Rassegna stampa 20 ottobre

 

Lila: chiediamo più tutele per i sieropositivi in carcere

 

Adnkronos Salute, 20 ottobre 2004

 

Più tutele per i sieropositivi nelle carceri italiane. È la richiesta della Lega italiana per la lotta all’Aids (Lila), che denuncia "gravi ritardi del sistema penitenziario" nazionale e teme che "la decisione del ministro di Giustizia, Roberto Castelli, di abbassare del 35% circa l’esborso pubblico sanitario nei penitenziari", vada a colpire "in modo drammatico soprattutto le persone sieropositive e in Aids". La Lega lancia quindi un appello perché ai detenuti colpiti dall’Hiv sia garantito "un trattamento sanitario compatibile con la condizione di sieropositivita".

"La legge sull’incompatibilità tra Aids e carcere (231/99) continua a essere spesso ignorata - sottolinea la Lila in una nota - Molti detenuti riconosciuti come incompatibili con la detenzione vengono reclusi nei Centri clinici interni alle carceri, dove però non ricevono l’assistenza sanitaria adeguata. Il decreto legislativo del 22 giugno 1999, che ha stabilito il trasferimento, in forma sperimentale e solo per poche Regioni, delle funzioni sanitarie svolte dall’amministrazione penitenziaria al Servizio sanitario nazionale, dovrebbe finalmente passare dalla fase di monitoraggio, non ancora terminata per i ritardi regionali, a quella di una completa trasformazione in tale direzione per tutto il territorio nazionale".

La speranza della Lila è che "le forze democratiche, l’associazionismo e le autorità politiche più sensibili facciano sentire la propria voce" e che "siano verificate al più presto le condizioni di vivibilità dei Centri clinici interni ai penitenziari", conclude il comunicato.

Cuneo: nasce commissione provinciale per lavoro ai detenuti

 

Ansa, 20 ottobre 2004

 

Dopo l’appello fatto dai detenuti del carcere di San Severo di Foggia, il presidente della Provincia di Cuneo, Raffaele Costa, ricordando che la stessa richiesta di poter lavorare è stata avanzata da molti dei circa mille detenuti delle quattro carceri della Granda, localizzate a Cuneo, Alba, Fossano, Saluzzo e Fossano, ha proposto l’istituzione di una commissione provinciale per studiare la possibilità di offrire ai detenuti un lavoro interno produttivo e remunerativo.

"Credo - è il commento dell’on. Costa - che favorire il recupero del detenuto attraverso il lavoro sia utile e per certi versi doveroso". La commissione, della quale saranno chiamati a far parte operatori del settore, imprenditori, rappresentanti delle amministrazioni provinciali e comunali, sindacalisti, dovrà studiare le modalità con le quali saranno proposte agli amministratori delle carceri alcune forme di collaborazione, nel rispetto delle norme recentemente varate dal Parlamento.

"Ad oggi nelle carceri cuneesi si lavora soltanto per servizi interni (cuochi, addetti alle pulizie) e alcuni detenuti sono ammessi al lavoro esterno. Sono anche attivi dei corsi formativi", ha riferito il presidente della Provincia, che ha aggiunto: "lavorare in carcere ed essere retribuiti, sia pure con diverse modalità rispetto all’esterno, significa per il detenuto prepararsi al reinserimento, disporre di un po’ di denaro per sé e per la propria famiglia ed in qualche caso perfino risarcire il danno conseguente al reato commesso".

Laura Cima (Verdi): governo smetta di fare orecchie mercante

 

Ansa, 20 ottobre 2004

 

La deputata Verde Laura Cima ha presentato un’interrogazione al ministro della giustizia Castelli dove chiede interventi urgenti per affrontare la critica situazione delle carceri italiane e far si che vengano applicate correttamente le leggi vigenti, punto di partenza per garantire condizioni umane di detenzione e rispetto della dignità di ogni persona.

Cima chiede anche un confronto immediato per modificare il disegno di legge della Finanziaria e il ripristino dei bilanci del dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) a quelli del 2001. La deputata Verde Laura Cima ha dichiarato: "i detenuti delle carceri italiani hanno ripreso con forza la loro protesta pacifica, si tratta di una rivendicazione che riguarda la crisi strutturale, economica e di valori presente nelle carceri italiane.

È la lotta disperata contro il sovraffollamento che non accenna a diminuire, contro i continui tagli all’assistenza sanitaria, per la scarcerazione immediata dei malati di Aids e della detenuti madri, contro la mancata applicazione della Legge Gozzini, della Legge Simeone e della Legge Smuraglia, e contro l’uso eccessivo della custodia cautelare.

Contro infine l’impressionante carico di lavoro degli assistenti sociali e la carenza di personale nella polizia penitenziaria, che in alcune regioni del nord supera il 35% della forza presente. "Di fronte a questa situazione carceraria gravosa e inaccettabile di totale abbandono da parte delle istituzioni - conclude Cima - la popolazione carceraria non può fare altro che alzare il livello della protesta con la speranza che il governo la finisca finalmente di fare orecchie da mercante nei confronti dei bisogni più elementari e vitali dei carcerati".

Sala Consilina: chiuso il carcere, ma nessuno lo sa

 

Ansa, 20 ottobre 2004

 

Il ministero della giustizia sopprime il carcere di Sala Consilina con un decreto del 21 maggio 2004, mai però pubblicizzato e della cui esistenza si è saputo soltanto ieri mattina, dopo le sollecitazioni del sindaco Ferrari e le richieste fatte dagli avvocati del foro di Sala e dall’assessore provinciale Angelo Paladino, direttamente alla direttrice del carcere cittadino.

Il decreto non è mai arrivato al Comune, ma ieri mattina una copia è giunta in Tribunale, portata da Paladino che l’ha sottoposta all’ordine degli avvocati. Il decreto a firma del ministro Castelli recita: "A decorrere dalla data del presente decreto la casa circondariale di Sala Consilina è soppressa", per cui il carcere è da ritenere soppresso già da cinque mesi.

