Rassegna stampa 15 aprile

 

Como: detenuti in sciopero della fame pro amnistia e indulto

 

La Provincia di Como, 15 aprile 2005

 

Continua senza sosta anche all’interno delle carceri italiane la battaglia per l’amnistia e l’indulto: da oggi i detenuti della casa circondariale comasca del Bassone - esclusi quelli che versano in gravi condizioni di salute - cominciano uno sciopero della fame a oltranza annunciato ieri da un documento comune. Niente cibo da dentro e fuori la struttura, permessi solo acqua, zucchero e sigarette, richiesto il controllo giornaliero del peso e della pressione per ogni persona che aderisce all’iniziativa. In uno stile radical-pannelliano, mai prima di ieri uno sciopero della fame al Bassone era stato annunciato con modalità così categoriche.

Del resto, il riferimento a Marco Pannella è palese: "... alla veneranda età di 75 anni non ha esitato un attimo e sfruttando una congiuntura favorevole ha messo in atto uno sciopero della fame e della sete per spingere i "Signori di palazzo" a varare un provvedimento di clemenza che ormai da 15 anni ci viene negato" scrivono i detenuti comaschi. Che, peraltro, non nascondono un certo pessimismo nel raggiungimento dell’obiettivo: "Dopo un primo momento in cui sembrava che la discussione stesse andando nella giusta direzione, tutto sembra essersi arenato.

I partiti politici, come al solito, vogliono trasformare un provvedimento che appare sacrosanto in un teatrino orchestrato sulla pelle dei detenuti dove ognuno tira l’acqua al suo mulino. E noi che siamo i diretti interessati sembriamo non avere voce in capitolo. Nelle carceri italiane poco o niente si sta muovendo: perché?

Non lasciamo che siano sempre gli altri a decidere per noi". I detenuti del Bassone si sono confrontati e hanno deciso di agire: "È giunto il momento di darsi da fare, facciamo sentire la nostra voce. Solo così possiamo riuscire a riaprire una discussione che questa volta non può e non deve cadere nel vuoto. Non possiamo permettere che ancora una volta le nostre speranze siano vanificate da chi ha a cuore soltanto il proprio interesse.

Non possiamo vedere i nostri diritti calpestati dal giustizialismo ideologico che impera nelle prese di posizione di fazioni forcaiole che parlano di certezza della pena disconoscendo il significato stesso della parola giustizia". Conclude il documento dei detenuti: "In questo momento delicato è fondamentale non abbassare la guardia, ma raddoppiare i nostri sforzi perché in mezzo a questo caos creatosi tra prese di posizione e repentine marce indietro solo una cosa ci appare in modo chiaro: ora o mai più". Dopo la sovrappopolazione, i problemi sanitari e strutturali, i disagi della polizia penitenziaria, scatta ora un nuovo test per il carcere comasco. Andrea Cavalcanti

Amnistia: senatore di An Bonatesta esprime posizione contraria

 

Tuscia Web, 15 aprile 2005

 

"Dico no all’amnistia, all’indulto e alle misure di cosiddetta clemenza, che mi appaiono vane e foriere di conseguenze socialmente preoccupanti. A mio avviso, non si possono prendere provvedimenti del genere senza prima aver ascoltato il territorio, il quale è fermamente contrario. Invito pertanto AN e la Cdl a riflettere sul monito che ci è arrivato dal risultato delle elezioni regionali, evitando di allargare ulteriormente la distanza che in questo momento esiste tra gli elettori di Centrodestra e il Centrodestra". Lo dichiara il senatore Michele Bonatesta, della direzione nazionale di AN.

"La mia contrarietà ai gesti di cosiddetta clemenza - spiega Bonatesta - è motivata dall’esigenza di essere fedele a quelle che sono sempre state le posizioni della Destra a tutela della legge e dell’ordine, dalla necessità di garantire la certezza della pena e dall’esigenza di assicurare che chi ha contratto un debito con la società lo paghi, ma anche e soprattutto dal bisogno di essere coerente con la mia coscienza e con quelle che, da sempre, sono state le mie scelte di vita a favore della sicurezza dei cittadini e della legalità.

Secondo me - continua l’esponente di AN - tali provvedimenti, avendo un carattere esclusivamente congiunturale e non affrontando il problema alla radice, sarebbero vani dal punto di vista del sovraffollamento delle carceri: tra poco tempo ci ritroveremmo di nuovo con le galere che scoppiano e allora torneremmo ad invocare un’altra amnistia? Servono piuttosto interventi strutturali, come la costruzione di nuovi istituti di pena".

"Ma atti di cosiddetta clemenza, a mio giudizio, - aggiunge il senatore - sarebbero anche nocivi sotto il profilo sociale, perché far uscire così tanti delinquenti tutti insieme metterebbe a repentaglio l’ordine pubblico. Svuotando le carceri aumenterebbe la criminalità, soprattutto quella "micro" che poi tanto "micro" non è perché sono proprio reati come lo scippo o il furto in appartamento, per fare un esempio, a toccare più da vicino i cittadini e a ingenerare forte allarme sociale. È evidente, infatti, che i detenuti che uscirebbero non avrebbero altro mezzo per sopravvivere che tornare a delinquere.

