Rassegna stampa 9 ottobre

 

Roma: niente patente di guida per Francesca Mambro

 

La Nazione, 9 ottobre 2004

 

Gli ex terroristi non possono guidare l’automobile perché mancano dei "necessari requisiti morali". A sostenerlo è il Consiglio di Stato che, interpellato su una richiesta in tal senso presentata dall’ex terrorista dei Nar Francesca Mambro, ha emesso un parere rilasciato al ministero dell’Interno, pubblicato dal numero on line oggi di Diritto e Giustizia (Giuffrè editore). Il parere del Consiglio di Stato conferma un provvedimento del prefetto di Roma che ha negato la restituzione della patente alla Mambro.

In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno respinto il ricorso della Mambro, condannata all’ergastolo per omicidio e poi scarcerata, ricordando che l’articolo 120 del codice della strada, che determina espressamente "i requisiti morali per la concessione della patente di guida", prevede che nei confronti di persone sottoposte "a misure di sicurezza personale, il prefetto è obbligato a revocare la patente di guida".

A questo proposito Francesca Mambro ha precisato che sebbene nei suoi confronti fosse stata irrogata con la sentenza di condanna la misura di sicurezza della libertà vigilata per tre anni, tale misura "non è mai stata eseguita". Ma i giudici amministrativi hanno ritenuto che il termine "irrogare" non prevede necessariamente l’esecuzione della misura.

"La libertà vigilata in aggiunta alla pena detentiva scrive il Consiglio di Stato - viene ordinata dall’Autorità giudiziaria che in tal modo restringe la libertà di movimento dell’interessato anche a seguito della pena detentiva a cui è stato condannato. Pertanto, all’impossibilità di guida di automezzi connessa alla condizione di detenuto si collega il divieto di condurre autoveicoli, al cessare della detenzione, dovuto alla revoca obbligatoria della patente da parte del Prefetto per l’applicazione della libertà vigilata, indipendentemente dall’accertamento se la misura stessa abbia avuto o meno esecuzione".

Usa: 25 anni di carcere per avere ucciso il suo cane

 

Agr, 9 ottobre 2004

 

Decapitò il suo cane dopo aver litigato con la fidanzata. Per questo, un uomo è stato condannato a 25 anni di carcere da una corte di Santa Ana, in California.

James Abernathy è stato condannato per crudeltà verso gli animali: in realtà questo reato prevede una pena massima di 6 anni. Ma l’imputato aveva già subito due condanne penali in passato e così è scattata la cosiddetta legge dei "tre colpi".

Lombardia: stranieri più del 50% degli arrestati nel 2003

 

Agi, 9 ottobre 2004

 

Oltre il 50% delle persone arrestate e accompagnate in carcere in Lombardia nel 2003 sono stranieri e il loro numero risulta in aumento anche nei primi 6 mesi del 2004. Il dato è emerso nel corso della Conferenza Regionale delle Autorità di Pubblica Sicurezza che si è tenuta oggi in Prefettura a Milano. Alla fine dello scorso anno gli stranieri entrati nelle carceri lombarde erano 8.992 (51,49%) contro 8.472 italiani (48,51%). Nel primo semestre del 2004 risultano rispettivamente 4.624 (53,34%) e 4.045 (46,66%).

Complessivamente, sempre al 30 giugno 2004, le presenze in carcere erano 7.852: 4.580 (58,33%) italiani e 3.272 (41,67%) stranieri. Le espulsioni amministrative sono state nel primo semestre 2004 6.063 contro le 10.091 dell’intero anno precedente e le 10.066 del 2002, anno durante il quale è entrata in vigore la Bossi-Fini. Nel 2001 con la Turco-Napolitano erano state 9.425.

Gli accompagnamenti alla frontiera, 1.364 nel primo semestre 2004 e 2.679 nel 2003. In calo invece, rispetto al 2002 (9.091 i provvedimenti) i respingimenti alla frontiera: 5.930 nel 2003 e 3.124 nel primo semestre 2004. In Lombardia, al 30 giungo 2004, gli stranieri regolari extracomunitari risultavano 518.766 (5,61% del totale) e 36.499 (0,39%) quelli comunitari.

