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Milano: Tribunale Sorveglianza smentisce arresto semiliberi a Opera
Il Giorno, 6 agosto 2005
"Ad Opera non vi sono detenuti semiliberi coinvolti nelle recenti vicende criminose". È quanto sostiene il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Francesco Castellano, in relazione agli arresti fatti dalla polizia nell’ambito di una operazione che aveva portato alla luce rapine in banca e spaccio di droga. Nel documento di Castellano si afferma che "circa l’arresto di 15 detenuti semiliberi ristretti nel carcere di Opera, il sottoscritto presidente di questo Tribunale di sorveglianza, smentisce la notizia così come diffusa in quanto da informazioni assunte è emerso che ad Opera non vi sono detenuti semiliberi coinvolti nelle recenti vicende criminose". In realtà la polizia aveva subito precisato che, dei 13 arrestati, due erano i detenuti accusati di aver compiuto rapine, fra il 2002 e il 2003, mentre fruivano del regime di semilibertà dal carcere di Opera. Milano: fu una bufala; nessun arresto detenuti semiliberi a Opera
Corriere della Sera, 6 agosto 2005
L’arresto di quindici detenuti semiliberi di Opera? Sulle notizie "diffuse dai mass media a partire dal 29 luglio" interviene il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano Francesco Castellano (competente anche sui detenuti di questa casa di reclusione) per "smentire la notizia così come diffusa". Infatti, "da informazioni assunte presso Opera, è emerso che non vi sono detenuti semiliberi presenti presso il predetto carcere coinvolti nelle recenti vicende criminose". Castellano ritiene quindi "doveroso pronunciarsi sul punto, al fine di tranquillizzare l’opinione pubblica in ordine all’attenzione che il Tribunale di Sorveglianza dedica al trattamento extramurario dei detenuti, coniugando le misure, eventualmente concesse, sempre con la garanzia della sicurezza sociale". Teramo: nuovo tentato suicidio, detenuto salvato dagli agenti
Il Centro, 6 agosto 2005
Un altro tentato suicidio nel carcere teramano, il quarto nel giro di tre settimane. P.D.V., 42enne rosetano detenuto per lesioni, ieri mattina ha cercato di impiccarsi con le lenzuola alle inferriate della cella, ma è stato salvato dall’intervento tempestivo degli agenti di polizia penitenziaria. L’uomo, che a dicembre finirà di scontare la pena, non è in gravi condizioni. Dopo essere stato medicato in infermeria, l’uomo è stato messo in osservazione, allungando così il numero dei detenuti a rischio suicidio per cui la direzione ha disposto una sorveglianza 24 ore su 24. Per farlo però è stato necessario richiamare il personale dalle ferie, vista la grave carenza di agenti che si trascina ormai da anni. Una decisione che ha sollevato le proteste del sindacato, che ormai da tempo ha lanciato l’allarme per un carcere sovraffollato e in cui nell’ultimo anno ci sono stati trenta tentati suicidi tutti sventati grazie all’intervento degli agenti che sono 193 a fronte di 364 detenuti. Intanto ieri, all’esterno del carcere, Rifondazione comunista ha organizzato una manifestazione per esprimere solidarietà alle detenute che da qualche giorno protestano battendo con le posate contro le inferriate. "Le detenute", ha detto Filippo Torretta, "chiedono un’assistenza socio-sanitaria più costante e norme di vita più umane, a cominciare dall’accesso alla biblioteca per finire alla distribuzione delle medicine". Rifondazione ha chiesto un consiglio comunale straordinario da tenere in carcere. Teramo: allarme suicidi nel carcere, saltano le ferie degli agenti
Il Centro, 6 agosto 2005
Rischio suicidi nel carcere di Teramo e per gli agenti saltano le ferie. Dopo l’ultimo caso la direzione ha deciso di raddoppiare la vigilanza nei confronti di cinque detenuti considerati a rischio, ma per controllarli 24 ore su 24 è stata costretta a richiamare 12 poliziotti dalle ferie vista la grave carenza di personale che si trascina ormai da anni. Una decisione che ha sollevato la proteste del sindacato. Il Sappe, il sindacato autonomo, chiede il trasferimento immediato dei detenuti a rischio in un’altra struttura. "Il carcere teramano scoppia", dice il segretario provinciale Giuseppe Pallini, "è la struttura più affollata della regione e il numero degli agenti presente è insufficiente". Nell’ultimo anno ci sono stati trenta tentativi di suicidio, tutti sventati grazie all’intervento degli agenti. A Castrogno ci sono 364 detenuti e 193 agenti. La pianta organica è quella del 1999, quando c’erano solo 200 reclusi. Ora il numero è raddoppiato visto che il carcere di Teramo ospita anche la sezione protetti, la sezione tossicodipendenti e quella femminile che raccoglie detenute provenienti non solo da tutto l’Abruzzo, ma anche dal Molise e da una parte delle Marche. Per garantire i servizi gli agenti sono costretti a fare turni di lavoro di 8-9 ore al giorno invece delle 6 previste. Spesso, inoltre, saltano congedi, riposi e ferie. Ora, con l’emergenza suicidi, la situazione è al collasso. L’ultimo caso risale a qualche giorno fa. Nella notte tra mercoledì e giovedì un detenuto campano di 35 anni ha cercato di uccidersi in cella con le lenzuola, ma