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Antigone: il lavoro, uno dei problemi principali per chi esce
Redattore Sociale, 22 novembre 2004
Che cosa accade alle persone detenute alla fine della pena? Quali possibilità reali esistono di un reinserimento sociale attraverso il mondo del lavoro? A questi quesiti tenta di dar una risposta il terzo rapporto sulla situazione detentiva in Italia realizzato da Antigone. "Le occasioni di acquisizione di una professionalità in carcere costituiscono un’eccezione", sottolinea il rapporto; le attività lavorative normalmente accessibili ai detenuti sono molto spesso dequalificate e difficilmente convertibili in un lavoro esterno, la carcerazione comporta perdere il lavoro, per i pochi che lo avevano, mentre i pregiudizi, le diffidenze e anche i segni fisici e psicologici che la carcerazione lascia sull’individuo ostacolano pesantemente il rientro al lavoro alla fine della pena. Inoltre il reddito percepibile attraverso le attività lavorative più frequentemente svolte dalle persone che escono dal carcere non sempre risolve i problemi di sussistenza, soprattutto laddove c’è una famiglia da mantenere, né garantisce un tenore di vita paragonabile a quello raggiungibile attraverso attività illegali. "L’accesso al lavoro alla fine della carcerazione, - spiegano gli osservatori - anziché essere un diritto per tutti, si rivela un’opportunità per pochi ex detenuti, tanto che il lavoro costituisce a tutt’oggi uno dei problemi principali che chi esce dal carcere si trova ad affrontare". Il riferimento principale è la legge sulla cooperazione sociale (L. 381/1991), successivamente integrata dalla cosiddetta "Legge Smuraglia" (L. 193/2000), che definisce le persone sottoposte a misure penali detentive o extradetentive, sia durante l’esecuzione della pena che nei mesi successivi alla conclusione del percorso penale, come una delle "categorie svantaggiate" che possono essere oggetto di inserimenti lavorativi nelle cooperative sociali di tipo B. Logica di fondo della legge sulla cooperazione sociale, che la "Legge Smuraglia" ha tentato di estendere a tutte le imprese profit o no profit che assumono persone detenute, è quella di assicurare sgravi fiscali e/o contributivi per compensare i costi aggiuntivi (cfr. § 2) che l’inserimento lavorativo di queste persone comporta. Inoltre sono molti gli enti locali sul territorio nazionale che hanno attivato, in linea con le competenze loro assegnate dalle "Leggi Bassanini", politiche attive per elevare il livello formativo e favorire l’accesso al lavoro delle persone in uscita da percorsi penali, compreso l’estensione dell’utilizzo dei cosiddetti "strumenti di mediazione al lavoro": ad esempio borse lavoro, tirocini formativi o stage aziendali. Secondo l’analisi di Antigone ciò che rende difficile l’accesso al lavoro di queste persone, al di là dei pregiudizi e delle chiusure che la provenienza dal carcere o dalla penalità suscita, sono "gli handicap sociali": bassa scolarità, scarsa professionalizzazione, carenza di esperienze lavorative antecedenti la carcerazione, oltre alle molteplici problematiche di ordine psicologico e sociale che in molti casi è la carcerazione stessa a far emergere. Il mondo della cooperazione sociale sembra per questi motivi avere maggiori risorse e strumenti per affrontare questa situazione, anche se è possibile ipotizzare anche percorsi di inserimento in imprese for profit, in quanto l’inserimento lavorativo di persone appartenenti alle cosiddette categorie svantaggiate è per definizione la finalità dell’ente. Alcune cooperative sociali sono nate proprio in ambito penale, a partire dall’iniziativa di un gruppo di detenuti oppure dallo stimolo di operatori o volontari penitenziari. "In qualche caso – spiegano gli osservatori - queste cooperative compiono il percorso inverso rispetto alle precedenti, vale a dire estendono il loro campo di attività dal mondo penale, in cui sono nate, ad altri settori di disagio quali possono essere l’handicap, il disagio minorile o la tossicodipendenza". Le cooperative nate dall’iniziativa aut oorganizzata di gruppi dei detenuti sono state esperienze frequenti soprattutto nei grandi istituti penitenziari delle aree metropolitane; storicamente la loro nascita – che in molti casi si colloca tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta – è legata alla presenza in carcere dei detenuti politici per fatti di terrorismo e lotta armata, spiega il rapporto: "la loro detenzione ha portato all’avvio di iniziative di sviluppo all’interno degli istituti penitenziari, grazie soprattutto al fatto che si trattava di detenuti con maggiori risorse culturali e con maggiori strumenti di azione, oltre che con una spinta motivazionale e con una rete relazionale capace di supportare simili iniziative all’interno delle carceri". Un modello che con il passare degli anni è diventato difficilmente riproponibile, " data la trasformazione sempre più accentuata del carcere in discarica sociale e l’uscita dai percorsi detentivi delle persone con maggiori risorse culturali e relazionali, oltre che economiche".
"Solo facendo coincidere le esigenze lavorative di chi esce dal carcere con i bisogni dell’impresa si riesce ad uscire dalla logica di tipo volontaristico e paternalistico-assistenziale"
Se per una cooperativa inserire nel mondo del lavoro persone provenienti da percorsi penali può costituire una mission, diversa è la situazione delle imprese, che, quando decidono di impegnarsi in questo senso, devono far fronte a tutta una serie di costi aggiuntivi derivanti sia dal rischio di una minore produttività del lavoratore che dal tempo perso per gli ostacoli burocratici. Perché allora un’impresa dovrebbe assumere una persona proveniente dal carcere? Secondo il terzo rapporto sulla detenzione in Italia realizzato da Antigone questo accade spesso per fattori casuali; frequente è il caso di conoscenze personali con persone che hanno legami con il mondo del carcere e diviene determinante la fiducia riposta dai responsabili dell’impresa nella persona che propone l’inserimento. Ma nonostante ciò l’impresa è spinta ad assumere quando la persona proposta risponde alla caratteristiche indispensabili a soddisfare le proprie necessità; ad esempio il bisogno di nuovo personale, soprattutto se in un settore in cui c’è difficoltà a reperire manodopera, o una professionalità interessante per l’impresa, acquisita sia in un percorso formativo svolto in carcere che in un’esperienza lavorativa antecedente. "Solo riuscendo a far combaciare questi fattori, - sottolineano gli osservatori - e quindi far coincidere le esigenze lavorative di chi esce dal carcere con i fabbisogni espressi dall’impresa in cui si inserisce, si riesce a trasformare il senso complessivo del percorso di inserimento lavorativo: si riesce, in altri termini, a uscire dalla logica di