Rassegna stampa 28 settembre

 

Patologie gravi molto più diffuse rispetto ai dati ufficiali

 

Ansa, 28 settembre 2004

 

"Oltre 4.000 sieropositivi, 10.000 positivi al test per la tubercolosi, un tasso di suicidi venti volte superiore a quello della popolazione libera, un numero di patologie psichiatriche maggiori in crescita esponenziale". Sono i dati sulla situazione sanitaria nelle carceri italiane, dove sono rinchiusi 56.532 detenuti (53.872 uomini, 2.660 donne) snocciolati dal dottor Giulio Starnini, presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, in partenza per Vibo Valentia, dove dal 30 settembre al 2 ottobre si svolgerà il quinto congresso nazionale dell’organizzazione, in collaborazione con il Sidipe, il sindacato dei direttori degli istituti di pena.

"Questi numeri, che svelano una verità sommersa, cioè che la diffusione di patologie gravi è molto più vasta rispetto ai dati ufficiali - spiega Starnini scaturiscono da osservazioni condotte dall’Ufficio servizi sanitari del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria in collaborazione con la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, l’Istituto superiore di sanità e la Clinica di malattie infettive dell’Università di Sassari".

Secondo lo stesso Starnini, tuttavia, tali numeri, almeno in relazione ad alcune patologia, hanno una loro "logica". "Gli stranieri presenti nelle carceri italiane - argomenta sono 17.007, i tossicodipendenti 14.332 (1.860 dei quali in terapia sostitutiva con il metadone), gli alcool-dipendenti 1.157. I nuovi sieropositivi accertati a tutto il 2003 sono stati 1056.

A questo proposito è importante notare che, contrariamente a quanto si crede, la maggior parte delle persone detenute sono sieropositive già all’ingresso e il loro stato sierologico è spesso identificato attraverso il test eseguito in carcere. La presenza di così tanti extracomunitari, inoltre, spiega il motivo dei circa 10.000 detenuti positivi ai test per la tubercolosi (mentre i casi di malattia sono numericamente riconducibili a poche decine l’anno).

Il penitenziario può quindi rappresentare un ambiente relativamente più sicuro per talune persone con Hiv rispetto allo stile di vita caotico che conducevano nel fuori. Inoltre, le fasce sociali rappresentate dai detenuti sono spesso quelle che hanno di meno accesso alle cure e soprattutto ad adeguati programmi di informazione. In particolare per questi soggetti, il periodo di detenzione è spesso la prima occasione di un contatto con una struttura pubblica.

Bisogna quindi rilanciare l’idea del carcere come risorsa - conclude Starnini - o, meglio ancora, come laboratorio di sanità pubblica, idea peraltro già radicata in Italia grazie alle iniziative intraprese dai sanitari impegnati nella medicina penitenziaria. E proprio questi argomenti faranno da filo conduttore al nostro congresso nazionale. Situazione molto pesante anche per quanto riguarda la diffusione delle patologie psichiatriche maggiori che vengono trattate all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari.

"Nel 2003 dice il dottor Andrea Franceschini, vice presidente della Società e dirigente sanitario del carcere di Regina Coeli di Roma - sono stati rilevati 2.491 casi. I detenuti che hanno manifestato un disagio psichico - aggiunge - sono stati ben 31.548. C’è poi il delicatissimo tema dei suicidi in cella, che è 20 volte superiore a quello della popolazione libera e le cui motivazioni, pur disomogenee e distante tra loro, non possono essere ricercate in patologie mentali ma piuttosto in una disperata richiesta di aiuto".

Senato: Commissione Giustizia visita carceri del Veneto

 

Ansa, 28 settembre 2004

 

Una delegazione di senatori della commissione Giustizia di Palazzo Madama sarà in Veneto, dal 29 settembre al 2 ottobre, per visitare le carceri di Venezia, Padova, Vicenza e Verona. Si tratta, rende noto la Prefettura di Verona, della prima parte di un sopralluogo negli istituti di pena e nelle strutture dedicate ai trattamenti alternativi nella regione.

Tinebra (Dap): offrire nuove opportunità ai detenuti

 

Ansa, 28 settembre 2004

 

"Alle persone detenute abbiamo il dovere di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, offrendo reali, autentiche, concrete opportunità per consentire loro di operare scelte di vita mature e consapevoli". È questo uno dei compiti fondamentali della polizia penitenziaria che Giovanni Tinebra, capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), ha ricordato nel suo intervento di saluto al Papa che ieri ha ricevuto in udienza, a Castel Gandolfo, 284 allieve della scuola di Verbania e di Parma.