è stato salvato dall’intervento immediato degli agenti. Il tentato suicidio è avvenuto dieci giorni dopo il suicidio di Vincenzo Donvito, il 38enne pugliese che si è ucciso impiccandosi con le lenzuola. L’uomo, che il 7 luglio era evaso dopo un permesso, era detenuto per l’omicidio di un’anziana avvenuto nel 1995 nel Tarantino e sarebbe rimasto recluso fino al 2017. Recentemente un tunisino recluso a Treviso si era incolpato dello stesso delitto. Qualche mese fa nel carcere di Teramo si era suicidato Domenico Gentile, un 54enne di Fallo, in provincia di Chieti, operaio ad Atessa, che il 23 aprile scorso si era tolto la vita impiccandosi in cella con la cintura dei pantaloni. L’uomo stava scontando una condanna a tre anni per tentativo di omicidio e sarebbe uscito l’anno prossimo: nell’aprile del 1999 aveva accoltellato una prostituta nella pineta di Pescara. Era considerato un detenuto modello e in base al regolamento carcerario era autorizzato a portare la cintura perché ritenuto soggetto non a rischio. Salerno: favorì dei camorristi, arrestato ex agente penitenziario
Salerno News, 6 agosto 2005
Negli anni ‘90 venne accusato di favorire gli affiliati alla Nuova Famiglia del boss Carmine Alfieri, detenuti nella casa circondariale di Salerno Fuorni, dove prestava servizio come agente penitenziario. Girolamo Apicella, 47 anni, è stato arrestato dalla polizia su ordine della procura generale della repubblica di Napoli, dovendo espiare la pena di 3 anni di reclusione per il reato di associazione per delinquere mafiosa. Gli agenti della sezione catturandi della Squadra mobile della questura di Salerno lo hanno arrestato nella sua abitazione di Nocera Superiore e rinchiuso nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Trento: una lettera dal carcere; "noi vogliamo il riscatto"…
Il Trentino, 6 agosto 2005
Non serve a nulla lamentarsi delle singole situazioni ma bisogna andare avanti insieme per far capire al governo le vere esigenze delle carceri italiane e per ricordare che "ci sono dei detenuti di serie B che vogliono riscattarsi e tornare ad essere di serie A". A dirlo è un gruppo di detenuti del carcere di Trento che ha deciso di spiegare la sua battaglia e le sue ragioni attraverso una sorta di lettera aperta. "Il problema del sovraffollamento - scrivono - è all’ordine del giorno ed è qui che tutti noi detenuti dobbiamo singolarmente, con proteste pacifiche, ripeto pacifiche, ricordare al governo che questo problema deve essere discusso immediatamente. Il sovraffollamento non lo si può certamente imputare all’amministrazione penitenziaria locale. La struttura è quello che è, ma abbiamo constatato che ovunque si vada, le condizioni rimangono sempre le stesse se non peggiorano. Noi abbiamo sbagliato, ma la nostra società dovrebbe offrire una possibilità di riscatto. Certo le strutture alternative, le carceri possono dimostrarsi assai carenti e quindi come possono gli operatori esercitare la rieducazione. Ora dobbiamo far capire alla pubblica opinione che abbiamo voglia di riscattarci, che vogliamo tornare ad essere di serie A". Asti: esponenti Radicali in visita alla sezione di Alta Sicurezza
Agenzia Radicale, 6 agosto 2005
Bruno Mellano, Segretario dell’Associazione Aglietta, ha dichiarato: Oggi, dalle ore 11 e 45 alle ore 15, il segretario dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta, Bruno Mellano, e la consigliera regionale del gruppo "Verdi per la Pace", Mariacristina Spinosa, segretario dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Piemonte, hanno visitato la Casa di Reclusione di Quarto d’Asti. La delegazione ha incontrato lungamente il direttore Domenico Minervini ed il comandante degli agenti di polizia penitenziaria in riferimento alla denuncia dei 46 detenuti (18 dei quali extracomunitari) della sezione "Alta Sicurezza" formulata in una lettera aperta resa pubblica tramite l’Associazione Radicale Adelaide Aglietta. Mellano e Spinosa hanno in seguito ispezionato la sezione 1 A sottoposta al regime di alta sicurezza incontrando e parlando con una dozzina di detenuti; con il direttore ed il comandante presenti si è tentato di incardinare ulteriormente un dialogo che, sulla base delle 12 precise richieste contenute nella petizione sottoscritta da tutti i detenuti della sezione, ha visto già due momenti di confronto in data 14 ed in data 28 luglio. Ieri la sezione ha avuto una perquisizione straordinaria delle celle e due detenuti, fra i firmatari della petizione, con decisione del Dipartimento nazionale dell’Amministrazione Penitenziaria, sono stati spostati in altri istituti. "Abbiamo avuto un lungo e franco confronto con la direzione ed il comando degli agenti, partendo da una condivisione di gran parte delle richieste formulate dai detenuti. Personalmente ho voluto sottolineare la civiltà di un gesto di denuncia preciso ed aperto su richieste legittime e, in alcuni casi, paradossalmente banali. Abbiamo potuto riscontrare la disponibilità del direttore ad intervenire subito sui punti di propria competenza e sui quali è possibile trovare soluzioni condivise ed a continuare un dialogo che noi ci siamo impegnati a seguire ed assecondare. Anche in sezione abbiamo trovato un buon clima, ma con maggior scetticismo nella possibilità di intervento reali e, in qualche caso, nella volontà di intervento. Il direttore ha preannunciato un intervento immediato sul elenco degli alimenti acquistabili all’interno e sul monitoraggio del loro prezzo e della loro qualità. I detenuti, in nostra presenza si sono detti disponibili a tinteggiare loro stessi le celle e a fronte alla mancanza di fondi sul capitolo della manutenzione ordinaria della struttura essi hanno annunciato una sottoscrizione in denaro fra i reclusi per l’acquisto della vernice. Il direttore Minervini ha, eccezionalmente, acconsentito alla proposta." Modena: è "emergenza carcere"; tagli e forti carenze di personale
