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Amnistia: un passo necessario, articolo di Marco Cafiero
Progetto Uomo, 19 aprile 2005
Da questo provvedimento il miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri. Si torna a parlare di amnistia. Sono forse gli eventi degli ultimi giorni a riportare alla luce il problema del sovraffollamento carcerario? Io non credo che, oggi, il problema sotteso all’esame dei disegni di legge in tema di amnistia, sia questo. Non credo neppure, in coscienza, che sia l’immenso lutto per la morte del Santo Padre a portare le forze politiche ad ascoltare le sue parole, quando invocava, con estrema lucidità, un provvedimento di clemenza per i detenuti. Credo, invece, che le recenti vicende elettorali, estremamente significative, portino alla ricerca di nuovi slogan. Ci apprestiamo ad affrontare un anno di campagna elettorale, per cui un provvedimento di amnistia avrebbe le carte in regola per pacificare le coscienze di entrambe le fazioni. Peccato che, intorno a questo tema, così delicato, stiano iniziando una serie di contrattazioni politiche. Invece, il provvedimento di clemenza richiede un’attenzione particolare e, soprattutto, un obiettivo che non sia meramente pubblicitario. Il settimanale on line Progettouomo.net ha più volte affrontato i problemi dei detenuti, sottolineando come il sovraffollamento carcerario rischi di contrastare uno degli obiettivi dell’esecuzione penale: la rieducazione. I problemi che caratterizzano i nostri istituti penitenziari rappresentano, sicuramente, controindicazioni al trattamento perché violano le più elementari norme di convivenza e dignità di persone che devono riacquistare il rispetto degli altri e, soprattutto di se stessi. Credo fosse uno dei motivi che spingevano Giovanni Paolo II a invocare un momento significativo di pacificazione sociale nei confronti di soggetti che hanno violato le norme di convivenza civile. Per non cadere negli usuali luoghi comuni, mi limito a riflettere sui benefici effettivi che un tale provvedimento potrebbe produrre alla società. Mi sembra importante cercare di capire se anche la società potrebbe risentire, in senso positivo, della clemenza nei confronti di alcune fasce di condannati. Se aderiamo alla tesi per la quale i soggetti che ne usufruiranno torneranno a delinquere nel giro di pochi giorni, portando un forte disagio sociale, allora è meglio non esaminare neppure alcun disegno di legge. Viene, però, a perdere senso il concetto di amnistia, ed allora è necessario rimuoverlo dal nostro ordinamento. Ho letto queste affermazioni sui quotidiani nazionali, attribuite ad alte cariche dello Stato. La possibilità della recidiva è evidente, così come lo è il rischio per la sicurezza pubblica. Tuttavia non dobbiamo sottovalutare come un provvedimento di amnistia calibrato e rispondente a reali esigenze di sovraffollamento carcerario, possa incidere positivamente sui costi sociali che sopportiamo. Costi, sia ben inteso, non solo in termini economici, ma anche di intervento sociale. Mi piace immaginare, senza peccare di eccessivo ottimismo, alle possibilità che un provvedimento di tal fatta potrebbe offrire ad una fascia di persone condannate per reati estremamente risalenti, di non particolare allarme sociale. Penso a chi deve scontare una pena a distanza di anni, quando la sua vita si è modificata significativamente. Un provvedimento di clemenza avrebbe l’effetto di non pregiudicare il cambiamento e, nello stesso tempo, di evitare la messa in moto della macchina giudiziaria nei confronti di soggetti la cui pericolosità sociale è venuta meno. Non mi riferisco solo ai tossicodipendenti nelle comunità. Di loro abbiamo già detto come meccanismi di ritardo nell’applicazione della pena possano inficiare o, comunque, condizionare processi di cambiamento personale e volontario. Penso anche a coloro che si sono trovati a commettere reati senza poter usufruire di benefici processuali i quali devono attivarsi, a distanza di tempo, per richiedere misure alternative e sottoporsi, comunque, a restrizioni in momenti della vita ben diversi da quelli della realizzazione del reato. Anche la misura alternativa ha