E difatti a quella data è susseguita una serie di interventi, tesi alla predisposizione della chiusura totale delle attività delle carceri. Secondo quanto riferito dallo stesso Paladino, il decreto è stato inviato al provveditorato regionale per le carceri, che in questi mesi ha predisposto gli atti per la soppressione.

Proprio ieri mattina sembra sia giunta alla direttrice del carcere, Concetta Feloga, la richiesta delle matricole dei trenta dipendenti della struttura, atto necessario per predisporre il trasferimento degli stessi in altri luoghi, mentre ad ore dovrebbe essere disposto il definitivo trasferimento in altre carceri dei detenuti. Secondo il decreto, la chiusura della struttura, del resto già prevista con il D.M 30 gennaio 2001 (che indica la dismissione della casa circondariale strutturalmente non idonea alla funzione, da sostituire con una nuova struttura), è motivata da una "assoluta e grave inadempienza del predetto istituto sotto il profilo strutturale" e dalla "antieconomicità di una ristrutturazione dell’istituto ai fini detentivi in termini di costi/benefici per la modestissima capacità ricettiva della struttura".

In realtà la carenza strutturale sembra sia stata indicata dal precedente direttore del carcere, Stendardo, anche se l’ultima relazione sulla produttività della struttura risulta del tutto positiva. L’attuale casa circondariale, secondo i programmi del governo doveva essere chiusa, ma con la realizzazione di una nuova struttura per la quale erano stati già previsti 32 milioni di euro ed era anche stato scelto il terreno sul quale sarebbe sorto (località Nocito). La chiusura preventiva del carcere di Sala Consilina lascia invece dubbi anche sulla realizzazione della nuova struttura.

Sala Consilina: chiusura carcere, interviene Onorevole Pittella

 

Ansa, 20 ottobre 2004

 

L’Onorevole Gianni Pittella si schiera al fianco del Sindaco di Sala Consilina, ed ai sindaci ed agli Avvocati del territorio manifestando la propria contrarietà rispetto alla comunicazione ufficiale della chiusura del Carcere di Sala Consilina, firmata dal Ministro della Giustizia Castelli.

Tale decisione del Ministro non può non suscitare legittime perplessità ed interrogativi. In attesa del Consiglio Comunale straordinario che è stato convocato ad hoc, mi faccio interprete dell’auspicio e dell’invito a che dal Ministero possano giungere, nelle prossime ore, segnali di dialogo con i principali utenti coinvolti.

Como: incensurato, si fa 10 giorni di carcere per un equivoco

 

Corriere di Como, 20 ottobre 2004

 

Chiamarlo contrattempo sarebbe davvero poco. Non se li dimenticherà tanto facilmente, questi ultimi dieci giorni, un artigiano comasco finito in cella per un clamoroso errore. Dieci giorni dietro le sbarre a causa di un malinteso. Tutta colpa di una telefonata fatta da un telefono cellulare prestato, un telefono cellulare "sbagliato".

Il giudice delle indagini preliminari di Milano, Cesare Tacconi, ieri mattina ha disposto l’immediata scarcerazione per un artigiano residente nella Brianza comasca e arrestato dagli inquirenti milanesi con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti. L’uomo, secondo quanto ha potuto ricostruire il suo avvocato (che ieri è riuscito a far valere le ragioni dello sventurato artigiano), si sarebbe fatto prestare un telefonino per chiamare la madre. Peccato che quel telefono fosse tenuto sotto controllo, nell’ambito di un’inchiesta su un’organizzazione accusata di aver gestito un traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

L’artigiano brianzolo aveva chiesto l’apparecchio in prestito all’avventore di un bar: una breve telefonata alla madre. Niente più. Gli inquirenti riuscirono però a risalire al telefono della donna e quindi all’identità dell’utilizzatore dell’apparecchio, arrestato con l’accusa di aver fatto parte dell’organizzazione di trafficanti di droga.

Per dieci giorni l’uomo è rimasto in carcere, in attesa che la paradossale situazione fosse chiarita dal suo legale, l’avvocato Ermanno Gorpia. Ieri l’avvocato ha fornito una serie di elementi al sostituto procuratore di Milano, Giuseppe D’Amico, che hanno permesso di chiarire la posizione dell’artigiano comasco.

Il pm ha così chiesto la scarcerazione per l’uomo per insussistenza dei gravi indizi indicati nel capo d’imputazione. Il gip ha accolto la richiesta e disposto l’immediata scarcerazione dell’artigiano, dopo ben dieci giorni trascorsi in una cella di San Vittore.

Brescia: a Canton Mombello sciopero bianco e agitazioni

 

Giornale di Brescia, 20 ottobre 2004

 

Dalle 21 di ieri i detenuti di oltre cinquanta carceri italiane hanno cominciato la mobilitazione pacifica - battitura delle sbarre, scioperi della fame e altre iniziative - per protestare contro il sovraffollamento, la mala sanità e per l’applicazione dei benefici previsti dalla Legge Gozzini.

L’associazione di detenuti del carcere romano di Rebibbia, Papillon, tra i principali promotori della mobilitazione, spiega che un ulteriore obiettivo è sollecitare parlamentari e amministratori locali a presentare proposte di legge contenenti un "reale" provvedimento di indulto e amnistia.

Oltre alla battitura delle inferriate, gruppi di sette-otto detenuti, si alterneranno ogni settimana in uno sciopero della fame e mobilitazione a rotazione (sciopero dei carrelli, cioè il rifiuto del vitto dell’amministrazione, il prolungamento di 15 minuti e lo sciopero dei lavoranti).