Gazzetta di Modena, 6 agosto 2005
I tagli economici si ripercuotono anche sul carcere di Sant’Anna al cui interno il problema della carenza di personale si fa sentire in modo sempre più grave. Rispondendo ad un’interrogazione, presentata dal diessino Muzzarelli, l’assessore regionale alle Politiche sociali, Anna Maria Dapporto, ha detto di aver chiesto alla Giunta se siano previste azioni, e quali, per ovviare alla pericolosa situazione del carcere S. Anna nel quale vi è una forte carenza di agenti rispetto al numero dei detenuti. Carenze nel personale e impossibilità di porvi rimedio per un "drammatico" taglio delle spese. L’assessore regionale alle Politiche Sociali, Anna Maria Dapporto, ha risposto all’interrogazione presentata dal consigliere dei Ds Gian Carlo Muzzarelli, che ha chiesto alla Giunta se siano previste azioni, e quali, per ovviare alla pericolosa situazione del carcere di sant’Anna di Modena, nel quale vi è una forte carenza di agenti in servizio rispetto al numero dei detenuti, con possibili conseguenze negative sia per gli uni che per gli altri. "La presenza di un numero insufficiente di agenti - fa notare Muzzarelli nella sia interrogazione - significa una loro ridotta capacità di fare fronte alle emergenze che si vengono a creare, ed anche una situazione di difficoltà nell’affrontare l’ordinaria amministrazione, con turni di lavoro massacranti per ovviare all’organico ridotto". Una situazione del genere, secondo il rappresentante diessino, "danneggia tanto loro quanto i carcerati). L’assessore Dapporto, riferisce quindi Muzzarelli, nella risposta ha messo in evidenza che vi è stato un "drammatico taglio sistematicamente attuato negli ultimi quattro anni in tutti le voci di spesa del penitenziario". La Dapporto, contemporaneamente, ha assicurato il suo impegno a mantenere vigile l’attenzione verso le problematiche del mondo penitenziario regionale. "Da un lato proseguiranno quindi i progetti di attività di ricerca sul carcere e di formazione congiunta, che riguardano il personale penitenziario, i volontari e il personale degli enti locali. Dall’altro - conclude Muzzarelli rendendo conto della risposta ricevuta - la Regione continuerà a denunciare ai ministri competenti lo stato in cui versano le strutture carcerarie, cercando di sollecitarli a provvedere al ripristino delle condizioni di sicurezza". Livorno: sul palco tutto l’impegno dei detenuti delle "Sughere"
Il Tirreno, 6 agosto 2005
È stata una grande emozione. Avevo tutta la famiglia a guardarmi". Silvana viene da Prato ed è una delle protagoniste dello spettacolo "Nel cerchio 1", la favola nera tratta dal racconto "Michele Kolhas" messa in scena dal laboratorio teatrale della Casa circondariale delle Sughere, uno spettacolo organizzato nell’ambito di Effetto Venezia. "Cosa mi dà il teatro? È l’unico modo che mi permette di esprimere quello che ho dentro. Mi dà una grande energia. E anche se a vedermi non ho nessuno, sono felice di essere qua fuori". Si guarda intorno Daniela. Ascolta i rumori, osserva la gente, scruta ogni singola cosa che le succede intorno. In altre parole scruta una vita diversa da quella che è abituata a condurre, dietro le sbarre delle Sughere". E là sul palco di via Carraia gli attori-detenuti del carcere livornese sono andati benissimo. Si sono confrontati con temi impegnativi come il potere, il bene e il male, la giustizia, la punizione, la riflessione, sotto l’occhio attento del regista Alessio Traversi: "Fare teatro in carcere - dice - è un’esperienza complicata, di grande soddisfazione. Lo faccio da due anni e mi rendo conto che una delle cose più difficili è far recitare uomini e donne insieme. È inoltre complicato allestire uno spettacolo al mattino presto, in una stanza illuminata dalla luce del giorno, con un gruppo di attori destinato a cambiare continuamente a seconda delle scarcerazioni e dei nuovi arrivi. La cosa straordinaria che sempre viene fuori, comunque, è la grande forza di volontà della gente, disposta a mettersi in gioco, a intraprendere un percorso". Perché di percorso e di integrazione si parla, come sottolinea anche Marco Solimano, presidente dell’Arci che promuove il progetto: "Da circa sei mesi - dice - il laboratorio teatrale all’interno del carcere è diventato permanente. Un modo per ricordare che non si tratta solo di un luogo di espiazione, ma anche di cultura, di spazi da vivere. Il nostro obiettivo è quello di replicare lo spettacolo, a settembre, proprio al campo sportivo del carcere e renderlo aperto alla cittadinanza". Massa: il teatro in carcere, ma per un pubblico di "esterni"
