Rassegna stampa 9 agosto

 

Bologna: un check-up contro le infezioni all'ingresso della Dozza

 

La Repubblica, 9 agosto 2005

 

È entrato in carcere e si è salvato la vita. Invece delle guardie, si è trovato davanti un chirurgo. è capitato ad un detenuto italiano di mezza età che non più di quindici giorni fa ha saputo di avere un tumore molto grave ad un polmone, del tutto silente. Ora è ancora ricoverato in ospedale, ma ha buone possibilità di farcela. è l’ effetto indiretto del "check-up Dozza", il monitoraggio al quale vengono sottoposti tutti coloro che "provengono dalla libertà" (come si dice in "carcerese"), soprattutto alla ricerca di focolai di Tbc. I "provenienti dalla libertà" vengono alloggiati in una struttura autonoma, chiamato "polo di accoglienza" o "polo nuovi giunti", al piano terra della palazzina dell’ infermeria. I posti sono 21 e non bastano. Lì rimangono in quarantena sette giorni (a meno che nel frattempo non avvenga la scarcerazione, allora tanti saluti e si torna fuori): visite mediche, esami dietro consenso, colloqui con psicologi, mediatori culturali e attesa della destinazione alle sezioni. Uno così può anche dire di non essere mai stato in un carcere vero e proprio. "È un approccio meno traumatico al carcere - dice la direttrice Manuela Ceresani - e un modo per conoscere subito i problemi e i bisogni di ciascuna persona. Un modo per rendere meno difficile la vita qua dentro, già complicata dal sovraffollamento".

Uno può dire di non essere stato del tutto in carcere, se dal "polo d’ accoglienza" ritorna subito in libertà perché non viene convalidato l’ arresto. La direttrice e il direttore sanitario Pasquale Paolillo hanno rispolverato la vecchia idea di una struttura-filtro quando, l’ anno scorso, sono stati scoperti tre casi conclamati di Tbc tra i detenuti della Dozza. Gli avvocati erano arrivati a minacciare di non presentarsi più ai colloqui e il procuratore capo Enrico Di Nicola, preoccupato, aveva chiesto ragguagli alla Ceresani sui pericoli del contagio. Il "polo nuovi giunti" funziona da novembre, con un turn over incredibile. Sono 878 i "nuovi entrati" nei primi sette mesi di quest’ anno, mentre erano stati 740 in tutto il 2004. Funziona così. Al terzo giorno di permanenza in carcere, se il "nuovo giunto" non viene scarcerato, viene sottoposto ad una iniezione sottocutanea (PPD) sotto la supervisione di un responsabile. Il risultato viene comunicato entro sette giorni e se tutto è in regola, avviene lo smistamento nelle sezioni. In questi mesi, 105 uomini e 89 donne (che però non passano da questa struttura, ma vengono isolate in sezione) sono risultati positivi all’esame per il contatto con il batterio della Tbc, cosa che non ha significato clinico, mentre 4 sono stati i casi conclamati "intercettati" e curati. Tutti i quattro casi sono di stranieri.

Ma non c’ è solo la caccia alla Tbc, in questa struttura che svela una "sanitarizzazione" del carcere alle prese con patologie gravi, etilismo, disagi psicologici, Hiv e tossicodipendenze. L’ unico esame obbligatorio per regolamento (ma se uno si rifiuta non ha sanzioni) sarebbe quello della sifilide, ma ora si va molto oltre. "Sono molto diminuiti i casi di Aids - stima il dottor Paolillo - che ora in carcere sono solo 16, mentre è parecchio aumentata la presenza di epatiti C (Hcv): ben 89 casi, circa il 10 per cento della popolazione". La recente relazione semestrale dell’ Ausl ha verificato la presenza alla Dozza di oltre 1.000 ospiti, che in questi giorni sono ridiscesi a circa 970. Una popolazione altissima, che crea problemi anche all’ entrata: i posti nel "polo nuovi giunti" non bastano più e ci si arrangia come si può. E c’ è il boom dei tossicodipendenti, "scoperti" nei colloqui di entrata. Sono 273 (15 sono donne) e di questi 77 sono trattati a scalare con metadone da due giovani medici del Sert, che si fanno in quattro per seguire tutti.

Firenze: il carcere di Sollicciano, un pugno allo stomaco

 

La Repubblica, 9 agosto 2005

 

Torna a svelarsi la faccia più nascosta e sofferta della realtà carceraria. Siamo stati a Sollicciano nel corso di un giro presso alcune carceri toscane (Pisa, Arezzo). Ci aveva colpito come un pugno allo stomaco. Le impressioni forti che andavamo registrando erano sottolineate dalle parole di chi ci accompagnava. Che rivelavano il disagio provato dallo stesso personale e dalla direzione del carcere nel gestire una situazione non sostenibile. I nudi dati che ci venivano proposti sono gli stessi che i giornali mettono in evidenza: quasi due terzi delle persone lì rinchiuse sono in eccedenza rispetto alla capienza prevista. Cortili incandescenti, locali inadeguati e, nelle celle, materassi buttati per terra per carenza di spazio e detenuti accucciati in un angolo erano segni rivelatori: di contraddizioni non solo spaziali e materiali e di prevedibili ed esplosive dinamiche interpersonali. Ci è venuta incontro, nel nostro giro (che intendiamo continuare: a S. Gimignano, a Volterra, a Livorno, a Porto Azzurro) la nuova "questione sociale". Molti i detenuti giovani, tossicodipendenti o sieropositivi, marginali ed "extracomunitari". A Sollicciano il sottufficiale che ci accompagnava (ma già, a Pisa, ce lo aveva ripetuto Adriano Sofri) ci ha spiegato come, nello spazio angusto delle celle, talvolta nuova "questione sociale" e "questione interculturale" sordamente e abitualmente si incrocino, si sovrappongano e generino violenti conflitti. È in un tale contesto che deficienze igieniche, strutturali, architettoniche rischiano di generare un incendio.

Benvenuto, dunque, il rapporto dell’Asl e benvenuta l’ intimazione del Comune di Firenze. Istituzioni e autorità facciano la loro parte per ripristinare il principio generale del carattere rieducativo che la pena carceraria, per dettato costituzionale, deve avere. Verosimilmente, Sollicciano non chiuderà, ma alla soluzione dei (troppi) problemi va messo mano, con urgenza. Proprio sui muri dei corridoi di quel carcere campeggiano scritte di grandi personalità che ricordano come dall’ errore e dalla colpa sia possibile risalire alla riconquista della dignità umana e della libertà. Esiste, ed è una corposa e dolente realtà, la "città-carcere". Forse non è eliminabile. Ma bisogna, incessantemente (e non a cadenze stagionali), a partire dalla nostra dimensione locale e dalla garanzia di accettabili condizioni ambientali, porre l’inquieta domanda che fu di Mario Gozzini: carcere come? Carcere perché?

 

Consiglieri Regionali Ds Enzo Brogi e Severino Saccardi

Perugia: corsi di formazione per detenuti, immigrati e disabili

 

Redattore Sociale, 9 agosto 2005

 

Punta decisamente su formazione e apprendistato la Provincia di Perugia per cercare di arginare la disoccupazione. In particolare quella che riguarda giovani disagiati, donne, ex detenuti, immigrati e disabili. Lo ha fatto nell’anno in corso con diverse azioni - apprendistati in edilizia, artigianato, settore metalmeccanico, commercio e servizi; servizio integrato di sostegno all’apprendimento, formazione e inserimento lavorativo per gli allievi dei percorsi formativi pluriennali, per l’integrazione di giovani in condizioni di disagio sociale, economico, fisico e a rischio di emarginazione - e continua a farlo con il "Bando multimisura" 2005 per la presentazione di progetti formativi in base al cosiddetto Programma Operativo Regionale dell’Obiettivo 3 (P.O.R. Ob.3), che utilizza le risorse del Fondo sociale europeo. Un’iniziativa che, come precisano alla Provincia, "si caratterizza per alcuni aspetti innovativi riguardanti elementi di qualificazione e criteri di valutazione dei progetti".