Dunque diminuirebbe sensibilmente la sicurezza delle persone, le quali perderebbero ulteriormente fiducia nella giustizia e nelle istituzioni. Il mio no a queste misure, pertanto, - sottolinea Bonatesta - è espresso in primo luogo per rispetto delle vittime dei reati, che con provvedimenti svuota-carceri vedrebbero aggiungersi la beffa al danno che hanno subito. Credo che a loro per primi bisogna pensare e all’esigenza di rendere loro giustizia. Ma la mia contrarietà a gesti di cosiddetta clemenza muove anche dal rispetto per le forze dell’ordine, per il loro lavoro, per il rischio che corrono ogni giorno questi servitori dello Stato per assicurare alla giustizia i criminali.

E che davvero non meritano di rivederli circolare liberamente dopo aver fatto tanto per arrestarli. Prima di preoccuparsi delle condizioni dei detenuti, poi, - conclude Bonatesta - ci si preoccupi delle condizioni in cui sono costretti a lavorare gli agenti penitenziari: loro non hanno fatto nulla per meritarsi una pena, ma la devono subire lo stesso". "Non è con l’amnistia che si risolve il problema delle condizioni di vita nelle carceri". A sostenerlo è il Presidente provinciale di Alleanza Nazionale, sen. Michele Bonatesta, in una lettera inviata al ministro Castelli.

"Sono assolutamente contrario a qualsiasi ipotesi di amnistia, della quale si sta tornando a parlare in questi giorni, come possibile rimedio al sovraffollamento e alle precarie condizioni di vita all’interno delle carceri. Non è in questo modo che si risolvono i problemi dei detenuti, ma soprattutto non è questo il rimedio giusto per rendere meno gravoso e più sicuro il lavoro degli agenti di Polizia Penitenziaria". È quanto sostiene il Presidente della Federazione provinciale di Alleanza Nazionale, sen. Michele Bonatesta, in una lettera inviata oggi, a nome del partito, al ministro di Grazie e Giustizia, on. Castelli.

Prendendo ad esempio l’esperienza del carcere viterbese di Mammagialla, che ospita, tra gli altri, detenuti reclusi secondo le prescrizioni dell’ex 41 bis, il parlamentare di An nega qualsiasi beneficio che possa derivare da provvedimenti di clemenza motivati esclusivamente da ragioni di ordine pratico. "Abbiamo già avuto una esperienza negativa dal cosiddetto "indultino", che non ha avuto alcun beneficio né sulla vivibilità del penitenziario di Viterbo, come del resto in nessun altro carcere italiano, né sulle condizioni di lavoro degli agenti di Polizia Penitenziaria che ci operano - ha proseguito il sen. Bonatesta, nella lettera rivolta al Guardasigilli - gli italiani, tra l’altro, non vogliono amnistie, ma certezza della pena, pene giuste per chi si fa carico di debiti nei confronti della società, e garanzie per la propria sicurezza e incolumità.

Altro discorso è la necessità di migliorare le condizioni di vita all’interno delle carceri, nel rispetto della dignità dei detenuti, ma anche a tutela della qualità del lavoro degli agenti di Polizia Penitenziaria, ai quali vanno date le necessarie garanzie. A questo proposito occorre ricordare che i gravi problemi di organico a suo tempo esistenti a Mammagialla si riproporranno con l’entrata in funzione della nuova struttura di Belcolle - mette in guardia il parlamentare nella lettera al ministro Castelli - servirà dunque un concomitante potenziamento dell’organico della casa di reclusione viterbese. È questa l’ulteriore conferma che l’amnistia non risolve nessuno dei problemi sul tappeto" ha concluso il sen. Bonatesta.

Usa: indagine in Texas e Virginia; iniezione letale troppo crudele

 

Corriere della Sera, 15 aprile 2005

 

Ricerca dei ricercatori dell’università di Miami: procedure non regolari. Presa di posizione del Lancet: pena capitale da cancellare. La procedura seguita negli istituti penitenziari americani che applicano la pena di morte per iniezione letale infligge sofferenze e dolori atroci ai condannati e per questo dovrebbe essere subito sospesa. Lo sostiene un gruppo di ricercatori dell’istituto di Medicina Miller dell’Università di Miami, secondo cui il modo in cui vengono praticate le iniezioni non è in linea neppure con gli standard utilizzati dai veterinari per la soppressione degli animali.

La questione è stata affrontata e divulgata con un articolo pubblicato dall’autorevole rivista scientifica The Lancet, in cui il dottor Leonidas Koniaris parla di "difetti nel protocollo" di somministrazione del veleno. Questo avrebbe avuto come conseguenza "sofferenze inutili, almeno in alcuni casi". E dunque "per prevenire crudeltà e sofferenze inutili è necessaria un’interruzione e un riesame pubblico della pratica". Il lettino per le iniezioni letali nel penitenziario di Florence, in Arizona.