Tunisia: la Lega dei Diritti Umani denuncia il regime

 

Vita, 9 ottobre 2004

 

La Lega tunisina dei diritti umani (Ltdh) punta il dito contro il regime tunisino: "la stato di salute delle libertà è peggiorato". Dure accuse della Lega tunisina per i diritti umani contro il regime di Ben Ali nel suo rapporto 2003. Secondo il presidente della Ltdh Moktar Trifi, "lo stato di salute delle libertà in Tunisia è peggiorato". In una conferenza stampa, Trifi se l’è presa in particolar modo con il parlamento tunisino, colpevole di aver adottato delle leggi contro il terrorismo e il riciclaggio di denaro sporco che "restringe maggiormente le libertà, i delitti essendo passibili di essere assimilati a degli atti di terrorismo".

Il rapporto denuncia inoltre i processi intentati contro dei navigatori di internet, accusati di aver fomentato attentati terroristici, ai quali si aggiungono alcuni difensori dei diritti umani. Sotto il riflettore critico della Ltdh anche il veto opposto dal parlamento alla legalizzazione del movimento associativo e dei partiti.

Sempre secondo Ltdh, il paesaggio mediatico non ha conosciuto nessun tipo di evoluzione, questo nonostante la creazione della prima radio privata e di un canale televisivo privato. Il rapporto pone un’attenzione particolare anche sulle condizioni di detenzione nelle carceri tunisine. Condizioni giudicate "deplorevoli" per via dei "cattivi trattamenti" che devono subire i prigionieri.

Milano: Rifondazione chiede Difesone Civico per i detenuti

 

Movimento Difesa del Cittadino, 9 ottobre 2004

 

Rifondazione Comunista ha chiesto alla provincia di Milano che nelle carceri milanesi sia introdotta la figura del difensore civico dei detenuti. Il Gruppo di Rifondazione in Provincia dice di aver trovato la disponibilità dell’assessore Francesca Corso, che ha la delega alla popolazione carceraria. "Il nostro obiettivo - ha detto Antonello Patta, capogruppo di Rifondazione in Provincia - è garantire per chi è in libertà ristretta i diritti che hanno tutti i cittadini, a partire da quello alla salute".

Il diritto alla salute è uno dei problemi principali nelle carceri milanesi, che da sole ospitano il 56% dei detenuti lombardi. "A Opera, che è un centro clinico - ha spiegato Saverio Ferrari, responsabile regionale delle carceri per il Prc - sono chiuse le sale operatorie perché salta la luce, ci sono i malati di un grande ospedale ma con strutture da ambulatorio, si aspettano anche 12 mesi per una visita specialistica".

Il sovrappopolamento cronico, le strutture a volte fatiscenti sono solo alcuni dei problemi per cui i detenuti si potrebbero rivolgere al difensore civico delle carceri "come già possono fare nella Regione Lazio - ha proseguito Ferrari -. e nei comuni di Firenze, Bologna e Roma".

"Anche a Monza la cosa sta partendo - ha aggiunto l’avvocato Luigi Lia, che nel 2001 ha aiutato Rifondazione a redigere una proposta di legge regionale per la creazione del difensore civico de detenuti - e coinvolgerà tutti i 64 Comuni del distretto sociosanitario della Brianza".

"Il difensore sarebbe una figura autonoma dalla magistratura di sorveglianza - ha concluso Marco Dal Toso, responsabile giustizia del Prc milanese - che potrebbe svolgere un ruolo di mediazione fra i detenuti e la pubblica amministrazione, cioè potrebbe agire là dove la magistratura di sorveglianza non ha giurisdizione".

Il Difensore Civico potrebbe perciò sollecitare ad esempio lavori necessari nelle carceri, oppure segnalare casi di malasanità o informare i detenuti delle possibilità del patrocinio gratuito.

Polizia Penitenziaria: "le carceri pugliesi sono in crisi"

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 9 ottobre 2004

 

Esiste uno stato di grande tensione nelle carceri pugliesi: lo denuncia, l’Osapp, l’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, attraverso il suo vice segretario generale nazionale, Domenico Mastrulli. "Mentre nelle sedi periferiche dei penitenziari iniziano i festeggiamenti per San Basilide, patrono del Corpo della Polizia Penitenziaria, giungono notizie circa una nuova e forte protesta da parte dei reclusi intenti a segnalare il persistente stato di sovraffollamento delle carceri".