Tinebra ha tenuto a sottolineare quando siano tutt’oggi "care e preziose" le esortazioni con le quali Giovanni Paolo II, durante la celebrazione della giornata del Giubileo delle carceri nell’istituto romano di Regina Coeli, ha richiamato "le nostre coscienze a mantenere alta l’attenzione e l’impegno per migliorare le condizioni di vita dei detenuti".

"Solidarietà, senso di umanità, rispetto della dignità delle persone detenute: questi sono i valori, interamente ispirati ai principi del cristianesimo, che accompagnano il lavoro che quotidianamente gli appartenenti alla Polizia penitenziaria svolgono all’interno degli istituti di pena".

Le giovani agenti in prova provenienti dalle scuole di Verbania e di Parma - ha proseguito Tinebra - "si apprestano ad assumere con convinzione e consapevolezza un ruolo di grande responsabilità", e di giorno in giorno saranno a contatto con "un’umanità sofferente", con detenute che vivono lontano dai propri figli oppure con detenute che hanno accanto a sé i propri bambini piccoli. Ecco perché l’impegno delle donne in polizia penitenziaria rappresenta "una risorsa preziosa".

Droghe: Mantovano, con nuova legge meno gente in carcere

 

Ansa, 28 settembre 2004

 

Con la nuova legge varata dal governo contro la tossicodipendenza "ci saranno meno persone in carcere": lo ha detto oggi pomeriggio, parlando alla comunità incontro di Amelia, il sottosegretario all’interno Alfredo Mantovano (An), che ha coordinato la redazione del nuovo testo antidroga. Secondo Mantovano "oggi c’è un enorme lassismo nel momento del contatto con la droga ed un inutile rigorismo quando il tossicodipendente sta per completare il suo percorso di recupero.

Tutto questo si deve allo sciagurato referendum del ‘93 che - ha spiegato Mantovano - ha reso fin troppo agevole detenere delle quantità di droga motivandole con l’uso personale". Mantovano ha definito "stupefacenti" alcune sentenze della Cassazione secondo cui si può cedere droga "a scopo ludico, e cioè - ha spiegato Mantovano - praticamente per i droga-party del sabato sera".

"A fronte di tutto questo - ha ribadito Mantovano - le persone recuperate in comunità sono spesso costrette ad andare in carcere per cumulo di pena". Per ovviare a questo "paradosso", "la nuova legge - ha ricordato Mantovano - alza da quattro a sei anni il limite degli anni di reclusione per i tossicodipendenti, prevedendo che la pena non venga eseguita se si completa il percorso di recupero. Inoltre la legge prevede che siano le stesse comunità a proporre percorsi di recupero, senza passare per i Ser.T.".

Como: voglio la verità sulla morte di mio figlio Sergio

 

La Provincia di Como, 28 settembre 2004

 

Non riesce proprio a darsi pace. Adesso Maria Lo Stumbo, madre di Sergio La Scala, vuole sfogarsi e soprattutto vuole sapere la verità sulla morte del figlio. Il giovane, 28 anni, era finito in carcere per il "dirottamento" dell’autobus tra Mariano e Cantù ed era morto al Bassone poche settimane dopo a causa di un edema polmonare.

"Non credo a quello che dicono i medici, non è stato un semplice edema polmonare - spiega subito la donna - Me lo aveva detto anche nell’ultimo colloquio, in carcere, qualche giorno prima della sua morte. Diceva di stare male, di avere un gonfiore dietro la testa". La madre racconta anche come il figlio seguisse sempre la terapia che gli era stata prescritta.

"Ma quei farmaci - denuncia la donna - lo facevano dormire tutto il giorno. L’ultima settimana, poi, non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto, aveva forza nelle gambe". Maria Lo Stumbo, quindi, è alla ricerca della verità: "Ricevo molte lettere da parte dei detenuti del Bassone". La donna è anche davvero arrabbiata per come ha saputo della scomparsa del figlio: "Sergio è morto alle 8.30 del mattino.