Prima dell’iniezione del veleno che ne provocherà la morte per soffocamento, al condannato a morte viene oggi praticata un’anestesia per ridurre al minimo il dolore fisico che altrimenti risulterebbe particolarmente devastante. Esaminando i protocolli seguiti nelle carceri del Texas e della Virginia, dove si esegue il 45 per cento delle pene capitali, Koniaris e i suoi colleghi hanno scoperto che le cose non vanno come dovrebbero. Intanto non c’è nessun tipo di monitoraggio dell’anestesia, poi gli infermieri che la praticano non hanno una specializzazione e sui corpi dei detenuti non verrebbe effettuata l’autopsia per verificare come sia avvenuta la morte.

Esaminando i dati degli esami post-mortem compiuti sul sangue di 49 carcerati uccisi in Arizona, Georgia, e nella Carolina del Nord e del Sud, altri stati dove la pena capitale con iniezione letale è in vigore, i ricercatori hanno trovato in 43 casi una dose di anestetico inferiore a quella normalmente usata per gli interventi chirurgici. In 21 casi, la concentrazione era tale da far dire che i prigionieri potevano essere coscienti quando è stato iniettato loro il veleno. "È possibile che alcuni fossero del tutto svegli", ha confermato Koniaris, e dunque hanno dovuto sopportare impotenti, senza muoversi e respirare, mentre il cianuro di potassio bruciava nelle vene.

La rivista ha preso anche posizione contro l’istituto della messa a morte dei detenuti. "La pena capitale non è solo un’atrocità - si legge in un editoriale che accompagna la ricerca -, ma anche una macchia nella fedina della più potente democrazia del mondo". Dal 1976, data di reintroduzione della pena di morte in alcuni stati Usa, l’iniezione letale è stata utilizzata negli Stati Uniti in 788 esecuzioni su 956 effettuate.

Catania: detenute poetesse nel carcere di Piazza Lanza

 

La Sicilia, 15 aprile 2005

 

Nel pomeriggio di oggi, alle ore 15,30, le detenute nella casa circondariale di piazza Lanza daranno vita alla manifestazione finale del laboratorio di poesia nella sezione femminile della casa di pena. Sarà presente il direttore della struttura carceraria Rosario Tortorella, riconoscendo l’importanza degli obiettivi dell’iniziativa, in linea con le principali finalità istituzionali e con producenti criteri di gestione del tempo detentivo. Sono stati anche invitati il direttore del Csa Garofalo, il presidente del Tribunale di sorveglianza Puglisi, il magistrato di sorveglianza Meli e un pubblico composto da operatori penitenziari, tirocinanti, assistenti volontari, presidi e docenti della scuola elementare e media.

Il laboratorio, organizzato dall’educatore Fedele, è stato animato dal signor Carmelo Salomone, insegnante di scuola elementare in servizio presso la struttura facente capo all’istituto professionale alberghiero e ristorazione di Catania. L’animatore ha articolato un programma di guida alla lettura poetica e di creazione di brevi componimenti poetici.

Le detenute protagoniste di questa iniziativa daranno vita alla recita degli stessi componimenti. Nella fase conclusa della manifestazione le detenute autrici dei testi saranno premiate per l’impegno e la frequenza del laboratorio con attestati consegnati dal presidente dell’istituto professionale alberghiero, professor Lorenzo Zingali.

Isili (Nu): detenuti, agenti e magistrati alla corsa campestre

 

L’Unione Sarda, 15 aprile 2005

 

La casa di reclusione all’aperto di Isili si apre al territorio. Non più soltanto un carcere, ma una realtà viva e attiva. Domani alle 16,30 sarà teatro della prima edizione del Trofeo di corsa campestre "Elpìdos Dròmos", aperto ai detenuti dell’istituto, a tutti gli atleti tesserati alla Fidal per il 2005 e agli Enti di promozione. La manifestazione di atletica leggera, che è a carattere regionale, è organizzata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dal Coni e dalla Federazione italiana di atletica leggera.

C’è poi il patrocinio del Comune di Isili e della 13ª Comunità Montana Sarcidano Barbagia di Seulo Ai partecipanti verranno distribuiti depliants, itinerari turistici e libri di autori della zona. Il programma della serata prevede una corsa competitiva di 5 chilometri per le categorie allievi/e, junior, promesse, senior, amatori, master m/f e una non competitiva di 2,5 km aperta a tutti, quindi anche ai detenuti. Il ritrovo delle giurie e dei concorrenti è previsto alle 15.30.

Verranno premiati i primi tre di ogni categoria con trofei, medaglie e libri di poesia e archeologia relativi alla zona. Dunque, detenuti, magistrati, agenti di polizia per la prima volta insieme per promuovere una realtà che sta iniziando ad aprirsi all’esterno. "Tutto questo si inserisce - spiega il direttore dell’istituto, Marco Porcu - nella realizzazione dei fini dell’ordinamento penitenziario, tra i quali è fondamentale quello della valorizzazione della dimensione sportiva come opportunità di socialità e di allentamento delle tensioni prodotte dalla condizione detentiva".