Il Tirreno, 6 agosto 2005
Per la prima volta il carcere si apre alla cittadinanza. Nell’ambito delle iniziative collaterali a Lunatica 2005 sarà infatti realizzato uno spettacolo al quale potrà partecipare il pubblico esterno. E non solo su invito. Tra gli appuntamenti estivi organizzati dalla Provincia si registra un evento speciale realizzato in collaborazione con la Regione, la casa di reclusione e TiConZeroCompagnia. Si tratta dello spettacolo "Maiali!" che andrà in scena il 10 agosto alle 18.15 nella casa di reclusione, con l’interpretazione dei detenuti impegnati nel laboratorio teatrale "Interni Teatri". Tratto da "La fattoria degli animali" di Orwell, nell’adattamento di Massimo Gritti che ne cura anche la regia (con l’aiuto di Ilaria Pardini), lo spettacolo riflette sui meccanismi del potere e dell’oppressione e sulla necessità di mantenere vigile la capacità di riconoscerli e smascherarli. Il progetto "Interni Teatri" di TiConZeroCompagnia rientra nel Progetto Carcere della Provincia, realizza da più di 10 anni un laboratorio teatrale all’interno della casa di reclusione. Porto Azzurro: tentato suicidio, detenuto ancora fra vita e morte
Il Tirreno, 6 agosto 2005
Ha legato una cordicella alle sbarre della sua cella e poi si è lasciato cadere sul pavimento. Un recluso napoletano, trentenne, da qualche anno nel carcere di Forte San Giacomo a Porto Azzurro, lotta fra la vita e la morte nell’ospedale di Pisa. Vi è giunto nella tarda mattinata di ieri con un’ambulanza partita da Portoferraio. Una corsa conto il tempo con una catena di soccorsi che avevano prima mobilitato l’elicottero del 118 e poi anche allertato un elicottero militare. Per motivi di sicurezza, occorreva la vigilanza di alcuni agenti della polizia penitenziaria e poi del primario di anestesia dell’ospedale di Portoferraio, i posti sull’elicottero non erano sufficienti. Si è optato per l’ambulanza sulla quale ha preso posto il primario di anestesia dell’ospedale di Portoferraio, Alessandro Marino e con la quale intorno alle 13 di ieri l’uomo è giunto all’ospedale di Pisa. Con il passare delle ore il suo stato clinico è lievemente migliorato anche se rimane una prognosi riservata. L’uomo, come detto, un trentenne napoletano con ancora una ventina di anni di carcere da scontare era arrivato nella prima mattinata di ieri all’ospedale in stato di coma. Durante la notte all’interno della sua cella nel carcere di Porto Azzurro ha tentato il suicidio, provvidenziale l’intervento degli agenti di polizia penitenziaria che durante il controllo routinario lo hanno soccorso. Poi il trasferimento all’ospedale di Portoferraio, l’intervento dei medici del pronto soccorso poi quello diretto del primario del reparto di anestesia. Infine per la situazione critica è stato deciso il trasferimento al un centro specializzato, quello appunto dell’ospedale di Pisa dove è stato ricoverato. Livorno: letture delle opere premiate nel concorso "Casalini"
Il Tirreno, 6 agosto 2005
La scrittura come libertà. È il titolo dell’incontro di stasera (21.30), alla Rotonda Pierolli di Cavo, che metterà in risalto le opere premiate nelle tre edizioni del Premio letterario nazionale " Emanuele Casalini", riservato ai detenuti delle carceri italiane. Interverranno i membri della giuria, Ernesto Ferrero, presidente, Anna Maria Rimoaldi, direttrice della Fondazione Goffredo e Maria Bellonci, Raffaella d’Esposito, docente del Conservatorio Santa Cecilia di Roma, Paolo Ferruzzi, docente di scenografia e direttore vicario dell’Accademia delle Belle Arti di Roma, Pablo Gorini, docente di materie letterarie di Piombino, Cesare Guasco, vice presidente nazionale della società San Vincenzo De Paoli, Paolo Pesciantini, direttore Confcommercio dell’Isola d’Elba. Leggerà i testi Arnaldo Gaudenzi. L’incontro è un’anticipazione della quarta edizione del Premio Casalini che si chiuderà il 25 ottobre nella Casa Circondariale " Le Vallette" di Torino. "La scelta del capoluogo torinese non è casuale. I promotori, infatti, hanno voluto far onore al presidente della giuria Ferrero, direttore della Fiera internazionale del libro di Torino - dice Lucia Casalini, segretaria del Premio che aggiunge "Quest’anno abbiamo avuto 360 scritti, inviati da detenuti provenienti da ogni parte d’Italia e gli attestati di condivisione da parte di personaggi importanti che sostengono l’iniziativa si moltiplicano. Siamo soddisfatti, anche se i problemi non mancano e i mezzi sono pochi. Ma è tale la gioia di vedere negli occhi dei carcerati un momento di serenità, che vogliamo andare avanti nonostante gli ostacoli. E lo diremo anche durante l’incontro di stasera, patrocinato dal Comune e la Pro loco di Rio Marina e dal Comune di Cavo". Il pubblico naturalmente è invitato, l’ingresso è libero e la voce di Arnaldo Gaudenzi spargerà nell’aria, leggendo le poesie e i racconti dei carcerati, i loro drammi, le loro malinconie, i loro pentimenti e le piccole gioie, molta emozione. Volterra: e lo spettatore scopre quant’è piccola una cella...