tipo volontaristico e sostanzialmente paternalistico-assistenziale che spesso costituisce la prima spinta ad avviare percorsi di questo tipo da parte delle imprese, per trasformarle in esperienze soddisfacenti per entrambe le parti". L’impresa che avvia un intervento di questo tipo deve inoltre far fronte a una serie di difficoltà concrete, che hanno ricadute di tipo organizzativo nell’attività della propria impresa, se sottovalutate. Tra queste il tempo, uno dei problemi principali deriva dalla difficile conciliazione tra i tempi del carcere e quelli del lavoro. "Il problema dei tempi comincia a porsi all’inizio del percorso di inserimento, quando l’attesa per l’accesso alle misure alternative – fatta di lentezze burocratiche e dei tempi lunghi della Magistratura di sorveglianza – si scontra con le esigenze di un’impresa che, dopo essersi dichiarata disponibile ad avviare l’inserimento lavorativo, pretenderebbe, a ragione, di poter disporre subito dell’apporto del suo nuovo collaboratore", sottolinea il rapporto. Quando poi la persona detenuta riesce ad accedere alle misure alternative alla detenzione, il problema dei tempi diventa una difficoltà con cui occorre fare quotidianamente i conti. L’organizzazione rigida del carcere e della penalità impone infatti al lavoratore-detenuto tempi difficilmente conciliabili con quelli del lavoro. Problemi come questi possono essere superati solamente grazie alla volontà di adattamento da parte dell’impresa Anche il luogo in cui il detenuto lavora può divenire un problema organizzativo per l’azienda. Le esigenze di controllo che si pongono soprattutto per coloro che sono ancora soggetti a misure penali si scontrano con le caratteristiche di lavori dove spesso si hanno opportunità di inserimento per queste persone – come quello della manutenzione del verde pubblico o quello della raccolta rifiuti – in cui l’attività lavorativa si svolge prevalentemente all’aperto e senza possibilità di controllare e porre dei limiti all’incontro con terze persone, come spesso invece viene imposto come condizione per autorizzare l’uscita dal carcere del detenuto-lavoratore. "Per facilitare l’inserimento lavorativo alla fine della pena detentiva sarebbe necessario che le imprese disponibili ad assumere persone ex detenute trovino un supporto adeguato nell’intraprendere questo tipo di percorsi. In questo senso, uno dei problemi principali è legato ai rapporti che si instaurano – o che non si instaurano – tra l’impresa e il complesso delle istituzioni operanti nel mondo penale e penitenziario. – spiega il rapporto - Come già accennato in precedenza, le imprese si trovano ad avere a che fare con un mondo di cui spesso non conoscono e sicuramente non condividono regole, presupposti e modalità di funzionamento. Anche per questo, sarebbe necessario un sistema di comunicazione più strutturato e stabile tra l’impresa che assume un detenuto o ex detenuto e le istituzioni giudiziarie e penali che ne regolano e controllano i comportamenti". Sul territorio nazionale sono poche le esperienze di agenzie o servizi specifici che si occupano dei problemi connessi all’inserimento lavorativo di persone provenienti da percorsi penali; ma anche quando esistono, secondo il rapporto "sono scarsamente conosciuti e utilizzati dalle imprese che potrebbero beneficiarne". "È necessario favorire la conoscenza da parte del mondo imprenditoriale di queste possibilità. – continua il rapporto - Con la consapevolezza, comunque, che offrire incentivi e mettere a disposizione servizi non può essere comunque sufficiente: a parte il fatto che ragionare troppo su un piano economico comporta il rischio di innescare una sorta di mercato specializzato che non giova né al lavoratore da inserire, né al mondo del lavoro nel suo complesso, per moltiplicare la disponibilità delle imprese nei confronti di chi proviene dal carcere e dalla penalità occorre soprattutto fare leva sulle motivazioni anche etiche e sociali che può avere un imprenditore nel fare queste scelte e costruire una mentalità più aperta e disponibile nella comunità esterna". Venezia: un protocollo d’intesa tra il Comune e il C.S.S.A
Reattore Sociale, 22 novembre 2004
Il Terzo rapporto sulla situazione detentiva in Italia realizzato da Antigone segnala Venezia come un esempio concreto di come sia possibile lavorare in rete per agevolare l’inserimento lavorativo delle persone detenute. Da anni nella città istituzioni e società civile lavorano infatti insieme sia sfruttando protocolli convenzionali e progetti europei, sia realizzando micro-progetti che si adattano ai cambiamenti individuali e sociali per rendere concreta la possibilità di un reinserimento sociale. Al raggiungimento di questi risultati concorrono la direzione degli istituti penitenziari (casa circondariale maschile, casa di reclusione femminile con annesso nido, SAT, struttura a custodia attenuata), il Centro di Servizio Sociale per Adulti, gli enti locali (il Comune soprattutto ma anche Provincia e Regione Veneto), il Servizio per le Tossicodipendenze, le cooperative sociali, le aziende che lavorano per il pubblico e le associazioni di volontariato. Interessante secondo il rapporto e "di facile esportazione" il "protocollo d’intesa 7045", firmato nel luglio 2002 tra il Comune di Venezia e il Cssa di pertinenza come soggetti promotori, e vari enti e associazioni che a diverso titolo lavorano sul territorio. L’accordo intercorso tra i vari attori ha l’obiettivo di offrire alle persone in condizione di marginalità, o sottoposte a misure alternative alla detenzione, la possibilità di sperimentarsi in contesti diversi da quelli abituali, che aprano nuove prospettive e conoscenze attraverso l’inserimento in organismi, enti e associazioni. Il percorso si sviluppa tramite una collaborazione continua tra l’ente istituzionale (Comune o CSSA), il partner e il soggetto: ogni persona ha un operatore di riferimento, che stabilisce momenti di verifica e interviene nel caso di problemi tra le parti. Dal canto suo il Comune si assume gli oneri economici e assicurativi, nel caso in cui l’ente o l’associazione partner non possa assolverli. Otto le persone coinvolte, al momento della verifica degli osservatori di Antigone: tre semiliberi impiegati presso la cooperativa sociale "Il Cerchio", tre lavoranti in proprio, una persona in un’impresa privata e una in una cooperativa di pulizie. Il lavoro esterno, gestito in gran parte dalle cooperative sociali "Il Cerchio" e "Rio Terà dei Pensieri", che si avvalgono di finanziamenti soprattutto regionali, viene svolto attraverso attività commissionate da vari soggetti: il consorzio Venezia Nuova (banchine, difese a mare, pulizia spiagge); Comune e Provincia di Venezia (manutenzione e restauri patrimonio edilizio pubblico); Comune di Venezia (pulizia, sorveglianza e manutenzione impianti sportivi); Vesta S.p.A. - Venezia