"A Regina Coeli la protesta proseguirà finchè i detenuti non avranno risposte" ha detto il presidente della Consulta per i problemi penitenziari del Comune di Roma Lillo De Mauro che oggi ha incontrato una delegazione di quindici detenuti del carcere romano. De Mauro ha sottolineato che da agosto - quando i detenuti attuarono una rivolta che comportò seri danni - la piattaforma delle richieste dei detenuti è rimasta la stessa (indulto generalizzato contro il sovraffollamento e riduzione della carcerazione preventiva).

I detenuti lamentano che da agosto "a parte le tante passeggiate di politici" che hanno visitato il carcere, non è cambiato nulla. A Rebibbia anche questa volta "le più determinate sono le donne, sia della sezione normale sia di quella speciale" che chiedono con forza la possibilità di accudire meglio i loro figli.

La protesta dei detenuti ha trovato il sostegno di parlamentari, sindacati e associazioni. Laura Cima (Verdi) chiede al governo di non fare "orecchie da mercante" e, in un’interrogazione al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sollecita interventi per affrontare la situazione. "I detenuti sollevano un allarme forte e giustificato su questioni riguardanti il codice penale e nodi fondamentali per il funzionamento di uno stato che possa definirsi di diritto": lo afferma Graziella Mascia, vicepresidente del Gruppo di Rifondazione Comunista alla Camera.

La protesta "progettuale e non violenta" dei detenuti rappresenta, dice la deputata, "un monito a quelle forze politiche che, per giustizialismo o per facili consensi elettorali, stanno bloccando ogni atto legislativo che intervenga sulla condizione carceraria". Dell’avvio della protesta non sapevano nulla, invece, i detenuti del carcere bolognese della Dozza.

Lo ha scoperto la delegazione di parlamentari e rappresentanti dell’associazione "Antigone" che ieri è andata in visita nell’istituto dove nel 2004 ci sono stati tre casi di tubercolosi nel 2004 e molti reclusi da tempo non riescono a richiedere i benefici penitenziari per mancanza di educatori a fare da tramite. Anche i detenuti del carcere bresciano di Canton Mombello sono dalla serata di ieri in sciopero.

Uno sciopero "bianco" che è stato annunciato attorno alle 19 circa da un rumore assordante: quello di stoviglie e oggetti personali battuto insistentemente contro le sbarre di celle e finestre. Una scelta che già in passato ha visto coinvolti tanto i reclusi di via Lechi quanto le detenute di Verziano, che hanno manifestato secondo le medesime modalità il loro disagio protestando contro mala sanità e applicazione solo parziale della Legge Gozzini. C’è da credere che come negli altri istituti interessati dallo sciopero - e come nello stesso carcere di Canton Mombello in passato - vi sarà pure il rifiuto del carrello.

Lega: l’indultino non è servito, applicare la Bossi-Fini

 

La Padania, 20 ottobre 2004

 

Sono oltre 56 mila, per la precisione 56.532, i detenuti nelle carceri italiane, un terzo dei quali stranieri. Una popolazione in larghissima parte composta da uomini, 53.872, mentre le donne sono 2.660. Di questi, 35.263 sono i condannati in via definitiva che vivono dietro le sbarre (1.539 donne e 33.724 uomini), mentre 20.108 sono gli imputati (1.042 donne e 19.066 uomini); 1.161 i reclusi in istituti di massima sicurezza (1.118 i condannati, 43 in attesa del giudizio definitivo).

Il quadro, aggiornato al 30 giugno scorso, emerge dai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Più di un terzo sono i detenuti stranieri: 17.783, cioè il 31.5% del totale. Il numero più consistente, 4.015, è di nazionalità marocchina; a seguire, gli albanesi (2.806), i tunisini (1.953), i rumeni (1.367) e gli algerini (1.289). Quasi il 28% della popolazione carceraria, infine, è rappresentata da tossicodipendenti: sono infatti 14.332 coloro che vivono dietro le sbarre, 13.709 sono uomini e 623 donne.

Numeri allarmanti che riportano l’attenzione sul sovraffollamento delle carceri italiane. Una "crisi" strutturale che va "certamente risolta - sottolinea Carolina Lussana, responsabile giustizia per il Carroccio - migliorando le condizioni di vivibilità dei detenuti. Questo non vuol dire - continua Lussana - la chiusura o lo svuotamento degli stessi istituti".

Di fatto l’indultino, ferocemente contestato dalla Lega, ha dimostrato di non aver risolto l’emergenza. "La ricetta semmai è un’altra - precisa l’esponente leghista -: costruire nuovi penitenziari, come il Ministero della giustizia sta già facendo, e utilizzare le cosiddette misure alternative, come il lavoro civico non retribuito, per quei detenuti che non sono socialmente pericolosi".

Una situazione che si potrebbe migliorare già da subito se "si applicasse rigorosamente la legge Bossi-Fini visto che le carceri italiane sono occupate da più di un terzo da cittadini extracomunitari". "Il sovraffollamento degli istituti penitenziari del nostro Paese - conclude Lussana - è dovuto principalmente alla numerosa presenza di stranieri. Se si facesse scontare loro la pena nel paese di provenienza e si potenziassero gli accordi bilaterali, sicuramente si otterrebbero benefici per l’intero sistema carcerario italiano".

Como: pochi vogliono i condannati ai lavori di pubblica utilità

 

La Provincia di Como, 20 ottobre 2004

 

A rischio l’applicazione della pena al lavoro di pubblica utilità per i condannati a piccoli reati: enti ed associazioni hanno stentato a farsi avanti e quando hanno fatto un passo, si sono tirati indietro di due. Per far chiarezza sulle disposizioni e sugli obblighi, oggi pomeriggio nell’aula della Corte d’Assise, si riuniranno i magistrati con il presidente del Tribunale, Pietro Giuffrida, il presidente della sezione penale, Alessandro Bianchi, i giudici di pace, con il coordinatore Pietro Di Marco e gli enti che si sono dichiarati disponibili, tanto da essersi già convenzionati.

