le condanne di maniera non bastano, perché questa è gente che prima ti picchia, poi dice di essere stata provocata. Fronte Islam. A Como c’è tensione dopo la chiusura della moschea. Allora. La Costituzione riconosce la libertà di religione, purché rispetti le leggi dello Stato. Se i musulmani trovano il posto per la moschea problemi non ce n’è. Non possono pretendere in maniera prepotente che al posto loro provveda il pubblico.

Giustizia: l’importanza di conoscere chi si oppone alla clemenza

 

Il Giorno, 20 dicembre 2005

 

Chi si oppone alla clemenza chiesta dai migliaia di firmatari dell’appello della marcia di Natale per l’amnistia, firmato dai senatori a vita Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Emilio Colombo, Rita Levi Montalcini, Giorgio Napolitano, Sergio Pininfarina? È la domanda che viene con forza leggendo il bel testo di Roberta Jannuzzi posto accanto alla scheda di adesione on line pubblicata sul sito www.radicali.it insieme ai nomi di centinaia di parlamentari ed esponenti della vita pubblica. Della marcia fortemente voluta dalla "Rosa nel pugno" si occupano ormai anche i mass media nazionali, che forniscono i numeri del disagio. Sono ormai 60 mila i detenuti in Italia, con 140 mila ulteriori persone divise tra misure alternative alla detenzione. Dei nove milioni di processi pendenti in Italia, circa sei sono relativi a procedimenti penali. Le spese di tutto ciò possono divenire insostenibili, così come le situazioni di denegata giustizia in Italia. È del giugno scorso la scandalosa relazione della Corte dei Conti che evidenzia come, solo in materia di edilizia penitenziaria, esistano vulnus su cui presto qualcuno dovrà indagare. La relazione definisce "sconcertanti" le vicende siciliane della costruzione delle carceri di Patti e Ristretta, quella del carcere di Marsala, programmato fin dal 1973 e affidato come commissario straordinario del governo al Prefetto di Trapani. Fino alla disattesa attuazione della L.388/00, l’ultima Finanziaria del centrosinistra, che avrebbe alleggerito la situazione con il programma di dismissioni e permute. Disattesa perché l’unica cosa ottenuta è stata rendere perplessa la Corte per la convenzione con la Dike Aedifica Spa interamente partecipata dalla "Patrimonio Spa", che contiene clausole contraddittorie che confliggono in più punti con le competenze spettanti al ministero delle infrastrutture. Convenzione che non risulta formalmente approvata dall’Amministrazione e neppure pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Ministero che gestirà oltre 93 milioni per la sperimentazione di leasing immobiliare carcerario, cominciando male se gestirà questi soldi senza il rispetto dell’art.14 della legge Merloni, come per le carceri di Varese e Pordenone, e dell’ampliamento di Milano-Opera.

Amnistia: il 25 dicembre a Roma la Marcia di Natale

 

Social Press, 20 dicembre 2005

 

È stata convocata definitivamente per il 25 dicembre a Roma la Marcia di Natale per l’amnistia, la giustizia e l’indulto che partirà alle ore 10 da Castel Sant’Angelo (concentramento alle 9.30).

 

I perché della Marcia

 

"Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni" Dostoevskij, Memorie da una casa di morti (1862). Con la Marcia di Natale i promotori intendono manifestare sia per l’amnistia che per l’indulto. Entrambi i provvedimenti, adottati per l’ultima volta 15 anni fa, sono necessari per diverse ragioni, che riguardano le inique condizioni carcerarie ma anche il cattivo stato della giustizia in Italia, rallentata da migliaia di processi arretrati, che provocano un’amnistia di fatto, strisciante e di classe, costituita dal milione di reati prescritti per scadenza dei termini soltanto negli ultimi 5 anni.