Il Tirreno, 6 agosto 2005
Ancora una volta la Compagnia della Fortezza dei detenuti del carcere di Volterra colpisce il suo pubblico. Questa volta più che provocarlo lo trascina con sé, lo muove a suo piacimento attraverso i corridoi del piano terra, lungo il cortile dell’ora d’aria, e alla fine lo chiude con sé dentro le celle (quelle più antiche che ormai sono dismesse). Lo guida per mano a una scoperta di sé tutt’altro che facile con dei risvolti per chi partecipa al gioco anche imbarazzanti. Prima dell’inizio di questo "Appunti per un film" (in scena ancora oggi e domani riservato a spettatori che abbiano fatto richiesta all’autorità giudiziaria) il regista Armando Punzo si rivolge al pubblico in attesa togliendogli ogni illusione di estraneità: "Voi siete le comparse per questo film che stiamo girando, senza di voi non lo potremmo fare". La prima immagine di questo film è una spianata bianca popolata di personaggi con cappotto nero e ombrello, simili alle statue di cartapesta che lo stesso Punzo costruiva da giovanissimo negli anni in cui era ancora incerto se dedicarsi alla scultura o al teatro. Gli spettatori passano, guardano e poi vengono accompagnati in una piccola arena in cui prendono posto confondendosi con gli attori. Le 250 comparse rappresentate dal pubblico vengono ammonite da un biondo direttore del set: "Gentilmente meno rumore. Signora, veloce quel ventaglio". Compare uno straordinario Don Chisciotte con il suo scudiero tutto perso in uno struggente balletto. Due pagliacci, un attore in bianco, cercano un autore, come i sei personaggi di Pirandello. Ma l’atmosfera piano piano diventa quella di un talk show in cui passano i temi più scottanti della nostra attualità mentre diverse troupe cinematografiche (cineprese vere e cineprese di cartone, a cui si aggiungono le videocamere che il pubblico si è portato appresso) si riprendono l’una con l’altra. Un sedicente poeta (per la verità è un vero poeta: Giacomo Trinci) legge un pezzo di giornale dei giorni scorsi in cui si racconta dell’uccisione a Londra da parte della polizia del presunto terrorista che invece non c’entrava nulla. Ed ecco gli attori si lanciano sfide sull’islam, sulle donne, chi sta di qua, chi sta di là, chi invoca i tempi delle crociate, un attore magrebino si oppone. Si disquisisce se la realtà sia vera o illusoria. Il pubblico si fa coinvolgere, qualcuno viene interpellato, altri intervengono, tutti fanno a gara a sembrare migliori possibili. Il bla bla diventa insopportabile. Fortunatamente però si cambia scena e la realtà del teatro riprende il sopravvento: entra un gommone fatto di cartone e tenuto insieme con lo scotch, pieno di clandestini che parlano una lingua estranea e litigano per una bottiglia d’acqua. Il solito magrebino esplode: "Questa parte non la voglio fare, voglio dimenticare". Si cambia, altra scena, proprio come in un film. Entra una donna, asse da stiro, solita occupazione: accudire il figlio, preparargli gli abiti con amore (nella realtà è la vera madre del regista Armando Punzo). Ma lui (interpretato da un attore belga che si è formato al laboratorio internazionale guidato da Punzo in questi anni) non ci sta: ha deciso, vuole andare, tentare strade diverse da quelle che lei sognava per lui. Tornerà ogni tanto ma sotto altre vesti: un nero venditore da spiaggia, un clown che ha trovato lavoro in un circo. Struggente, composta, la madre li accoglie. E si cambia ancora, in piedi, divisi in uomini e donne, si va all’inferno, giù nel corridoio del carcere ("Chi soffre di claustrofobia - avvisano - stia più indietro"). A gruppi si entra dentro le celle insieme ai detenuti. Loro in un secondo ti trascinano nella loro intimità quotidiana, in una dimensione a cui noi non abbiamo accesso: si mettono a vociare, chiamarsi, battere sulle porte di ferro. E per quell’attimo ti immagini come sia il loro mondo. Poi si va fuori a respirare. Nel cortile, in uno spazio delimitato dalle inferriate sono rimasti a vagare un Don Chisciotte sempre più stanco, un uomo col grembiule blu della scuola che gioca con la palla, mentre fuori un uomo adulto batte inutilmente a una porta. E riprende la sfilata dell’inizio con l’ombrello alla quale anche noi siamo invitati, uno dietro l’altro, ognuno con il suo ombrello, l’oggetto più inutile che si possa trovare in un carcere. Palermo: i detenuti del Pagliarelli diventano stilisti di moda
Giustizia.it, 6 agosto 2005