La manifestazione si inserisce fra quegli elementi di trattamento già attivi nell’istituto che sono il lavoro, l’istruzione, la religione, i rapporti con la famiglia e i contatti con il mondo esterno. Il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Francesco Massidda e il rappresentante regionale del Coni Gianfranco Fara sottoscriveranno la convenzione di attuazione, a livello regionale, del protocollo d’intesa nazionale tra il ministero della Giustizia e il Coni. Sonia Gioia

Immigrazione: Bologna, cronache da un territorio in guerra

 

Progetto Melting Pot, 15 aprile 2005

 

A Bologna esistono luoghi nascosti dell’emarginazione, dell’esclusione, della privazione dei diritti di cittadinanza. Sono veri e propri suburbs nei quali decine di precari trovano rifugio per trascorrere la notte in baracche, senza alcuna assistenza. Una di queste periferie è il lungo Reno a Borgo Panigale, sulle cui rive risiedono molti cittadini dell’est europeo.

Il maltempo dello scorso fine settimana ha ingrossato le acque del Reno e nella notte di domenica le famiglie hanno avuto paura di essere travolte. Paura di morire. Questi cittadini hanno fatto la cosa più normale: hanno telefonato ai Vigili del Fuoco per chiedere aiuto. Invece dell’aiuto sono arrivati plotoni di Vigili Urbani dipendenti del Comune di Bologna, il cui Sindaco ha già bonificato la zona e Carabinieri che hanno rastrellato le rive del fiume deportando 9 persone al Centro di Permanenza Temporanea.

Invece dell’aiuto è arrivata la carcerizzazione: non c’è stata alcuna risposta per questi cittadini che chiedevano diritti, di uscire dalla clandestinità, che hanno messo in gioco tutto per migrare, sognare un vita migliore per sé e per la propria famiglia.

Invece di diritti carcere e clandestinità. I 9 uomini tradotti al CPT lavoravano nei cantieri edili della nostra città, in nero ovviamente. Sono stati sfruttati da padroni e padroncini che speculano sulla pelle di questi nomadi precari. In breve: quando non basta la maledetta legge 30 e la ricattabilità del precariato migrante permessa dalla legge Bossi Fini i padroni si collocano sul terreno feudale del lavoro nero. Mercoledì abbiamo portato all’attenzione della città e dei movimenti quanto accaduto facendo un presidio in via Mattei, anche per comunicare a tutti i reclusi che non sono soli, che le loro parole superano qualunque muro.

In questi giorni abbiamo mantenuto un contatto con questi fratelli che sono immediatamente entrati in sciopero della fame, allacciandosi al percorso di resistenza inaugurato dai migranti deportati al CPT di via Corelli, espulsi con un volo di linea Alitalia.

Questa mattina siamo tornati al CPT per presidiare l’udienza di convalida nel corso della quale uno solo degli 9 giudicati è stato liberato per un vizio di forma nell’arresto. La libertà di un precario è dipesa solo dal fatto che è arrivato in Italia da pochissime ore per cui non ha neppure potuto effettuare la domanda di permesso di soggiorno. Quando i legali hanno sollevato l’obbiezione che le retate e le espulsioni collettive sono vietate dalla Costituzione di questo paese e dalle Convenzioni internazionali sui diritti umani il giudice ha risposto loro che "questi sono argomenti politici e non giudiridici", convalidando l’arresto. Abbiamo potuto vedere l’insubordinazione degli altri detenuti che sono usciti dalle celle, hanno fatto un’assemblea nel corso della quale hanno discusso ed approvato un appello che parla a noi ed a tutti i cittadini con parole semplici, ma che indicano l’impossibilità ad accettare un mondo nel quale il comando informa ogni relazione sociale a mezzo della guerra. Per questo abbiamo scritto che non ha alcun senso il dibattito su violenza e non violenza, che è solo un alibi per chi ha deciso di non vedere come la guerra impone ai movimenti un piano di diserzione che è il boicottaggio ed il sabotaggio delle agenzie di guerra. A volte esso è solo un alibi per dissociarsi da pratiche mi movimento come fa fatto l’ARCI nazionale e Rifondazione di Modena.

Gli operatori della Misericordia, sanzionata dai movimenti durante le grandi giornate europee del 1 e 2 aprile, hanno accompagnato il reparto Mobile in una ronda interna, fatta manganelli alla mano nelle celle e negli spazi comuni in rivolta per costringere i migranti a ritornare in silenzio nell’invisibilità.

Abbiamo scoperto che viene detto loro di compilare un modulo per la richiesta di colloquio con i propri familiari e che questo non viene neppure esaminato. Ad un migrante che ha chiesto formalmente di poter incontrare una nostra compagna gli è stato detto che la richiesta sarebbe stata accolta, mentre l’unica via per ottenere l’incontro è una domanda presentata per iscritto in Prefettura. Ma questo è un altro capitolo di questo maledetto racconto. Siamo andati in Prefettura dove ci è stato detto che non c’è nessuna garanzia che la domanda venga accolta, che l’approvazione è soggetta alla discrezionalità del Prefetto e che entro le prossime due settimane ci farà sapere la risposta. Due settimane: il tempo del rimpatrio. Nei prossimi giorni verrà effettuata l’espulsione collettiva dei migranti: per essa si attiveranno ulteriori anelli della catena delle deportazioni, ulteriori business di guerra.