"Le politiche formative dell’ente - dice l’assessore provinciale a Formazione, lavoro e istruzione Giuliano Granocchia - sono state oggetto, come nel caso delle strategie occupazionali, di concertazione con gli attori del sistema socio-economico e sono finalizzate alla costruzione di un sistema organico fondato sull’integrazione tra servizi per l’impiego, politiche formative e dell’istruzione. Obiettivo importante è infatti quello di portare a sistema un programma di interventi che massimizzi l’efficacia e l’utilizzo del Fondo sociale europeo, armonizzando interventi e obiettivi in tema di servizi per l’impiego, scuola e lavoro".

Le misure e le azioni contenute nel "Bando multimisura" riguarderanno diverse tipologie di utenza: le categorie svantaggiate (detenuti, immigrati, persone con disabilità), i diplomati e laureati, le imprese che esprimono un’esigenza di innovazione e riposizionamento nel mercato per guadagnare il terreno perduto in termini di competitività, coloro che intendono migliorare la propria condizione lavorativa e le donne, che continuano a rappresentare la componente più debole del sistema del lavoro umbro. Nell’ambito dei bandi sul tema formazione e lavoro che la Provincia ha emanato nell’arco del 2005, proprio in questi giorni si stanno avviando i corsi per gli apprendisti iscritti alla "Banca dati provinciale dell’apprendistato". Nel mese scorso, inoltre, è stato emanato l’avviso pubblico per la presentazione di progetti per l’obbligo formativo, rivolto agli studenti che scelgono di assolvere tale obbligo nei canali della formazione professionale: a loro si offre la partecipazione a corsi di formazione di durata pluriennale, per lo più realizzati dai Centri di formazione professionale della Provincia.

Giustizia: a settembre ddl che frena far west intercettazioni

 

Adnkronos, 9 agosto 2005

 

Il governo si appresta a mettere mano alle norme sulle intercettazioni. L’appuntamento è già fissato: ultima settimana di agosto o, al più tardi, la prima di settembre. Sarà il consiglio dei ministri a licenziare un testo in grado di soddisfare anche l’opposizione. Le parole del ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi, confermano la strategia dell’esecutivo e l’intenzione del presidente del Consiglio di interrompere lo stillicidio delle fughe di informazioni, che periodicamente scandiscono le indagini più scottanti della magistratura.

Giustizia: intercettazioni; la pubblicazione dei contenuti è possibile

(Glauco Giostra, Ordinario di procedura penale all’Università di Macerata)

 

Il Sole 24 Ore, 9 agosto 2005

 

A saperlo fare, si potrebbe ormai scrivere un manuale di Elementi di semiotica del polverone antigiudiziario, cioè di analisi dei segni espressivi di quel fenomeno - fatto di chiassose polemiche, di roboanti denunce e di violente invettive - che da tempo accompagna determinate iniziative giudiziarie. La casistica è peraltro talmente ricca e presenta così clamorose costanti, che persino un soggetto professionalmente non attrezzato può provare a buttar giù un decalogo dei principali segni distintivi di tale fenomeno:

l’allarme per le libertà democratiche scatta non appena una inchiesta penale mette piede in un santuario della politica, dell’imprenditoria o della gerarchia ecclesiastica;

la virulenza della polemica è direttamente proporzionale alla fondatezza dell’ipotesi accusatoria;

i decibel, la grossolanità e la ringhiosità dell’attacco alla magistratura, invece, sono di solito inversamente proporzionali alla conoscenza del caso e, più in generale, alla alfabetizzazione giuridica del Savonarola di turno;

all’azione giudiziaria sgradita viene attribuito sempre uno scopo diverso dall’accertamento della verità;

si grida alla spudorata violazione della legalità processuale in riferimento a condotte (si pensi alla pubblicazione dell’informazione di garanzia o dei contenuti di intercettazioni già depositati), che qualsiasi studente di giurisprudenza (del primo triennio, s’intende) sa essere formalmente ineccepibili;

quando superiori istanze giurisdizionali convalidano l’operato dell’autorità giudiziaria procedente, si sarebbe dinanzi alla prova che vi è un vero e proprio disegno persecutorio; quando invece lo censurano o lo invalidano, si avrebbe a che fare con il ristabilimento della verità;

si evita scrupolosamente ogni riferimento ai fatti accertati o in via di accertamento, per concentrare la propria denuncia sui presunti intendimenti dell’inquirente o sugli strumenti usati;

l’accusa alla magistratura di aver sconfinato dal proprio ruolo costituzionale proviene sovente da soggetti con responsabilità istituzionali, che in tal modo sconfinano in un ambito che la Costituzione vuole sottratto a qualsiasi interferenza (articoli 101 e 104);

rigorosamente prima di sapere quale sia stata la reale dinamica giudiziaria, si richiedono iniziative disciplinari contro il magistrato che ha promosso o avallato l’inchiesta;

vera o presunta che sia la patologia denunciata, dipenda da un abuso giudiziario, da un difetto della norma o da carenze strutturali, si invoca un’immediata riforma legislativa.

Il numero degli indici presenti nella medesima situazione consente di misurare la rilevanza degli interessi toccati dall’inchiesta penale. La funzione del polverone antigiudiziario, infatti, è duplice: distogliere l’attenzione dai fatti oggetto di indagine e infirmare la validità dell’ accertamento processuale. C’è però anche una ricaduta negativa, di certo non voluta, ma non per questo meno grave, sulla capacità del sistema di progredire e migliorarsi. Denunciare paranoicamente complotti e abusi in ogni vicenda giudiziaria riguardante imputati eccellenti, da un lato, spinge a terapie che, vista la pretestuosità della diagnosi, saranno sempre dannose; dall’altro, allontana l’attenzione dai problemi reali della giustizia "ordinaria", dalle riforme davvero necessarie e anche dalle effettive responsabilità, e ce ne sono, dei magistrati.

Contro la recente inchiesta penale, che ha posto in evidenza spregiudicate e forse illecite operazioni finanziarie, si è gridato da più parti all’abuso dei poteri giudiziari e all’indebita pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche. Nessuno, naturalmente, si è fatto carico di indicare quale norma sarebbe stata violata. Al contrario, per quel che se ne sa, le intercettazioni sono state legittimamente disposte e legittimamente ne è stato divulgato il contenuto. In particolare, contrariamente a quanto da più parti asserito, non sono stati messi sotto controllo utenze né del Parlamento, né di singoli parlamentari; mentre l’eventuale uso da parte di terzi di una di tali utenze non costituisce ragione - come è ovvio e come la Corte costituzionale ha di recente precisato anche con riguardo al caso in cui il terzo parli per conto di un parlamentare (sentenza 163/05) - per sottoporre l’intercettazione o l’utilizzo dei suoi risultati ad autorizzazione politica. La pubblicazione dei contenuti delle conversazioni intercettate, poi, come tutti dovrebbero sapere, o almeno coloro che si sono tanto stentoreamente pronunciati in questi giorni, è consentita quando delle stesse abbia potuto avere conoscenza la difesa (articoli 114 e 329 del Codice di procedura penale). Semmai, c’è un’esigenza da tempo avvertita e condivisa: che non siano divulgabili, come oggi avviene, le parti processualmente irrilevanti delle conversazioni intercettate. Si può comprendere che la privacy e l’immagine sociale della persona possano subire pregiudizio, quando è necessario conoscere fatti rilevanti per l’accertamento penale, ma niente giustifica una propalazione di dati del tutto estranei alla vicenda giudiziaria. Per evitare questo "gratuito" sacrificio del diritto alla riservatezza del cittadino, sarebbe bastata una piccola modifica legislativa che avesse fatto cadere il segreto sulle intercettazioni telefoniche soltanto dopo che le relative trascrizioni fossero state purgate dalle parti processualmente insignificanti. Ma, evidentemente, sono state ritenute più urgenti altre riforme.

Firenze: libri in ospedali e carceri per aiutare chi soffre

 

La Nazione, 9 agosto 2005

 

Promuovere la lettura in ospedale attraverso la collaborazione di biblioteche pubbliche, aziende sanitarie e associazioni di volontariato. Grazie a 15 progetti cofinanziati dalla Regione Toscana, dalle biblioteche pubbliche (anche in gestione associata o in rete) e dalle aziende sanitarie, i libri entreranno tra le corsie e saranno protagonisti di varie attività animate dai volontari.