Servizi Territoriali Ambientali (verde, svuotamento e pulizia cassonetti, gestione servizi igienici pubblici). Inoltre la cooperativa "Il Cerchio", che gestisce la sartoria all’interno del carcere femminile, ha attivato un laboratorio esterno, diretto da una ex-detenuta, nell’isola di Sacca Fisola, e aperto un negozio di abiti e accessori nel "sestiere" di Castello, dove si vendono le creazioni realizzate nei laboratori e si ricevono le ordinazioni. Nell’agosto 2003 su 102 soci della cooperativa (92 soci lavoratori e 10 soci volontari) 42 erano persone in misura alternativa e 20 erano ex-detenuti. Negli ultimi anni sono passate dalla cooperativa circa 250 persone, di cui oltre 160 in percorso penale. Molti sono stati riassunti a fine pena. Inoltre il Comune di Venezia ha inserito persone detenute ed ex-detenute nel Servizio Marginalità Urbane dell’assessorato alle Politiche sociali, a sua volta collocato nel più ampio servizio Promozione autonomia degli adulti, che è impegnato sia all’interno delle carceri, dove produce servizi (Progetto Sportelli, Servizio Immigrati, Servizio di riduzione del danno) e realizza alcune attività di formazione, anche culturale, sia all’esterno, in particolare nel settore lavorativo, in collaborazione con enti, associazioni e cooperative sociali. Il Comune è tra l’altro convenzionato con la Provincia per l’erogazione di borse-lavoro per tossicodipendenti, che riguardano stage formativi nelle aziende. Milano: 3 conferenze per denunciare "un disastro annunciato"
Redattore Sociale, 22 novembre 2004
"Ogni parlamentare si prenda in carico il carcere della sua circoscrizione". È una tra le tante proposte sul tema del carcere lanciate questa mattina da un ampio coordinamento di forze sociali, politiche, associazioni lombarde (da Cgil ad Arci, da Caritas al Gruppo Abele, dalle opposizioni in Consiglio regionale a cooperative ed educatori carcerari) nel corso di tre conferenze stampa tenutosi in contemporanea davanti ad altrettanti penitenziari lombardi per sollecitare maggiore attenzione e denunciare lo stato di degrado dei penitenziari lombardi: dal sovraffollamento, ai tagli alla sanità penitenziaria, dalle leggi inapplicate, alla mancanza di attenzione al tema cruciale del carcere, il reinserimento dei detenuti. "Carceri: un disastro annunciato", questo il titolo dell’iniziativa promossa oggi e che avrà un seguito nelle prossime settimane. Dopo le conferenze stampa di oggi davanti a San Vittore a Milano, a carcere di Busto Arsizio e Pavia, il coordinamento promuoverà iniziative simili davanti a altre carceri e ha già annunciato, per il 24 dicembre, un incontro di studio da tenersi in un carcere, per mettere a punto proposte precise da sottoporre alla Regione. "Iniziative con cui vogliamo creare un ampio spettro di forze impegnate sui temi del carcere e rompere il muro di silenzio con proposte concrete", ha detto Sergio Segio del Gruppo Abele Milano, intervenuto insieme al segretario generale della Cgil Lombardia, Susanna Camusso, alla conferenza stampa tenuta davanti a S. Vittore. Già con questa iniziativa, i promotori hanno voluto sottolineare alcune proposte concrete: dal Garante dei detenuti da istituire anche nei penitenziari della Lombardia (come già a Roma, Firenze, Bologna, Napoli), a una concreta applicazione delle tante buone leggi sul carcere ancora disattese, alla proposta rivolta ai parlamentari italiani perché si prendano a cuore il tema del carcere con azioni concrete: ovvero monitorando e vigilando sulle carceri della propria circoscrizione elettorale. Un modo, a cui si vorrebbe contribuire anche con un Osservatorio permanente sulle carceri lombarde, per affrontare e non far cadere un velo sulla drammatica situazione di migliaia di detenuti: italiani, ma sempre più stranieri, tossicodipendenti, malati, "persone - ha detto Camusso - che costituiscono la popolazione carceraria e servono alla politica d’immagine del Governo che sbandiera slogan sulla sicurezza". Migliaia di detenuti verso cui i fondi dedicati all’assistenza sono in pericoloso calo. L’iniziativa di oggi fa seguito a un documento di denuncia lanciato dalla Cgil alcune settimane fa in cui si evidenziava alcuni dati eloquenti (vedi lancio del 9 novembre scorso): nel 57,5 per cento degli istituti di pena sono stati registrati casi di tubercolosi e nel 66 per cento di scabbia, oltre a migliaia di persone sofferenti di disturbi psichici, che non di rado hanno tentato il suicidio. Solo per restare ai problemi della sanità in carcere. Ma molta attenzione hanno chiesto i promotori verso quelle misure di reinserimento lavorativo previsto dalla legge e praticamente disatteso. "È necessario insistere sul tema delle misure alternative alla detenzione - ha detto Luca Massari di Caritas ambrosiana -. Nell’attuale situazione bisogna svuotare le carceri, non per un atto di buonismo, ma per un bisogno concreto: i dati dimostrano che la recidiva (la ripetizione di reati dopo la fine pena, ndr) è del 70 per cento per i detenuti che escono dal carcere, mentre tra chi ha usufruito di misure alternative e opportunità di lavoro e reinserimento nelle cooperative sociali cala al 20 per cento". Castelli: polizia penitenziaria, il personale è mal gestito..
La Padania, 22 novembre 2004
"Sono quotidianamente assediato dalle richieste di assumere nuovo personale nell’amministrazione della polizia penitenziaria. Settore che molti dicono essere in carenza di personale. Se però andiamo ad analizzare i dati reali ci accorgiamo che in Italia abbiamo a libro paga un agente ogni 1,1 detenuti. La media europea, al contrario ne vede uno ogni tre e negli Usa lavorano con uno ogni sette detenuti. Questo dimostra che il personale non è carente, anzi, ce n’è fin troppo. Sembra sia carente perché è mal gestito. Non però perché manchi la volontà di utilizzarlo al meglio. Il vero problema è che ci sono troppi ostacoli di carattere amministrativo. La stragrande maggioranza di questo personale è di origini meridionali e vuole tornare a lavorare in Meridione. Così succede che al Sud abbiamo un’esuberanza di personale e al Nord, al contrario, ne registriamo una continua carenza". Sassari: processo per ciò che accadde il 3 aprile 2000…
L’Unione Sarda, 22 novembre 2004