Tutto questo racconto si svolge senza che vi sia stato l’intervento della Giunta Comunale, silente e pertanto complice della presenza operativa di un carcere etnico nel nostro territorio, nascosta dietro la giustificazione che loro non possono fare nulla, che non è colpa loro se esistono regimi di sfruttamento feudale del capitale sul lavoro e se il lavoro nero è pratica diffusa. Nel mentre la cittadinanza, intesa come un universo di diritti e dignità per tutti, è solo un abbaglio sdrucito nei manifesti elettorali delle elezioni del 13 giugno 2004, ormai sbiaditi.

Non c’è nessun lieto fine in questo racconto, nessuna morale che assolve. Emerge potente e sovversivo solo il sogno di una grande evasione, agita come esercizio del comune della moltitudine, sia essa migrante o nomade, esodo verso qualcosa di diverso che noi chiamiamo democrazia. Quella vera, quella assoluta, che fin dal XVII secolo si chiama governo di tutti esercitato da tutti.

Trento: in carcere nomade incinta dopo condanna per furto

 

Ansa, 15 aprile 2005

 

Condannata a 10 mesi di reclusione per un furto, una nomade dovrà restare in carcere anche se è attualmente all’ottavo mese di gravidanza. Questa la decisione del giudice Carlo Ancona nei confronti di una giovane nomade accusata di un furto in abitazione commesso a Cles nel settembre del 2004.

La donna, Tina Stancovich, aveva motivato la sua richiesta di scarcerazione proprio con il suo stato interessante, ma il giudice - d’accordo con il pm Paolo Storari - ha respinto l’istanza giudicando la donna una "delinquente professionale", che nel corso di vari anni, in occasione di identificazione da parte delle forze dell’ordine, ha fornito quasi 80 nomi diversi.

La donna attenderà il parto nel carcere di Opera (Milano), struttura dotata di attrezzature adeguate dove sarà sotto costante controllo sanitario. In caso di gravidanza la legge prevede il divieto del carcere, salvo casi di eccezionale gravità come appunto è stato giudicato ieri in udienza quello di Tina Stancovich.

Milano: Battisti (Margherita); perché San Vittore è un groviera?

 

Ansa, 15 aprile 2005

 

"San Vittore e Regina Coeli sono solo l’ultima clamorosa punta di un iceberg di evasioni sempre più frequenti dalle carceri italiane". A sostenerlo è Alessandro Battisti (Margherita) che in un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, chiede cosa accada "dentro le mura-groviera dei penitenziari italiani soprattutto per quanto riguarda i distacchi e i turni della polizia penitenziaria" e quanti siano e cosa facciano gli "agenti che risultano addetti ad altri compiti".

"La situazione delle carceri, già drammatica, risulta ormai intollerabile - avverte Battisti - soprattutto perché al sovraffollamento dei detenuti corrisponde una progressiva diminuzione del personale addetto alla vigilanza, distaccato ad altri compiti: solo a Regina Coeli i distaccati sono 121, a fronte di 350 in organico divisi in tre turni che devono vigilare su oltre 1.000 detenuti. Ma quanti sono e cosa fanno - chiede il senatore della Margherita - i distaccati in tutta l’Italia?

Quando si intende farli rientrare? Ancora: quale sarà il destino finale di tutti gli ausiliari che stanno per terminare il corso, di cui 500 solo a Roma? È previsto un turn over, ne arriveranno altri?". "Se si è in grado di scavare, assolutamente indisturbati, dei tunnel per mesi, non voglio neanche immaginare - conclude Battisti - cosa possa accadere nelle celle sovraffollate in termini di violenze, soprusi, umiliazioni in assenza di controlli. La vigilanza nelle carceri è un punto irrinunciabile soprattutto per la stessa tutela dei detenuti: mi auguro che il governo ne sia consapevole e corra ai ripari subito".

Pedofilia: presto in aula pdl. Prestigiacomo: è un ottimo testo

 

Ansa, 15 aprile 2005

 

Il ministro Prestigiacomo ricorda che il provvedimento, all’esame della Camera, prevede l’inasprimento della lotta al turismo sessuale; il divieto assoluto di rapporto con minorenni in cambio di denaro e la possibilità di procedere d’ufficio per i reati di violenza sessuale se la vittima è minorenne.

È prevista, inoltre, l’interdizione perpetua dall’attività nelle scuole, e nelle istituzioni prevalentemente frequentate da minori, per le persone condannate per questo tipo di reati. La pdl amplia poi la nozione di "pornografia infantile" includendo la realizzazione, il commercio e la detenzione di materiale pornografico anche nel caso in cui le persone rappresentante non siano minori ma sembrino minori ed anche in caso di "immagini virtuali" di minori.