L’iniziativa è promossa dal settore biblioteche della Regione Toscana, che contribuirà con un finanziamento di oltre 33mila euro. Da tempo la Toscana promuove e sostiene le iniziative delle biblioteche pubbliche volte ad incentivare la lettura delle cosiddette "categorie a rischio di esclusione sociale": disabili, degenti in ospedale, ricoverati in case di riposo, extracomunitari, carcerati. Il patrimonio librario della Toscana è enorme: 973 biblioteche che custodiscono quasi sei milioni di volumi. Dei 15 progetti cofinanziati in tutta la regione e basati sul partenariato tra biblioteche pubbliche, Asl e associazioni di volontariato fanno parte "Fai volare la fantasia", nel reparto pediatria dell’Ospedale San Giuseppe di Empoli, "Un libro al giorno", presso l’Ospedale di Livorno, "Spazio libero", nel il reparto medicina oncologica dell’Ospedale Unico Versilia. Un esempio che le amministrazioni pubbliche dovrebbero tener presente. E sempre per restare in Toscana l’ordine dei frati minori di San Francesco del Convento di Giaccherino ha donato 17 mila volumi alla Biblioteca comunale di Pistoia. La decisione è maturata a seguito della vendita del complesso conventuale, affinchè i libri trovassero una giusta collocazione. Si tratta di un patrimonio librario consistente e di notevole rilevanza bibliografica e culturale. I volumi sono antichi, le edizioni vanno dal XVII al XX secolo, e sono in buono stato di conservazione. Sono edizioni per lo più rare, che è difficile reperire nella loro completezza non solo a livello regionale ma anche nazionale. Le materie principali riguardano la teologia e la storia della chiesa, ma ci sono anche opere di letteratura e altre discipline.

I libri saranno trasferiti, temporaneamente, all’Archivio storico del Comune, cioè negli ex bagni pubblici di via Pacinotti. Successivamente si provvederà alla inventariazione per la quale occorreranno circa due mesi. La fase finale sarà quella di trasferirli, definitivamente, Forteguerriana dove potranno essere consultati da tutti. La Forteguerriana ospita già un nucleo consistente di edizioni antiche a stampa e di manoscritti provenienti da Giaccherino in seguito delle soppressioni conventuali ottocentesche.

Firenze: marito uccide moglie, il loro bimbo è in cerca di famiglia

 

La Repubblica, 9 agosto 2005

 

La mamma è morta. Il babbo è in carcere perché è stato lui a massacrarla con una mazza da baseball. Paolo (non è il suo vero nome), il loro bambino di 8 anni, è rimasto solo. E ora il tribunale dei minori deve trovargli una famiglia che lo aiuti a superare un dolore così devastante, che potrebbe segnarlo per tutta la vita. Paolo viveva con la mamma Roxana, 34 anni, rumena, e con il padre Roberto M., 64 anni, pensionato, in un alloggio popolare a Sesto Fiorentino. La notte fra il 2 e il 3 agosto era nel suo lettino quando il padre ha afferrato la mazza da baseball che gli aveva regalato e l’ha usata per fracassare la testa della mamma, con non meno di dieci violentissimi colpi. Poi il babbo lo ha sollevato dal lettino, lo ha portato da una famiglia di amici, ha aspettato che si riaddormentasse e ha chiamato la polizia.

Poche ore dopo, mentre suo padre veniva trasferito in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato, Romeo, il fratello della mamma, che vive a Pistoia con la moglie, ha chiesto al tribunale dei minori, attraverso l’avvocato Sigfrido Fenyes, l’affidamento del nipotino. Il tribunale ha adottato una soluzione provvisoria. Ha affidato per 15 giorni in via d’urgenza il bambino ai servizi sociali di Sesto Fiorentino, incaricandoli di valutare l’idoneità degli zii ad accogliere il nipote. C’è stata, tempo fa, in quella famiglia una querela, poi ritirata, per un violento litigio. I servizi sociali dovranno stabilire se in quell’ambiente il bambino potrà sentirsi protetto e amato.

Per il momento Paolo rimane affidato alle assistenti sociali, che conosce da tempo perché il matrimonio dei suoi genitori era in crisi da almeno tre anni e la mamma aveva denunciato più volte il babbo per maltrattamenti e lesioni. Ed era proprio lui, il bambino, al centro dei contrasti fra i genitori. Roxana faceva la cuoca. Aveva lavorato alla mensa della polizia al Magnifico, poi era entrata in servizio al circolo ufficiali. Roberto, suo marito, di 30 anni più vecchio di lei, era in pensione e la accusava di trascurare il bambino per il lavoro. Se ne era fatto un’ossessione. Lui aveva più tempo e stava molto dietro al figlio. Anche pochi giorni prima del dramma lo avevano visto al centro estivo a dare una mano a distribuire i pasti ai bambini. Famiglie amiche gli affidavano i loro figli. Quel giorno, poche ore prima dell’esplosione di violenza, era andato a pescare con Paolo, che era tornato a casa entusiasta e felice.

Roberto M. dice che quella sera la moglie gli disse: "Goditelo ora, il bambino, perché poi non te lo faccio più vedere". Si stavano separando, anzi erano già separati in casa e da poco avevano saputo che il giudice aveva assegnato a lei il figlio e la casa. Lui aveva 40 giorni di tempo per trovare un’altra sistemazione e stava effettivamente cercando un alloggio popolare nelle vicinanze. Ma è stata quella minaccia - "Non te lo faccio vedere più" - a scatenargli l’inferno dentro. O almeno è ciò che lui racconta. In realtà la moglie, che spesso era coperta di lividi, non doveva essere tanto fredda, cinica e spietata come lui l’ha descritta al pm Angela Pietroiusti, al gip Dania Mori, e ai suoi avvocati, Rossella Giommi e Carlo Giugno. Doveva, al contrario, essere una ragazza normale se è vero, ed è vero, che quando il marito era stato allontanato da casa con un ordine del giudice ed era finito a dormire in macchina lei si era impietosita e l’aveva fatto tornare in casa.

Ora, questo è certo, Roberto M. non potrà vedere suo figlio per molto tempo. Con quei terribili colpi di mazza lo ha reso orfano in un colpo di entrambi i genitori. Gli zii sono pronti ad accogliere il bambino. Ed è probabile che Paolo vada a vivere con loro. L’orientamento del tribunale dei minori è infatti quello di affidare i bambini esposti a grandi sofferenze a persone che conoscono e a cui sono affezionati, a meno che non emergano elementi di grave inadeguatezza.

Cassazione: sì a espulsioni collettive immigrati ma solo in certi casi

 

La Stampa, 9 agosto 2005

 

La pratica è vietata dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ma le espulsioni collettive degli extracomunitari, privi del permesso di soggiorno, potranno comunque essere eseguite. A una condizione: che il provvedimento del prefetto sia motivato, anche con ragioni identiche, nei confronti di ogni singola persona priva di documenti in regola. Lo ha deciso la Corte di Cassazione. I giudici, chiamati a pronunciarsi sul ricorso della prefettura di Milano contro il tribunale del capoluogo lombardo che un anno fa, nell’agosto 2004, aveva annullato i decreti di espulsione di quindici romeni di etnia Rom, ha dato ragione alla prima. Il tribunale milanese sosteneva che la Convenzione dei diritti dell’uomo si deve interpretare nel senso che "sono vietate le espulsioni plurime adottate con identica motivazione e contestualmente a carico di stranieri, seppur con diversi provvedimenti". Per la Cassazione, invece, sono legittime le espulsioni collettive adottate con "atti fotocopia", dopo il vaglio di ogni singola posizione.

Alessandria: San Michele, praticamente un carcere modello

 

La Stampa, 9 agosto 2005

 

"I farmaci di fascia C, quelli che normalmente sono a pagamento, dovrebbero essere forniti gratuitamente ai detenuti: che sia l’Asl di riferimento, in questo caso l’Asl 20, a farsene carico". La richiesta è del consigliere regionale di Rc, Alberto Deambrogio, che ieri con una delegazione del partito è stato in visita al carcere di San Michele. "Rispetto ad altre situazioni - dice Deambrogio - non è in condizioni particolarmente critiche, ma in carcere si paga tutto e, nonostante la rotazione, non c’è garanzia per i detenuti di lavoro continuativo".