Nell’ambito della manifestazione "Momenti di moda", che si è svolta nel teatro Pietrarosa di Pollina il 29 luglio, hanno sfilato anche i capi di abbigliamento, in tessuto principe di Galles e seta, e gli accessori realizzati dai detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo. La loro griffe è "L’Errore" che, come afferma la direttrice della casa di reclusione Laura Brancato, "assume un doppio significato: far tesoro dei propri errori per migliorarsi e offrire qualcosa di positivo agli altri". In progetto la vendita dei capi per ampliare l’atelier e assumere un maggior numero di detenuti. Usa: il caso di Carlo Parlanti, detenuto "in attesa di denuncia"
L’Espresso, 6 agosto 2005
Dal 3 giugno scorso Carlo Parlanti è rinchiuso in una cella senza finestre di due metri per due nel carcere americano di Ventura, Stato della California. Soffre di asma ed è risultato positivo al test della tubercolosi. Ma non è questo il suo unico problema. Su di lui pesa una triplice, terribile accusa: quella di avere sequestrato, picchiato e violentato nel 2002 l’ex fidanzata Rebecca McKay White. Quanto basta per fargli rischiare negli Usa, in caso di condanna, una pena compresa tra i 25 anni e l’ergastolo. "Il tutto senza prove", denuncia l’avvocato Cesare Bulgheroni: "Peggio: senza che sia stata sporta denuncia dalla presunta vittima, la quale non ha firmato documenti ufficiali. E senza che le autorità statunitensi abbiano svolto le dovute indagini". Sembra impossibile, detta così. Ma di particolari assurdi questa storia è piena. A partire dallo scontro che nei mesi scorsi c’è stato tra il ministero italiano della Giustizia e la Procura di Milano, in disaccordo sulla linea da tenere nei confronti di questo connazionale. O dal modo in cui Parlanti, 40 anni, programmatore informatico di successo, è finito in manette: bloccato all’aeroporto di Düsseldorf dopo un controllo casuale e incarcerato per un mandato di cattura emesso a sua insaputa dagli Stati Uniti. L’imprevedibile epilogo di una vita iniziata come tante altre: origini piccolo borghesi a Montecatini, studi al liceo scientifico, facoltà di Fisica all’università di Pisa, grado di tenente al servizio militare. Fino al 1989, quando Parlanti si trasferisce a Milano e viene assunto dalla Nestlé Italia: "Analista di sistemi e project manager", lo definisce la fidanzata storica Katia Anedda: "Girava in continuazione tra Svizzera, America e Gran Bretagna. Poi accettò l’offerta della società J.D. Edwards, per la quale seguiva i sistemi operativi di grandi aziende, e incominciò a sognare di trasferirsi negli Stati Uniti". Lo fa nel 1996, conquistando con il suo curriculum la multinazionale Dole, specializzata nel settore alimentare. E per quattro anni va tutto bene. Soddisfazioni, soldi, una bella casa a Salinas, nei pressi della californiana Monterey. Ma soprattutto una lunga serie di flirt: il suo punto debole, la passione che tanti guai gli avrebbe procurato. "Come quando", racconta l’avvocato Bulgheroni, "ebbe una relazione con la sua analista, Sandra Hollyngworth. Lei violò il codice professionale, salvo poi denunciarlo quando Parlanti si stancò e la buttò fuori di casa". Fu così, spiega l’avvocato, "che l’informatico italiano si trovò per la prima volta sotto sorveglianza della polizia". Ma non per questo rinunciò ad avviare l’ennesima relazione: stavolta con Rebecca White, la signora quarantaquattrenne per la quale oggi è rinchiuso a Ventura. I fatti incriminati risalgono al 29 giugno 2002 e si svolgono nella casa di Thousand Oaks, contea di Ventura, dove la donna convive con Parlanti. Potrebbe essere una tipica serata della coppia, in bilico tra l’attrazione erotica che spesso li porta al sesso estremo, e il disagio di lei verso un uomo che non le è fedele. Invece, secondo la versione che Rebecca White dà alla polizia, le cose prendono un’altra piega. "Parlanti", scrive il detective John Reilly, "beve due bottiglie di vino e diventa violento con la sua compagna. Le sbatte la testa contro il muro e cerca di soffocarla. Poi la prende a calci e la trascina in camera da letto, dove la spoglia e la lega con strisce di plastica, penetrandola contro la sua volontà. Due volte", sostiene la White, malgrado lo pregasse di smettere. A questo punto nel documento c’è un buco di quarantotto ore, su cui nulla si sa. Il racconto del detective salta al 2 luglio, quando Parlanti torna al lavoro e Rebecca White non scappa, a suo dire, per paura delle conseguenze. Il convivente italiano, spiega, ha minacciato di ucciderla se si rivolge alla polizia. E in effetti la violenza viene denunciata il 