costi elevati, basti pensare al lavoro del servizio sociale e delle forze dell’ordine deputate al controllo dell’esecuzione di misure, quasi sempre inattuali rispetto al reato. Queste valutazioni dovrebbero, quindi, prescindere, da slogan elettorali e rappresentare un momento di riflessione comune per le fazioni politiche che devono (o dovranno) fare i conti con una macchina giudiziaria sempre più intasata e lenta e con carceri bollenti. Mi auguro che si trovi la soluzione più logica e meno partitica, l’importante è che non si dia vita a un mostro giuridico e logico come "l’indultino" che non ha prodotto nessuno dei risultati sperati e non ha accontentato nessuna parte politica. Varese: lettura delle poesie scritte nel carcere di Como
Merate online, 19 aprile 2005
"Che l’amicizia / sia come il tramonto / che non finisce mai / l’amore sia come l’aurora / che si alza / fino al cielo ogni mattina / come la vita / una ruota che gira / gira e rigira su se stessa/ fa… che sia ricca di emozioni / questa nostra vita / leggera dolce/ come un soffio di vento / a volte quasi d’incanto / la guardi / e la vedi volar via." Questa, come altre poesie, si sono "incontrate" domenica alla Giornata della Poesia organizzata presso il granaio di Villa Greppi. Ognuna portatrice di emozioni, sogni, pensieri e riflessioni del proprio autore, in alcuni casi presente, come i poeti Alberto Casiraghy e Piero Marelli, in altri assente, come Annino, autore della poesia "Intrecci" sopra riportata e detenuto nel carcere di Como con una condanna all’ergastolo. La giornata della poesia ha dato spazio a tutti coloro che compongono versi per passione, per diletto, per gioco, per esercizio intellettuale, per evasione dalla realtà, per consolazione. Letture di autori classici si sono alternate a quelle di poeti contemporanei e di persone del pubblico che, pur senza essere riconosciute come poeti, fanno poesia. Poesie che hanno portato con sé dandone lettura senza il timore del confronto con i maestri del verso presenti in sala o del giudizio del pubblico, attento ma generoso di applausi e calore verso chi audacemente si faceva avanti. Uno scambio di versi, un regalarsi l’un l’altro le proprie parole che non si è concluso in una giornata. Il pubblico, infatti, è stato invitato a riportare i propri pensieri in versi o in prosa su alcuni fogli destinati ai poeti - detenuti del carcere Bassone di Como, in modo che anche per loro l’incontro e lo scambio fosse completo. Ai versi che da Como Armando e Annino hanno affidato alle mani di una volontaria del carcere perché li leggesse in quest’occasione, risponderanno così i versi dei presenti, poeti e non. Ma la poesia ha potuto unire, oltre ai cultori del verso, anche pittori, come Gaetano Orazio, uno degli organizzatori, e i musicisti, gli Altera - Stefano Bruzzone e Davide Giancotti accompagnati da Roberto Crippa al sax e Riccardo Molteni alle percussioni -, gruppo genovese che ha eseguito brani di poesie in musica dei grandi autori del Novecento, tratti dal proprio cd "Canto di spine", definito la prima antologia sonora sulla poesia del ‘900. Non in ultimo i bambini, ai quali è stato dedicato il laboratorio "La fabbrica dei segnalibro" tenuto dalla scrittrice Angela Caremi. Anche l’aperitivo è stato preparato all’insegna dell’arte con il food design a cura di "La volpe e l’uva" di Barzanò. Un’iniziativa varia e sfaccettata quella organizzata dal Consorzio brianteo Villa Greppi, la rivista Brianze e Perego Libri di Barzanò, che, pur in leggero calo di partecipanti rispetto alla prima edizione dell’anno scorso, ha offerto un pomeriggio intenso soddisfacendo i gusti e le aspettative più diverse con l’obbiettivo di far uscire la poesia dagli spazi ad essa tradizionalmente deputati portandola tra la gente, nella sua vita quotidiana. Marta Comi Latina: monta la protesta e i detenuti rifiutano il cibo
Latina Oggi, 19 aprile 2005