La possibile forte protesta dei detenuti sarà per sottolineare le pessime condizioni di vita all’interno delle carceri e per sollecitare nuovamente provvedimenti come l’indulto o l’amnistia generale.

Per l’Osapp, in Puglia e Basilicata esisterebbero gravi situazioni tra cui quella che si registra nel penitenziario di Lecce che vede 1.350 presenze, un numero che, con l’avvio dei processi e maxi processi, potrebbe raggiungere anche gli oltre 1.600 reclusi.

"Siamo fortemente preoccupati per l’inizio di una attività di protesta che dovrebbe partire da Roma Regina Coeli ma che potrebbe diffondersi e contagiare tutte le restanti carceri italiane tra cui i penitenziari pugliesi e lucani" conclude Mastrulli che annuncia a breve l’inizio delle proteste pacifiche dei poliziotti aderenti all’Osapp in alcune zone come Roma, Pescara, Tolmezzo, e Foggia, con l’astensione dalla mensa obbligatoria di servizio, per sollecitare l’ampliamento degli organici di circa 7.000 unità di cui 1.000 in Puglia e 70 a Foggia oltre che sollecitare il pagamento dei Fondi Incentivanti degli ultimi tre anni ed i servizi di missione non pagati dallo scorso gennaio 2004. È anche prevista una manifestazione sit-in piazza Montecitorio, a Roma.

Ragusa: manifestazione contro la riapertura del CPT

 

Melting Pot, 9 ottobre 2004

 

In questi ultimi anni sul territorio italiano, ma non solo, sono stati realizzati i cosiddetti Centri di Permanenza Temporanea, veri e propri centri di detenzione per migranti a vario titolo non regolari o in attesa di regolarizzazione, persone giunte in Italia con documenti giudicati non validi, persone che hanno fatto domanda d’asilo per motivi umanitari o di persecuzione politica.

I CPT sparsi sul territorio italiano si sono dimostrati dei "non luoghi": non si tratta di "centri di accoglienza" ma formalmente non possono nemmeno essere carceri(ma lo sono) - chi vi viene rinchiuso generalmente non ha commesso reati – e quindi, come sottolineato da molti giuristi e denunciato da svariate organizzazioni della società civile, sono luoghi di sospensione del diritto dove, ad esempio, viene negato il diritto all’assistenza legale a e alla difesa.

In questi "non luoghi" vengono applicate varie forme di repressione e controllo tra cui l’utilizzo di procedure manicomiali (come la somministrazione di psicofarmaci senza controllo medico) che hanno portato spesso ad atti estremi come il suicidio.

Ma la negazione dei diritti è ulteriormente dimostrata anche dallo stravolgimento di qualsiasi normativa con cui vengono scelti i siti destinati ad ospitare i CPT: nessuna amministrazione locale viene preventivamente consultata, anzi le richieste di chiarimenti e le espressioni di contrarietà provenienti dagli enti locali vengono respinti sostenendo che vige per i CPT una condizione di extraterritorialità per la quale non valgono né regole, né le opinioni delle comunità interessate.

Negli ultimi mesi il territorio di Ragusa è stato fatto oggetto di una decisione ministeriale che vorrebbe la costruzione del 15° CPT italiano nell’ex dopo-lavoro Cral di Via N. Colaianni che dovrebbe servire tutto il territorio della provincia e non soltanto.

La nostra terra, da sempre terra di accoglienza, è sempre stata zona di transito e permanenza di centinaia di migliaia di persone che per motivi di lavoro, di asilo e umanitari hanno dovuto lasciare, con notevoli sofferenze e drammi, i loro luoghi d’origine per cercare altrove quanto lì era negato. Verso queste persone la nostra comunità ha saputo costruire percorsi di accoglienza e soccorso, nella nostra città è stato previsto anche la possibilità di voto alle amministrative, vi sono progetti di concreta accoglienza della Caritas e nel resto della provincia organizzazioni come Emergency e Medici Senza Frontiere (e altre… ) hanno svolto un vero ruolo di integrazione.