I nomi e i volti dei giustizieri non li ricordano tutti. Ma le botte, la sofferenza e le umiliazioni subite quel pomeriggio di orrore.... I nomi e i volti dei giustizieri non li ricordano tutti. Ma le botte, la sofferenza e le umiliazioni subite quel pomeriggio di orrore del 3 aprile 2000, nel carcere di San Sebastiano, i detenuti non le dimenticheranno facilmente. E le raccontano fra mille difficoltà davanti al giudice Massimo Zaniboni, nel processo in corso al tribunale di Sassari contro gli ultimi nove imputati del maxi pestaggio ai detenuti. A giudizio sono gli agenti di polizia penitenziaria Mario Loriga, Mario Casu, Pietro Casu, Paolo Lai, Alessio Lupinu, Pietro Mura, Antonio Muzzolu, Giuseppe Renda, Renato Sardu. Sono gli imputati che hanno scelto di non ricorrere al rito abbreviato ma il dibattimento in aula. Gli atri sono stati giudicati nel febbraio 2003 con il rito abbreviato, chiuso con tre condanne eccellenti: quattro anni di carcere erano stati inflitti al provveditore regionale Giuseppe Della Vecchia, al direttore Cristina Di Marzio, e al capo delle guardie Ettore Tomassi. Altri nove agenti erano stati condannati con pene dai 100 euro di multa a un anno di reclusione, mentre per il medico del carcere la condanna era stata a quattro mesi. Settanta gli agenti assolti. Nell’udienza di ieri hanno continuato a deporre i testimoni, e vittime, di quella che doveva essere una vera e propria spedizione punitiva contro i detenuti considerati un pò troppo turbolenti. Carcerati che comunque, anche ieri, hanno dichiarato di non avere avuto mai particolari problemi con le guardie prima di quel giorno. Tre i testi sentiti ieri dal collegio dei giudici, tre nuove deposizioni nettamente a favore dell’accusa, sostenuta dal pm Gianni Caria. Nei racconti di tre delle vittime del pestaggio, infatti, affiorano i nomi di alcuni degli imputati. Oltre alla conferma delle testimonianze precedenti, che descrivevano nei particolari i pugni, i calci, le manganellate e le pesanti minacce ricevute. I nomi riecheggiati nell’aula del tribunale sono quelli degli agenti Mario Casu, Pietro Casu, Giuseppe Renda e Renato Sardu. Aguzzini con la divisa da buono, pronti a picchiare senza pietà. Come il capo delle guardie Ettore Tomassi, che nei racconti di uno dei testi ha il volto del boia: "Dopo essere stato pestato non riuscivo a togliermi il piercing dalla narice", ricorda, "si è offerto di toglierlo lui, e mi ha sferrato due pugni sul naso". Trapani: carceri sono una vergogna, se ne discute a Roma
La Sicilia, 22 novembre 2004
La segreteria regionale della Uil polizia penitenziaria è stata convocata a Roma per domani pomeriggio da Giovanni Tinebra, capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria. "Sono stato convocato - sottolinea Gioacchino Veneziano, segretario regionale - perché la misura in tutte le carceri siciliane è colma. Insufficienza di fondi per le missioni, lentezze nel pagamento degli incentivi del 2002-2003, insufficienza di fondi per l’ammodernamento delle strutture, nell’armamento, del vestiario, nella formazione, carenza di personale di polizia". "Identici sono i problemi nelle carceri della provincia. Infatti non sappiamo quando saranno pagate le missioni al personale della polizia penitenziaria di Trapani, Favignana, Marsala, Castelvetrano, atteso che i fondi sono già esauriti. A Trapani il muro di cinta del penitenziario ormai è una vergogna e non garantisce un minimo di sicurezza. Inoltre, grazie alla pesante ingerenza, al limite del nepotismo più buio, di un’assistente sociale reggente del Casa di Trapani, è stata bloccata una decisione stabilita da tutte le organizzazioni sindacali". Il segretario Veneziano chiederà al presidente Tinebra la revoca di ogni atto "in contrasto con le conquiste democratiche dei lavoratori", sollecitandolo ad una maggiore attenzione al rispetto delle prerogative sindacali. Catania: le carceri sovraffollate e i diritti dell’uomo…
La Sicilia, 22 novembre 2004
Il sindaco Pignataro ha aperto i lavori, evidenziando l’importanza della promozione dei diritti dell’uomo nella società, alla conferenza organizzata dal Comune in collaborazione con Rotary, Lions, Kiwanis, Fidapa e ass. Astra sul tema "Giustizia, etica sociale e diritti inalienabili dell’uomo". All’indomani dall’avvio dei lavori di recupero del fondo rurale di "Luigi e Mario Sturzo", torna quindi il tema della promozione umana. Relatori del convegno, Sebastiano Ardita, direttore generale presso il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria di Roma, Salvatore Martinez, presidente della Fondazione Di Vincenzo e del Rinnovamento dello Spirito, Ronald Nikkel presidente mondiale di Prison Fellowship International, la più grande organizzazione al mondo che difende i diritti dei carcerati. A delineare la condizione carceraria è stato il dott. Ardita: "Tra le problematiche maggiori emergono sovraffollamento ed esiguità degli spazi che portano al logoramento fisico e psichico. Spesso accade inoltre che finiscano in galera coloro che hanno commesso atti illeciti perché spinti dal bisogno, e non coloro che veramente hanno compiuto gravi danni sociali alle istituzioni ed ai cittadini. Dei 55.000 detenuti suddivisi in 205 case circondariali, un terzo è infatti tossicodipendente e un terzo extracomunitario". Nikkel Ronald ha poi ritenuto positiva l’iniziativa del Rotary calatino di creare una biblioteca per il carcere e si è soffermato sulle condizioni disumane dei carcerati in Perù e Zambia. "In questa società senza memoria e senza sogni - ha concluso Martinez - il polo di eccellenza trasforma la logica del perdono in logica della promozione umana. Il rifacimento dell’edificio inizierà nei primi mesi del 2005 perché il sindaco ha concesso le autorizzazioni necessarie". Rimini: "A Regola d’arte", il convegno e la mostra…
Rimini News, 22 novembre 2004
Oggi alle 18.30 inaugurerà al Palazzo del Podestà di Rimini, in piazza Cavour, A Regola d’Arte, una mostra di beneficenza, organizzata dalla Cooperativa Sociale Observice di Rimini, che proseguirà fino a domenica. L’inaugurazione sarà preceduta dal convegno "A Regola d’Arte" dedicato al reinserimento lavorativo degli ex detenuti, al quale parteciperanno Aldo Brandirali, Assessore allo Sport e Giovani del Comune di Milano, Giovanni Gemmani, Imprenditore SCM Group SpA, Stefano Vitali, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Rimini. Al termine del convegno seguirà il taglio del nastro, il brindisi, e la visita della mostra. La scheda della mostra a cura dell’organizzazione: A Regola d’Arte: Cinquanta artisti riminesi, coordinati da Maurizio Minarini, hanno donato alla cooperativa un quadro, che sarà esposto e messo in vendita durante la mostra. Il ricavato verrà destinato all’ampliamento dei locali di una piccola officina di elettro-saldatura dove alcune persone imparano il mestiere del saldatore: uomini in difficoltà che dopo l’esperienza del carcere vogliono incontrare una nuova possibilità per la loro vita attraverso il lavoro. Il lavoro del saldatore non è facile: impegnativo e faticoso, esso implica un percorso formativo importante. La formazione e l’organizzazione sono pertanto affidate ad un "maestro d’arte" con lunga esperienza nel settore. La scelta di una figura professionale così altamente qualificata mira a garantire un grado di formazione elevato in tempi relativamente brevi. Ma ha anche un costo. Al momento i saldatori formati nella piccola officina sono tre, ma il lavoro svolto, la produzione ben riuscita, la soddisfazione del cliente, impone l’ampliamento dei locali, e la formazione di altri saldatori. Ecco l’idea, e la necessità della mostra: reperire fondi per dare una possibilità di riscatto, attraverso il lavoro, anche ad altri uomini e altre donne. A Regola d’Arte è una mostra organizzata dalla Cooperativa Sociale Observice di Rimini con il patrocinio dell’ Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Emilia Romagna, del Comune di Rimini, della Provincia di Rimini, dell’ Azienda Sanitaria Locale di Rimini. Observice è una Cooperativa sociale impegnata in particolare nell’attività di reinserimento al lavoro di giovani provenienti dall’esperienza del carcere o della tossicodipendenza. L’evento ha il contributo di SCM Group, Fiera Rimini spa, Librerie Mondatori, Biòs Cafè. La mostra é aperta tutti i giorni dalle 16 alle 19.30. Per informazioni, telefono 0541/796240. L’Aquila: intesa con Coni, educazione motoria per detenuti