Il 30 novembre scorso il Consiglio d’Europa ha denunciato che "i ritardi della giustizia in Italia sono causa di numerose violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sin dal 1980", ritardi che "costituiscono un pericolo effettivo per il rispetto dello stato di diritto in Italia". Attualmente sono 60.000 i detenuti nel nostro paese, contro la capienza regolamentare di 43.000 unità. 21.000 di questi sono in attesa di giudizio. La nuova legge ex-Cirielli, che inasprisce le pene per i recidivi, si calcola che porterà in carcere in breve tempo altri 20.000 detenuti. Chi si oppone alla clemenza dimentica che in Italia esiste un’amnistia strisciante che si chiama "prescrizione" e che è spesso riservata a chi può permettersi un bravo avvocato. Solo negli ultimi cinque anni, ben 865.073 persone hanno beneficiato della prescrizione dei reati penali per i quali erano state inquisite.

Chi si oppone alla clemenza dimentica che l’aumento delle carcerazioni non determina la riduzione dei reati. Se in Italia la mano pesante della giustizia si scarica quasi per intero sugli esclusi, senza avvocato e senza difesa, soprattutto immigrati e tossicodipendenti. Il 32,2% dei detenuti sono extracomunitari, mentre il 27,4% sono tossicodipendenti. Solo il 4,4% dei detenuti ha terminato la scuola media superiore.

In totale sono 8.942.932 i processi pendenti, di cui 5.580.000 penali. Tra la data del delitto e quella della sentenza la durata media è di 35 mesi per il primo grado del processo e di 65 mesi per l’appello. Sono moltissimi i reati che non vengono nemmeno perseguiti: nel 2003 le persone denunciate sono state 536.287 e i delitti denunciati per i quali è iniziata l’azione penale sono stati 2.890.629 (in crescita rispetto all’anno precedente), ma nell’80,8% dei casi l’autore era ignoto.

Chi si oppone alla clemenza dimentica che spesso sono leggi inique a produrre criminalità. Basti osservare come sia risibile il numero degli immigrati regolari in carcere, mentre è crescente quello degli immigrati senza permesso di soggiorno. L’impossibilità di ingresso legale produce illegalità e reati, mentre chi ha possibilità di regolarizzazione dimostra di essere pressoché esente da pratiche illegali e criminali.

Chi si oppone alla clemenza dimentica che in molti casi è il carcere stesso a portare alla commissione di nuovi reati. I dati dicono che se la percentuale della recidiva è del 75% nei casi di detenuti che scontano per intero la condanna in carcere, questa si abbassa drasticamente al 27% nel caso di tossicodipendenti condannati che scontano la condanna o una parte di essa in affidamento ai servizi sociali, e al 12% nel caso di non tossicodipendenti affidati ai servizi sociali.

L’amnistia e l’indulto, dunque, non sono contraddittori con un’attenzione ai temi della sicurezza. Investire sul recupero e sulla prevenzione è la vera politica per la sicurezza, una politica meno costosa socialmente, umanamente ed economicamente. Tenere una persona in carcere, peraltro nelle attuali condizioni miserevoli e spesso illegali (basti pensare che il Regolamento penitenziario, varato nel 2000, è rimasto in buona parte lettera morta), costa 63.875 euro l’anno, in gran parte per la struttura, mentre per il vitto di ogni recluso si spendono mediamente solo 1,58 euro al giorno. Tenere un tossicodipendente in carcere (e sono almeno 18.000) costa il quadruplo che assisterlo in una comunità o affidarlo a un servizio pubblico.

Sono passati 5 anni dal Giubileo e dalla campagna per l’amnistia e l’indulto e per un "Piano Marshall" per le carceri e il reinserimento sociale. Sono passati 3 anni da quando il Parlamento applaudì ripetutamente Giovanni Paolo II mentre invocava una riduzione delle pene. L’amnistia e l’indulto sono oggi l’unica risposta possibile a quella che nel frattempo è diventata la più grande emergenza sociale del nostro paese. Una questione che, direttamente e indirettamente, riguarda la vita e le condizioni di milioni di cittadini e di famiglie italiane.