18 luglio, dopo due settimane, poco prima che l’informatico lasci l’America per tornare in Italia. Fuggito perché colpevole? "Questo lo deciderà il giudice", dice l’avvocato Bulgheroni: "Una cosa è certa: non ci sono riscontri alla versione della White. Il detective Reilly le ha perquisito casa il 19 luglio 2002, trovando come unico indizio strisce di plastica che ha definito "non utilizzate", per giunta senza le impronte dell’informatico. Quanto alla salute della White, l’investigatore scrive di avere parlato con Troy Manchester, il dottore a cui la donna si è rivolta il 22 luglio, ma soltanto per telefono. E di non avere certificati per documentare eventuali danni fisici. Contraddizioni", afferma Bulgheroni, "che avrebbero dovuto spingere le autorità americane a svolgere indagini approfondite: non la caricatura di inchiesta che potrebbe costare l’ergastolo a un innocente". Da bravo difensore, l’avvocato di Parlanti non ha dubbi: "Il caso è una bufala", dice: "Un misto di ripicche sentimentali e sciatterie investigative. Nessuno", aggiunge, "ha per esempio considerato che la signora White era reduce da un divorzio. E che già allora aveva accusato l’ex marito di maltrattamenti, finendo ricoverata in una clinica psichiatrica". Ma non è questo a indignarlo di più. È allibito per ciò che è successo a Parlanti dopo il ritorno in Italia, nel 2002, quando ancora ignorava di essere inseguito da un mandato di cattura internazionale: "In un lampo aveva avviato consulenze con ditte europee, era stato assunto dal gruppo irlandese Cng Travel e aveva dimenticato la parentesi americana. Finché il 6 luglio 2004, transitando per l’aeroporto di Düsseldorf, è stato fermato dagli agenti e portato nel carcere cittadino. Dopodiché i magistrati italiani hanno fatto il possibile per peggiorare le cose". La questione sta tutta in uno scioglilingua giuridico. Il nostro codice penale prevede che "i cittadini italiani che commettano un delitto comune all’estero punito con la reclusione di almeno tre anni, possano essere punibili ai sensi della nostra legge penale ove si trovino sul territorio italiano". Tradotto significa: per chiedere l’estradizione di Carlo Parlanti, una Procura italiana doveva aprire un fascicolo su di lui. "Non a caso", dice Bulgheroni, "il nostro consolato a Colonia ha scritto nell’agosto 2004 al ministero della Giustizia italiano e alla procura di Milano, competente per territorio, illustrando l’emergenza. E io stesso il mese successivo ho presentato una auto denuncia del mio cliente alla Procura meneghina". Inutilmente. Per il sostituto procuratore Brunella Sardoni (che a "L’espresso" dichiara solo: "Non ho niente di cui giustificarmi") c’è un ostacolo procedurale: manca la querela della parte lesa. Poco importa che negli Stati Uniti non serva, la querela, per avviare un’azione penale. L’ostacolo, in Italia, esiste. E non viene superato dalla lettera che il pm Sardoni nel novembre 2004 invia, d’accordo col procuratore capo Manlio Minale, alla "competente autorità giudiziaria Usa". Un documento nel quale richiede "assistenza, affinché voglia procedere all’assunzione della testimonianza della cittadina americana Rebecca McKay White, chiedendole se intenda presentare querela per i fatti da lei denunciati in America, essendo in Italia condizione per la procedibilità della violenza sessuale". La risposta arriva con le accuse confermate da parte della White, e con la rinnovata opposizione al fatto che Parlanti venga processato in Italia. Nel frattempo le polemiche non si spengono: anzi. Esplodono sotto traccia, tra Roma e Milano, quando nell’aprile 2005 il ministro della Giustizia Roberto Castelli affida il caso ad Augusta Iannini, capo del dipartimento Affari di giustizia. La quale inventa la soluzione: invece di procedere per il reato di violenza sessuale, vincolato alla querela, propone alla Procura di Milano di puntare sul sequestro di persona, perseguibile all’estero dietro richiesta del Ministero. "Un’ipotesi praticabile", dice l’avvocato Bulgheroni, "ma che non ha convinto il pm Sardoni. Soprattutto dopo la trasferta milanese di alcuni funzionari ministeriali, inviati da Roma per discutere il problema". La conclusione è amara. Il 3 giugno scorso la Germania si è liberata della grana Parlanti spedendolo nel carcere di Ventura, come richiesto dagli Usa. Ora ai parenti dell’informatico non resta che attendere il processo: "Senza troppe speranze", sottolinea la madre Nada Pacini: "E senza più soldi per pagare un difensore decente".