Gli agenti di polizia carceraria sono 186 per 375 detenuti (il 40% sono extracomunitari), a fronte di una capienza di circa 320 persone. Cinque di loro sono in regime di semilibertà, mentre 22 possono lavorare fuori dal carcere, su richiesta avallata dalla direttrice, Rosalia Marino, che si dice "particolarmente attenta al recupero delle persone".

E l’esponente di Rc riconosce il buon funzionamento di corsi professionali di impiantistica civile, falegnameria e agricoltura: in quest’ultimo settore ci sono anche corsi di formazione da parte dell’"esperto del verde" Angelo Tosi. Hanno già visto la luce due progetti: uno di questi, "Cascina San Michele", ha consentito la produzione di prodotti che vengono consumati nel carcere. Un altro, intitolato "Agricola 2000", prevede per la produzione di prodotti biologici, di cui si sta attendendo la certificazione.

"Poi - aggiunge Deambrogio - i prodotti potrebbero entrare nel circuito delle botteghe solidali e consentire ai detenuti un minimo di reddito". Valutazioni positive da Deambrogio anche per altre esperienze come il giornalino realizzato dai detenuti e quella teatrale: è partita qualche richiesta a Comune e Provincia per dotazione di piccole attrezzature. In campo scolastico sono circa 100 le persone impegnate in corsi di alfabetizzazione, media inferiore e superiore (diploma da geometra).

Teramo: Rifondazione Comunista sbaglia, il carcere non è una Caienna

 

Il Centro, 9 agosto 2005

 

Il carcere di Teramo non è una "Caienna" e i casi di suicidio non sono dovuti alle particolari condizioni ambientali. È quanto sostiene l’associazione di volontariato per gli istituti penitenziari "Verso il futuro", che contesta le affermazioni contenute in un comunicato di Rifondazione comunista. "Noi volontari", si legge in una nota di "Verso il futuro", "che ogni giorno facciamo accesso presso l’istituto e portiamo il nostro piccolo contributo per alleviare le sofferenze delle persone private della libertà, constatiamo che il rapporto del personale tutto con i detenuti non è quello di contrapposizione bensì di civile confronto". Sarebbe però necessario più personale, aggiunge l’associazione, visto che quello di Castrogno è il carcere abruzzese con il maggior numero di detenuti. In merito ai suicidi che si sono verificati ultimamente, l’associazione - che, come da ordinanza del magistrato, ha seguito i permessi fruiti dall’ultimo detenuto suicida - afferma che i motivi di tale tragica scelta (che comunque non possono essere rivelati) non sono riconducibili a problemi dovuti alla condizione carceraria. "Non solo come cittadini, ma come credenti", aggiunge la nota, "il suicidio ci ha profondamente turbato, ma ancora di più ci ha rammaricato che un dramma umano venga strumentalizzato a fini di parte".

Teramo: suicidi in carcere, Rifondazione Comunista contestata

 

Il Tempo, 9 agosto 2005

 

Suicidi al carcere di Teramo. L’associazione di volontariato "Verso il Futuro" contesta le tesi di Rifondazione secondo la quale le condizioni all’interno della casa di pena sarebbero "disumane" soprattutto in riferimento alle detenute. Secondo "Verso il Futuro" il tentativo di suicidio del 5 agosto scorso "sono riconducibili a un particolare stato di emarginazione personale e sociale le cui soluzioni andrebbero ricercate nel contesto territoriale. Ci ha rammaricato il fatto che un dramma umano venga strumentalizzato a fini di parte". L’associazione di volontariato tiene a far presente che "per i 360 detenuti di Castrogno esiste una guardia medica permanente, attiva 24 ore su 24 oltre alle cure specialistiche in loco. Rifondazione avrebbe fatto meglio a cercare un incontro con le realtà già operanti presso la struttura".

Terni: progetto della Caritas per dare un aiuto ai carcerati

 

Il Messaggero, 9 agosto 2005

 

L’azione dei volontari in carcere è stato uno dei settori in cui ha operato negli ultimi tempi la Caritas di Terni Narni Amelia attraverso il progetto "Orientare il rientro". Definirlo una bussola per la risocializzazione è forse dire troppo, ma la presenza nel carcere degli operatori Caritas è stata un familiare accompagnamento per i detenuti della Casa Circondariale di Terni. A loro sono stati indicati percorsi di formazione e orientamento all’interno e all’esterno del carcere per l’inserimento lavorativo, è stato dato aiuto attraverso il centro di ascolto e di prima assistenza o attività di formazione artistica. Il contatto e il dialogo costante con i detenuti sono stati passi importanti per percorsi di integrazione e reinserimento sociale.

Il progetto, realizzato con i fondi dell’otto per mille della chiesa cattolica, ha coinvolto una decina di volontari e altri operatori Caritas che si sono occupati dei corsi di formazione. Un rapporto che ha avvicinato molte persone alla realtà carceraria, teso in primo luogo ad abbattere le barriere del pregiudizio. L’esperienza annuale in carcere è stata raccolta in un volume e un Dvd. Immagini e parole per raccontare la solidarietà "oltre le sbarre". Un audiovisivo che raccoglie le emozioni e le sensazioni, i rapporti umani piuttosto che l’attività pratica intrapresa, di tutte quelle persone che più direttamente hanno vissuto la contiguità con la sofferenza e le problematiche dei detenuti e della reclusione. Ecco allora i loro volti, i loro gesti, il loro cammino, le loro parole, che fanno rivivere nell’assoluta aderenza alla realtà, la testimonianza nel farsi prossimo di chi sembra così distante. Un’esperienza che tocca da vicino vite a volte nascoste, sconfitte, in fuga, di persone che esprimono anche con semplici gesti il loro bisogno di essere ascoltate, accolte, sostenute; che trovano nel sincero sorriso di chi hanno di fronte, un segno di solidarietà, un gesto di vicinanza e di speranza.

Pordenone: i detenuti immigrati vanno a scuola di musica

 

Il Gazzettino, 9 agosto 2005

 

Gli immigrati detenuti vanno a scuola di musica. È il progetto partito in questi giorni e realizzato dall’Associazione immigrati extracomunitari di Pordenone. Venti ore di lezione condotte nel carcere pordenonese da due insegnanti specializzati rispettivamente in percussioni e strumenti a corda e tastiere. "Grazie a un contributo dell’amministrazione regionale ha spiegato il presidente dell’associazione, Mauro Marra siamo riusciti a progettare per la prima volta quest’iniziativa. Una delle fasce critiche, oltre che numerosa tra gli immigrati, è proprio quella dei detenuti. Per questo abbiamo pensato a un corso che favorisse la convivenza degli extracomunitari all’interno del carcere, insieme al processo di integrazione".

Anche se pensato per gli stranieri, il corso è aperto pure ai cittadini italiani. Sono 17 i detenuti che lunedì scorso hanno preso parte alla prima lezione, 11 stranieri e 6 italiani. Saranno loro, fino alla fine di settembre, i protagonisti di questa iniziativa che mira a creare nuove opportunità di dialogo e confronto."Non abbiamo voluto fare alcun tipo di esclusione ha aggiunto Marra - La nostra associazione è nata quindici anni fa con l’intento di sviluppare delle occasioni di incontro. Per questo sarebbe stato assurdo limitare il corso ai soli migranti. Si tratta del primo passo in quest’ambito d’interesse. Per il futuro stiamo anche lavorando alla possibilità di un corso di teatro, sempre rivolto ai detenuti extracomunitari della casa circondariale di Pordenone".

Non è il primo corso organizzato dall’associazione pordenonese. Sul versante educativo merita di essere ricordato quello di italiano on-line, rivolto a ragazzi e adulti. Un modo per creare attraverso la rete un manuale d’italiano personalizzato e pronto all’uso di chiunque si accinga a imparare la nostra lingua. Stefania Del Zotto

Milano: il volontariato come modalità di recupero sociale

 

Redattore Sociale, 9 agosto 2005

 

Un progetto di Legambiente per i giovani, italiani e stranieri, di età compresa tra i 14 e i 21 anni, sottoposti a provvedimenti penali per reati occasionali e/o con limitata recidiva. Si tratta di un’iniziativa che prevede dapprima l’attivazione di un percorso individuale di formazione al volontariato da attuarsi nei centri di Legambiente, durante il quale il minore è seguito da un responsabile che affianca i volontari presenti nella struttura.