 

Per costruire una nuova giustizia, occorre sbloccarla con un’amnistia. Attraverso l’indulto, invece, è possibile riportare il numero delle presenze a quello delle capienze, vale a dire ridurre di almeno 15.000 gli attuali detenuti.

 

I promotori della Marcia

 

Rosa nel pugno - Nessuno Tocchi Caino - Il Detenuto ignoto - Radicali Italiani - Associazione Luca Coscioni e molte altre personalità e associazioni (per una lista completa.

Antigone: 60 mila detenuti, l’anno prossimo 20mila in più

 

Ansa, 20 dicembre 2005

 

La popolazione carceraria italiana ammonta a circa 110 mila persone: 60 mila detenute in carcere, di cui 21 mila in attesa di giudizio, e 50 mila fuori. Ma le stime parlano di un incremento di 20 mila persone già dal prossimo anno. Sono alcune delle cifre denunciate da Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e Angelo Marroni, garante dei diritti dei detenuti del Lazio, nel corso del convegno organizzato oggi a Roma dalle camere penali. "La vera soluzione - ha detto Marroni - è un sistema punitivo e penale che riduca l’uso del carcere come unico rimedio. Compito del prossimo governo sarà quello di identificare una gamma di pene diverse. Con la situazione attuale dei carceri i diritti dei detenuti si annullano, primo tra tutti quello alla salute, seguito da quello alla formazione e alla cultura". Sarebbe infatti una vera e propria situazione di illegalità, secondo Patrizio Gonnella di Antigone, quella in cui vivono le carceri italiane.

"Purtroppo il pensiero comune non detto - ha commentato - è quello che solo un carcere dove regna l’ illegalità sia sicuro. Le soluzioni che ci vengono proposte non sono praticabili e risolutive. Basti pensare che per costruire un nuovo istituto di pena servono circa 14 anni, e se si calcola che il ministro Castelli ne vuole costruire almeno 12 facciamo presto a fare i conti. Tanto più che la capienza media di un carcere è di circa 500 persone e negli anni le stime ci fanno prevedere un incremento della popolazione carceraria di circa 20 mila persone, quasi praticamente un terzo in piu"‘. Un altro problema evidenziato da Gonnella, è stato quello dell’ impatto della ex legge Cirielli sulla popolazione carceraria, "visto che i 4/5 dei condannati sono recidivi. Se non si interviene ci sarà una vera e propria esplosione nelle carceri, per colpa di leggi su cui non è stata fatta una valutazione dell’impatto ". Infine, Luigi Manconi, garante dei diritti dei detenuti per il Comune di Roma, ha sottolineato la positività dell’esperienza di questa nuova figura, presente solo a livello regionale nel Lazio e in qualche altro comune italiano, che "dovrebbe essere istituita a livello nazionale. Cosa che abbiamo già inserito nel programma di governo dell’Unione".

Venezia: la lavanderia del carcere lavora per l’Harry’s Bar

 

Gente Veneta, 20 dicembre 2005

 

Si chiama mangano ed è il sogno delle donne stiratrici. Perché è una macchina che, grazie a dei rulli, stira e piega (per ora solo) le lenzuola. Arriva a farne anche 200 chili all’ora. Solo ad una cooperativa sociale come "Il Cerchio", che opera a favore dei detenuti ed ex detenuti a Venezia, poteva venire in mente di non comprare il mangano più perfezionato, quello che fa tutto da solo, per cui il lavoro umano è limitato al metter dentro e tirar fuori le lenzuola. Costerebbe un pò di più, ma eliminerebbe un paio di operai. E relativi costi.

Ma il Cerchio ha come obiettivo di dare lavoro, e quindi dignità e scopi di vita, al numero più alto possibile di carcerati ed ex carcerati. Perciò ha scelto il mangano che si limita ad eseguire meccanicamente il 70% del lavoro, lasciando le ultime pieghe alle mani di un paio di addetti.