Io sono venuta a saperlo soltanto alle tre del pomeriggio, tramite una mia parente che a sua volta l’aveva saputo da altre persone che lo hanno scoperto soltanto per caso. Tanto che io ho chiamato il carcere, chiedendo se fosse vero che mio figlio era morto. Mi hanno risposto di sì. Per tutti i quaranta giorni di carcere di Sergio, nessuno mi aveva chiamato dal carcere. È giusto?".

È affranta e delusa. "L’autopsia ha detto che è morto per un edema polmonare. Ma nessuno mi ha saputo dire da cosa era stato provocato quell’edema". Ma Sergio - secondo la madre - non era malato prima di entrare al Bassone: "Era forte come un leone. Andava sempre in palestra e in 28 anni non è mai stato malato un solo giorno. Poi, in carcere, muore...".

Milano: San Vittore, progetto per la prevenzione dei suicidi

 

Corriere della Sera, 28 settembre 2004

 

Vasi in ceramica, busti in terracotta, acquerelli. E, tutto attorno, le note di un violino. Con la forza terapeutica dell’arte, plasmando l’argilla, dipingendo e suonando, i detenuti di San Vittore - pazienti del Centro osservazione neuropsichiatrica e del Quarto reparto "celle a rischio" - combattono ogni giorno il male di vivere.

Per tutto l’anno, tre ore e mezzo ogni giorno, seguiti da insegnanti, criminologi e neuropsichiatri, hanno lavorato nel laboratorio di arte terapia. "Abbiamo voluto sperimentare la forza della creatività - racconta Elisabetta Tognacci, responsabile del progetto - con i Dars, i detenuti ad alto rischio suicidale. E i risultati si sono visti: le ricadute sono diminuite".

In tutto 40 reclusi di cui qualcuno, dopo il corso, è riuscito a cambiare reparto, superando il disagio psichico. "La tensione diminuisce - continua la docente - perché il fare guida la persona verso l’armonia. Certo, sappiamo tutti che questo laboratorio non risolve il problema, ma diventa un veicolo per superarlo".

Il progetto, voluto dal centro territoriale permanente "Cavalieri", è stato finanziato dall’ex calciatore Leonardo, grazie alla Fondazione Milan. Prezzo dell’operazione, 6.700 euro. Il corso terminerà a dicembre, ma gli organizzatori sperano di poter trovare altri fondi.

"Lanciamo un appello - dice Francesca Lavizzari, preside del centro - perché si possa continuare su questa strada". Magari esportando l’esperienza milanese in altre carceri (i centri di osservazione neuropsichiatrica sono due in Italia, a Milano e a Livorno).

"È fondamentale - conclude Maria Lina Monosi, psichiatra del progetto - che i detenuti possano svolgere attività che diano loro soddisfazione. È questo lo scopo del progetto, attivato dopo tanti casi di suicidio. I nostri pazienti sono molto gravi e fino ad oggi avevano come unica risorsa il farmaco. Ma con l’arte terapia abbiamo ottenuto un doppio risultato: ridurre il rischio autolesivo e l’uso di medicine. Un successo, insomma. E sono tanti, oggi, i detenuti che vogliono partecipare al laboratorio".

Venezia: video e laboratori, una giornata per riflettere

 

Adnkronos, 28 settembre 2004

 

Avrà luogo nel pomeriggio di mercoledì 29 settembre al centro Candiani di Mestre, "Cielo E Luce Lungamente Aspetto" (acronimo di cella), una iniziativa per riflettere sulla realtà carceraria veneziana e italiana, inserita nel programma del settembre mestrino per dare una migliore visibilità a un lavoro culturale promosso dal Comune nelle carceri veneziane.

Nel corso della manifestazione sarà proiettato il cortometraggio "Il giorno prima", sintesi di un laboratorio teatrale svolto al carcere femminile della Giudecca che testimonia come il bisogno di affettività e la necessità di mantenere rapporti stretti con i propri cari sia una delle esigenze principali di chi è recluso.

Ass. "Differenza donna": aumentano le violenze in famiglia

 

Corriere della Sera, 28 settembre 2004

 

Crescono le violenze in famiglia. Contro le donne e contro i bambini. Tra le mura domestiche mogli e figli vengono insultati, maltrattati, picchiati. Subiscono abusi sessuali e, nei casi più drammatici, le liti sfociano in spietati omicidi. Se poi il rapporto finisce, mariti, conviventi e fidanzati diventano ancora più aggressivi: il 60 per cento degli "ex" non abbandona la preda neanche quando la magistratura dispone l’allontanamento da casa.