Alla fase formativa, poi, segue la partecipazione ad una delle diverse esperienze di volontariato che Legambiente organizza in Italia e all’estero. Il giovane, in collaborazione con gli operatori della Giustizia Minorile e con l’autorizzazione del magistrato, potrà scegliere tra esperienze di volontariato sul territorio, progetti a lunga e media permanenza e campi volontariato. "L’esperienza di volontariato - affermano i promotori - può offrire al minore la possibilità sia di sentirsi partecipe e attivo nel miglioramento dell’ambiente, sia di partecipare ad un’iniziativa di utilità ed interesse per l’intera collettività. Si tratta di favorire e sostenere l’impegno dei minori in attività di utilità sociale, nella prospettiva di sviluppare una dimensione di solidarietà e consentire, fra altro, al ragazzo di risarcire la società per il danno causato con la commissione del reato".

Per questi motivi e in virtù della collaborazione con Legambiente in corso dall’anno 2001, il Centro Giustizia Minorile e l’Associazione Legambiente (Legambiente Lombardia Onlus, Legambiente Lecco Onlus) hanno stipulato un protocollo d’intesa al fine di integrare le attività di volontariato con quelle previste dai progetti psico-socio-educativi elaborati dai Servizi della Giustizia Minorile.

Brescia: protesta a Canton Mombello; serve una riforma carceraria

 

Giornale di Brescia, 9 agosto 2005

 

"Canton Mombello vive una situazione di grave disagio, un’emergenza non imputabile al personale di sorveglianza o alla direzione, ma che richiede risposte immediate". Dopo più di due mesi dalla visita tra le mura della casa di reclusione bresciana, Arturo Squassina, consigliere regionale dei Ds, torna a parlare di Canton Mombello, prendendo spunto da una lettera, indirizzata ad Umberto Gobbi, del centro sociale Magazzino 47, con cui un gruppo di detenuti spiega le motivazioni della protesta della "battitura", una mobilitazione, assicura Gobbi, "che coinvolge la totalità dei reclusi". "I problemi riscontrati a giugno - ricorda Squassina - li conosciamo bene. Le guardie insufficienti, il precario equilibrio tra detenuti italiani e migranti, condizioni igienico sanitarie insostenibili per persone affette da patologie gravi".

A questo si aggiunge "la sostanziale impossibilità di usufruire di forme alternative di pena, come il lavoro fuori dal carcere, per la mancanza di operatori che possano coordinarle". Secondo l’esponente diessino "a settembre ci sarà una discussione sul tema della situazione carceraria e dovremo trovare risposte immediate, avviando un percorso che dal piano nazionale, parlando di riforma carceraria, produca effetti tangibili a livello locale. Inoltre credo sia opportuno valutare se Canton Mombello debba essere ristrutturato o sostituito da un carcere più funzionale". "Non serve un carcere più grande - attacca Gianna Baresi, consigliere provinciale di Rifondazione Comunista - ma una riforma del sistema detentivo che liberi le celle da detenuti con pene lievi". Ma questo non basta. "È necessario - aggiunge - pensare ad organismi in grado di coinvolgere i detenuti nella discussione di quelle problematiche che vivono in prima persona ed incrementare gli educatori e gli assistenti sociali". Intanto, aggiunge Gobbi, "visto che è difficile ci sia un indulto o una amnistia da parte del governo a 6 mesi dalle elezioni, cercheremo di mobilitarci per creare un fronte di protesta comune con i detenuti".

Brescia: sovraffollamento e precarie condizioni igieniche

 

Giornale di Brescia, 9 agosto 2005

 

La "battitura" è la più classica delle forme di protesta in carcere e consiste nel battere, appunto, contro sbarre e inferiate qualsiasi tipo di suppellettile metallica. L’ultimo grido disperato di chi ha bisogno di comunicare con il protrarsi di "una situazione che è giunta ormai al limite". Sono le parole dei detenuti di Canton Mombello che, in una lettera indirizzata a Radio Onda d’Urto, riportano drammaticamente alla ribalta la questione insoluta delle condizioni in cui versa la prigione bresciana da qualche giorno (dalle 12.30 alle 13.00 e dalle 20.30 alle 21.00) teatro della "battitura" dei detenuti. "Sovraffollamento e scarsità di personale raddoppiano i disagi dovuti alle precarie condizioni igieniche e alle difficoltà sanitarie legate alla presenza di detenuti affetti da Hiv ed epatite C", ha sottolineato il consigliere regionale Arturo Squassina che ieri presenziava insieme a Gianna Baresi (di Rifondazione Comunista) ad un incontro sul tema negli studi di Radio Onda d’Urto. "A tutto questo - prosegue Squassina - si aggiungano la precarietà dello stabile e la mancanza di operatori sociali qualificati che rendono la struttura inadeguata al compito di riabilitazione per cui questi istituti sarebbero preposti. Un inferno che non credo sia migliorato negli ultimi mesi". Nessun intento polemico da parte dei consiglieri nei confronti della direzione di Canton Mombello, ma l’intenzione di porre una serie di problemi che dovrebbero essere affrontati con la collaborazione di tutti gli addetti coinvolti nella gestione del carcere. Secondo Gianna Baresi, la soluzione non è la costruzione di un nuovo carcere ma attraverso l’istituzione di una serie di commissioni di controllo e gestione dei problemi che riuniscano rappresentanti delle istituzioni, ma anche di operatori e detenuti sul modello di quanto si sta già facendo per il carcere romano di Rebibbia. Tra le priorità la riduzione della popolazione carceraria, la manutenzione degli stabili e l’impiego di un numero maggiore di operatori sociali sembrano essere i presupposti per un miglioramento.

Bologna: maggiore trasparenza sulla sanità penitenziaria

 

Corriere della Romagna, 9 agosto 2005

 

Non resteranno più chiusi nei cassetti i rapporti semestrali sulle condizioni interne nelle carceri di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Ravenna, Forlì e Rimini. La Regione Emilia Romagna, infatti, ha dato un parere favorevole formale alla richiesta del presidente regionale di Medicina Democratica, Vito Totire, che aveva chiesto accesso a dossier che le varie Ausl sono tenute periodicamente a redigere sulle condizioni dei penitenziari. È dallo scorso gennaio che Totire si batte per ottenere i documenti, lamentando la difficoltà ad ottenerli, ma finora la sua richiesta era caduta nel vuoto e il rapporto disponibile era solo quello relativo al carcere della "Dozza" di Bologna. Dall’Ausl di Rimini era venuta un segnale di disponibilità a consegnare i rapporti, ma poi tutto si è bloccato per effetto di una richiesta di chiarimenti venuta dall’azienda di Reggio Emilia ai vertici della sanità pubblica della Regione.

Totire, per via di quella situazione, scrisse una lettera aperta (indirizzata anche al presidente della Regione, Vasco Errani e al difensore civico regionale) chiedendo provocatoriamente se l’accesso agli atti nella pubblica amministrazione in Emilia Romagna fosse ancora un diritto. Ora, però, la situazione si sblocca e le carceri apriranno virtualmente le loro porte, visto che ottenuti i dossier Medicina democratica li rende pubblici. Il direttore generale della Sanità dell’Emilia Romagna, Pierluigi Macini, ha infatti inviato a tutti i direttori dei Dipartimenti di sanità pubblica delle varie Ausl una lettera in cui afferma che i documenti con i "dati inerenti i sopralluoghi negli Istituti di Pena" possono essere concessi a Medicina democratica.

Usa: è diventato intelligente, adesso lo potete giustiziare…

 

Corriere della Sera, 9 agosto 2005

 

Stare nel braccio della morte gli ha fatto bene. Troppo. Passare da un processo all’altro, ascoltare giudici e avvocati, leggere verbali, tutto questo gli ha aguzzato la mente. Purtroppo. Adesso che non è più un "minorato", il 27enne Daryl Atkins è finalmente pronto per l’iniezione letale. Il giudice che venerdì scorso lo ha riconosciuto "fit to die" ha già stabilito quando sarà l’esecuzione: dicembre. "Abile a morire ". Sette anni gli sono voluti, commenta amaro l’avvocato Burr, per crescere e avvicinarsi al boia. Dopo la condanna per omicidio, nel 1998, le perizie psichiatriche stabilirono che Daryl Atkins era "mentally retarded": nel primo test sul quoziente intellettivo (Q.I.) non superò quota 59. Sotto la media, che è 100. Sotto la soglia dei 70 punti, considerata il confine tra "normalità" e ritardo psichico. Un tribunale in Virginia gli diede comunque la pena di morte. Era la legge. Gli avvocati fecero ricorso. Il caso finì alla Corte Suprema. Che a sorpresa, nel 2002, fermò il boia: stabilì che i "ritardati mentali" non potevano più essere giustiziati in nessun angolo degli Stati Uniti d’America.