Marocco: concessa la grazia a oltre settemila detenuti

 

Apcom, 15 aprile 2005

 

Il re del Marocco Mohammed VI ha concesso una grazia totale o parziale a 7.179 detenuti in occasione della circoncisione del principe ereditario Moulay El Assan, avvenuta oggi a Fez. La grazia accordata "per il felice evento" è dettata per "considerazioni umanitarie e in vista del reinserimento nella società". Ne beneficiano detenuti con meno di vent’anni che hanno appreso un lavoro in carcere, detenuti affetti da malattie croniche, donne incinte o che allattano, persone anziane, e prigionieri che hanno già scontato la gran parte della pena.

Modena: chi combatte dipendenze partecipa a rassegna "Utopia"

 

Emilianet, 15 aprile 2005

 

Gli ospiti che interverranno nel corso della rassegna "Utopia" tenteranno di approfondire il rapporto che lega l’uso degli stupefacenti alla ricerca di mondi più o meno artificiali, comunque diversi, una ricerca della quale si può dire tutto tranne che non esista. Il patrocinio dell’Assessorato parte appunto dalla constatazione di un dato di fatto, un dato del quale abbiamo ritenuto opportuno rendere consapevoli sia i giovani, in primo luogo, che la città. Questo non significa dare un qualunque valore sociale alla droga (dichiarazione che non ho mai rilasciato e che smentisco risolutamente), ma che ritengo fondamentale chiarirne i contenuti sociali e soggettivi".

Lo afferma Elisa Romagnoli, assessore alle Politiche giovanili del Comune, riferendosi all’iniziativa articolata in tre giorni di musica, arte e dibattito sul tema della cultura psichedelica, che si svolge alla Tenda e che l’Assessorato ha deciso di patrocinare. In questo tentativo di approfondimento saranno coinvolti il sociologo Davide Mazzesi, che collabora con la rivista Narcomafie del Gruppo Abele, e Marisa Brigantini, responsabile del Programma Arcobaleno che fa capo al CEIS di Torino. "Ora - continua l’assessore Romagnoli - dubitare che da parte di chi opera da anni nella denuncia dei rapporti tra criminalità organizzata e narcotraffico, nella lotta alla tossicomania, nell’elaborazione di progetti qualificati all’interno delle carceri e nel recupero dei giovani tossicodipendenti possa esserci una qualsiasi forma di connivenza con l’invito all’abuso delle droghe significa fare, nella migliore delle ipotesi, una speculazione.

Una speculazione – questa sì – sulle spalle degli stessi giovani e delle stesse famiglie che si usano per menar colpi nel teatro della propaganda. Se prima o poi dovessimo finalmente riuscire a risolvere il problema della droga – senza reticenze o semplificazioni – non sarà certo per iniziativa di chi cerca visibilità sulle pagine dei giornali, ma perché avremo messo i giovani in condizione di sapere quello che stanno facendo", conclude l’assessore.

Immigrazione: Lampedusa; no Strasburgo ad espulsioni collettive

 

Giornale di Vicenza, 15 aprile 2005

 

Il Parlamento europeo ha approvato sul filo di lana, con 51 voti a favore e 50 contrari, una risoluzione d’urgenza contro le espulsioni collettive degli immigrati irregolari a Lampedusa. Il testo di compromesso votato a Strasburgo è stato sottoscritto da liberaldemocratici (Adle), Socialisti (Pse), Comunisti (Gue) e Verdi, e osteggiato dal gruppo Ppe-Conservatori (di cui fa parte Forza Italia) e dal gruppo Uen (in cui siedono i deputati di An).

La risoluzione chiede alle autorità italiane e agli Stati membri di "non effettuare espulsioni collettive delle persone in cerca di asilo e dei "migranti irregolari" verso la Libia o altri Paesi", e di garantire che le domande d’asilo siano esaminate individualmente. Le espulsioni collettive, si osserva, costituiscono una violazione, da parte delle autorità italiane, degli obblighi internazionali che impongono di assicurarsi che la vita delle persone rimpatriate non sia minacciata nei Paesi d’origine. La Commissione europea è invitata a far cessare questa pratica, esigendo dall’Italia e dagli altri Stati membri che rispettino il diritto comunitario.

Il testo ricorda la denuncia, da parte dell’Alto commissariato per i rifugiati Onu, dell’espulsione verso la Libia di 180 persone il 17 marzo. E sottolinea le accuse di "mancanza di trasparenza da parte delle autorità sia italiane sia libiche", lanciate dallo stesso Alto commissariato, che, si sottolinea, non è stato fatto entrare nel centro di raccolta di Lampedusa il 15 marzo, mentre vi hanno avuto libero accesso i funzionari libici. È ricordata, inoltre, la richiesta di informazioni su Lampedusa indirizzata alle autorità italiane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo il 6 aprile.