Per frenare tanta brutalità, nei casi più gravi resta solo il carcere. I dati raccolti da "Differenza donna" sono significativi. Il confronto fra il 2003 e il 2004 dimostra che la prepotenza maschile è aumentata dell’undici per cento. Ma chi ogni giorno assiste alle lacrime di mogli e madri disperate nelle due sedi dell’associazione non si sorprende: "Il trend è in salita da tre anni", sottolinea l’avvocato Teresa Manente. Il segno, sostiene, "di una restaurazione, di un ritorno alla cultura patriarcale".

Sono 707 i nuovi "dossier" aperti da "Differenza donna" in questi primi nove mesi dell’anno: in 360 casi le vittime si sono rivolte al centro antiviolenza di Villa Pamphili, in 347 a quello di Torre Spaccata. Tra il 1° gennaio e il 27 settembre 2003, invece, le due sedi dell’associazione avevano ricevuto, rispettivamente, 337 e 300 segnalazioni, per un totale di 637.

L’aggressore non è un emarginato. Anzi. "Chi maltratta la propria compagna è in genere un uomo "normale" - avverte Oria Gargano, responsabile della sede di Villa Pamphili -. Non è né tossicodipendente né alcolizzato né psicotico. Ha un lavoro e relazioni sociali. Spesso amici e conoscenti lo considerano simpatico e cortese".

I "dottor Jekyll e mister Hyde" sono diffusi in tutte le classi sociali: la violenza in famiglia non dipende dal reddito e dal titolo di studio. La stessa "trasversalità" caratterizza le vittime, che hanno tra i 25 e i 40 anni e che possono essere tanto disoccupate quanto manager. A renderle simili nella diversità, sono la solitudine e una grande fragilità psicologica, che nascono proprio dagli abusi subiti. "Sono condannate a un sistema di vita improntato ad aggressioni, minacce e ingiurie", sottolinea il Pm Maria Monteleone, uno dei magistrati del pool antiviolenza della procura. E le prepotenze uccidono la libertà: "Una donna sottoposta a continue intimidazioni - dice Manente - è di per sé una donna subordinata". In più c’è la paura: "La tipica vittima di una persecuzione - spiega Gargano - crede che non potrà mai e in nessun modo sfuggire al suo aguzzino".

Invece sottrarsi al partner violento è possibile. Ma ci vuole determinazione. Ci è riuscita Elena (che in realtà ha un altro nome), una maestra di 32 anni, due bimbi, sposata con un falegname. Durante il primo colloquio nel centro di Villa Pamphili ha spiegato: "Mi voglio separare perché mio marito mi offende, non mi ama più".

Negli incontri successivi è emersa la verità: Elena aveva perso il conto delle volte che era stata picchiata e si era fatta medicare al pronto soccorso giurando di essere caduta. A poco a poco, la maestra ha raccontato anche che il marito la costringeva a vedere cassette porno e che le aveva proposto amori di gruppo.

"Nella maggior parte dei casi - spiega la Monteleone - le donne arrivano a denunciare le violenze subite quando non hanno altre possibilità. Dietro ci sono mesi, anni di maltrattamenti. La norma sull’allontanamento dalla famiglia è stata un passo avanti, ma è grave constatare che non basta: occorrono misure cautelari più severe, spesso la custodia in carcere".

Lecco: il Comune apre le porte al recupero dei carcerati

 

La Provincia di Lecco, 28 settembre 2004

 

Per una volta tanto la pace è regnata sovrana e su un argomento delicato come quello delle carceri e del recupero dei carcerati, tutti hanno parlato la stessa lingua e tutti hanno sostenuto lo stesso obiettivo: il comune deve fare qualcosa. E bisogna decidere insieme cosa. Ieri sera in consiglio comunale l’ordine del giorno di Claudio Ripamonti dei Ds è stato approvato all’unanimità, con l’impegno dell’assessore ai servizi sociali Carlo Invernizzi di discutere della questione in commissione ma soprattutto di aprire la commissione a tutte le realtà sociali e economiche del territorio che dovranno essere messe in rete.