Una sentenza decisiva (sei voti contro tre), elogiata anche dal presidente Bush: per la prima volta in 16 anni si poneva un limite alla pena di morte. Dozzine di condannati furono liberati. E questo grazie al nero Daryl Atkins, il "picchiatello della Virginia" che a scuola era così "indietro" che non lo facevano giocare a football perché non capiva le regole. Una piccola rivincita. Una mezza vittoria. Daryl rimase in galera. La palla tornò a un tribunale della Virginia. La Corte Suprema non era entrata nel merito. Restava da stabilire se Atkins appartenesse davvero alla categoria dei "mentally retarded". Nuovi test. Perizie. Testimonianze.

Fino al mese scorso, quando accusa e difesa hanno duellato davanti a una giuria non togata di Yorktown, la città della famosa battaglia del 1781, quando l’esercito di George Washington sconfisse definitivamente gli inglesi. Dopo 13 ore di camera di consiglio, la giuria ha deciso: "Adatto a morire". Quando hanno letto la sentenza, Atkins si è girato e ha "soffiato" un bacio alla sua famiglia. La madre della vittima, un giovane di 21 anni ucciso per 200 dollari, se n’è andata in silenzio. Non fa simpatia, Daryl Arkins. Non è uno dei "picchiatelli" a cui si rivolgeva Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo. A 18 anni lui e un certo William Jones sequestrarono l’aviere Eric Nesbitt all’uscita di un bar. Erano rimasti senza soldi, volevano bere. Costrinsero Eric a prelevare soldi al bancomat, lo portarono in un luogo appartato e gli spararono 8 volte. Jones ha testimoniato che fu il compagno, più giovane di 7 anni, a sparare. La collaborazione gli è valsa l’ergastolo.

Daryl non ha la psiche di un bambino. "Conosce il significato di parole come "parabola" e "orchestra" - ha detto in aula la procuratrice Aileen Addison -. Sa che nel 1961 il presidente era John Kennedy". E poi "sa usare una pistola". Secondo l’accusa "Atkins è lento nell’apprendimento ma non è ritardato": finge di esserlo per evitare l’iniezione letale. Finge? Nei test sul Q.I. ha continuato a migliorare: nel 1998 era a 59, nel 2002 a 67. Poi ha superato la soglia tra vita e morte: 74 (nel 2004) e 76 (nel 2005). Lo psicologo che ha curato gli esami nel 1998 e nel 2002, il dottor Evan Nelson, test della difesa, sostiene che gli ultimi risultati non devono essere considerati, perché "frutto di una marcia forzata verso un’accresciuta stimolazione mentale". Una marcia verso il boia.

"Il signor Atkins ha ricevuto più stimoli intellettuali in prigione che negli anni della tarda adolescenza. Il suo caso si colloca in una zona grigia - sostiene il dottor Nelson -. Il suo Q.I. è tra i 60 e i 70". Il margine di errore, in questi test, è di 5 punti. E con l’età si tende a migliorare: tre punti all’anno. "È un caso chiarissimo", ha detto il giudice Smiley alla prima udienza. E poi, rivolgendosi alla difesa: "Non sappiamo quale fossero le condizioni psichiche dell’imputato prima dei 18 anni, questo è un problema vostro".

Davanti ai giurati hanno sfilato insegnanti e compagni di classe di Hampton, Virginia. "Alla fine delle elementari era indietro di 5 anni", ha detto la maestra Sigrid Bomba. "Una volta mi ha chiesto di copiare - ha ricordato un compagno -. Gli ho detto: mi raccomando, cambia qualcosa. Beh, ha copiato anche la mia firma". Ricordi di "Daryl il tonto", prima che diventasse "l’assassino": quando giocava a Monopoli "non sapeva distinguere Parco della Vittoria da Vicolo Corto". Però a 18 sapeva il significato di bancomat, sapeva premere un grilletto. "Mentally retarded" o "fit to die"? La procuratrice Addison a un certo punto ha detto ai giurati: "Lo sapevate che l’imputato ha pure la fidanzata?". Daryl ha scosso la testa. E ha sorriso.

Genova: Radicali presentano pdl su Garante dei detenuti in Liguria

 

Agenzia Radicale, 9 agosto 2005

 

Dopo aver chiesto a tutti i capigruppo del nuovo Consiglio Regionale del Piemonte di ripresentare il progetto di legge (elaborato nella passata legislatura dai consiglieri radicali Bruno Mellano e Carmelo Palma, con adesioni provenienti dalla quasi totalità dei gruppi) sull’istituzione dell’Ufficio del Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, e in seguito alla presentazione dello stesso, da parte dell’intero gruppo consiliare dei Democratici di Sinistra, oggi, l’Associazione Radicale "Adelaide Aglietta" ha fatto pervenire la medesima richiesta al Capogruppo dei DS della Regione Liguria Moreno Veschi, auspicando la presentazione del documento anche nel Consiglio Regionale ligure già alla riapertura delle attività istituzionali di settembre. Alessandro Rosasco (Membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e della Giunta dell’Associazione Radicale "Adelaide Aglietta") ha dichiarato: "Quello che come Associazione "Adelaide Aglietta" auspichiamo è che quante più regioni possibili si aggiungano alla Regione Lazio, l’unica ad essersi già dotata della figura del Garante regionale dei detenuti. Per questo motivo ho inviato il testo di legge, già depositato in Piemonte, anche al Capogruppo dei Ds della mia regione, la Liguria, affinché avvii al più presto l’iter di questa proposta di buon governo della drammatica situazione delle carceri italiane. È intollerabile che una volta entrati in carcere, i detenuti non siano minimamente resi consapevoli di quelle che sono le loro opportunità e i loro diritti. Per tornare a livelli minimi di legalità e rispetto del diritto chiedo a tutte le forze politiche presenti nel consiglio regionale di dare forza e sostegno a questo progetto".

L’estate degli homeless: Gabriele, tossicodipendente e alcolista

 

Redattore sociale, 9 agosto 2005

 

Gabriele è una delle circa 8mila persone senza fissa dimora che vivono a Roma, finite in mezzo a una strada dopo complessi percorsi di impoverimento e abbandono di sé. Gabriele è fatto anche oggi. Questo fragile uomo, sulla cinquantina, è da anni alcolista e da diverso tempo tossicodipendente da Rivotril. Il Rivotril è uno psicofarmaco sedativo-ipnotico a base di benzodiazepine. Contiene l’ansia e induce sonnolenza. Dà dipendenza e ad alte dosi provoca narcosi totale. Effetti indesiderati in caso di sovra-dosaggio o terapia prolungata: instabilità emotiva, sbalzi d’umore, paranoia, tendenza a aggressività e depressione, confusione, difficoltà di movimento, amnesia, irrequietezza e stanchezza cronica, sintomi che si amplificano con l’assunzione di alcol. Il Rivotril si acquista in farmacia, previa ricetta medica. In Italia gli psicofarmaci si acquistano in confezioni intere, la ricetta indica solo il dosaggio giornaliero prescritto dal dottore curante, il paziente può comprarne, entro certi limiti, a sua discrezione. Esiste però uno sviluppato mercato illegale di ricettari e timbri contraffatti o rubati che permette di eludere il controllo medico sull’assunzione non terapeutica del farmaco.

Gabriele organizza la sua giornata in funzione del Rivotril. Passa la mattina davanti a una chiesa a mendicare, poi compra il vino, passa dal medico e va in farmacia per comprare le pasticche, si sballa. Ha paura Gabriele. Ha paura della strada mi dice, mentre mi mostra la mappa delle cicatrici che ha cucite sulla testa rasata, ancora gonfia di botte recenti. E ha paura della vita, degli altri, di se stesso soprattutto. Dalla mattina alla sera la sua preoccupazione è quella di stare "in botta", di non pensare, di non ricordare, di non sentire il male che lo scava come ferri nella pancia. Vive anestetizzato.