Ansa, 22 novembre 2004
Muove i primi passi la convenzione firmata nei mesi scorsi dal Coni abruzzese e dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per l’Abruzzo e il Molise, che prevede la realizzazione di programmi di educazione corporea e motoria negli istituti di pena. Una commissione, guidata dal presidente del comitato, Ermano Morelli, e formata dai rappresentanti del Coni regionale e dagli esponenti dei comitati provinciali, effettuerà una serie di sopralluoghi nelle strutture. L’obiettivo è quello di verificare la situazione esistente relativa agli impianti sportivi ubicati all’interno degli istituti. Ciò allo scopo di studiare delle forme di attività motoria, sportiva e ricreativa compatibili con il regime di detenzione. Si tratta di un ulteriore passo avanti per l’attuazione del progetto di recupero psicofisico dei detenuti, attraverso l’uscita dal sedentarismo e la valorizzazione espressiva e comunicativa del corpo. Alle visite parteciperanno anche rappresentanti delle istituzioni politiche regionali e provinciali, che dovranno garantire i finanziamenti necessari allo svolgimento delle attività. Lunedi’ 22 novembre alle 9,30 la commissione visiterà il carcere di Sulmona, mentre mercoledi’ 24, alle 11, quello dell’Aquila. Venerdi’ 26 novembre sarà la volta delle carceri di Chieti e di Pescara. Verona: una risposta diversa a chi chiede più sicurezza
L’Arena di Verona, 22 novembre 2004
L’associazione di volontariato La Fraternità, in collaborazione con il Centro servizi per il volontariato di Verona, organizza il corso di formazione "Accoglienza per la sicurezza della comunità" rivolto a operatori che già agiscono o sono interessati a operare nell’area di problemi e difficoltà relativi alla commissione di reati, l’intervento penale e il reinserimento sociale di chi l’ha subito. I membri della Fraternità riflettono sul fatto che la sicurezza sembra essere una preoccupazione assillante per i cittadini e per le amministrazioni, fino a condizionare la vita quotidiana e le scelte politiche e di bilancio. Sembra anche prevalere l’idea che la maggiore sicurezza si realizzi richiudendosi nella difesa e perfino con aggressioni preventive, con ritorsioni che portano inevitabilmente a una spirale di violenza, costruendo così barriere che respingono l’altro e impediscono il dialogo e l’ascolto reciproco. I risultati però non sono confortanti. "Nel mondo della pena, nel quale operiamo come volontari", spiegano alla Fraternità, "vediamo rispondere a una criminalità che non è poi dilagante con la costruzione di una raffica di nuove carceri e la riduzione sia della soglia di dignità di vita dei detenuti, sia dei percorsi alternativi mirati al ritorno nella convivenza legale. Pensiamo che si dovrebbe piuttosto intervenire sui fattorie i bisogni che spingono all’illegalità, e punire in funzione di un recupero che inizia dalla testimonianza del rispetto dell’altro, della legge e della reciproca responsabilità in un progetto di bene comune". Sulla base di queste riflessioni appunto nasce il corso "Accoglienza per la sicurezza della comunità", che cerca di dare una risposta all’interrogativo sulle responsabilità della comunità di cittadini, sulle competenze necessarie per essere concretamente utili sul territorio. Il tema dell’accoglienza verrà affrontato in tre suoi aspetti: l’accoglienza nella prevenzione dei reati; il senso di relazione e la reciprocità nell’accoglienza; l’accoglienza nella fase di reinserimento. I partecipanti saranno divisi in gruppi coordinati da tutor; gli incontri si terranno il sabato a partire dalle 14.30 nella sala conferenze di San Bernardino, presso la sede della Fraternità, in via Provolo 28. Le domande di iscrizione vanno presentate entro il 26 novembre in via Provolo (per informazioni telefono 054.591520). Busto Arsizio: la Cgil, "nel carcere c’è un lager"…
Varese News, 22 novembre 2004
Sovraffollamento, sanità carente, suicidi, una popolazione composta ormai in maggioranza di extracomunitari. È il ritratto del sistema carcerario lombardo nell’impietosa analisi della Cgil. Per manifestare contro una situazione pesantemente compromessa, la Cgil si è data appuntamento questa mattina alle 11,30 davanti al carcere di Busto Arsizio. Per l’occasione era presente il segretario regionale lombardo della Cgil Giuseppe Vanacore, oltre a Gian Marco Martignoni e Umberto Colombo per la segreteria provinciale varesina, mentre i consiglieri regionali Daniele Marantelli (DS) e Giovanni Martina (Rifondazione Comunista) hanno portato il sostegno della politica all’iniziativa. "Nelle carceri lombarde i cittadini che hanno un debito da pagare con la società vivono un profondo disagio" ha detto Vanacore. "È grave in particolare la situazione sanitaria: l’accordo del ‘99 tra amministrazione penitenziaria e Regione è stato ampiamente disatteso". Nel 58% delle carceri lombarde si registrano casi di tubercolosi, nel 66% la scabbia, sintomo questo di pessime condizioni igieniche. "C’è poi il fatto che non si applicano le pene alternative alla detenzione, soprattutto agli extracomunitari. Per tutti questi motivi stiamo effettuando una raccolta di firme contro questa situazione, e premiamo per l’istituzione del Garante dei Diritti dei detenuti, che avrà funzioni di intermediazione con le istituzioni". Una situazione dura, che secondo Vanacore contraddice il dettato costituzionale, volto al recupero e al reinserimento sociale del reo. Giovanni Martina è molto duro e chiaro nel denunciare il carcere di Busto come sede di pesanti illegalità, come già detto nei mesi scorsi. "Stiamo sollecitando la Regione a migliorare la condizione dei detenuti tramite progetti quali il trasferimento dell’assistenza sanitaria alla competenza regionale, il garante dei diritti e l’impiego di educatori nelle carceri. Quanto al governo nazionale, a parole è disponibile, nei fatti no, perché Lega e AN frappongono ostacoli e i tempi si fanno biblici". Quella di Busto è una realtà dura, esacerbata da una direzione inflessibile che rifiuta qualsiasi controllo, confronto o concessione. "La sezione protetti (per pentiti, pedofili, e carcerati che è bene non mettere a contatto con gli altri) è un vero lager all’interno del carcere. Abbiamo chiesto che questi detenuti vengano trasferiti nella sezione semiliberi di Varese, e che si chiuda questa indegna sezione del carcere bustese". A lamentarsi non sono solo i detenuti, cui i tagli finanziari stanno di fatto negando le visite mediche specialistiche, ma anche gli agenti di custodia. In Lombardia ne mancano circa mille, il 20% della forza necessaria, col risultato che i secondini sono sottoposti a tour de force massacranti. Stressati e sfruttati, gli agenti di custodia non sono certo nella disposizione d’animo migliore, e questo alimenta conflitti ed episodi di violenza dietro le sbarre, là dove il sole è una scacchiera di luce sul pavimento. Milano: "Il Grande Fardello", reality - parodia a S. Vittore