"Perché il comune non può fare tutto da solo - ha spiegato - e se il territorio come spesso succede non collaborerà, c’è poco da fare". L’importante però è farsi elemento propulsore, cercare nuove strategie per fronteggiare, prevenire, in parte recuperare e poi integrare gli ex carcerati nel tessuto sociale. Era questo lo stimolo che Ripamonti, dopo una premessa sulla situazione preoccupante in cui versano le carceri italiane e il numero crescente di detenuti, ha voluto lanciare nel suo ordine del giorno. Proporre politiche sociali a favore dei detenuti, superare le divisioni, aumentare i contatti con il territorio.

Un suggerimento accolto subito di petto da Cinzia Bettiga che in un intervento definito da molti "di propaganda", e commentato con una certa freddezza anche dal sindaco, ha riepilogato tutte le iniziative portate avanti dal ministro Roberto Castelli. Compresa ovviamente l’inaugurazione del carcere. Iniziative lodevoli ma non sufficienti. Al Comune tocca ben altro, hanno ricordato Lello Colombo Salvatore Rossi o Mario Tavola che hanno proposto occasioni di apertura, coinvolgimento della realtà locali e anche del tessuto produttivo.

Suggerimenti condivisi anche da Luca Teti di Forza Italia, da Alberto Erba dell’Udc e da Antonio Pasquini di An, il quale non ha perso comunque l’occasione per polemizzare con la Lega e sul rifiuto di approvare la legge sull’"indultino".

Concorde infine anche il sindaco Lorenzo Bodega. "Seppur non completamente d’accordo sulle considerazioni generali sono contento che sia discusso di un argomento così importante. Condivido la necessità di aprirci per il reinserimento e collaborare con il carcere rimesso a nuovo, seppur con un certo ritardo - ha aggiunto - ma sono anche convinto che per certi reati serva il carcere duro. Il recupero sì ma s con la certezza della pena. Per il resto il Comune farà la sua parte, ma non da sola". Ora la palla passa alla commissione, che dalla parole, per una volta condivise, dovrà passare ai fatti.

Gasparri e Don Gelmini: serve subito la legge antidroga

 

Il Tempo, 28 settembre 2004

 

Arrivano alla spicciolata. Sono volti noti dello spettacolo, della politica ma il cerimoniale è impalpabile, a cospetto di uno scenario imponente. Solo come può essere una realtà di recupero che vive da venticinque anni una battaglia, dura ma vincente, contro le tossicodipendenze.

È la "Comunità Incontro", la catena di oltre trecento centri in Italia e nel mondo, fondata venticinque anni fa da don Pierino Gelmini nella campagna umbra in quello che era poco più di un rudere davanti al "Fosso delle Streghe": era il 27 settembre del 1979, nasceva la migliore risposta sotto forma di cultura della vita alla "cultura dello sballo". Concetti cari a un sacerdote alla soglia degli ottant’anni, ma con tanti progetti ancora nelle testa e tanti altri in via di ultimazione (da Pompei fino a Betlemme).

Una fucina di vita dove ieri sera, a conclusione della tre giorni gremita da migliaia di giovani in quella che è diventata la "Valle della Speranza", si è cenato con pane, mortadella e una mela. Era quello il pasto unico degli albori della comunità: di quella fase pionieristica è rimasto intatto lo spirito, quello che identifica un progetto di rinascita concreto, comprovato da migliaia di giovani restituiti a un’esistenza attiva.

Intorno a questi temi ruota evidentemente la politica che da qualche anno, fortunatamente, ha sposato l’esperienza della "Comunità Incontro" alla ricerca di una soluzione che non fosse damagogica, velleitaria e, in una parola, inconcludente. In questa ottica il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano - atterrato sul campo sportivo della Comunità Incontro con un elicottero della polizia proveniente da Bari - ha ricordato i punti salienti della nuova legge sulle tossicodipendenze, approvata ma non ancora in vigore.

Polemico Mantovano quando parla di sentenze della Cassazione che ha definito ""stupefacenti", tanto per restare in tema", capaci di avallare l’uso e, tacitamente, lo spaccio senza sanzioni di droghe "dure" come la cocaina. Moderno e fattivo appare invece il dettato della nuova normativa che - come ha sottolineato Mantovano - si muove lungo l’asse della prevenzione, del recupero e della repressione con ampio spazio a soluzioni al carcere, con le comunità di recupero in prima fila. Applausi da chi, i tossicodipendenti, certe cose le hanno viste passare attraverso la propria pelle.