La storia in un sito
Nel 2001 il detective Richard Lee investigò per conto di Carlo Parlanti sulle accuse di maltrattamenti avanzate dalla sua analista, Sandra Hollyngworth, con la quale l’informatico aveva avuto una relazione. Nel suo report, Lee scrisse che secondo Rebecca McKay White (la stessa donna che ora accusa Parlanti di violenza sessuale e sequestro di persona) "Carlo era sempre stato un gentleman, cortese e buono", e che l’aveva sempre trattata "con totale rispetto". Di più: nello stesso documento, il detective Lee racconta che "la signora White si presentò a testimoniare in favore di Parlanti". Un atteggiamento di grande solidarietà che continuò per lungo tempo, nel corso del quale "disse più volte di essere molto felice con Carlo e che la vita insieme nel sud della California era assai serena". Premesso questo, continua Lee, Rebecca White aveva "un problema con l’alcol, che assunto in quantità eccessive le provocava disagi psicologici e la rendeva una persona instabile". Dichiarazioni importanti per il processo all’informatico che sta per svolgersi in California. E che potrà essere seguito attraverso il sito www.carloparlanti.it. Usa: Guantanamo, mossi i primi passi per svuotare il carcere
Ansa, 6 agosto 2005
Sono oltre 500 i prigionieri del carcere di Guantanamo, a Cuba, non di rado definito il carcere della vergogna, ma presto saranno meno di 400. E, se tutto andrà come previsto, diventeranno addirittura meno di 150. Guantanamo, dove sono incarcerati, in una sorta di limbo giuridico, taleban o presone a loro vicine arrestati soprattutto in Afghanistan, non chiuderà i battenti, ma presto comincerà a svuotarsi, come promesso circa due mesi fa dall’Amministrazione americana del presidente George W. Bush. Gli Usa hanno infatti raggiunto in questi giorni un accordo con il governo di Kabul per trasferire in Afghanistan, in carceri locali, i prigionieri afghani della base militare Usa a Cuba, in tutto circa 110 detenuti, nei prossimi sei mesi. Lo scrive oggi il Washington Post, secondo cui gli Usa stanno negoziando con tre paesi in tutto- oltre all’Afghanistan, l’Arabia Saudita e lo Yemen - con l’obiettivo di svuotare il carcere della base militare americana del 70 per cento circa dei cosiddetti "combattenti nemici" degli Stati Uniti. Quella dei "combattenti nemici" è una definizione coniata all’inizio della guerra contro il terrorismo avviata dall’Amministrazione Bush dopo gli attacchi dell’11 Settembre, che permette agli Usa di non applicare le regole della convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. Spiega al Wp Matthew Waxman, vice segretario aggiunto alla Difesa, responsabile per i detenuti: "Non si tratta di uno sforzo per chiudere Guantanamo. L’accordo che abbiamo raggiunto con il governo afghano è l’ultima tappa della nostra politica di sempre, e cioè che dobbiamo tenere i pericolosi combattenti nemici lontano dai campi di battaglia". L’ipotesi di iniziare a svuotare il carcere era stata ventilata ai primi di giugno dal segretario alla Difesa Usa, Donald Rumsfeld, a Bruxelles, ai margini di una riunione della Nato, mentre il giorno prima il presidente Bush aveva detto che "tutte le alternative" erano allo studio in una intervista alla Fox, rispondendo a una domanda su Guantanamo. Rumsfeld, uno dei falchi dell’Amministrazione Bush, si era guardato bene dal parlare di chiusura del carcere, ma il capo del Pentagono aveva lasciato chiaramente intendere che l’obiettivo dell’Amministrazione americana è di svuotarlo appena possibile, una volta ottenute le garanzie dai paesi di origine dei presunti terroristi, in particolare l’Afghanistan, che rimarranno in carcere. A quel momento la polemica su Guantanamo impazzava negli Stati Uniti, dopo le accuse di Amnesty International ("un gulag dei tempi moderni"), e la presa di posizione di personalità di alta statura morale, come l’ex presidente Jimmy Carter ("dobbiamo dimostrare l’impegno storico del nostro paese per la protezione dei diritti umani). Il segretario alla Difesa aveva ricordato che il Pentagono aveva già consegnato prigionieri di Guantanamo in passato, "quando siamo stati in grado di negoziare con il paese (di origine) un accordo in base al quale sarebbero stati trattati in maniera umana e appropriata". Rumsfeld aveva già spiegato precisato che "stiamo facendo pressioni sul governo afghano di dotarsi dei tipi di carcere necessari e di un sistema giudiziario adeguato... Il nostro obiettivo è di non averli tra di noi, che non siano in libertà ma nelle mani dei paesi di origine".
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