Il sogno delle stiratrici, ma anche una super-lavatrice da 70 chili e un altro po' di dotazioni tecnologiche sono l’ultima scommessa, in ordine di tempo, del Cerchio. La lavanderia, avviata da un anno nel carcere femminile della Giudecca, sta avendo un successo tale che è parso opportuno, ai responsabili della cooperativa, di ampliare l’attività.

Nei suoi primi mesi, infatti, la lavanderia è stata impiegata per il lavaggio e la stiratura della biancheria dei detenuti e del personale di custodia dei tre istituti di pena cittadini (femminile e casa di custodia attenuata alla Giudecca, e maschile di Santa Maria Maggiore a Venezia). Vi lavorano mediamente sei detenute. Ma visto che questa è l’unica lavanderia industriale della città storica, ci si è accorti che le prospettive sono importanti, specie se si guarda un po’ più in là. Alberghi e ristoranti veneziani, infatti, sono costretti a servirsi di lavanderie in terraferma, con gli evidenti aggravi di costi dovuti ai trasporti e ai trasferimenti barca-camion.

"Perciò - spiega il presidente della cooperativa "il Cerchio" Gianni Trevisan - abbiamo pensato di investire per allargare il nostro campo d’azione. Intanto abbiamo un cliente importante, l’Harry’s Bar di Arrigo Cipriani, e abbiamo altri contatti in vista. Adesso dobbiamo trovare i quattrini per pagare le macchine che ci permetteranno di entrare a pieno titolo nel mercato". Già, perché l’avvio della lavanderia è costato 230.000 euro, 66.000 dei quali offerti dal Comune, 40.000 dalla Regione e 6.000 dalla Provincia (mentre i rimanenti sono venuti direttamente dalle casse del Cerchio). Ora occorrono altri 75.000 euro. Il concerto di giovedì scorso nelle sale Apollinee della Fenice è servito per iniziare una raccolta di fondi, e il Cerchio è in attesa di un significativo nuovo finanziamento regionale. Ma servirà sicuramente qualche altro denaro per completare l’impresa. E per dare occupazione e ragioni per un buon reinserimento sociale ad altre tre o quattro detenute.

Terni: il pane dei detenuti per i ternani poveri…

 

Ansa, 20 dicembre 2005

 

Il pane dei carcerati per la mensa dei poveri il giorno di Natale: è il filo rosso della solidarietà che si legherà il 25 dicembre in occasione dell’ ormai tradizionale appuntamento natalizio con i meno fortunati della città con il loro vescovo, quel monsignor Vincenzo Paglia. Il presule ternano, come fa da alcuni anni, pranzerà il giorno di Natale con i poveri, gli anziani e gli extracomunitari, e su quella tavola ci sarà il pane offerto dai detenuti del carcere di vocabolo Sabbione. È lo stesso direttore della casa circondariale, Francesco Dell’Aira, ad annunciarlo, ed a spiegare che nel carcere ternano, i reclusi hanno attivato e fanno funzionare quotidianamente un forno per la cottura ed il confezionamento del pane.

Benvenuti a Padova, carcere fuorilegge, di Ornella Favero

 

Vita, 20 dicembre 2005

 

In questi giorni i detenuti stanno facendo lo sciopero della fame, non partecipano a nessuna attività. "In piena notte, alle tre di mattina, mi hanno portato qui. Mi hanno spogliato, perquisito, ho ricevuto un materasso, una forchetta e un cucchiaio. Era la fine del mondo. Le sbarre di ferro si chiudevano dietro di me. Non uscirò mai". Questo è l’impatto con il carcere raccontato da Branko, un detenuto croato, in un libretto, Cose dell’altro mondo, curato da don Marco Girardi, cappellano della Casa circondariale di Padova: il peggior carcere del Veneto, uno dei peggiori d’Italia.