Ma c’è chi ha detto: "Questo condannato non lo voglio"; chi ha annunciato che dovrà consultare altri organismi superiori, chi prima si fidava e adesso non si fida più, chi cavilla e chi è fin troppo generoso. I giudici, ordinari o di pace, stanno già applicando la sospensione della pena a condizione che il condannato presti gratuitamente ore di lavoro a favore della collettività, come ha stabilito il decreto ministeriale del 26 marzo 2001 che discende dal decreto legislativo del 28 agosto 2.000.

In sostanza, per alleggerire le carceri, ma anche per proporzionare la punizione all’entità sociale del reato, il ministero della Giustizia ha detto che il giudice può (e non "deve") sospendere l’esecuzione della pena la prima volta, a condizione che il reo non ricaschi. Se ricasca, anche per un reato diverso, deve meritarsi la sospensione condizionale della pena, rendendosi utile. Condannato a far volontariato,in altre parole.

Visto il numero dei quotidiani clienti delle aule giudiziarie, commettere piccoli reati non dev’essere difficile per nessuno: furti, ricettazione, lesioni (compresi gli infortuni sul lavoro e gli incidenti stradali), falso, truffa, evasione domiciliare e contributiva, minacce, violenze private, appropriazione indebita, guida in stato d’ebbrezza, i casi più lievi di detenzione e spaccio di droga, danneggiamenti, violazione di domicilio, per citare alcuni casi che prevedono pene inferiori ai due anni di carcere.

Dall’agosto scorso, quando la normativa è entrata in vigore, in tribunale è stata applicata in tre casi e quando la sentenza sarà definitiva, i condannati presteranno lavori di pubblica utilità. L’elenco delle strutture è pronto: due sono i Comuni convenzionati, Tremezzo ed Alzate Brianza; 12 le case di riposo, compresa la Cà D’Industria; spiccano associazioni come le "Mamme separate" e la Lila, l’Arca di Don Aldo Fortunato e il "Tetto Fraterno" di Don Bassano Pirovano; il Centro di Aiuto alla Vita e l’Osa - Asp, per un totale di 23.

Le aspettative puntavano sui Comuni e sugli Enti pubblici: il ministro della Giustizia aveva indicato oltre l’assistenza ai bisognosi, la protezione civile, la conservazione di opere d’arte, il decoro degli ospedali, giardini e parchi, il recupero del demanio e non da ultimo, prestazioni concernenti la specifica professionalità del condannato.

Esclusi gli immobili delle Forze Armate e delle Forze di Polizia e non accadrà che il ladro di mele presterà opera di "salvaguardia di particolari produzioni agricole". È il giudice che decide l’attività: potrebbe anche condannare a pulire i muri chi li ha imbrattati.

 

E Cesare Beccaria, inascoltato, si rivolterebbe nella tomba

 

Cesare Beccaria si rivolterebbe nella tomba se qualcuno gli raccontasse che il principio sul quale ha fondato il suo"Dei delitti e delle pene" non viene ascoltato proprio nel territorio che ancora ospita la sua villa (Villa Rachele o, appunto, Beccaria) e per i tessitori del quale nel 1770 si era battuto in uno dei suoi articoli su "Il Caffè". "La pena deve riabilitare il detenuto", questo diceva il trattato che lo scrittore milanese, vissuto tra il 1738 e il 1794, pubblicò in pieno Illuminismo.

"Non abbiamo intenzione di prendere detenuti da riabilitare", rispondono ora in molti ignorando, o forse non ricordando, quel che Alessandro Verri, protettore dei carcerati, aveva insegnato allo stesso Beccaria. E cioè che l’antiquata procedura criminale era fonte di numerosi errori giudiziari. Una teoria che fece il giro dell’Europa e venne applaudita nonostante il libro fosse entrato subito nella lista proibita.

"Buon cattolico e buon suddito", come amava definirsi dimostrando di essere meno illuminista dei fratelli Verri, precursore del delitto penale come lo conosciamo oggi, sostenitore della teoria per cui il vero freno della criminalità non è la crudeltà delle pene, ma la certezza che il colpevole sarà punito, Beccaria lascia indifferenti i comaschi.

Ma per fortuna la sua tomba non dovrebbe essere nel cimitero di famiglia nel parco della villa che porta il suo nome e che si trova su punta "Puncia" davanti all’Isola Comacina. Una villa dove l’umanista, che diede in moglie la figlia a Pietro Manzoni, incontrava il nipote Alessandro e Cesare Cantù. L’insegna gialla che si trova a Sala Comacina, e che indica che lì è stato seppellito, lascia qualche dubbio. Secondo altre fonti storiche, la sua tomba sarebbe in una fossa comune a Milano.

Enna: due delegazioni del Senato visitano le carceri

 

La Sicilia, 20 ottobre 2004

 

Due delegazioni di parlamentari nazionali, facenti parte della "Commissione Giustizia" del Senato - informa una nota dell’Ufficio territoriale del Governo - venerdì prossimo effettueranno in provincia di Enna una prima serie di sopralluoghi all’interno delle case circondariali del capoluogo e di Piazza Armerina.

Le condizioni materiali di vita, l’attività di studio, la formazione e il lavoro dei detenuti saranno così oggetto di attenzione da parte dei senatori per accertare l’efficacia detentiva nel contesto carcerario. Le delegazioni verificheranno anche l’esistenza di eventuali problematiche relative al personale civile e alla polizia penitenziaria operanti negli stessi istituti di pena.

I sopralluoghi corrispondono a un’esigenza di attenzione nei confronti della realtà carceraria di cui la Commissione si considera doverosamente titolare. L’obiettivo è infatti quello di acquisire, da parte degli organi periferici, dell’amministrazione penitenziaria, degli Enti locali, del mondo imprenditoriale e del volontariato, elementi utili sulle condizioni di permanenza e di trattamento dei detenuti negli istituti di pena nonché sulle condizioni di lavoro e di radicamento nel territorio degli operatori penitenziari.