Il questore del Senato Mauro Cutrufo, parla della definitiva maturità raggiunta dal modello di Don Pierino Gelmini e della capacità di coagulare in un progetto vincente sacche del disagio di diversa matrice. Gli fa eco il sottosegretario agli Esteri Mario Baccini che sta sostenendo l’idea di don Pierino, per la realizzazione di un centro polivalente di recupero in Costarica. Lo aveva fatto anche per la Bolivia sempre nel rispetto di uno spirito di collaborazione che viene dall’interiorità e non necessariamente dall’ideologia. Uno spirito volontaristico che è alla base dei vincoli d’amicizia con quelli "che non sono per me dei "potenti" - afferma don Gelmini - ma uomini come noi chiamati a comprendere. I politici devono essere chiari sulla questione delle tossicodipendenze".

Eccone uno che è un idolo per i ragazzi della Comunità Incontro: il ministro delle Comunicazioni. È accolto da un boato Maurizio Gasparri che arriva con la figlioletta Gaia (battezzata due anni fa a Roma da Don Gelmini). "La forza fisica e morale di Don Pierino - dice Gasparri - è una delle prove dell’esistenza di Dio. È tempo che diventi legge dello Stato la nuova normativa antidroga varata mesi fa dal consiglio dei ministri: penalizza più duramente lo spaccio ma offre una mano tesa a chi vuole uscire dalla droga, utilizzando soprattutto le comunità che - ha concluso il ministro - sono la risposta migliore che si è avuta".

Erminia Mazzoni (Udc): ispezione nelle carceri campane

 

Il Mattino, 28 settembre 2004

 

Un giro di visite nei penitenziari della Campania verrà effettuato dal Comitato problemi penitenziari della commissione giustizia della Camera dei Deputati a partire da domani. Lo ha reso noto il vice presidente del Comitato, On. Erminia Mazzoni (Udc). "L’ opportunità di una simile iniziativa - ha detto Mazzoni - è stata ravvisata da me e dagli altri componenti del Comitato, nella possibilità di verificare sia il grado di vivibilità degli istituti, sia lo spazio di intervento normativo per un miglioramento delle strutture". "Lo scopo di questo tour sarà quello di raccogliere elementi significativi per l’arricchimento della attività normativa e conoscitiva del Comitato".

Cassazione: chi è "sorvegliato" non può usare auto blindate

 

Altalex, 28 settembre 2004

 

È legittimo il divieto di trasportare detenuti pericolosi su automezzi blindati per non ostacolare l’attività delle forze dell’ordine. Il principio è stato stabilito dalla Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha confermato il divieto espresso dal Tribunale di Torre Annunziata nei confronti di una persona "pericolosa e destinataria di un avviso orale" che, ritenendo che la propria vita fosse in pericolo, aveva chiesto di poter utilizzare un mezzo di trasporto blindato durante gli spostamenti per offrire la sua testimonianza davanti ai giudici.

Il Tribunale glielo aveva negato in quanto l’auto blindata avrebbe rischiato di "intralciare l’operato delle forze dell’ordine", e per questo l’uomo si era rivolto alla Cassazione, sostenendo che l’auto blindata serviva per "difesa personale". La Suprema Corte ha confermato la decisione motivandola con il fatto che "il divieto di utilizzo di mezzi blindati o modificati imposto a soggetto destinatario dell’avviso orale ha il precipuo scopo di evitare che le forze dell’ordine possano essere intralciate nell’esercizio dell’attività di controllo, tenuto conto che il possessore di un mezzo blindato, nel caso dovesse darsi alla fuga, avrebbe un indubbio vantaggio nei confronti delle forze di polizia".

Trento: sono centocinquanta i detenuti-studenti

 

L’Adige, 28 settembre 2004

 

"So che qui la scuola funziona, questo è importante. La scuola occupa le giornate, fa entrare nell’ottica dello studio, dovrebbe formare la mente". Lo dichiara la dottoressa Monica Izzo, magistrato di sorveglianza del carcere di Trento, intervistata dalla redazione del giornalino "Dentro. La voce delle case circondariali di Trento e Rovereto", il supplemento di "Oltre il muro", notiziario dell’Apas.

Formate da detenuti, le due redazioni di Trento e di Rovereto costituiscono una delle iniziative attivate nell’ambito dei progetti di scuola carceraria. Il lavoro giornalistico è effettuato in collaborazione con le insegnanti e con le volontarie e grazie alla disponibilità del direttore, degli educatori e degli agenti di polizia penitenziaria. Per migliorare le specifiche competenze, i detenuti seguono un corso di lettura e commento dei giornali.