In questi giorni i detenuti stanno facendo lo sciopero della fame, non partecipano a nessuna attività, si astengono dal lavoro a turno e continuano a sbattere le tazze sulle inferriate. L’istituto può ospitare al massimo 120 detenuti, invece si è arrivati quasi a 300. Nelle celle individuali vivono in tre, e con il water attaccato alla tavola dove mangiano. Nelle celle da quattro sono fra gli otto e i dieci. L’edificio è fatiscente e diversi settori sono chiusi perché inagibili. L’80% dei reclusi è straniero, distribuiti in 30 etnie differenti, il 70% sono in galera per reati legati alla droga. Fra loro fino alla sera di sabato 10 dicembre c’era un ragazzo rumeno di 26 anni. Quella notte però ha deciso di farla finita con un paio di jeans legati intorno alla gola. Era dentro da appena 10 giorni.

Giustizia: più facile finire in cella prima della sentenza

 

La Provincia di Sondrio, 20 dicembre 2005

 

"Il nuovo codice di procedura penale è lì, pronto. I lavori sono finiti. Lo stesso presidente della commissione ministeriale, Carlo Nordio, lo ha dichiarato ufficialmente pochi giorni fa. Purtroppo non si farà in tempo a vararlo". C’è più consapevolezza che amaro disappunto nelle parole dell’avvocato Raffaele Della Valle, commissario all’interno della medesima commissione che, a giochi fatti, vede le carte mischiarsi nuovamente in tavola grazie agli effetti della legge "ex Cirielli".

 

Avvocato, allora è una legge tutta sbagliata? Tutta da rifare?

Preciso, innanzitutto, che i principi a cui si ispira sono legittimi e sacrosanti: garantire una condanna che sia giusta, equa e rapida accorciando i termini di prescrizione. Però è innegabile che sia una legge frutto di tali e tanti compromessi da non potersi vedere che in chiaroscuro, piena di contraddizioni. Rischia anche di essere dichiarata anticostituzionale.

 

La Costituzione afferma che la legge assicura la "ragionevole durata" del processo. Non sarà così?

Faccio un esempio. Oggi, per andare in treno da Milano a Sondrio, poniamo, ci vogliono più di due ore. Considerata la strada da percorrere mi sembra un tempo assolutamente inadeguato, esagerato. Come si fa? Si stanziano fondi per treni più veloci, che corrano su nuovi binari, si assume nuovo personale, insomma si creano tutte le condizioni per questo cambiamento. Una legge così importante dovrebbe essere congegnata allo stesso modo. Invece accorcia i tempi della prescrizione ma solo in alcuni casi, in altri allunga i termini della pena solo per giustificare i nuovi tempi di prescrizione. Comunque i nostri penitenziari non sono pronti per questo.

 

Ci sono previsioni che vanno dai 14 mila ai 20 detenuti in più solo nel 2006. Le ritiene attendibili?

Bisognerebbe verificare bene le statistiche e la condizione attuale. Io sono quasi sicuro, peraltro, che almeno la metà delle persone detenute in questo momento sono in attesa di giudizio. In Italia è molto più facile finire in cella prima di una condanna definitiva che dopo.

 

L’amnistia potrebbe essere un rimedio efficace?

Sicuramente. Pochi sanno che dal 1945 al 1990, anno dell’ultima amnistia, il nostro sistema giudiziario non è crollato proprio grazie a periodici indulti. Sono 15 anni che non avviene e il sistema riesce ancora a tenere: mi verrebbe da dire che è questo il vero "miracolo italiano". Ma a questo punto non si può più temporeggiare.

 

Lo pensano in tanti. Ma a questo punto la domanda è: tutti dentro o tutti fuori? Da una parte una legge che inasprisce, in alcuni casi, le pene, dall’altra la volontà di ricominciare da capo.