Una particolare attenzione i componenti delle due delegazioni, che venerdì saranno in provincia di Enna, la riserveranno alla verifica del funzionamento del cosiddetto "circuito extramurario", all’interno del quale svolgono un ruolo decisivo i centri di servizio sociale e le realtà dell’associazionismo e delle istituzioni locali.

Milano: uccise moglie a coltellate, si impicca in carcere

 

Repubblica, 20 ottobre 2004

 

Lo hanno trovato impiccato a una grata in una cella del reparto "infermeria" di San Vittore. Giancarlo Valtorta G.V., 54 anni, è stato trovato così intorno alle 3. La notte tra il 26 e il 27 aprile scorso aveva ucciso la moglie a coltellate e dopo aver vagato per la città alcune ore aveva confessato l’omicidio chiamando il 113. Erano scattate le ricerche e poco dopo l’uomo era stato rintracciato e arrestato dai Carabinieri.

Agli investigatori aveva raccontato la vita di frustrazioni e un amore finito dalla moglie Bruna Melandri, da cui era separato da alcuni mesi. Quando la donna gli aveva detto che aveva un’altra relazione lui l’aveva ferita a morte con un coltello da caccia. A San Vittore per un periodo era stato detenuto nelle celle riservate alle persone considerate a rischio, poi era stato spostato al quarto reparto nelle celle denominate infermeria, dove sono ospitati i detenuti che non hanno situazioni croniche di pericolo.

Sassari: al San Sebastiano detenuti in sciopero della fame

 

La Nuova Sardegna, 20 ottobre 2004

 

Prosegue per tutta la giornata con immutato vigore la protesta dei detenuti del carcere di San Sebastiano di Sassari. I detenuti dell’istituto sassarese hanno aderito all’iniziativa nazionale promossa dal comitato Papillon, che chiede una miglior vivibilità all’interno delle carceri, rispetto dei diritti del detenuti ed una più equa applicazione dei benefici della legge Gozzini.

Quella di san Sebastiano è l’unica casa circondariale che al momento ha aderito alla rivolta. L’iniziativa è partita ieri con il rifiuto del cibo e con una pacifica protesta sonora, con i detenuti che ad un’ora stabilita hanno sbattuto sulle sbarre gavette e piatti di metallo e gridato slogan dalle inferriate.

San Sebastiano è uno degli istituti in Sardegna dove i problema del sovraffollamento e del degrado sono più preoccupanti. Analoghe proteste in passato sono state sollevate anche dagli agenti penitenziari, che denunciavano organico ridotto e turni massacranti.

San Sebastiano alcuni anni fa era tristemente balzato agli onori delle cronache per il famoso raid punitivo da parte delle guardie ai danni di decine di detenuti. Fatto finito in tribunale, con decine di denunce ai danni di agenti e graduati del carcere ritenuti responsabili dei fatti.

Osapp: agenti preoccupati per le proteste dei detenuti

 

Ansa, 20 ottobre 2004

 

L’organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria esprime "preoccupazione" per le preannunciate proteste pacifiche dei detenuti che dovrebbero cominciare lunedì prossimo, 18 ottobre, in diverse carceri d’Italia.

Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, fa sapere che l’amministrazione penitenziaria ha impartito una serie di disposizioni al personale, tra cui quella di restare negli istituti oltre l’orario di lavoro, e di rientrare in servizio non appena chiamati, se vi dovessero essere situazioni di emergenza.

"Sono disposizioni quanto meno strane, se si pensa che da più di due mesi non ci sono più soldi per gli straordinari. Nelle carceri da tempo lamentiamo gravi carenze di organico a fronte di errori e promesse (ad esempio l’indulto o l’amnistia) fatte ai detenuti. Tutto ciò ricade sulle spalle del personale finito e disilluso nei confronti delle istituzioni".

L’Osapp ribadisce che la polizia penitenziaria rende "un servizio insostituibile ed essenziale per la sicurezza" e dunque "va riorganizzata". Le previste 1.500 assunzioni, secondo il sindacato, sono insufficienti perché vanno ad integrare un organico fermo dal 1999: "questi 1.500 uomini in più non sono una grande concessione - conclude Beneduci - ne servirebbero almeno altri 3 mila".

Padova: detenuti del "Due Palazzi" lavoreranno nei cimiteri

 

Ansa, 20 ottobre 2004

 

I detenuti del carcere "Due Palazzi" di Padova lavoreranno nei cimiteri della città veneta. È questo il senso di una convenzione firmata tra Comune, carcere e cooperativa sociale Giotto. Padova, con i suoi quindici cimiteri più il Monumentale, è stato sottolineato in occasione della firma, richiede un alto numero di operatori qualificati. Il settore è indubbiamente delicato, a chi vi opera sono richieste doti di professionalità e umanità.

E i cittadini sono estremamente sensibili alla qualità del servizio offerto. Una professione non facile, dunque. Che però può rappresentare un’opportunità importante per persone che, mentre scontano il proprio debito con la società, sono determinate e motivate a rientrare nei circuiti lavorativi.

La convenzione è stata sottoscritta nella casa di reclusione dagli assessori del comune di Padova Claudio Sinigaglia (Servizi Sociali) e Renzo Scortegagna (che ha la delega ai Servizi cimiteriali), dal direttore del carcere Salvatore Pirruccio e dal presidente della cooperativa sociale Giotto Nicola Boscoletto.

Il progetto, che partirà con il mese di novembre, è articolato in tre fasi. La prima è il corso di formazione vero e proprio. Sarà tenuto da personale del settore Servizi cimiteriali del comune e vi parteciperanno dieci detenuti. La fase successiva consiste nell’individuazione degli allievi da avviare al lavoro. L’operatività, poi, sarà immediata.