Per il terzo giorno consecutivo in carcere, i detenuti con forme di protesta di ogni genere, contestano contro l’insostenibilità delle condizioni carcerarie e come per gli altri istituti carcerari l’obiettivo è anche quello dell’amnistia. Le prime proteste sono partite venerdì scorso e anche se l’adesione non era proprio massiccia, comunque gli effetti si sono fatti sentire. Poi, mano a mano, la protesta si è estesa e dalla sezione maschile è arrivata anche a quella femminile. Così ieri a manifestare erano tutti i detenuti di via Aspromonte, circa 130 persone stipate nelle celle come sardine, con alcuni costretti a dormire per terra a causa del sovraffollamento. Sabato i detenuti che già avevano iniziato lo sciopero della fame, hanno rinunciato anche ai soliti pacchi viveri che arrivano dai parenti in visita settimanale per essere coerenti alla linea della protesta. Proprio per questo hanno anche smesso di lavorare e quindi sia le pulizie dell’intera struttura che i pasti, ora sono assicurati da una ditta esterna che quotidianamente provvede a questi bisogni. Oltre a tutto questo ogni sera dalle 22 alle 22.30 la protesta si conclude con la battitura sulle inferriate delle celle, classico sistema di protesta di tutti i detenuti che utilizzano i pentolini tipo bollitori, unici utensili che gli è consentito tenere in cella insieme con piatti ( in gergo plastica d’osso). La situazione ovviamente sta creando una serie di ripercussioni, prima fra tutte quella dei ritmi di lavoro della polizia penitenziaria. Per far fronte a possibili tensioni o imprevisti, tutti i turni di guardia sono stati rinforzati anche laddove in genere il personale non è presente perché non sufficiente. Così anche sui muri di cinta sono tornati a passeggiare gli agenti (non si vedono da tempo ovvero da quando l’organico è diventato per vari motivi insufficiente) per lo meno durante le ore notturne. Anche all’interno la vigilanza è praticamente raddoppiata. Tutto questo chiaramente incide sulla precaria condizione di lavoro della polizia di custodia. In molti hanno dovuto rinunciare ai turni di riposo per far fronte alla situazione. Il passaparola del carcere è stato comunque così forte che anche se non c’è stata l’ immediata adesione, sono bastati due giorni e la protesta di un primo gruppo è diventata quella di tutti, compresa anche la sezione di massima sicurezza femminile dove sono recluse le detenute politiche. Per assicurare l’ adeguata assistenza sanitaria in carcere i medici dell’istituto visitano giornalmente i detenuti, anche per evitare che lo sciopero della fame incida sulle condizioni di salute già precarie di qualche detenuto. Per questo le visite sono assicurate 24 ore su 24. Ogni attività all’interno del carcere, comunque è paralizzata e per alcuni aspetti, per lo meno quelli assicurati dal lavoro dei carcerati, tutto resta bloccato. La situazione comunque è tenuta sotto controllo, ma è chiaro che per quanto attiene alla polizia penitenziaria che lavora all’interno del carcere, i turni rinforzati hanno conseguentemente provocato carichi di lavoro maggiori su un organico che già stenta in condizioni di normalità. Licia Pastore Banca dati del Dna con codice genetico di arrestati e fermati
Repubblica, 19 aprile 2005
Favorisca il Dna. Chi viene arrestato o semplicemente fermato come indiziato di reato dovrà lasciare alle forze dell’ordine un campione del suo codice genetico. Sono queste infatti le disposizioni contenute nel progetto definitivo dell’Archivio Centrale dei profili del Dna che il comitato per le Biotecnologie e la Biosicurezza (Cnbb) ha approvato oggi a Palazzo Chigi. Il documento varato dal comitato presieduto dal professor Leonardo Santi contiene tutte le disposizioni che regolano i meccanismi di funzionamento di uno strumento che nei mesi scorsi molti investigatori, primo fra tutti il Procuratore Nazionale Antimafia, Pier Luigi Vigna, avevano chiesto a gran voce, ma sul quale si erano però concentrate le preoccupazioni del Garante della Privacy. Il gruppo di lavoro che ha lavorato sul progetto della Banca Dati del codice genetico, di cui fanno parte anche Giovanni Tinebra del Ministero di Grazia e Giustizia, il comandante del Ris di Parma, Luciano Garofano, e Aldo Spinella della Direzione Centrale Polizia Criminale, ha elaborato un regolamento che in appena nove articoli individua le categorie di persone alle quali sarà prelevato il Dna, le modalità di prelievo del campione biologico, i