Il problema è questo: viviamo in un paese dove l’unica regola, ormai, è il compromesso. Per quanto riguarda questa legge, perché non hanno saputo bene indicare quando può essere retroattiva o no. Per non essere tacciati di "salva Previti" hanno limitato il concetto, non hanno avuto il coraggio di andare fino in fondo. Non deve essere così: o tutti o nessuno. Allo stesso modo, temo, succederà con l’indulto. Perché tale deve essere, non una grazia, non altro. E dovrebbe essere uguale per tutti. Invece già mi prefiguro una quantità di eccezioni, in base al tipo di reato, alla durata della pena, condizionate da fattori esterni. Così si fa demagogia, non giustizia. La legge è uguale per tutti, non è una frase fatta.

 

Come siamo arrivati a questo punto?

Si è venuta a creare una cultura sbagliata. Il carcere dovrebbe rappresentare una misura assolutamente eccezionale, invece la tendenza è assolutamente opposta. È giusto che un indagato resti in carcere per un’esigenza di indagine. Ma deve restarci poco, un mese, due, non quattro o cinque anni. Perché le carceri scoppieranno? Perché la nuova norma sulla recidiva colpisce, ad esempio, i tossicodipendenti che sono recidivi a causa della loro stessa condizione. Come accade anche ora verranno arrestati per il possesso di una certa quantità di droga e resteranno in carcere. Tra l’altro, in questo caso, si va verso un’ulteriore criminalizzazione.

Bari: ex detenuti, oggi manovali, con un progetto sociale

 

Gazzetta del Sud, 20 dicembre 2005

 

Qualche anno fa la vita, quella vera, era dall’altra parte delle sbarre. Detenuti, cioè gente senza libertà e, in linea di massima, senza futuro. Perché - è inutile prendersi in giro - gli ex carcerati non li prende nessuno. Niente lavoro, niente soldi, niente sogni. O prima o poi si torna dentro. E il ciclo ricomincia. Per un gruppo di ex detenuti la vita è cambiata davvero. Dopo un anno di formazione fatto tra i banchi di Formedil (l’ente scuola provinciale per la formazione professionale in edilizia), le porte del mercato del lavoro si sono spalancate. "Salvatore Matarrese Spa", "De.Bar.", "Desco srl", "Coebo srl", e "Sg&F Edilizia srl" sono le imprese edili che hanno assunto i nuovi carpentieri, manovali e ferraioli. Due dei carcerati formati, invece, hanno avviato attività per proprio conto. Tutto ciò è stato possibile grazie a un’intesa fortemente voluta dal prefetto Tommaso Blonda, firmata dall’Ufficio dell’esecuzione penale esterna del Ministero della Giustizia, dalla stessa Formedil e dalla cooperativa Vita Nuova.

Quella cooperativa - si ricorderà - nata nel cuore di Barivecchia subito dopo la morte di Michele Fazio, il 15enne vittima innocente della guerra tra clan, nata per promuovere il reinserimento sociale dei propri soci-lavoratori, figli della città vecchia, con problemi di "devianza sociale". Tra loro molti ex detenuti. Una scommessa? Un’innovazione? Un esempio? Il prefetto Blonda non ama i commenti. "Sono per la cultura del fare", spiega illustrando gli esiti del protocollo d’intesa che ha sfornato i primi operai e presentando la naturale e straordinaria prosecuzione di questa esperienza. Una seconda "alleanza" tra istituzioni, imprese e privato sociale. Altri dieci ex detenuti stanno frequentando corsi di formazione promossi nell’ambito di un protocollo firmato questa volta anche da Fiera del Levante, Iacp e Seap.