Dal primo gennaio 2005 il comune metterà all’opera i due allievi selezionati al Cimitero Maggiore o in cimiteri suburbani, affiancati da due addetti al servizio, dipendenti della cooperativa sociale Giotto. L’inserimento al lavoro sarà curato dal settore Interventi sociali del Comune all’interno del percorso di inserimento lavorativo "Progetto Carcere", che prevede l’avviamento al lavoro di persone detenute attraverso lo strumento del "Programma Individuale di Formazione e Lavoro" con spesa a carico del settore Servizi sociali, comprensivo di un periodo di pre-inserimento e inserimento lavorativo. Altri otto allievi verranno inseriti in graduatoria e convocati in base alla disponibilità di posti nelle diverse sedi di lavoro.

Papillon: riforma carceri è la prima del pianeta giustizia

 

Ansa, 20 ottobre 2004

 

La prima riforma della Giustizia è quella che riguarda il sistema penale e penitenziario italiano. A dettare la priorità in una lettera ai parlamentari è l’associazione dei detenuti di Rebibbia Papillon, che annuncia "una pacifica mobilitazione nazionale dei detenuti", che si snoderà da domani e per più settimane, in decine di carceri, con scioperi della fame e altre forme di protesta perché "il limite di guardia è ormai raggiunto".

"Egregi parlamentari - scrive l’associazione dei detenuti - noi sappiamo bene che l’attuale difficile situazione è il prodotto di oltre 13 anni di lento degrado, e quindi non comprendiamo affatto le banalizzazioni di quanti sembrano interessati unicamente ad attribuirne ad altri le responsabilità". E proprio perché, continua Papillon, nessun partito può dirsi esente da responsabilità, i detenuti italiani chiedono al Parlamento di guardare avanti e di mettere la riforma del sistema penitenziario come la priorità della riforma Giustizia.

E le proteste negli istituti di pena "vogliono quindi - continua l’associazione - essere anche un invito a mettere da parte sterili contrapposizioni e a ricercare in Parlamento un’unità di intenti almeno sulle più urgenti misure che possono appunto ristabilire un equilibrio minimamente accettabile nelle carceri".

Nuove proposte di legge su indulto/amnistia, applicazione integrale della legge Gozzini, limitare l"abuso della custodia preventiva sono alcune delle richieste di Papillon. E, pur ammettendo che "una riforma del nostro sistema penale e penitenziario non è cosa facile", Papillon giudica "intollerabile il permanere di una situazione che scivola ogni giorno di più oltre i limiti della legalità". A meno che, conclude l’associazione di detenuti, "per puri fini di speculazione elettorale non si voglia continuare a vendere ai cittadini l’illusione che un sistema penale e penitenziario per molti versi fuorilegge è l’unico modo per garantire il loro sacrosanto diritto alla sicurezza quotidiana".

Roma: a Regina Coeli detenuti battono sbarre per un’ora

 

Ansa, 20 ottobre 2004

 

Per oltre un’ora da quasi tutte le sezioni del carcere romano di Regina Coeli, questa sera, i detenuti hanno partecipato alla mobilitazione pacifica annunciata in più di cinquanta carceri. E tutti insieme sono tornati a battere le grate. Una protesta che ha visto la partecipazione anche delle detenute di Rebibbia che hanno ribadito, anche questa sera, la possibilità di accudire meglio i loro figli.

Anche i detenuti delle altre carceri della regione, si è appreso, si sono uniti al coro di proteste dei penitenziari romani e, con tempi diversi, hanno dato il via alla mobilitazione che dovrebbe ripetersi, come in altre città italiane, dalle 21 alle 22, ogni sera e in tutte le sezioni.

La battitura delle grate dovrebbe durare quattro o cinque giorni dopo i quali i detenuti, se non avranno segnali concreti sulle loro proposte, passeranno ad ulteriori forme di protesta fra cui lo sciopero ad oltranza dal vitto dell’amministrazione e dai lavori e, probabilmente, il rifiuto dei colloqui con gli avvocati difensori. In alcuni documenti diffusi nei giorni scorsi, detenuti ed associazioni chiedono, fra l’altro, la piena applicazione della legge Gozzini, un minor uso della custodia cautelare preventiva e lo sfollamento degli istituti.

Mascia (Prc): dai detenuti un allarme forte e giustificato

 

Ansa, 20 ottobre 2004

 

"I detenuti sollevano un allarme forte e giustificato su questioni riguardanti il codice penale e nodi fondamentali per il funzionamento di uno stato che possa definirsi di diritto": lo afferma Graziella Mascia, vicepresidente del Gruppo di Rifondazione Comunista alla Camera.

La protesta "progettuale e non violenta" dei detenuti rappresenta, dice la deputata, "un monito a quelle forze politiche che, per giustizialismo o per facili consensi elettorali, stanno bloccando ogni atto legislativo che intervenga sulla condizione carceraria. Sosterremo in Parlamento tutte le iniziative tese a verificare lo stato di applicazione della legge Gozzini, e qualsiasi altra iniziativa che possa migliorare le drammatiche condizioni di vita nelle carceri".

Sesso in carcere? Un libro coraggioso riapre il dibattito

 

Vita, 20 ottobre 2004

 

Un argomento vietato viene alla ribalta grazie a un libro coraggioso. E il dibattito si riapre. Perché non permettere la sessualità anche dietro le sbarre? Il problema c’è. Ma non si vede. Il sesso, quello fra un uomo e una donna consenzienti, in carcere non riesce proprio ad entrare. Il perché non è dato sapersi, chiarissime invece sono le conseguenze di questo divieto.

Il ventaglio è ampio, e il salto dal piccante al tragico è davvero breve. Ad Opera, carcere della periferia sud di Milano, per citare uno dei pochi casi apparso sui giornali poche settimane fa, un’avvocata è stata sorpresa e denunciata per aver scambiato effusioni con il suo assistito durante un colloquio. Vallanzasca, bandito e pluriergastolano, da Voghera ha recentemente spiegato a Vita che lui dal 1987 non fa l’amore, aggiungendo: "Vi pare normale che da 17 anni mi tocca fare tutto da solo come un ragazzino?".