meccanismi di accesso e di controllo alle informazioni raccolte nell’archivio e, infine, le modalità per la cancellazione dei dati registrati. Nell’archivio, la cui gestione è affidata al Dipartimento della pubblica sicurezza, finiranno i profili genetici di coloro che sono sottoposti a misure di custodia cautelare in carcere, di quelli che sono stati arrestati in flagranza, delle persone sottoposte a fermo di indiziato di delitto, dei detenuti o internati "a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale, ai sensi dell’articolo 381 del codice di procedura penale o di altre disposizioni di legge, è consentito l’arresto in flagranza". Si tratta di un’ampia gamma di reati che comprendono quelli contro il patrimonio dello Stato, la riduzione in schiavitù e lo sfruttamento della prostituzione minorile. Il Dna che sarà archiviato però non conterrà informazioni di carattere generale. Anzi su questo punto i tecnici che hanno collaborato con il professor Santi per la stesura definitiva del progetto sono stati particolarmente chiari. "I dati raccolti - assicura Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Roma Tor Vergata - consentiranno solo ed esclusivamente l’identificazione del soggetto e non potranno essere utilizzate per conoscere altre informazioni come, per esempio, il suo stato di salute, il colore dei suoi capelli o della sua pelle". I profili del Dna, e i relativi campioni biologici, saranno archiviati per un periodo di 40 anni. Ma se nel frattempo si viene dichiarati innocenti o estranei all’inchiesta che ha portato all’archiviazione del proprio profilo genetico, si può chiedere la cancellazione dall’Archivio. Nel documento del Cnbb è stato anche individuato un comitato di esperti con poteri di controllo e ispettivi che dovrà vigilare sulla corretta gestione dell’archivio e che dovrà comunicare annualmente i suoi rapporti al governo. Per il momento però la Banca Dati del Dna resta solo un progetto. Per diventare operativa infatti la proposta deve essere adottata dal Consiglio dei ministri e trasformata in decreto. Intanto però il progetto verrà presentato ufficialmente a Padova venerdì prossimo nel corso di Bionova, la fiera delle biotecnologie. Emanuele Perugini Lazio: carceri in provincia mal servite dai mezzi pubblici
Garante regionale dei detenuti, 19 aprile 2005
I collegamenti pubblici fra Viterbo, Civitavecchia e Velletri e le carceri di queste città, costruite tutte lontano dal centro urbano, sono pochi e scarsamente funzionali. È quanto denuncia l’Ufficio del Garante regionale dei diritti dei detenuti, che nei mesi scorsi ha raccolto, all’interno dei tre istituti, diverse segnalazioni e lamentele in tal senso. Raccogliendo le segnalazioni non solo detenuti ma anche degli agenti di polizia penitenziaria e di quanti lavorano negli istituti l’Ufficio del Garante ha tracciato una sorta di mappa del disagio. Un disagio che è stato definito "enorme" non solo per la polizia penitenziaria, ma soprattutto per i parenti dei reclusi che spesso sono costretti a portare pacchi anche grandi di generi alimentari ed indumenti per i reclusi o a piedi o pagando prezzi altissimi per le speculazioni dei tassisti. "In carcere si sta male non solo perché si è in tanti - ha detto il Garante regionale dei diritti del detenuti Angiolo Marroni - ma anche per questo tipo di problematica. Le difficoltà dei collegamenti danneggiano non solo i detenuti ma anche tutti gli altri che lavorano in carcere. Se ci sono difficoltà per arrivare al carcere queste ricadranno sui parenti, sui secondini e su coloro che svolgono attività di volontariato all’interno. Insomma, anche un bus che passa in ritardo o a orari impossibili può rendere difficile il reinserimento sociale dei detenuti". Il Garante Regionale dei detenuti ha preannunciato l?invio di una lettera ai sindaci di Viterbo, Civitavecchia e Velletri per esortarli a collaborare alla risoluzione di questo problema. Nuoro: detenuti Mamone ufficiali di gara in campionato rally
L’Unione Sarda, 19 aprile 2005