La risoluzione esprime inoltre la "preoccupazione" del Parlamento "per il fatto di centinaia di persone in cerca di asilo, che sono state respinte verso la Libia, visto che questo Paese non ha ancora firmato al Convenzione di Ginevra sui Rifugiati, non ha un sistema di asilo funzionante, e non offre garanzie efficaci ai rifugiati", che sono detenuti nei campi locali "in condizioni di vita deplorabili" o rimpatriati nei Paesi d’origine "in condizioni che non ne garantiscono né la dignità né la sopravvivenza". Dopo aver sottolineato che "è ancora segreto" il contenuto dell’accordo bilaterale Italia-Libia sulle riammissioni, si chiede di renderlo pubblico, si esprime ancora "preoccupazione" riguardo all’"assenza di una legislazione sul diritto d’asilo in Italia". Alla Libia, gli eurodeputati chiedono, tra l’altro, di garantire l’accesso degli osservatori internazionali, la cessazione di espulsioni e arresti arbitrari di migranti e la ratifica della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. La risoluzione si conclude con la richiesta di inviare una missione dell’Europarlamento al centro profughi di Lampedusa e in Libia, per "valutare l’ampiezza del problema e verificare la legittimità delle azioni del governo italiano".

Germania: detenuti italiani subiscono soprusi e razzismo

 

Toscana Oggi, 15 aprile 2005

 

"In questo carcere non esistono diritti umani, qualsiasi cane randagio ha più diritti di noi. Specialmente gli stranieri non hanno niente da ridere, siamo esposti giornalmente all’umore e a quello che passa per la testa delle guardie": è la denuncia contenuta in una delle cinquanta lettere di detenuti italiani in Germania inviati al "Corriere d’Italia", periodico della Delegazione Italiana delle Missioni Cattoliche e raccolti in un volume dal titolo "Che qualcuno passi a sentire come stiamo", curato dal direttore del giornale Mauro Montanari.

Se ne è parlato in questi giorni a Bellaria al convegno promosso dalla Fondazione Migrantes e dalle delegazioni europee sul tema "L’operatore pastorale in contesto migratorio. Tra memoria e futuro". "Le punizioni - aggiunge la lettera - vengono date dalla guardie come gli pare e piace, siamo esposti a offese, insulti, botte, minacce, parole razziste, etc.".

Di razzismo scrive anche un altro detenuto secondo il quale nelle carceri tedesche "regna il razzismo, ce n’è tanto nei confronti dei detenuti italiani e stranieri". Altri lamentano il problema della lingua che in carcere "si aggravano in modo particolare". La "capacità di esprimersi – aggiunge - vale come criterio per la suddivisione gerarchica dentro il carcere".

Queste lettere - spiega al Sir il curatore del volume bilingue, con prefazione del card. Karl Lehmann, Vescovo di Magonza - sono arrivate al giornale della missione cattolica italiana dal 1999 al 2003 quando il periodico diede avvio ad una azione per l’abbonamento gratuito ai detenuti italiani nelle carceri tedesche che ne facevano richiesta. Queste lettere denunciavano soprusi, indifferenza, razzismo, problemi di salute che lasciavano "indifferenti" le autorità competenti. "Decidemmo quindi - spiega Montanari - di pubblicare queste lettere. Questo costringeva le istituzioni a rispondere ed a occuparsi di loro" ed emergeva una difficoltà delle autorità sia italiane che tedesche che "non avevano un progetto credibile per creare un circuito di integrazione all’interno delle carceri per i detenuti italiani che non potevano altrimenti integrarsi nella vita sociale del carcere".

Malawi: centinaia di detenuti senza processo anche da 15 anni

 

Misna, 15 aprile 2005

 

Sono 763 i detenuti che da anni - alcuni anche da 15 - si trovano in carcere in attesa di processo: lo denuncia un rapporto dell’Ispettorato penitenziario del Malawi, che accusa il governo di "massiccia violazione dei diritti umani". Nel documento, le autorità carcerarie esprimono "la preoccupazione che alcuni prigionieri siano in detenzione dalla metà degli Anni novanta".

L’organo di controllo delle prigioni statali evidenzia inoltre che gran parte dei detenuti trattenuti senza processo si trovano nelle strutture penitenziarie cittadine e che la loro prolungata presenza "contribuisce alla congestione di queste carceri". Secondo il rapporto, diffuso in parte dalla stampa locale, "il governo non ha compiuto alcuno sforzo nel finanziamento di processi per omicidio e per fronteggiare queste spese fa affidamento solo sulle eventuali donazioni".

In Malawi – uno dei Paesi più poveri dell’Africa Australe, dove vivono circa 11 milioni di persone – ci sono 23 strutture carcerarie, dove sono ospitati 9.220 detenuti in spazi previsti per un massimo di 4.500 persone. "L’unica soluzione è la costruzione di nuove prigioni nei sette distretti dove non ne esistono" scrive la commissione, presieduta da un ex-giudice della Corte Suprema e composta anche da un sacerdote cattolico e alcuni funzionari del dipartimento penitenziario. Nel 1994 l’allora neo-eletto presidente Bakili Muluzi ordinò la chiusura di tre carceri tristemente noti perché vi si erano rinchiusi centinaia di prigionieri politici, arrestati durante il trentennale regime di Kamuzu Banda. Questi tre edifici sono già stati riaperti e usati come normali strutture di detenzione al fine di decongestionare le altre.