Noi, cittadini e cittadine, amministratori, associazioni, organizzazioni, partiti, sindacati, movimenti e gruppi della società civile locale, lanciamo un appello per l’apertura di un dibattito e di una mobilitazione che abbiano come obiettivi qualificanti:- la revoca della decisione di aprire il Cpt - il diritto delle comunità di questa Città di scegliere e determinare, in base alle proprie esigenze, i criteri e le finalità di riutilizzo delle aree sociali come quella del ex dopo-lavoro Cral.

Facciamo appello a tutta la nostra comunità, alle istituzioni, alle forze sociali e politiche, alle organizzazioni religiose, alle associazioni, ai movimenti, affinché non solo si esprima contrarietà alla realizzazione di un CPT nella provincia di Ragusa e in regione, ma si realizzi una mobilitazione che sappia essere efficace e vincente per portare il Governo a rivedere tale decisione, destinando piuttosto le ingenti risorse destinate alla realizzazione del CPT per iniziative di vera accoglienza che vadano nel senso di dare piena dignità alle persone migranti e alle popolazioni di questa terra.

 

Aderiscono all’iniziativa: Associazione Diritti Umani, Associazione Macedonia, Associazione Tubajana, Centro educazione alla Pace, Circolo Progetto Comunista, CUB, Emergency, Gruppo anarchico di Ragusa, Gruppo consiliare DS, LAV, PRC, Pax Christi e don Luigi Ciotti, Rete Antirazzista Siciliana

Amnesty: l’Italia deve assicurare accesso a procedure di asilo

 

Redattore Sociale, 9 ottobre 2004

 

"Le notizie di aerei che trasportano centinaia di persone di origine africana e mediorientale da Lampedusa verso la Libia suscitano importanti domande sulla determinazione del governo italiano di affrontare le sfide dell’immigrazione senza tener conto del costo in termini di diritti umani". Ad affermarlo è Amnesty International, che in una nota chiede al Governo italiano di assicurare l’accesso alle procedure di asilo di coloro che necessitano di protezione.

Amnesty International è da tempo preoccupata per la mancanza di una legislazione adeguata ed esauriente in materia di asilo in Italia. Nonostante le recenti assicurazioni del ministro dell’Interno sulla legalità di quanto avvenuto, Amnesty International si è detta "profondamente turbata dall’apparente velocità con cui, nei giorni scorsi, centinaia di persone sono state deportate da Lampedusa e dalla mancanza di trasparenza in queste procedure".

L’organizzazione teme che l’operato del governo italiano "rischi di compromettere gravemente il diritto fondamentale di chiedere e ricevere asilo e il principio del non respingimento, che proibisce il ritorno forzato di una persona in un territorio dove potrebbe rischiare di subire gravi violazioni dei diritti umani".

Amnesty ha anche chiesto al governo italiano di porre fine a queste operazioni. E afferma: "È indispensabile che il governo assicuri che tutti i richiedenti asilo abbiano accesso a una procedura equa e soddisfacente". Nel caso in cui il numero degli arrivi superi la capacità di accoglienza e di esame individuale, Amnesty International fa notare che l’Italia ha la possibilità di chiedere assistenza alla comunità internazionale, sulla base del principio della condivisione degli oneri e delle responsabilità, tenendo presente che anche in questo caso l’Italia avrebbe il dovere di ammettere i richiedenti asilo e i rifugiati nel suo territorio, senza discriminazione.

"Le garanzie fondamentali, come una adeguata assistenza legale, un valido interpretariato e l’opportunità di contattare l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur) e le organizzazioni non governative afferma l’organizzazione -, rappresentano premesse essenziali per il rispetto, da parte italiana, degli obblighi del diritto internazionale dei diritti umani e dei rifugiati nonché del principio di non respingimento".

Amnesty International raccomanda al governo italiano di consentire all’Acnur il tempestivo accesso a tutte le persone che rischiano la deportazione, in modo da assicurare che chi ha bisogno di protezione la ottenga. Inoltre, Amnesty International sollecita l’Italia ad applicare il principio della trasparenza, consentire un esame indipendente delle sue azioni e dialogare con l’Acnur e le organizzazioni non governative.