Reuters, 22 novembre 2004
Un’insolita parodia del più celebre reality show, in cui i protagonisti non sono volontariamente chiusi in uno spazio angusto, dal quale sperano di non venire esclusi, bensì persone che sognano di poter uscire. È ispirato al "Grande Fratello", di cui è in corso su Canale 5 la quinta edizione, il filmato di scena stasera alle 21, tra cinema d’autore, pellicole di denuncia e filmati di valore sociale, alla nona edizione del Festival Internazionale "Filmmaker-Doc" in corso a Milano (Spazio Oberdan della Provincia). Si intitola "Il Grande Fardello", come informa una nota, la fiction di un reality show realizzata per documentare la vita dentro al carcere di San Vittore. Il film è stato prodotto dai detenuti studenti di un corso di editing digitale, tenutosi dentro al carcere di San Vittore di Milano, che, con i loro insegnanti di montaggio e ripresa video, hanno giocato a ricreare il format del "Grande Fratello", ribaltandone i contenuti: l’obiettivo dei partecipanti è infatti convincere il pubblico a votarli per farli uscire il prima possibile. Il film è stato girato da Marianna Schivardi, autrice di documentari e format televisivi, che ha lavorato come insegnante di filmaking nei Balcani e nel carcere di S. Vittore, e da Simone Pera, regista di documentari, anche lui insegnante di filmaking nel carcere di S. Vittore (altre notizie sul sito www.dropout.tv). Sino a domani 23 novembre, allo Spazio Oberdan verranno proiettati film di particolare valore sociale con risvolti inediti sulla società ed il lavoro in diversi Paesi del mondo. A precedere "Il Grande Fardello", stasera alle 20, "Tarifa Traffic" di Joakim Demmer (Svizzera/Spagna 2003, 60’), documentario su Tarifa, città nel sud della Spagna, il punto più a sud di tutta Europa. Sulle cui spiagge, al mattino, accanto ai giovani che fanno windsurf e ai turisti che prendono il sole, spesso capita di trovare cadaveri di immigrati clandestini che non ce l’hanno fatta ad attraversare lo Stretto di Gibilterra dal Marocco o da altri Paesi della costa africana. Come ricorda il sito della manifestazione (www.filmmakerfest.org), il Festival si articola in varie sezioni: il concorso internazionale sui temi del lavoro e del sociale, la vetrina dei lavori prodotti con un contributo di Filmmaker dal titolo "Paesaggi umani" e una panoramica sui "fuori formato". È inoltre in programma una retrospettiva sul regista franco-cambogiano Rithy Panh, che verrà invece presentata presso il Cinema Gnomo del Comune di Milano, dal 24 al 28 novembre. Giustizia: il 24 novembre magistrati e penalisti in sciopero
Tg Com, 22 novembre 2004
Mercoledì prossimo si fermerà la giustizia, con lo sciopero dei magistrati e dei penalisti contro la riforma dell’ordinamento giudiziario. Non accadeva dal 1990 che le due categorie incrociassero le braccia nella stessa giornata (gli avvocati lo faranno anche il giorno dopo, giovedì), ma stavolta, a differenza di 14 anni fa, non si tratta di una protesta convocata congiuntamente. Anzi: le ragioni per la quali giudici e avvocati contestano la riforma non coincidono e su alcune questioni, soprattutto sulla separazione delle carriere in magistratura, sono addirittura opposte. Lo sciopero viene attuato proprio mentre la Camera si appresta a dare il sì definitivo alla riforma e dunque a trasformarla in legge. Ma le organizzazioni che lo hanno promosso, l’Associazione Nazionale Magistrati e l’Unione delle Camere Penali, non ritengono che questa coincidenza temporale renda inutile la protesta e sembrano intenzionate a dare ancora battaglia.
Verso la paralisi totale
Il blocco dell’attività giudiziaria rischia di essere totale, almeno a giudicare dai numeri delle due organizzazioni che hanno indetto l’astensione dal lavoro e dalla compattezza dimostrata dai loro aderenti nella precedenti proteste contro il ddl Castelli. All’Anm aderisce il 90 per cento dei novemila magistrati; e nei due passati scioperi contro la riforma, il 20 giugno del 2002 e il 25 maggio di quest’anno, più dell’80 per cento di giudici e pm hanno scelto di incrociare le braccia. Ottomila e cinquecento sono invece gli iscritti all’Unione delle Camere penali: anche loro sono stati compatti negli altri cinque scioperi che negli ultimi due anni l’organizzazione ha proclamato contro la riforma. Saranno comunque garantiti i servizi essenziali, così come prevedono i codici di autoregolamentazione delle due categorie: il che significa, per quanto riguarda il penale, che saranno celebrati i processi con imputati detenuti e quelli nei quali è imminente la prescrizione.
No alla riforma, ma per ragioni diverse
Al di là dell’obiettivo comune, dire "no" alla riforma del governo, le ragioni del dissenso divergono, soprattutto sul nodo della separazione delle carriere in magistratura. I penalisti contestano il ddl Castelli proprio perché, secondo loro, lascia unite le carriere di giudici e pm, anzichè separarle, come imporrebbe il principio costituzionale del giusto processo. All’opposto i magistrati sostengono che quella disegnata dalla riforma è di fatto una separazione delle carriere che prelude alla sottoposizione del pm al potere esecutivo. Questa però è soltanto una delle tante ragioni per le quali l’Anm chiede di non approvare il ddl: quella di fondo è che la riforma è "incostituzionale" e porterà a "magistrati meno liberi e indipendenti", visto che la loro carriera non dipenderà più dall’organo di autogoverno previsto dalla Costituzione, il Consiglio Superiore della Magistratura, ma dal Ministro della Giustizia e dai vertici della gerarchia interna. Inoltre, il provvedimento, secondo l’Anm, non renderà la giustizia più veloce, ma semmai più lenta, perché i magistrati dovranno dedicare buona parte del loro tempo a studiare per preparare i concorsi che scandiranno la loro carriera, sottraendo tempo ai processi.