Gocce di visibilità in un mare di silenzi. Troppo spesso, infatti, su questo tipo di "questioni" cala un pesantissimo sipario. "Nella mia memoria conservo tante confidenze di giovani detenuti costretti a rapporti omosessuali dai loro compagni di cella più anziani, senza che nessuno muovesse un dito.

E senza che la vittima trovasse il coraggio di denunciare i soprusi", rivela Livio Ferrari, presidente della conferenza nazionale Volontariato e giustizia. Il problema c’è, ma non si vede, dunque. Questo fino a ieri. Perché oggi un libro originale e coraggioso ha spazzato via tutti gli alibi.

Nessuno potrà più girarsi dall’altra parte. Il testo si intitola "L’amore a tempo di galera" e lo pubblica l’associazione il Granello di senape in collaborazione con la rivista Ristretti orizzonti. Si tratta di un collage di testimonianze sull’affettività negata dietro le sbarre e prende di petto anche l’argomento più indigesto e nascosto al grande pubblico: la sessualità dei detenuti.

Una voce per tutte: Paola, dal carcere della Giudecca di Venezia si chiede: "Se io volessi vedere un mio amico solo perché scopa bene, perché non posso vederlo, perché non posso vedermi riconosciuto il diritto di avere una relazione basata sul sesso?". Del resto, nessuna pena prevede l’astinenza.

Edoardo Albinati, scrittore, insegnante nel carcere romano di Rebibbia e autore della prefazione, saluta il libro come un vero e proprio avvenimento: "Mai letto niente di simile, era venuto il momento di scalfire questo tabù". Operazione, fra l’altro, non priva di rischi. Quanto sia sdrucciolevole questo terreno lo spiega Alessandro Margara, padre nobile della legge Gozzini, ex direttore generale delle carceri italiane ed ex presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze. Attualmente occupa la poltrona di presidente della Fondazione Michelucci.

Un esperto sufficientemente al di fuori dai giochi per poter parlare senza reticenze. "Fino ad ora l’ambiente ha tenuto la bocca tappata per due ragioni. Una è la resistenza dimostrata dai funzionari della polizia penitenziaria che ritengono che certe questioni non vadano affrontate al di fuori del contesto familiare.

Retaggio di un’errata interpretazione del cattolicesimo. Poi torna a farsi largo ai piani più alti l’idea che la pena debba tagliare quanto più possibile i legami con la vita normale". Eppure la soluzione ci sarebbe e non comporterebbe alcuna controindicazione: "La costituzione all’interno delle mura carcerarie di un ambiente delle dimensioni di un bilocale. Dove il detenuto possa trascorrere fino a 24 ore con i suoi cari, siano l’amante, il coniuge, i figli, i fratelli o i genitori, senza essere sottoposto a controlli visivi o auditivi", spiega Margara.

Una sfida alla sicurezza? "Solo se consideriamo temerari la Spagna, la Germania, la Svizzera, l’Olanda e i Paesi scandinavi, visto che quelle legislazioni prevedono la possibilità di colloqui intimi", risponde ancora il giudice toscano. In Italia invece siamo ancora all’anno zero, anche se il sasso gettato nello stagno dal libro di Ristretti ha smosso le acque.

Da Bollate (periferia nord di Milano), il direttore Lucia Castellano raccoglie la sfida e annuncia a Vita "l’avvio di un progetto per la costruzione di bungalow ad hoc". Ma la vera svolta potrebbe arrivare dall’alto. Il cavallo su cui puntare è la proposta di legge n. 3020 che giace in un cassetto alla Camera dei deputati, sebbene abbia raccolto consensi bipartisan. "La sua approvazione porterebbe notevoli vantaggi senza comportare nessuna controindicazione; e allora, perché non procedere?", osserva Margara. Già, perché? Perché il sesso non può entrare in carcere?

 

L’eros sepolto, di Edoardo Albinati

 

L’amore in carcere è misterioso per necessità. Gli affetti e le relazioni erotiche, il rapporto stesso dell’individuo con le persone amate, con la propria vitalità e i propri desideri viene sepolto. Di fronte alla impossibilità di coltivare i sentimenti, spesso i detenuti e le detenute cancellano l’idea stessa di potersi sentire ancora vivi e vive nel cuore.

Poi c’è il sesso. "Come si fa a scriverne?". Il che è vero persino fuori dalla galera: il sesso resta uno dei fatti della vita più difficilmente rappresentabili. E così il non sesso, il sesso deviato o incanalato come si può, la castità forzosa, la goffa disabitudine al contatto fisico.

Il sesso è allora un elemento di disturbo, un serpente arrotolato ma mai morto, una sirena che non smette di suonare in fondo a un corpo quando si vivrebbe tanto meglio senza. l’ossessione si manifesta ancora una volta in forme beffarde, parodistiche: stare in una cella "piena di foto femminili nude, è un bombardamento ormonale dalla mattina alla sera", a colazione, a pranzo, a cena "dover mangiare con davanti tutti i culi appesi al muro…".

Brescia: "L’isola di Verziano", attrici oltre le sbarre

 

Giornale di Brescia, 20 ottobre 2004

 

La compagnia di teatro della Casa circondariale di Verziano si prepara ad affrontare la sfida del "fuori". Il prossimo 26 novembre, alle 19, nel Teatro parrocchiale di Buffalora andrà in scena una rappresentazione teatrale molto particolare: a recitare infatti sarà una decina di donne detenute nel carcere di Verziano. La rappresentazione, "L’isola di Verziano", avrà scopo benefico e segnerà il culmine di un laboratorio teatrale avviato nella sezione femminile della casa circondariale cittadina all’inizio di quest’anno e già sfociato in due "prove aperte", offerte ai detenuti di Verziano e di Canton Mombello.