Oltre all’intervista citata, l’ultimo numero (agosto 2004) contiene l’analisi di alcuni aspetti del regolamento carcerario confrontati con la realtà della vita in cella (telefonate, igiene, illuminazione), una riflessione sui colloqui con i familiari e la poesia "La morte" scritta da uno dei redattori.

Il positivo giudizio da parte della dottoressa Izzo costituisce la conferma di una situazione che appare decisamente incoraggiante. Sono centocinquanta le persone che seguono le attività scolastiche presso il carcere di Trento: i corsi di alfabetizzazione di italiano per stranieri, la scuola elementare, i corsi "150 ore" per il conseguimento della licenza media e il corso per geometri (comprendente adesso i primi tre anni). I progetti sono attivati dall’istituto comprensivo "Trento 5" e dall’istituto "Pozzo" nell’ambito di una convenzione sottoscritta con la direzione del carcere e la supervisione dalla sovrintendenza. Per il 2004/05 è previsto addirittura un raddoppio dei progetti formativi.

L’importante funzione della scuola carceraria è dimostrata in particolare dalla diminuzione della conflittualità durante il periodo di lezione mentre in estate l’assenza di attività didattiche sembra favorire un maggior disagio fra i detenuti. La scuola fornisce un indubbio contributo al recupero e al reinserimento delle persone temporaneamente private della libertà. L’esiguo numero di operatori di custodia e soprattutto le ben note carenze strutturali del vecchio edificio di via Pilati impediscono purtroppo di rafforzare un programma di notevole valenza sociale.

Rossano Calabro: Jole Santelli inaugura Area "Peter Pan"

 

Quotidiano di Calabria, 28 settembre 2004

 

La Direzione della Casa di Reclusione di Contrada Ciminata Greco, allo Scalo di Rossano, diretta da Angela Paravati, prosegue la propria opera innovativa all’interno della nuova struttura carceraria. Difatti, in tale ottica, il prossimo 2 ottobre, con un’idea originale ed al passo con i tempi, all’interno del nuovo complesso penitenziario, il Sottosegretario di Stato alla Giustizia, On. Jole Santelli inaugurerà l’area cosiddetta "Peter Pan". Un’area questa destinata ai colloqui dei detenuti con i propri figli minori.

Il progetto, ideato e voluto dalla Direzione dell’istituto di pena, in collaborazione con l’associazione "Dove Volano I Delfini" Onlus, è stato ideato allo scopo di creare una struttura che consentisse di sostituire al degradante spettacolo del colloquio con i familiari - spesso lesivo della dignità umana - un’occasione di autentico incontro tra genitori e figli. Gli ideatori del progetto, con la creazione dell’area "Peter Pan", in particolare, hanno, cioè, voluto ricreare - anche se all’interno della struttura penitenziaria - un ambiente simile a quello esistente nella scuola dell’infanzia, dove il bambino potesse intrattenersi ed anche giocare con il genitore in occasione della visita, senza dover subire oltre al peso della detenzione del familiare, l’ulteriore mortificazione dell’impatto con il carcere.

Il progetto prevede, altresì, l’attivazione di una ludoteca al fine di animare con dei volontari il tempo di attesa che precede il colloquio. Ha dato la disponibilità a garantire il servizio di animazione, il direttore dell’Istituto dei Padri Giuseppini del Murialdo di Rossano, Padre Antonio Molinari.

Ancona: un penitenziario di burro, costruttori condannati

 

Corriere Adriatico28 settembre 2004

 

La Corte dei conti passa all’incasso per lo scandalo del "carcere di burro", condannando al risarcimento chi fece finta di non vedere che Montacuto stava nascendo come un penitenziario colabrodo. Costi di lavorazione gonfiati fino al 650%, materiali inadeguati per una struttura sicura, falsi verbali di collaudo e trucchi contabili durante la costruzione del carcere anconetano, avvenuta alla fine degli anni ‘80, procurarono all’Erario un danno di un milione e 519 mila euro.

A cui ne vanno aggiunti 100 mila per il discredito causato all’amministrazione dall’eco della vicenda emersa nell’89, dopo l’evasione di un detenuto algerino, Ali Ben Lakdhar che insieme a due compagni di cella, poi catturati, riuscì a bucare il muro del carcere con rudimentali aste di ferro.