Anm e Ucpi, lo sciopero non è inutile
Le due organizzazioni sono convinte della bontà del loro sciopero, anche se il Parlamento si appresta a licenziare definitivamente la riforma. "Il segno della nostra protesta è manifestare il dissenso per la riforma ed evidenziarne le ragioni. E questo è utile e lo sarà ancora più in futuro mostrando come questa riforma è stata fatta contro la magistratura - dice il presidente dell’Anm, Edmondo Bruti Liberati- Una volta che la riforma sarà stata approvata seguiremo con attenzione l’attuazione della legge delega". "Inutile il nostro sciopero? Assolutamente no. Anche di fronte all’approvazione della riforma non ci rassegneremo - assicura il presidente dell’Ucpi, Ettore Randazzo - perché non ci si può rassegnare alla violazione del giusto processo. E, dunque, reagiremo con tutto quanto è lecito, a cominciare da una proposta di legge costituzionale per introdurre la separazione delle carriere". Napoli: detenuto trovato morto, i familiari sentiti dal pm
Il Mattino, 22 novembre 2004
Entro domani il giudice per le indagini preliminari deciderà se condividere o meno il provvedimento di fermo disposto dal sostituto procuratore Antonio Guerriero e lasciare dietro le sbarre l’agente di polizia penitenziaria della casa di pena di Secondigliano, accusato di aver ceduto a un detenuto trentenne una dose mortale di eroina. Nel frattempo, negli uffici della Procura sfileranno, davanti al magistrato inquirente, i parenti di Francesco Pirozzi - il pregiudicato di Giugliano morto dietro le sbarre di una cella del penitenziario di Secondigliano, la notte tra mercoledì e giovedì scorso, per presunta overdose di eroina - nonché personale della casa di pena. Il pm Guerriero vuole far luce sia sull’inquietante decesso (per il quale si attendono i risultati dell’autopsia) sia sul fenomeno droga in carcere. E, come abbiamo già anticipato ieri, non si esclude che l’inchiesta giudiziaria possa arricchirsi di nuovi, clamorosi colpi di scena. Il giorno prima del decesso di Pirozzi e del malore che colse il suo compagno di cella, ovvero martedì 16 novembre, a Secondigliano e a Scampia (dove viene venduto il maggior quantitativo di eroina che si spaccia in città), i dottori del 118 soccorsero una ventina di tossicodipendenti, tutti in stato di overdose. Evidentemente chi era stato colto da malore aveva acquistato eroina proveniente dalla stessa partita di droga-killer. Se Pirozzi è morto per overdose c’è da supporre che la droga che l’ha ucciso proveniva proprio dal vicino "mercato" di Scampia. Francesco Pirozzi era detenuto da tre anni in una cella del penitenziario di Secondigliano proprio per una storia di droga. Entro venti giorni saranno pronti gli esiti degli esami di laboratorio sui prelievi istologici effettuati con l’autopsia, eseguita dal medico legale Antonio D’Ettorre, nominato dal magistrato inquirente. L’agente di polizia penitenziaria è accusato di aver introdotto in carcere eroina. Ora il pm vuole capire se aveva complici nella struttura carceraria. Napoli: detenuto trovato morto, fermato un agente
Il Mattino, 22 novembre 2004
Un agente di polizia carceraria accusato di aver introdotto nel penitenziario di Secondigliano l’eroina killer che potrebbe aver ucciso il detenuto trentunenne Francesco Pirozzi e ridotto in fin di vita il suo compagno di cella. Il poliziotto penitenziario è in stato di fermo, disposto dal sostituto procuratore Antonio Guerriero, il magistrato che coordina l’indagine sull’inquietante decesso. Tra gli altri reati il pm ipotizza, nelle accuse formulate nel provvedimento restrittivo, quello, grave, di aver spacciato sostanza stupefacente all’interno del carcere. Un’inchiesta complessa che apre cupi scenari e che sicuramente produrrà nuovi clamorosi colpi di scena. Ricostruiamo la vicenda. La notte tra mercoledì e giovedì scorso Francesco Pirozzi, giuglianese, detenuto per reati di droga nel penitenziario di Secondigliano, viene colto da malore. Muore alle tre del mattino senza mai riprendere conoscenza. Il detenuto che condivide la cella a due letti pure viene soccorso perché privo di sensi. Sulla morte di Francesco Pirozzi (nessun legame di parentela con la "famiglia" della Sanità) e sul malore che ha colpito dietro le sbarre l’altro detenuto viene aperta subito un’inchiesta. La cella è perquisita e vengono effettuate perquisizioni domiciliari anche presso l’abitazione della moglie del Pirozzi, a Giugliano. Il giorno prima, martedì 16 novembre, a Secondigliano (è in quel quartiere e nella vicina Scampia che viene venduto il maggior quantitativo di eroina che si spaccia in città), ambulanze del 118 avevano soccorso una ventina di tossicodipendenti, tutti in stato di overdose. Evidentemente tutti quelli che erano stati colti da malore dopo essersi bucati avevano acquistato eroina proveniente dalla stessa partita di droga-killer. Se è vero, dunque, che Pirozzi è morto per overdose, c’è da supporre che la droga che l’ha ucciso proveniva dal vicino "mercato" di Scampia. La conferma che il cuore del detenuto di Giugliano - da tre anni in una cella del penitenziario di Secondigliano - abbia smesso di battere a causa di una dose di droga la si otterrà soltanto quando saranno pronti gli esiti degli esami di laboratorio sui prelievi istologici effettuati con l’autopsia. E dovranno passare almeno venti giorni prima che quei risultati vengano comunicati al dottor Antonio D’Ettorre, il medico legale incaricato dal magistrato inquirente di eseguire l’esame necroscopico sulla salma del detenuto. Droga che arriva in carcere attraverso un agente di polizia penitenziaria. Un fatto gravissimo. Su cui il pm Guerriero vorrà fare luce al più presto. Non si escludono complicità all’interno della struttura carceraria. Non si esclude che il fermo dell’agente penitenziario sia soltanto l’inizio di uno scandalo di proporzioni più vaste. Usa: in Connecticut prima esecuzione dopo 40 anni
Repubblica, 22 novembre 2004
A poco più di quaranta anni dall’ultima iniezione letale, la pena di morte torna nel Nord Est americano, l’area contraddistinta dal maggior numero di Stati "liberal" e più riluttanti al suo utilizzo. Il prossimo 26 gennaio, le autorità del Connecticut eseguiranno la condanna a morte di Michael Ross, reo confesso dell’uccisione di otto donne. L’esecuzione del detenuto - che avverrà con una iniezione letale, come decretato dalla leggi del Connecticut - sarà la prima nello Stato dal 1960. Napoli: pene certe e più severe, sì alla legge bipartisan
Il Mattino, 22 novembre 2004
Quindici omicidi da settembre, sei nelle ultime ventiquattro ore, centododici dall’inizio dell’anno. Sono i numeri del terrore che ci riportano alla memoria il massacro di venticinque anni fa quando, tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli ‘80, le strade della nostra città e della nostra provincia furono bagnate dal sangue di quasi mille morti per la faida che vide uno di fronte all’altro due eserciti della camorra, quello dell’ultimo padrino, Raffaele Cutolo, e quello della Nuova Famiglia. Sono le quindici vittime della faida nel triangolo Scampia-Secondigliano-Melito a destare maggiore inquietudine. Per la sfrontatezza e il senso di sfida allo Stato con cui i killer sono entrati in azione, per il modo eclatante e carico di sinistri messaggi con cui sono stati messi a segno, nonostante il territorio sia presidiato e sotto lo sguardo dello Stato. Che dire, per esempio, dei tre cadaveri impacchettati nel cellophan e abbandonati nei pressi del campo rom di Scampia nello stesso giorno del vertice al Viminale? O dell’assassinio messo a segno a pochi passi dal posto di polizia inaugurato giovedì scorso dalle massime autorità dello Stato? Una sfida allo Stato, una sfida alla città. Più va avanti la faida, più aumentano i morti e più emergono storie di giustizia inceppata, di casi eclatanti di incertezza della pena o di scarcerazioni facili. Basti pensare ai tre imputati nel processo Di Lauro ammazzati negli ultimi venti giorni giorni. O a scippatori e rapinatori arrestati e processati per direttissima ma subito liberi di tornare a delinquere. Quali i rimedi e le strategie per fermare la carneficina e, soprattutto, per adeguare procedure penali e garantire certezza della pena sia per la criminalità organizzata che per i reati di criminalità diffusa? Il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, ha detto nei giorni scorsi - prima a Napoli e poi in senato - che c’è un problema di adeguamento delle pene e, soprattutto, di garanzia della certezza della pena. Un tema su cui si sono ritrovati d’accordo centrodestra e centrosinistra, magistrati e forze dell’ordine. Anche dalla bozza del manifesto per la città, pubblicato ieri sul Mattino, è emersa la proposta di un incontro con tutti i parlamentari napoletani per definire un testo di legge bipartisan da presentare in tempi brevi in Parlamento. Una proposta che comincia a prendere consistenza come emerge in questa pagina dalle interviste a due parlamentari napoletani di schieramento opposto. Taglialatela (AN): "Le condanne vanno scontate in carcere"
Il Mattino, 22 novembre 2004
"Bisogna fare in modo che i responsabili di reati gravi non godano di attenuanti e scontino la condanna in carcere". Marcello Taglialatela, deputato An, accoglie con entusiasmo l’ipotesi di una proposta di legge bipartisan per la certezza della pena e si prepara a fornire il suo contributo. Anzi, va oltre: invita i parlamentari napoletani a disegnare insieme altri percorsi normativi, oltre a quello sul codice e la gestione dei processi, che aiutino la città a uscire dall’emergenza.