Da evidenziare poi che un recente rapporto di Amnesty International ("Libia: è tempo di rendere i diritti umani una realtà") ha evidenziato gravi preoccupazioni per la situazione dei diritti umani nel paese nordafricano, che deve ancora firmare la Convenzione delle Nazioni Unite sullo status di rifugiato del 1951. Amnesty International teme che alcune delle persone respinte da Lampedusa possano, una volta in Libia, rischiare un ulteriore respingimento verso paesi dove potranno andare incontro a torture o trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

"Nonostante abbia sottoscritto la Convenzione sui rifugiati dell’Organizzazione dell’unità africana, e sia dunque obbligata a non respingere alcuna persona in un paese dove rischi di subire violazioni dei diritti umani, negli ultimi mesi la Libia ha violato i propri obblighi, come quando – in due casi distinti, avvenuti a luglio ed agosto – ha deportato cittadini eritrei nel loro paese di origine; molti di essi si ritiene siano ora detenuti in isolamento in carceri segrete e in condizioni di prigionia assai dure".

Amnesty International riconosce che la Libia ha il legittimo diritto di controllare le frontiere del proprio territorio. "Tuttavia – precisa -, le autorità di Tripoli violano regolarmente le garanzie nazionali e gli standard internazionali in materia di arresto, detenzione e processo, con pesanti conseguenze sulle vite di centinaia di reali o possibili oppositori politici come su quelle di migranti e possibili richiedenti asilo". Amnesty International teme che le persone espulse da Lampedusa e che si trovano ora in Libia, cittadini libici o stranieri che siano, possano essere arrestate per reati come ingresso illegale o uscita illegale dal territorio libico e subire maltrattamenti nel corso della detenzione.

Amnesty International sollecita il governo libico a permettere all’Acnur di incontrare le persone espulse dall’Italia in modo che i funzionari di questo organismo possano verificare le loro condizioni e denunciare ogni violazione dei loro diritti fondamentali, tra cui il diritto di cercare e ricevere asilo in Libia, se questa sarà la loro intenzione.

Trani: per il supercarcere il futuro è a rischio

 

Gazzetta del Sud, 9 ottobre 2004

 

Il futuro del supercarcere è a rischio. Ma stavolta la faccenda non riguarda la popolazione carceraria, quanto gli agenti di polizia penitenziaria. All’indomani dell’inizio dei lavori di ristrutturazione nell’istituto di pena di massima sicurezza, un centinaio di agenti rischiano la mobilità, al seguito dei detenuti trasferiti in altre strutture, nell’attesa che quella tranese riceva un robusto "maquillage" che la renderà compatibile agli standard europei di sicurezza e vivibilità.

A lanciare il grido di allarme è Domenico Mastrulli, vicesegretario nazionale generale dell’Osapp, sindacato autonomo della polizia penitenziaria. "Sebbene - dice - siano iniziati da oltre quattro mesi i trasferimenti della popolazione carceraria in altre strutture, con la conseguente chiusura della massima sicurezza ed altri accorgimenti, solo oggi (ieri per chi legge, ndr) abbiamo avuto comunicazione ufficiale del via libera ai lavori di sistemazione delle carceri di Brindisi e Trani".

"È fin troppo chiaro - continua il sindacalista - che si tratta di strutture fatiscenti, che necessitano di interventi radicali. Ma è altrettanto palese che nella lettera del provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Rosario Cardillo, ci sono alcune contraddizioni che vanno chiarite. Prima fra tutte, come farà l’Amministrazione a pagare le indennità di missione promesse per la mobilità di cinquantacinque agenti a Spinazzola e di quaranta circa a Bari, atteso che da oltre un anno gli stessi non ricevono un solo centesimo per le missioni effettuate in precedenza".

Attualmente, la struttura detentiva di Trani ospita circa 160 detenuti. La maggior parte della popolazione è già stata trasferita in altre prigioni italiane (come nel caso dei brigatisti rossi "irriducibili"), mentre quelli ancora ospitati in via Andria troveranno accoglienza nel neo-ristrutturato carcere mandamentale di Spinazzola, o nella quarta sezione del penitenziario di Bari.