Giustizia: l’Osapp contro Castelli; riforma urgente, 3 anni spesi male

 

Ansa, 15 aprile 2005

 

Il sistema penitenziario italiano ha bisogno di "riforme urgenti", mentre il ministro della Giustizia Castelli ha speso tre anni "per una riforma dell’ordinamento giudiziario tuttora priva di consensi". A sostenerlo è l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) che, in una nota, preannuncia per domani l’invio ai capigruppo di Camera e Senato di "un vero e proprio Sos sui rischi, ormai non più solo interni, dell’attuale disorganizzazione penitenziaria".

L’altissimo numero di recidive, l’aumento di "evasioni e suicidi" sono i sintomi - secondo il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci - di un sistema "profondamente ammalato". "L’unico progetto penitenziario, peraltro già della precedente legislatura, riguarda la costruzione di nuove carceri, realizzate negli ultimi anni mediante un sistema di super-consulenze da tempo sotto stretta osservazione della Corte dei Conti e della magistratura".

Secondo l’Osapp "l’amministrazione penitenziaria attuale è figlia delle disattenzioni politiche dome dimostrano i numerosi fallimenti" tra i quali: la distribuzione dell’organico (gli agenti - sostiene il sindacato - "risultano in eccedenza in alcune carceri, anche del Nord, mentre in altre, con maggiori esigenze, sono in penosa carenza"); la mancata definizione delle funzioni del nuovo ruolo dei commissari di polizia penitenziaria ("fatto che genera tensioni con i comandanti di reparto delle carceri"); il mancato riconoscimento delle specializzazioni ("si stanno impoverendo, ad esempio, i reparti del gruppo operativo mobile che gestisce i detenuti a maggior rischio"); l’assenza di un confronto sindacale.

Il sindacato fa notare, infine, che la polizia penitenziaria è stata l’unica tra le forze di polizia alla quale un recente decreto legge ha negato di mantenere in servizio, a fine leva, gli agenti ausiliari. "Ci appelliamo ai capigruppo di Camera e Senato affinchè - conclude Beneduci - si attuino le necessarie riforme anche per il personale di polizia e si realizzi il necessario ricambio nei vertici dell’amministrazione che non hanno ottenuto in tre anni alcun concreto risultato per l’istituzione e la collettività".

Monza: detenuti e calcio; lo sport può essere determinante...

 

Ansa, 15 aprile 2005

 

Il pallone dietro le sbarre. Questa mattina un gruppo di giocatori del Calcio Monza si è recato in visita al carcere della città ed ha incontrato una rappresentanza dei detenuti e la loro squadra di football, cui ha promesso di giocare un’amichevole a fine stagione.

L’incontro è stato organizzato per iniziativa di Anna Martinetti, preside della scuola media Confalonieri di Monza, che svolge l’opera di insegnamento ai carcerati, e dell’assessore allo sport del Comune, Dino Dolci. I giocatori erano guidati dal capitano, il centrocampista Cristiano Giaretta e dal decano, Anselmo Robbiati, che è tornato al Monza in cui aveva militato prima di far parte di squadre di vertice come Inter, Napoli e soprattutto Fiorentina dove ha vissuto il suo miglior momento calcistico, e dal direttore generale della squadra biancorossa, Luciano Passirani. Quest’ultimo ha ricordato che lo sport può essere un momento determinante nella vita di un giovane, che può spesso essere "una via d’uscita da situazioni di disagio personale e sociale", e ha raccolto un grande applauso dai detenuti ricordando che spesso nella vita conta molto anche essere fortunati.

"Ho voluto accompagnare qui i ragazzi perché si rendano conto di esserlo stati, e molto - ha detto - e perché si misurino con altre persone che sono state meno fortunate di loro". L’assessore Dolci ha sottolineato come su un campo di calcio si misurano "uomini resi uguali dalla passione e dalla pratica di uno sport" ed ha augurato ai detenuti "di poter visitare, il più presto possibile, da uomini liberi, una bella città come Monza" ricca di tesori artistici e culturali ma anche capace di accogliere tutti con grande generosità.

Il saluto da parte dei detenuti è stato portato da Mohamed, 34enne tunisino e capitano della squadra di calcio della casa circondariale, l’Alba, chiamata così in onore all’ex direttrice dell’istituto, Alba Casella, che per prima si adoperò per consentire ai detenuti di organizzare il proprio team calcistico. Al termine della visita il capitano Giaretta ha consegnato a Mohamed borse, palloni e tenute di gioco bianco rosse, dono del Calcio Monza per i ragazzi della squadra.

Il giocatore ha ricevuto anche i ringraziamenti del direttore del penitenziario, Massimo Parisi, che ha ricordato come il carcere "luogo chiuso per eccellenza, deve sforzarsi di non essere isolato dal suo territorio". Anche per questo il 29 aprile prossimo, alcune guardie penitenziarie faranno parte, con poliziotti e carabinieri, della squadra interforze che sfiderà, allo stadio Brianteo, una rappresentativa di ex campioni, tra cui Altobelli e Beccalossi e personaggi dello spettacolo, per una partita di beneficenza.

 

 

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