Lo spettacolo sarà preceduto (il 25 novembre alle 16) da una rappresentazione per le scuole superiori cittadine, coinvolte grazie alla collaborazione degli assessorati all’Istruzione di Comune e Provincia. Chi volesse assicurarsi un biglietto (a 15 euro) per il 26 novembre può sin d’ora telefonare a Liason (che cura la parte organizzativa), allo 030-46815; fax 030-2809836 (si raccomanda di presentarsi in teatro mezz’ora prima della rappresentazione; nessuna altra formalità è necessaria).

L’iniziativa è stata presentata ieri a Palazzo Bettoni, nella sede della Fondazione della Comunità Bresciana. Giacomo Gnutti, a nome della Fondazione stessa, ha sottolineato la valenza sociale del progetto, finanziato dall’ente con 15.000 euro (su un totale di 40mila euro) e promosso per il secondo anno da Comune e Provincia, rappresentati ieri dalle presidenti dei Consigli comunale (Laura Castelletti) e provinciale (Paola Vilardi), che insieme hanno voluto ringraziare la direttrice del carcere, dott. Gloria Manzelli, per aver sostenuto con forza questa iniziativa, "che ha migliorato la qualità della vita a Verziano e che quest’anno per la prima volta si rivolge anche alle scuole".

A nome della direttrice (ieri trattenuta in ufficio da motivi di servizio) ha preso la parola l’educatrice Filomena Tammaro, facendosi portavoce di chi lavora ogni giorno in carcere e delle stesse detenute, "che - ha sottolineato - hanno partecipato con entusiasmo e hanno accettato di mettersi in gioco, per diventare visibili, per farsi conoscere e far capire che loro sono persone che stanno pagando per un errore commesso, ma che è possibile un reinserimento, se la società non si chiude".

L’educatrice delle carceri bresciane ha anche chiesto che il laboratorio teatrale diventi "stabile", poiché - ha aggiunto - "è compito di noi tutti quello di offrire ai detenuti delle occasioni di crescita". "È un debutto in tutti i sensi", ha chiosato la regista Sara Poli, che da mesi lavora con le detenute, affiancata da Daniele Squassina e dai musicisti Stefania Maratti, Alberto Pezzagno e Alessandro Bono e, in qualità di vocalist, da Viola Costa. Tecnico audio Cesare Venturelli.

Le detenute-attrici hanno lavorato su un testo di Paola Carmignani, centrato sulla metafora di un’isola, sulla quale alcune donne hanno fatto naufragio e dalla quale una nave un giorno le porterà via. Il progetto è sostenuto - oltre che dagli enti già citati - da Fondazione Asm, Soroptimist Club di Brescia, Aidda (Associazione donne dirigenti d’azienda) e da alcuni sponsor (Amp cinematografica, Tattile Digital Devices, Puntografico spa, Noleggio Service, Henriette confezioni). L’invito a teatro è accompagnato da un disegno di Silvia Balzaretti. Il progetto tecnico-organizzativo è stato redatto da Euro Info Project.

Civitavecchia: polizia penitenziaria continua nella protesta

 

Il Messaggero, 20 ottobre 2004

 

Per la situazione carceraria locale ieri una lunga giornata di appuntamenti. L’agenda si è aperta alle 10 con la visita dell’Assessore provinciale alla qualità e alle politiche del lavoro, Gloria Malaspina. Una visita tecnica quella della Provincia di Roma, per testare le condizioni attuali dei 540 detenuti del supercarcere di Aurelia e dei 57 residenti del carcere di via Tarquinia ed iniziare un percorso programmatico con il Direttore della casa circondariale di Aurelia per la realizzazione del Piano carceri del Comune di Roma.

"Abbiamo stabilito un appuntamento tra circa dieci giorni - ha affermato l’Assessore Malaspina al termine dei due sopralluoghi -. Il tempo necessario al Direttore di Aurelia per redarre un censimento della popolazione residente in semilibertà e in via d’uscita. L’intento del piano carceri del Comune è creare un indotto tra istituti carcerari, centri per l’impiego ed imprese per creare un percorso privo di interruzioni che porti il detenuto alla progressiva integrazione nel mondo del lavoro".

La protesta dei detenuti da lunedì scorso in sciopero all’interno del complesso di Aurelia, si è così aggiunta a quella pacifica dei 250 agenti della penitenziaria. L’Osapp da circa dieci giorni in sit in nel cortile del super carcere, ieri pomeriggio ha deciso di andare avanti ad oltranza.

"Non ci muoveremo di qui - ha affermato il segretario generale dell’Osapp, Leo Benedici - abbiamo scritto al Ministro di Grazia e Giustizia per denunciare la grave situazione di Civitavecchia. Nella lettera inoltrata al Ministro, abbiamo chiesto 30 unità maschili e 5 femminili della Gom di stanza alla scuola di via Brava, per tamponare la situazione almeno finché non saranno effettive le assunzioni dei 1300 agenti annunciati dal Ministero per dicembre".

Alle 16.30 la protesta della polizia penitenziaria si è poi spostata nell’aula Pucci. Qui è stato anche rivelato che bombolette di gas e uova erano state lanciate contro un agente, da alcuni detenuti. L’agente è riuscito ad evitare gli oggetti e non ha subito danni. Le quattro sigle sindacali Cgil, Cisl, Uil, Sinappe ed Osapp si sono riunite per cercare una piattaforma comune. "Tutti gli accordi sottoscritti si sono rivelati nulli ed inascoltati - ha precisato Diego Nunzi segretario della Cgil-fp locale -. Non indietreggeremo neanche di un passo rispetto agli obiettivi. Mete fatte di salvaguardia dei diritti di salute, sicurezza, dignità professionale, certezza della retribuzione, ma soprattutto, raggiungimento di condizioni lavorative e salariali che siano all’altezza degli standard europei".

 

 

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