"Un carcere - ricorda Mastrulli - che ha già un bel po’ di grattacapi, con i suoi oltre cinquecento detenuti. L’Osapp teme che la mossa delle promesse, che sicuramente non potranno essere mantenute, sia in realtà uno stratagemma per incoraggiare le mobilità".

"Ma - conclude perentorio il sindacalista - stavolta siamo determinati ad alzare le barricate, per la tutela non soltanto del livello occupazionale, ma anche del prestigio di una struttura inserita a pieno titolo nel corredo storico della nostra terra".

Livorno: gli occhi del Comune puntati sull’emergenza carcere

 

Il Tirreno, 9 ottobre 2004

 

Il sindaco Alessandro Cosimi si appresta a visitare il carcere delle Sughere per verificare di persona lo stato della struttura e le condizioni di vita dei detenuti. Si è concluso con questo impegno assunto dal primo cittadino il dibattito in consiglio comunale che era scaturito da un’interpellanza presentata dal capogruppo dei Comunisti Italiani, Letizia Costa, alla quale avevano aderito i gruppi consiliari di Rifondazione comunista, Margherita, Italia dei Valori, Ds, Città Diversa e verdi.

Il sopralluogo da parte del sindaco avverrà nei prossimi giorni: la data non è ancora stata precisata, ma tra Palazzo Civico e la direzione della casa circondariale sono già in corso contatti per definire a breve termine tutti gli aspetti organizzativi.

Nella sua interpellanza, l’esponente dei Comunisti italiani ha espresso "forti preoccupazioni per la situazione evidenziata dai gravi fatti avvenuti nella casa circondariale di Livorno. I ripetuti fatti autolesivi da parte di detenuti, sono chiari indicatori di uno stato di sofferenza in merito al quale, nel pieno rispetto del ruolo delle istituzioni preposte alle indagini, avvertiamo la necessità di acquisire elementi di maggiore conoscenza circa la qualità della vita di detenuti e lavoratori nella realtà carceraria livornese.

Chiediamo perciò quali siano gli intendimenti dell’amministrazione in tal senso". La risposta del sindaco non si è fatta attendere: "Andrò a visitare personalmente il carcere delle Sughere", ha dichiarato Cosimi. Poi la parola è stata presa dall’assessore alle Politiche sociali, Alfio Baldi , che ha spiegato l’impegno personale ("è da 15 anni che mi occupo dei problemi dei detenuti, prima da volontario e quindi da amministratore") e quello della giunta su quella che è considerata una vera e propria emergenza.

"Proprio sabato scorso abbiamo compiuto una ispezione al carcere delle Sughere - dice - insieme al direttore della casa circondariale, al capo delle guardie, ai vari operatori, ai rappresentanti dell’Arci e di altre associazioni e, come accade ogni volta, abbiamo approfondito la conoscenza di questo mondo che troppo spesso "isolato" rispetto alla città.

I problemi delle Sughere sono molteplici: da quelli riguardanti l’edificio, è vero che nelle celle filtra l’acqua quando piove, a quelli relativi al sovraffollamento. Per questo stiamo mettendo in campo una serie di iniziative concrete per migliorare la qualità della vita dei detenuti: nel settore femminile stiamo realizzando un’area a verde dove le madri possano incontrare i figli e pensiamo anche di costituire un fondo di rotazione per aiutare quei detenuti, soprattutto stranieri, che non hanno risorse economiche.

E poi c’è l’impegno a reinserire i detenuti nella società una volta scontata la pena: questo può avvenire solo attraverso un progetto che abbia inizio dentro il carcere, ricostruendo delle possibili prospettive".

Il dibattito ha registrato molti interventi. Soddisfatto Alessandro Trotta di Rifondazione comunista: "è un fatto importante che l’assemblea cittadina discuta della questione carcere. Mi auguro che non si tratti di un fatto episodico, perché è anche nostro compito cercare di abbattere quel muro di indifferenza che ancora divide la città dal carcere".