"È un progetto nato in silenzio - spiega il prefetto - senza clamore, nato senza chiedere "stampelle" a nessuno (non ci sono soldi pubblici in questa operazione, ndr). Noi non miglioriamo il nostro assetto sociale attraverso la repressione dell’illecito o il controllo massiccio del territorio, questa non è la strada giusta altrimenti facciamo quello che abbiamo fatto fino ad oggi: chiudiamo le porte alle persone "diverse". La prima parte di questa bella esperienza di inclusione reale è stata presentata ieri nella sede di Formedil da alcuni dei suoi protagonisti: gli imprenditori Michele Matarrese e Nicola De Bartolomeo, il presidente della cooperativa "Vita Nuova" Piero Rossi, il parroco della Cattedrale don Nicola Bonerba (padre morale e materiale della coop), il direttore di Formedil Luigi Aprile e il direttore dell’ufficio esecuzione penale del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria per la Puglia, Eustachio Vincenzo Petralla.

E qui si apre una parentesi interessante. Petralla lavora da anni alla difficilissima materia delle misure alternative alla detenzione. L’ordinamento penitenziario prevede che, in presenza di requisiti specifici, si possa individuare una misura alternativa al carcere, come ad esempio l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà (la cosiddetta area dell’esecuzione penale esterna). A Bari, lo scorso anno, sono stati 790 i detenuti affidati in prova al servizio sociale, 573 quelli ai quali sono stati concessi i domiciliari e 131 quelli in regime di semilibertà. Se si considera che il carcere cittadino accoglie oltre 600 detenuti (per una capienza di poco più di 400), si comprende tutta la volontà di garantire dignità a tutte le persone che sbagliano. È una cultura sottile, ancora fragile, che pure comincia a entrare in una società che ha dentro solidarietà intermittenti. "Dobbiamo curare quelle persone perché non perdano un’occasione così importante. - ha commentato Piero Rossi - Bisogna pensare a quell’indice di dispersione che non è determinato dal datore di lavoro ma dall’incapacità di trattenere l’opportunità che viene offerta. Il consorzio Agorà di cui facciamo parte deve essere un presidio sociale".

California: non più celle separate per detenuti bianchi e neri

 

Ansa, 20 dicembre 2005

 

I responsabili delle carceri della California, mettendo fine a una pratica consolidata, hanno accettato di rinunciare a usare la razza come criterio principale nella separazione dei detenuti. Un detenuto nero ha denunciato la settimana scorsa il caso ricordando che la Corte Suprema degli Stati Uniti in febbraio ha sentenziato che le carceri californiane non possono separare i carcerati usando automaticamente il criterio razziale. "È un cambiamento fondamentale" ha detto in un comunicato Bert Deixler, un avvocato di Los Angeles che ha rappresentato il detenuto.

Ascoli: progetto per rafforzare il ruolo di papà tra i detenuti

 

Corriere Adriatico, 20 dicembre 2005

 

È importante per le persone detenute il rafforzamento del ruolo genitoriale. Ma come vivono i loro bambini l’esperienza della visita in carcere al genitore? L’ordinamento penitenziario prevede che i detenuti possano fruire di sei colloqui mensili, della durata di un’ora, con i familiari e che tali colloqui si svolgano in locali privi di mezzi divisori. Ma si tratta di ambienti non a misura di bambino. Da qui, con l’obiettivo di ridurre il disagio a questi bambini e permettere loro di vivere meno traumaticamente tale esperienza, nasce il progetto "Un’ora d’aria a colori" che vede insieme il Comune, il mondo della scuola e la Casa circondariale, dove sarà allestito uno spazio apposito in cui figli minori e genitori potranno incontrarsi in un contesto più confortevole.

"Con questo progetto - ha commentato l’assessore Gianni Silvestri - si cercherà di favorire un clima più accogliente, allestendo uno spazio in cui figli e genitori detenuti potranno colloquiare, facilitando così l’instaurarsi di relazioni positive tra il minore, i genitori, l’agente preposto ai controlli e volontari eventualmente coinvolti". Nell’ambito del progetto, oggi, dalle ore 10, presso le scuole elementari Ascoli Centro plesso di Sant’Agostino ed elementari Concezioniste, gli alunni e le insegnanti si incontreranno con la direttrice del carcere, Lucia Di Feliciantonio e l’assessore Gianni Silvestri.

 

 

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