Lo ha stabilito la Corte dei Conti nelle 50 pagine della sentenza con cui ha condannato tre funzionari pubblici al pagamento complessivo di un milione e 619 mila euro. Le responsabilità maggiori sono addossate a Vincenzo Mattiolo, 71 anni, ex ingegnere capo e direttore dei lavori del carcere, il quale deve rispondere per l’intero danno.

Mattiolo, però, dovrà pagare un quarto della somma (404.750 euro) in solido con gli altri due imputati, i collaudatori Mario Petriccione, 69 anni, e Carmine Domenico Melideo, 93 anni, condannati anch’essi per responsabilità dolosa. Il procedimento nei confronti di altri due funzionari coinvolti, invece, si è estinto per il decesso dei citati in giudizio.

L’indagine aperta dal procuratore Vincenzo Luzi dopo l’evasione-choc scoprì che la ditta costruttrice aveva fatto illegittime economie sui materiali a scapito della sicurezza, contando sulla compiacenza di chi doveva controllare: muri di mattoni forati invece che pieni, cunicolo tecnologico e pannelli sottofinestra realizzati in foratoni invece che in cemento armato, inferriate di acciaio che non resisteva agli urti.

Una serie di condotte hanno scritto i magistrati contabili, che hanno "portato alla lievitazione dei costi dell’opera in modo enorme..." per "consentire un maggior lucro alla Coedi" e per ricavare un margine tale da "poter pagare quanto illegittimamente chiesto dagli infedeli pubblici funzionari".

La responsabilità di Petriccione e Melidoro, viene ridotta da un’attenuante: i collaudatori non poterono verificare di persona l’intero carcere "per motivi di sicurezza", visto che il penitenziario era già "entrato in funzione prima del collaudo finale".

Kenya: 12 detenuti in una cella di 2 mq, muoiono in 5

 

Repubblica, 28 settembre 2004

 

A causa dell’enorme sovrappopolamento delle carceri, dodici prigionieri erano stati messi tutti nella stessa cella, di un metro per due: cinque di loro sono morti. E’ avvenuto nel carcere di Meru, nel Kenya centrale, e ne riferiscono oggi i quotidiani keniani, precisando che quella prigione è prevista per contenere al massimo 500 persone (e ciò stando agli standard africani, non certo liberali), mentre mediamente ve ne sono stipate almeno 1.400. Dopo le cinque morti, una rapida indagine ha consentito di trasportare altri 23 prigionieri in condizioni serie in ospedale.

Tre delle cinque persone che hanno perso la vita erano in attesa di giudizio con l’accusa di vendita dell’alcool contraffatto prodotto in abbondanza in ogni angolo del Paese, chiamato changa: la bevanda dei poveri. Gli altri due erano stati condannati per piccoli reati a tre mesi di reclusione. Secondo i primi accertamenti si è trattato di morti per soffocamento: sulle vittime, inoltre, e sugli altri prigionieri della cella sono stati trovati ulcerazioni alle ginocchia, ai piedi ed agli arti superiori dovute alle lunghissime ore che erano costretti a passare in piedi, per assoluta mancanza di spazio per sedersi.

California: una legge statale vieta il fumo nelle celle

 

Vita, 28 settembre 2004

 

La nuova misura coinvolgerà circa 160.000 detenuti e ha lo scopo di diminuire i problemi legati al fumo. Peccato che Schwarznegger non riesca a rinunciare al sigaro. Arnold Schwarznegger, accanito fumatore di sigari tanto da farsi montare una tenda nel giardino del palazzo del governatore per aggirare le rigide regole anti-fumo californiane, proibisce il fumo nelle carceri dello stato da lui governato.

Il governatore della California ha, infatti, firmato una legge che vieta il consumo di sigarette e altri prodotti a base di tabacco all’interno dei penitenziari di Stato a partire da luglio 2005, secondo quanto hanno reso noto fonti ufficiali del governo di Sacramento. La nuova misura coinvolgerà circa 160.000 detenuti e ha lo scopo di diminuire i problemi legati al fumo. Proposte simili sono già state adottate in altri 12 stati americani, ma secondo gli oppositori essa rischia di incrementare il contrabbando di sigarette all’interno delle prigioni.

 

 

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