Probabilmente è la prima volta nella storia che un avvenimento sportivo di livello mondiale varca il confine di un carcere. E che i detenuti collaborano direttamente alla riuscita dell’avvenimento in veste ufficiale. Accadrà venerdì 29 aprile nella colonia penale di Mamone, al confine fra i territori di Bitti e di Onanì, da dove partirà una delle prove speciali della prova di campionato mondiale rally "Supermag Italia - Sardinia 2005". Un avvenimento ripreso da 196 televisioni che trasmetteranno le immagini di questa straordinaria operazione di solidarietà il 180 Paesi in tutto il mondo. Una settimana fa venti detenuti hanno partecipato ad un corso di formazione per ufficiali di gara e quindi saranno a fianco dei commissari "veri" per aiutarli ma anche per imparare un mestiere che potrebbe aiutarli a percorrere più in fretta la strada della riabilitazione. La carovana del rally mondiale (una cinquantina di auto, seguite da decine di campioni e da centinaia di meccanici) partirà per la prima prova speciale da Buddusò il 29 mattina. Da qui, attraverso gli sterrati della bellissima foresta di Crastazza, raggiungeranno Mamone. All’interno della colonia penale verrà allestito il parco chiuso per le verifiche tecniche e i necessari interventi meccanici. Quindi partirà la seconda prova speciale, che per tre chilometri si snoderà all’interno del perimetro della colonia penale mentre gli altri quindici sono compresi nel territorio comunale di Onanì. Un’occasione straordinaria per questa parte poco conosciuta della Sardegna, che potrebbe fornire opportunità finora sconosciute a questo territorio e a tutte le zone interne. Gran parte del merito di questa efficace operazione mediatica va senza dubbio al direttore dell’istituto Vincenzo Alastra, che già si era distinto in passato per le iniziative di socializzazione a favore dei detenuti (una volta li ha persino inviati senza scorta a visitare i musei ed il centro commerciale a Nuoro) e che ha affrontato un duro braccio di ferro col Ministero per riuscire a strappare l’autorizzazione. Un ruolo importante lo ha avuto anche la Provincia, nella cui sede ieri mattina è stata presentata l’iniziativa. Ad illustrare il ruolo dell’amministrazione c’erano il presidente Francesco Licheri ("È un’occasione unica per far conoscere questo territorio nei circuiti internazionali più importanti") e l’assessore all’ambiente Rocco Celentano, che è stato il più convinto sostenitore dell’operazione. Insieme a Loro il presidente dell’Aci Nuoro Mauro Nivola, il patron del rally Pasquale Lattuneddu e Simo Lampinen, stimato direttore di gara e innamorato della Sardegna fin dai tempi in cui, con la Lancia, correva le prime edizione del rally della Costa Smeralda. Lattuneddu, che si definisce "un sardo che vive fuori ma che vuole dare un contributo significativo alla sua terra", ha sottolineato i risvolti positivi della manifestazione. "La pubblicità che farà il rally a questo territorio - ha detto - vale una cifra che nessuno potrebbe pagare. Anche se noi sardi siamo convinti del contrario, tanta gente nel mondo ignora la bellezza delle nostre spiagge e delle nostre zone interne. Per questa manifestazione verranno qui migliaia di persone che non c’erano mai state. Molte di loro, ne sono sicuro, prenoteranno una vacanza estiva". Lo scorso anno, ha rivelato Lattuneddu, nei giorni della gara l’aeroporto di Alghero ha registrato un aumento di passeggeri del 27 per cento, quello di Olbia del 14. Sono arrivare 35 mila persone in un periodo, primi di ottobre, poco favorevole per il turismo. Quest’anno faremo sicuramente meglio". Quest’anno la data del rally potrebbe rappresentare l’apertura ufficiale della stagione turistica, dato che, fra una cosa e l’altra, migliaia di persone, fra membri dell’organizzazione e tifosi, soggiorneranno in Sardegna per un periodo minimo di tre giorni ma che potrebbe arrivare fino ai dieci giorni. Con ricadute positive sull’intera economia, zone interne comprese. (a.a.) Nuoro: condannati che cercano di trovare un posto nella società
L’Unione Sarda, 19 aprile 2005