Gabriele ha quattro figli, avuti da due mogli diverse. Soffre da quando era giovane di esaurimenti nervosi ed è alcolizzato da molti anni. Gabriele vuole bene ai suoi figli, ma ha paura, lui per primo di fargli del male. L’ultima volta ha versato una tanica di benzina in casa, dove si era chiuso con la famiglia, minacciando di dar fuoco a tutti loro e all’intero palazzo. Poi ha gettato il fiammifero a terra prima di accenderlo, ha sbattuto la porta e non si è fatto più vivo. L’ordinanza del giudice gli impedisce da allora di avvicinarsi ai bambini. Ora eccolo qua, spaventato da quello che è diventato, preferisce rimandare, preferisce isolarsi e non pensare, lo aiutano l’alcol, il Rivotril e una grande città che non si accorge di lui.

Secondo l’Osmed (Osservatorio nazionale impiego medicinali) il consumo di psicofarmaci in Italia è aumentato del 75% dal 2000 al 2003. Sono le benzodiazepine le sostanze più vendute: 126 confezioni per 100 abitanti nel 2003. Seguono antidepressivi con 50 confezioni per 100 abitanti e antipsicotici, 20 per 100 abitanti. In totale prescritte nel 2003 315 confezioni di psicofarmaci per 100 abitanti, donne due terzi dei consumatori. Usati per calmare ragazzi iperattivi, sedare elementi irascibili, combattere l’insonnia, ritrovare autostima, controllare l’ansietà, contenere la depressione, affrontare i dispiaceri, gli psicofarmaci sono diventati la moderna panacea per le pressioni e lo stress della vita. Mentre le medicine comunemente trattano, prevengono o curano un disturbo, gli psicofarmaci possono solamente reprimere i sintomi. Sintomi che puntualmente si ripresentano non appena l’effetto del farmaco svanisce. Alcuni psicofarmaci hanno gravi effetti collaterali, tra cui spasmi, irrequietezza, reazioni maniacali, disfunzioni sessuali, confusione, scarsa concentrazione e memoria, attacchi di panico, allucinazioni e pensieri suicidi. Inoltre alcuni farmaci (Rivotril, Xanax, Valium, Minias, Roipnol, Ritalin, Serenase) creano dipendenza, il che genera, ove la prescrizione non sia accompagnata da una terapia di supporto psicologico e reinserimento sociale, l’emarginazione di chi ha un più forte disagio psichico.

Secondo il prof. Gianni Tognoni (medico e ricercatore, Istituto Mario Negri) "l’aumento significativo del consumo di psicofarmaci segue gli interessi di una corrente, appoggiata dalle grandi case farmaceutiche, che è quella di una medicina tecnica-tecnologica-scientifica, che cura il disagio leggero (diffusa depressione, ansia, disturbi alimentari) sedando i sintomi, con psicofarmaci prescritti con eccessiva leggerezza, e trascura i casi più gravi perché affatto redditizi. Una medicina questa che finisce per rendere ancora più socialmente marginale chi ha un più forte disagio psichico - come i molti Gabriele - e che proprio perché meno risponde alle terapie avrebbe bisogno di un trattamento più intensivo e completo, attento ai problemi, ai processi, alla riabilitazione, alla persona, ai legami, alle relazioni e ai vissuti. Tuttavia una medicina di questo tipo, clinica, epidemiologica, solidale, va inevitabilmente contro l’attuale trend della sanità, subordinata ad esigenze di bilancio e mercato". (Gabriele Del Grande)

L’estate degli homeless: storia di Michela, milanese che ha perso tutto

 

Redattore sociale, 9 agosto 2005

 

Michela non fa acquisti tra le saracinesche chiuse. Cammina lenta, avanti e indietro tutto il giorno per corso Buenos, il cuore commerciale di Milano che ad agosto smette di battere. I sacchetti li porta con sé in due carrelli della spesa. Sono faticosi da spingere sempre, ancor di più in agosto. Ma lei fa tutto da sola. "Non ho bisogno di aiuto. Sono abituata. Questo è tutto quello che ho: la mia casa", afferma decisa. Michela ha 45 anni, ma se le domandano dove abita, alza le spalle. È una persona senza fissa dimora. Quelli come lei rimangono in agosto nella Milano che si svuota: i poveri non vanno in vacanza. Rimangono sulla strada: loro sono lì in tutte le stagioni.

Michela ha perso tutto: casa, lavoro, famiglia. Ma non lo dice. Rimane sul vago e preferisce raccontare della sua vita di oggi e della gente che vede passare. "Mi piace baciare le persone, non sessualmente, ma per farle stare bene – spiega -. La gente al mattino esce di casa arrabbiata, io la saluto e le mando un bacio. Siamo tutti fratelli, no?". Una donna si ferma. Due monete per 10 minuti di chiacchiere. Un saluto diretto a una mamma con un passeggino. "Bisogna imparare a vivere. E detesto chi non mi ascolta e vuole interrompermi perché sa tutto lui". Osserva i passanti. In dosso ha ancora il cappotto. "Puzzo. Lo senti? Non bisogna essere ipocriti: è la verità - prosegue Michela -. Ho comperato ieri un paio di pantaloni nuovi. Negli altri mi sono fatta troppo volte la pipì dentro. Mi trascuravo, ma non va bene".

Quando le scappa ora ha un metodo preciso. Usa un pezzo di giornale: per pulirsi e non sporcare il marciapiede. Lo spazio è fin troppo facile trovarlo: tra due macchine parcheggiate. "Nessun vigile mi ha mai sgridato. Le mie cose le butto nel cestino. Altrimenti la città cosa diventerebbe?". Sistema i giornali nel sacchetto: li infila uno dietro l’altro, piegati. "Questa è la mia casa. Devo tenerla ordinata per trovare ciò che mi serve".

Mentre parla sposta una tovaglia cerata e inizia a frugare "Adesso mi serve l’acqua per bagnarmi la testa. Tutti i giorni compro una bottiglia. Mi serve anche per lavare i pantaloni. Lo faccio la sera o al mattino, prima che inizi il via vai". Riservata. La privacy è un diritto anche per la gente di strada. "Non mi piace chi fotografa la mia roba. Uno con il telefono prima mi ha fatto una foto - racconta -. Chi gli ha dato il permesso?". Alza nell’aria un bastone. Corto, di ferro. "Lo uso per sistemare i sacchetti - affonda il ferro tra i vestiti -. Poi non si sa mai, se qualcuno vuole rubare. Bastano due colpi, sulle mani. Il vigile mi ha detto che così nessuno mi tocca. Loro mi vogliono bene. E tu non girarmi più intorno", dice a me. (eps)

L’estate degli homeless: Bologna, la Caritas non ha chiuso per ferie

 

Redattore sociale, 9 agosto 2005

 

Solo la Caritas non ha chiuso per ferie: la mensa di via Santa Caterina è l’unica che nel mese d’agosto continua a lavorare a pieno ritmo per fornire un pasto ai senza fissa dimora presenti in città, e di questi tempi è a rischio sovraffollamento. "Anche in questo periodo prepariamo quotidianamente centocinquanta pasti al giorno - racconta Giulio, uno dei volontari della mensa diocesana – . Si inizia a cucinare alle 8.30 del mattino e si finisce alle nove di sera". Per poter mangiare in via Santa Caterina, i clochard devono mostrare un tesserino, che la Caritas rilascia dopo un colloquio al Centro di ascolto, "ma chi viene qui comunque ha fame - spiega Giulio - , con o senza tessera. Noi cerchiamo di soddisfare un po’ tutti, offrendo anche un panino. D’estate - aggiunge - qui alla Caritas c’è effettivamente un problema di sovraffollamento. Anche i volontari vanno in vacanza, e ora che il servizio di mensa bus del Comune è sospeso, questo è l’unico posto dove chi vive per strada può trovare un pasto caldo".