Dello stesso avviso Marco Solimano , consigliere dei Ds: "Se il carcere si chiude al suo interno diventa autoreferenziale e può legittimare anche le "regole" non scritte. È un pericolo che non possiamo correre, ecco perché diventa importante la collaborazione dell’amministrazione comunale e dell’associazionismo: il carcere in questo modo interloquisce con la città e può mettersi in discussione".

Per Maria Clotilde D’Apice (Amare Livorno), il problema di fondo è "quello di creare una mentalità dell’accoglienza nei confronti di chi ha fatto la triste esperienza del carcere". D’accordo anche Amerigo Poggiolini (Ds) che ha chiesto "progetti concreti che puntino sul lavoro per i detenuti delle Sughere". Una linea condivisa da Marco Cannito (Città Diversa), che ha richiamato tutti gli enti e le istituzioni locali a fare la propria parte: "È importante che la politica si interessi a queste problematiche. Ma sulla questione della salute in carcere deve intervenire l’Asl".

Nella discussione sono state citate più volte le recenti morti per suicidio avvenute nel carcere livornese e soprattutto il caso di Marcello Lonzi. "È giusto che la magistratura continui ad indagare sul caso Lonzi - sottolinea Otello Chelli (Rifondazione) - Ho guardato le foto: in vita mia non avevo mai visto ferite come quelle che c’erano sul suo corpo...".

Controcorrente l’intervento di Massimo Ciacchini (Forza Italia): "Alle Sughere ci sono molti problemi. Però non si può continuare ad assistere ad interviste televisive o a leggere interventi sui giornali di detenuti per terrorismo che non hanno mai chiesto perdono". Immediata la replica di Gabriele Volpi (Verdi): "La repressione non serve, ma il governo di centrodestra non lo ha ancora capito...".

A questo punto ha preso la parola Marcella Amadio (An): "Le Sughere hanno problemi storici, stratificati nel tempo, come la fatiscenza dell’edificio e i disagi psicologici dei detenuti: non è certo un carcere modello e An si è impegnata da tempo su questo fronte. Però non si possono fare strumentalizzazioni come ha fatto Volpi: le morti nei carcere non si possono buttare in politica, e comunque ci sono stati suicidi di detenuti anche con il governo di centrosinistra.

Non "giochiamo" sul dolore e non buttiamo la croce addosso agli operatori del carcere". Alla fine Letizia Costa si è detta soddisfatta dell’esito del dibattito e degli impegni assunti dall’amministrazione comunale: "Rifiuto l’idea di carcere come luogo di produzione di violenza. Ecco perché dobbiamo trovare insieme delle soluzioni".

Livorno: interrogazione parlamentare per "Le Sughere"

 

Il Tirreno, 9 ottobre 2004

 

Piccoli grandi impicci quotidiani, dall’ora della doccia che coincide con quella d’aria alla tettoia del cortile colabrodo che rende il passeggio impossibile se piove. Sezione femminile, visita dei parlamentari Ds Bolognesi e Susini, dell’assessore Baldi, accompagnati dalla direttrice e dal comandante degli agenti. Con loro anche Marco Solimano, presidente dell’Arci.

"La tettoia - spiega Bolognesi - sarà sostituita a breve e la direttrice si è presa altri impegni. Ma io tornerò a breve per capire se qualcosa cambia e ho già chiesto di trascorrere alle Sughere l’intera giornata".

Il giro continua in due sezioni maschili: "Le celle - racconta Bolognesi all’uscita - non hanno quasi per niente luce elettrica. I detenuti chiedono impianti di illuminazione più forti e si lamentano della struttura che ha parti che cascano a pezzi". Sugli infissi erosi dalla salsedine, tirati avanti a colpi di silicone come ha spiegato la stessa direttrice nell’incontro con i giornalisti, Bolognesi annuncia un’interrogazione parlamentare: "Ho anche chiesto - continua la deputata - di vedere una cella senza suppellettili, ma mi è stato spiegato che al momento non ce n’erano".