Non sono fuggiti dalla colonia penale di Isili l’altro giorno durante la corsa campestre, non scapperanno a fine mese da Mamone quando vestiranno addirittura i panni dei commissari di gara di una prova del campionato mondiale rally. Si parla di detenuti, non sembri strano. Gli stessi carcerati che tre mesi fa hanno rinunciato ai giorni di permesso per correre a Galtellì in aiuto alle popolazioni colpite dall’alluvione o, faccia della stessa dolorosa medaglia, alternano nell’ex prigione di massima sicurezza di Badu ‘e Carros senza poter lavorare l’attesa dell’ora d’aria a una sporadica conferenza-concerto. Tra la Grazia e la Giustizia, divise e unite dalle insegne ministeriali della Repubblica Italiana, la provincia di Nuoro sconta troppe contraddizioni. Perché a Badu ‘e Carros, i sindacati tornano in piazza per denunciare i mali di sempre (poche guardie, trasferimenti in massa dalle prigioni di oltre Tirreno, sovraffollamento nelle celle), e in quelle che un tempo erano bollate come colonie penali si portano avanti discorsi educativi di avanguardia. Come a Mamone, penitenziario costruito tra le campagne di Bitti e Onanì, che ospita circa 170 condannati con una percentuale di extracomunitari vicina al settanta per cento. Qui, anche per merito di un direttore (Vincenzo Alastra) proveniente dal volontariato e quindi attento agli apporti esterni disinteressati, è tornato miracolosamente a battere il cuore dell’entusiasmo. Perché, tra uno spuntino e una partita di calcio, ha avuto un successo incredibile la campagna di donazione dei libri per la biblioteca e perché, nei conti interni, finalmente si è tornati all’autosufficienza nella produzione del foraggio per gli animali allevati. Ma Mamone sperimenta, e non sembri un piccolo risultato, quanto la tecnologia può diventare vitale per le zone interne. Grazie a un progetto di telemedicina attivato anche a Porto Azzurro, Favignana, Gorgona e nella sarda Is Arenas, alcune settimane fa sono state evitate le conseguenze di una nevicata che ha isolato anche la colonia all’aperto. Il medico del carcere, collegato con gli specialisti dell’ospedale San Raffaele di Milano, ha consentito al paziente di superare l’emergenza in attesa del trasferimento in ospedale. Anche questa si chiama libertà. Lodi: i diritti dei detenuti in uno spettacolo per gli studenti
Il Cittadino, 19 aprile 2005
Organizzato dall’associazione Il Bivacco con il Ciessevi (Centro di servizio per il volontariato per la provincia di Milano) e le associazioni "Ciao...un ponte tra carcere famiglia e territorio" e "Casa della carità Beata Veronica", domani, alle 20.45, nella sala delle Battaglie del castello Mediceo, è previsto uno spettacolo teatrale dal titolo "Clitemnestra o del crimine". Si tratta di uno spettacolo del Teatro dell’Incontro e Napagu, con protagonista Patrizia Sacchelli e regia di Tarcisio Raimondi, rivolto agli studenti di Benini e Piero della Francesca, che giunge al termine di un progetto di sensibilizzazione avente come filo conduttore proprio la vita in carcere condotto in questi mesi dal Bivacco, associazione che dal 1989 si adopera per la risocializzazione dei detenuti. Cuba: in una rivolta in carcere sono morti tre detenuti
Ansa, 19 aprile 2005
L’opposizione cubana ha denunciato la morte di tre detenuti nel corso di una rivolta in carcere soffocata nel sangue dalla polizia.Secondo Elizardo Sanchez, presidente della Commissione per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, 3 detenuti nel carcere di Combinado del Este, alla periferia dell’Avana, sono morti in seguito alle percosse degli agenti. La settimana scorsa, Sanchez aveva denunciato la morte di Fredy Ibanez Blanco, 33 anni. Usa: le esecuzioni finiscono sul banco degli imputati
Vita, 19 aprile 2005
Le esecuzioni finiscono sul banco degli imputati negli Usa, con un’accusa da film horror: nuove ricerche scientifiche sostengono che chi muore d’iniezione letale può essere cosciente fino all’ultimo, anche se paralizzato, sul lettino del boia. Una corte del Kentucky ha cominciato ad analizzare oggi i dubbi che esistono sugli anestetici utilizzati nella camera della morte, nel tentativo di stabilire se la pena capitale sia o meno in regola con la Costituzione, che vieta punizioni crudeli. A sostegno degli avvocati di due detenuti del Kentucky che cercano di evitare l’esecuzione, sono arrivati nei giorni scorsi i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista medica britannica Lancet. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Miami ha analizzato le autopsie di 49 detenuti morti di iniezione letale in quattro dei 37 stati degli Usa che utilizzano questo metodo. Secondo gli scienziati, in 43 casi la concentrazione nel sangue delle sostanze utilizzate per l’anestesia sarebbe stata inferiore a quella richiesta in una normale sala operatoria. In 21 di questi casi, ci sarebbe stato così poco anestetico che nel caso di un intervento chirurgico, il paziente sarebbe stato in grado di rispondere a comandi verbali. Visto che nelle esecuzioni viene utilizzata anche una sostanza che serve per paralizzare il detenuto, secondo lo studio di Lancet è plausibile pensare che ci siano stati casi di detenuti morti mentre erano pienamente coscienti, ma incapaci di comunicare. La teoria non è nuova e dal 1988 almeno 17 tra stati e corti federali hanno respinto richieste dei difensori di giudicare crudele e incostituzionale la pena di morte. Ma i nuovi studi, secondo gli esperti, sarebbero i più approfonditi fatti fino adora e sembrano offrire nuove armi in particolare agli avvocati di Ralph Baze e Thomas Clyde, i due detenuti del Kentucky che cercano di sfuggire al boia ricorrendo alla scienza. L’esito del processo in Kentucky, quale che sia, arriverà troppo tardi per altri due detenuti che in Texas dovrebbero morire uno dopo l’altro nella stessa sera, in una rara duplice esecuzione. Il primo a sdraiarsi sul lettino nel carcere texano di Huntsville sarà Douglas Roberts, 42 anni, condannato per il sequestro e l’omicidio di un uomo nel 1996. Dopo di lui, toccherà al ventiseienne Milton Mathis, colpevole di aver ucciso due uomini e ferito una ragazzina di 15 anni nel 1998. L’articolo di Lancet è entrato a far parte del fascicolo processuale a Frankfort, in Kentucky, che già si basava su studi compiuti sull’autopsia eseguita dopo la morte di Edward Harper, l’ultima persona giustiziata nello stato nel 1999. I legali di Baze e Clyde stanno cercando di seguire un approccio al problema delle esecuzioni crudeli diverso da un recente caso giudiziario del Tennessee, nel quale sotto accusa era stato messo il bromuro di pancuronium, la seconda delle tre sostanze che vengono iniettate ai condannati a morte: si tratta di un paralizzante, che precede l’arrivo nelle vene del cloruro di potassio, incaricato di provocare l’arresto cardiaco fatale. Nella causa in Kentucky, così come nello studio pubblicato da Lancet, l’attenzione si è invece concentrata sul primo liquido dell’iniezione, il sodio tiopentale, un barbiturico che serve a far perdere conoscenza al condannato. "Sappiamo che occorre una certa quantità di questa sostanza nel sangue per addormentarsi - ha spiegato il dottor David Lubarsky, uno degli anestesisti di Miami che ha firmato lo studio - e quando abbiamo misurato la concentrazione di questo farmaco nel sangue poco dopo che la persona era stata uccisa, abbiamo visto che non era abbastanza". La tesi dell’equipe della Florida viene contestata da altri esperti in anestesia come Mark Dershwitz, dell’Università del Massachusetts, che ha deposto in questi anni in vari processi per sostenere che l’iniezione letale è ‘sicurà dal punto di vista dei diritti del detenuto. A suo avviso, le quantità sono sufficienti per garantire la perdita di coscienza per più dei 10 minuti necessari normalmente per l’iniezione letale. L’autopsia di Harper presentata ai giudici del Kentucky, però, suggerirebbe uno scenario diverso: 12 minuti di terrore nel corso dei quali l’uomo, paralizzato, sarebbe stato cosciente di tutto per avere ricevuto una dose di anestetico assai inferiore a quella ritenuta sufficiente ad addormentare una persona con il suo peso corporeo e le sue condizioni fisiche. Giustizia: per consulenze esterne indagati tre ultimi ministri
Corriere della Sera, 19 aprile 2005
Indagati a Roma il ministro della Giustizia Roberto Castelli, i suoi predecessori Piero Fassino e Oliviero Diliberto, i sottosegretari Michele Vietti, Jole Santelli e Giuseppe Valentino e altre 39 persone tra magistrati, funzionari e direttori di ufficio e capi dipartimento del ministero della Giustizia. L'inchiesta romana si riferisce a consulenze esterne del dicastero. Il fascicolo ora verrà inviato al Tribunale dei ministri. Vicenza: Aziz aspetta una risposta, un atto di giustizia sociale