Bologna è stata la prima città (con la passata giunta) a dotarsi di uno strumento come il "mensa bus": un autobus dismesso dell’Atc trasformato in una sorta di ristorantino itinerante da un gruppo di operatori sociali per fornire ogni sera un pasto caldo a decine di clochard bolognesi. Ma ora anche il "mensa bus" è in vacanza, poiché il Comune ha deciso di sospendere il servizio. "Era un servizio che contrastava l’effetto bivacco - spiega Massimiliano Salvatori, della storica associazione "Amici di Piazza Grande", da sempre vicina a chi è ai margini - . Dal Comune dicono che la sospensione rientra in un quadro di ristrutturazione generale dei servizi di strada, ma il "mensa bus" era necessario, soprattutto in questo periodo estivo. Per tutte le altre strutture, invece, l’estate non porta grossi cambiamenti".

I dormitori, i bagni, le docce, i servizi di assistenza medica e perfino i legali del progetto "Avvocato di strada" di Bologna rimangono attivi per tutto il mese d’agosto. E i senza fissa dimora? Cosa fanno d’estate? "Chi rimane - spiega Massimiliano - sono soprattutto i senza tetto ‘storici’. La città si svuota, c’è meno attrito sociale e anche per strada si sta più tranquilli. D’estate, comunque, le richieste d’accoglienza diminuiscono e molti seguono gli andamenti delle vacanze: qualcuno ritorna nella città o paese d’origine, altri cercano un lavoro nei campi come raccoglitori di frutta". In sostanza d’estate "un calo dei servizi c’è - conclude Massimiliano -, ma va a colpire in maniera un po’ più grave solo le mense; la situazione dei senza tetto a Bologna in questo periodo non presenta particolari emergenze". (mg)

L’estate degli homeless: a Roma servizi di prima accoglienza

 

Redattore sociale, 9 agosto 2005

 

L’esodo estivo non ferma la rete dei servizi per le persone senza fissa dimora di Roma. Garantiti per l’intera stagione servizi di prima accoglienza, mense, punti doccia, distribuzione vestiario e centri di ascolto in linea con una politica sociale di continuità d’intervento per il sostegno e il reinserimento delle persone. Numerosi campi di volontariato di giovani provenienti da tutta Italia nelle strutture Caritas. "É inutile parlare di emergenza freddo d’inverno e caldo d’estate. A Roma da qualche anno si lavora sul reinserimento sociale delle persone e non più sulle emergenze". A sostenerlo è Roberta Molina, responsabile dell’Area ascolto ed accoglienza della Caritas diocesana di Roma, che cita a proposito le parole dell’ex-direttore della Caritas Luigi di Liegro. L’utenza non cambia al cambiare delle stagioni, come anche i bisogni; la vera questione è "essere presenti con interventi continuativi e differenziati nei percorsi delle persone che si rivolgono ai nostri servizi".

Si fanno più frequenti con il caldo gli interventi delle unità di strada e del Sos (Sala operativa sociale). I servizi Caritas inoltre sono animati da qualche anno a questa parte dalla presenza di giovani volontari provenienti da varie parti d’Italia che, partecipando a campi di lavoro estivi, sostituiscono nelle varie strutture i volontari romani ormai in ferie. Roma non si svuota più come negli anni passati ed i servizi rimangono come importanti punti di riferimento per una parte della popolazione, quella degli homeless, che d’estate rimane in città. Discorso a parte per gli immigrati senza fissa dimora che in questo periodo si allontanano in cerca di lavoro sul litorale romano.

"Gli immigrati hanno problematiche differenti dai senza dimora italiani - continua la Responsabile Caritas -. Questi ultimi sono spesso persone uscite dal mercato del lavoro, con disturbi mentali talvolta accentuati. Gli immigrati invece nella maggior parte dei casi si trovano a vivere una situazione momentanea di difficoltà e hanno più determinazione per uscirne". Aumentano tuttavia i casi di immigrati con disturbi mentali e problematiche di dipendenze. Per questo la rete integrata dei servizi pubblici e del privato sociale si differenzia in servizi e interventi mirati. Due le case famiglia per madri e bambini aperte dalla Caritas negli ultimi due anni, a fronte di 1.200 nuclei familiari senza fissa dimora censiti nella capitale. "Positivo il bilancio del lavoro di questi anni - conclude Molina -. Buono il lavoro di rete tra pubblico e privato sociale che vede ormai un lavoro di gestione partecipato". La popolazione senza fissa dimora della città di Roma è di circa 6.000 persone. Di questi sarebbero circa 2.000 gli italiani e 4.000 gli stranieri. Tre su quattro sono uomini, età media 30-45 anni. (Gabriele Del Grande - Laura Pagnini)

L’estate degli homeless: Milano, problema una mensa o una doccia

 

Redattore sociale, 9 agosto 2005

 

Cercare una mensa, una doccia o un cambio di vestiti in agosto a Milano può diventare un problema. Nei tram e nelle strade deserte viaggiano i poveri della città. E alcuni luoghi si trasformano per loro in oasi, come la Fondazione fratelli S. Francesco, in via Bertoni, e l’Opera San Francesco, in via Kramer. I servizi socio- assistenziali sono aperti anche in agosto. Gli indirizzi dei centri che non fanno la chiusura estiva sono consultabili nel sito della Caritas ambrosiana: www.caritas.it.

"Come ogni anno ci aspettavano un aumento delle presenze in questa stagione - spiega Andrea De Liberto, segretario della Fondazione -. Le altre mense chiudono e da noi arrivano fino a 1500 persone al giorno. Nei primi giorni di agosto però abbiamo distribuito solo 1.000 pasti tra pranzo e cena". Nella fila per entrare alla mensa sono diversi i visi stranieri. Anche la domenica a pranzo, che di solito è giorno di chiusura. "Paradossalmente gli immigrati sono in calo - commenta De Liberto -. Soprattutto quelli senza documenti. Dopo gli attacchi di Londra, la polizia ha intensificato i controlli e molti hanno cambiato aria. Altri sono stati rimpatriati".

Alla mensa "Gorbaciova", come la chiamano gli habitué per la vicinanza a via della Moscova, gli italiani sono solo il 30%. "Eppure le richieste da due anni sono in aumento. In estate vengono le persone al di sopra di ogni sospetto: gli anziani, le persone affette da malattie psichiche o chi abita nei caseggiati popolari con la pensione sociale - commenta -. Durante l’anno li aiutano i vicini di casa, ma in estate sono abbandonati a loro stessi". Chi arriva in via Bertoni non trova solo un pasto caldo: con la tessera si può fare anche una doccia. "In media vengono a lavarsi 20/25 uomini al giorno. Per le donne non abbiamo gli ambienti adatti - prosegue De Liberto -. Ed è ancora attivo l’ambulatorio medico per le visite di base".

Continua ad accogliere i poveri anche l’Opera San Francesco. "Nonostante sia estate l’affluenza non è aumentata - dice padre Vittorio Arrigoni, il vice presidente -. Distribuiamo 1200 pasti a pranzo e 1000 a cena. Gli italiani non superano il 5% degli utenti". Per carenza di volontari rimangono chiusi il guardaroba e il poliambulatorio. Mentre il servizio docce si limita al turno. "I poveri non vanno in vacanza, ma i nostri medici sì. Aprire il poliambulatorio con un solo medico non sarebbe possibile: le richieste da gestire sarebbero troppe", conclude padre Vittorio.

Domani i City Angels porteranno un po’ di aria fresca negli appartamenti di 10 anziani con difficoltà economiche. "Abbiamo comprato 10 condizionatori nuovi a 600 euro con l’aiuto di alcuni sponsor privati - spiega Mario Furlan, presidente dell’associazione -. Serviranno a rinfrescare le case degli anziani. Altrimenti non potrebbero permetterselo. Entro fine agosto pensiamo di distribuirne un centinaio". La consegna avverrà domani alle ore 12 davanti alla postazione dei City Angels in Stazione Centrale, in piazza Duca d’Aosta. L’iniziativa "Aria fresca a Milano per i nonni" è stata finanziata da alcuni sponsor: Paolo Uguccioni del Coordinamento dei Comitati di Quartiere, il Presidente Carlo Montalbetti, Combipel, il Cin cin Bar di corso Buenos Aires, lo studio di consulenza Frei e quello di mediazione immobiliare Alberto Silvera. (eps)

 

 

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