Dietro le sbarre e fuori, la visita continua fino al bordo del campo pensato per il calcio: "Fa effettivamente schifo - confermano i parlamentari - e gli spazi verdi vanno costruiti". Magari in meno di due anni, tempo che sembra impossibile abbattere per realizzare il progetto già finanziato dal Comune per l’area all’aperto attrezzata per i colloqui delle detenute con i familiari, figli compresi.

"Uomini e donne - conclude Bolognesi - hanno chiesto più educatori e assistenti sociali, più attività di specializzazione. Le donne hanno espresso l’esigenza di fare attività fisica". Segni di un disagio forte, nel carcere sicuro in cui si muore senza che nessuno sappia il perché. Tranne che nel caso di Marcello Lonzi, sul quale la direttrice risponde con un sibillino "il 10 dicembre vedrete chi aveva ragione".

Livorno: tre morti, carcere invivibile, qualcuno si muova...

 

Il Tirreno, 9 ottobre 2004

 

Perché tre suicidi in due mesi dietro le sbarre del carcere labronico le Sughere? Bella domanda, alla quale la direttrice Anna Carnimeo ammette, davanti a parlamentari e giornalisti in visita, di non saper rispondere: "È avvenuto - spiega - e non vi so dire il motivo. Ogni caso è a sé".

Casi, dunque, come quello di Carlos Riquelme, marittimo cileno di 50 anni, trovato impiccato il 30 luglio scorso dopo soli tre mesi di detenzione. Anna Carnimeo dice: "Si professava innocente e il suo era un suicidio annunciato. Anche l’autorità giudiziaria era informata". Però nessuno ha ascoltato la richiesta di trasferimento al centro clinico del Don Bosco, a Pisa.

Nel lungo incontro che i parlamentari Ds, Marida Bolognesi e Marco Susini hanno avuto ieri con educatori, direttore, capo degli agenti, medico, l’attenzione si è spostata sulle condizioni materiali in cui vivono i detenuti delle Sughere, carcere sicuro in cui si concentrano detenuti "difficili" che arrivano da tutta la Toscana: gli evasi di Sollicciano, il cinese che ha freddato un barista a Prato, chi ha già tentato di farsi del male dietro le sbarre.

Al loro fianco i "comuni" e una quarantina di donne in una sezione dove non c’è posto per i bambini sotto i tre anni che possono restare con la madre per legge. Al sovraffollamento e alla carenza di personale di custodia, mali cronici delle carceri italiane, si aggiungono l’acqua che invade le celle ogni volta che piove, la scarsa potenza dell’energia elettrica che arriva nelle celle rendendole praticamente buie appena va giù il sole, la mancanza di spazi verdi, l’esiguità delle attività consentite. "I detenuti - spiega Marida Bolognesi al termine della visita alle sezioni - chiedono più educatori, più assistenti sociali, attività di specializzazione. Le donne, in particolare, vorrebbero qualcuno che le supporti nel fare un po’ di attività fisica".

L’onorevole Bolognesi ha annunciato la presentazione di un’interrogazione parlamentare sulla questione, sollevata dalla direttrice delle Sughere, degli infissi in ferro mangiati dalla salsedine e tenuti insieme da massicce dosi di silicone. Ma l’orologio del carcere corre veloce e tutti ricordano che il progetto per dotare la sezione femminile di un’area attrezzata per colloqui con i familiari da svolgere all’aperto è fermo da più di un anno nelle mani della burocrazia.

Un’attesa sfinente per chi non ha voce. La condizione del carcere - è stato ripetuto a più voci nel corso dell’incontro - è cosa che deve riguardare tutta la città. Ma non sarà la partita del cuore chiesta per trovare i fondi per il manto sintetico del campo di calcio che darà risposte sulle morti in carcere di Marcello Lonzi (è ancora aperto il fascicolo a carico di ignoti per omicidio), Moahammer Daff (suicidio), Domenico Bruzzaniti (suicidio), Carlos Requelme (suicidio), Luigi Visconti (suicidio).

Né basterà sostituire gli infissi per spiegare quella "cella senza suppellettili" in cui i detenuti - è stato spiegato - vengono rinchiusi per decisione del medico, "privati degli effetti personali, vestiti compresi". In base a quale normativa, è un altro mistero delle Sughere.

 

 

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