Giornale di Vicenza, 19 aprile 2005
Aziz è un nordafricano, dalla pelle nocciola ed i capelli crespi, ha 32 anni, da circa 7 è in Italia, gli ultimi 3 anni li ha trascorsi in carcere per droga. Il fine pena è previsto per metà del 2007. Per tanti come lui l’Italia è ormai un luogo di passaggio, quando avrà pagato il suo debito con la Giustizia verrà espulso, rispedito al suo Paese. Nonostante tutto per chi fugge dalla fame e dalla guerra, la galera è ancora un posto migliore, con vitto ed alloggio garantiti (a spese del contribuente), ma la privazione della libertà resta, comunque, un prezzo salato da pagare. Aziz è nella stanza spoglia del parlatorio che parla con il suo avvocato. "Ora che è morto il Papa ci sarà un’amnistia? Potrò tornare a casa o avere uno sconto di pena?" chiede in un italiano quasi perfetto, integrato. L’avvocato lo guarda accigliato e non nasconde il suo disappunto per tale domanda. La morte del Santo Padre ha rappresentato per noi tutti un grave lutto ed ora questo straniero, insensibile al dolore dei tanti, chiede se da ciò gli deriverà qualche vantaggio. Che domanda è mai questa? Così cinica, irrispettosa, ferisce i nostri cuori come se fosse un atto di vile sciacallaggio. Eppure Aziz è in buona fede. Da sempre il popolo dei miserabili attende perdono e grazia in occasione della morte o elezione di un Papa, della nascita o incoronazione di un Re. La storia scritta dai grandi, elargisce una tantum queste piccole concessioni affinché la memoria degli eletti si tramandi tra le piccole genti. Al termine della seconda guerra mondiale, dopo la dipartita dei Savoia e la nascita della Repubblica, l’80% dei crimini di guerra, da chiunque fossero stati commessi, vennero graziati. Con la grazia si celebrava la vittoria e soprattutto la pace riacquistata. E la grazia, l’indulto e l’amnistia da allora furono riproposte periodicamente per motivi non solo celebrativi, ma spesso degni sotto il profilo dell’etica sociale, del perdono, ed anche del decongestionamento di una situazione carceraria di grave ed inutile sovraffollamento; provvedimenti necessari a favorire il reinserimento dei condannati per reati minori o di coloro parcheggiati in una lunga detenzione. Forse se ne fece, talvolta, anche un uso troppo libero, ma al contrario, ora, il disuso sta diventando un problema. L’ultimo provvedimento di vero indulto o amnistia risale al 1990, per i reati commessi fino all’ottobre 1989, dopo il vuoto, anzi la rivoluzione di mani pulite, con la concorde opinione di legulei e sinedriti che chi aveva rubato la galera doveva farla tutta, senza sconti. Ed invece in galera rimasero sempre e solo loro (salvo qualche rara eccezione), quelli che non avevano niente a che vedere con le cordate dei finanzieri corrotti. Poi il 12 novembre 2002 accadde un fatto straordinario, Karol Wojtyla, uno straniero, il Papa di tutti, si recò in Parlamento e qui rivolto agli uomini di Governo, ribadì, parlando dei detenuti, la necessità di un atto di clemenza. Una richiesta che assumeva il valore di una denuncia per l’ingiustizia subita dai più deboli, obbligati ad espiare quanto altolocati responsabili non avrebbero mai patito. Ma non vi furono amnistie … solo le solite polemiche e comode amnesie. È vero che per accontentare il Santo Padre ci fu il cosiddetto "indultino", una sorta di penitenza senza confessione, un provvedimento indefinibile sul piano giuridico nonostante la sua veste vezzosa. Ma ora che ogni parola ed ogni gesto reso in vita da Giovanni Paolo II assume per tanti il significato di un’eredità morale, è bene che chi nei palchi d’onore ha partecipato commosso (così sembrava) alle sue esequie solenni, dia un concreto tributo alle sue volontà. Aziz in fondo - senza saperlo spiegare - non fa altro che ribadire quanto era stato chiesto per tanti come lui dal Papa. Aziz aspetta ora una risposta dal suo avvocato. "Forse… speriamo" risponde il legale con ritrovata serenità, non sapendo al momento che altro dire.
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