Partendo dal presupposto che chi commette un reato deve essere punito, come raggiungere l’obiettivo? "Un suggerimento utile è già contenuto nella proposta di legge che abbiamo presentato due mesi fa, primo firmatario Edmondo Cirielli: divieto di concessione delle attenuanti in caso di recidiva. A questo ne aggiungerei un altro, non meno importante. Chi commette reati particolarmente gravi dal punto di vista dell’impatto sociale, come lo scippo, la rapina e lo spaccio di stupefacenti, dovrebbe scontare la condanna soltanto con la detenzione in carcere".
Le misure alternative, quindi, andrebbero abolite? "Arresti domiciliari, semilibertà e obbligo di firma non hanno senso quando ci troviamo di fronte a un criminale incallito che in nessun modo potrà essere recuperato al vivere civile. Dobbiamo renderci conto di questo e ragionare di conseguenza".
È praticabile, oggi, un’iniziativa bipartisan per il bene della città? "Sono convinto che esistano tutti i presupposti perché l’iniziativa legata al "Manifesto", e intendo schierarmi subito in prima linea nel percorso comune. Su certe questioni, come l’inasprimento delle pene, una parte del centrosinistra sta cominciando a cambiare registro. Peccato che, per arrivare a questo, sia stato necessario assistere a un bagno di sangue".
Altre proposte? "Credo che non dobbiamo fermarci all’ipotesi legislativa sul codice e sul processo. La collaborazione tra deputati e senatori napoletani deve proseguire a tutti i livelli, con tutti gli strumenti che si possono portare all’attenzione del parlamento nell’interesse della città. Si può discutere sull’istituzione dell’alto commissariato per la lotta alla camorra, progetto che porto avanti con grande convinzione, e su un migliore utilizzo dei fondi europei per la sicurezza". Siniscalchi (DS): "Dobbiamo accorciare i tempi dei processi"
Il Mattino, 22 novembre 2004
"Bisogna applicare il codice con più rigore e accorciare i tempi dei processi". Questo uno dei principi da cui Vincenzo Siniscalchi, deputato Ds, partirebbe per una proposta di legge bipartisan su adeguamento e certezza delle pene. Proposta che i parlamentari napoletani della maggioranza e dell’opposizione potrebbero scrivere e sostenere uniti dopo la proposta avanzata nel manifesto per la città.
Quali i passaggi chiave da inserire nel testo? "Ci sono tre punti fondamentali. È necessario contenere i termini della custodia cautelare, perché all’arresto seguano rapidamente il giudizio e la sentenza. È necessario agire sulla prescrizione dei reati, perché nessuno possa sfuggire alla pena che merita. Ed è necessario ridurre l’eccesso di garanzie che, troppo spesso, si traduce in estenuanti rinvii dei processi".
Su questi temi sarà facile trovare accordo con i parlamentari del centrodestra? "Lo speriamo e faremo in modo che questo avvenga. Da parte nostra c’è la massima disponibilità. Molte proposte di legge del centrosinistra orientate in tal senso sono ferme da anni, mentre la maggioranza continua a muoversi nel segno dell’ipergarantismo ad personam. Mi auguro che l’occasione fornita dal manifesto sia quella buona per trovare una linea comune, nell’interesse della città".
Come fermare la guerra di camorra? "Puntando sull’intelligence che, purtroppo, da queste parti è una parola sconosciuta. Quando sfoglio il giornale, mi trovo spesso a leggere "Hanno ucciso il signor x, pluripregiudicato, vicino al clan y". Come è possibile che gli investigatori conoscano i nomi di tutti i personaggi legati alle cosche e li lascino liberi di agire o di farsi ammazzare tra la folla? Ma il peggio viene sul fronte del piccolo crimine. Il numero dei processi per ricettazione e riciclaggio, a Napoli, è ridottissimo. Come mai, quando viene arrestato uno scippatore, non si riesce mai a sapere a chi avrebbe consegnato il bottino?".
Due quesiti. Le risposte? "È la stessa per tutti e due: manca l’intelligence. Le forse in campo ci sono, ma le parate militari servono a poco. Oppure...".
Quale? "Oppure esiste qualche forma di copertura. Ma non voglio pensarci. Non oso pensarci". Verona: musica e cura del corpo per le detenute…
L’Arena di Verona, 22 novembre 2004
Allietare le giornate di chi vive in carcere: questo è l’obiettivo che Progetto carcere 663 anche quest’anno ha voluto mettere in pratica, avviando una serie di incontri rivolti a far sì che i detenuti della casa circondariale di Montorio per un attimo vivano diversamente la monotonia dell’essere dietro alle sbarre. "Non siamo dei rieducatori", tiene a precisare Maurizio Ruzzenenti, coordinatore dell’associazione Progetto carcere 663, "né abbiamo la pretesa di diventarlo. Vogliamo semplicemente creare un diversivo a chi sta scontando una pena". Ecco che allora l’associazione di volontariato oltre a promuovere una serie di iniziative sportive in collaborazione con il Csi (Centro sportivo italiano) che da innumerevoli anni dà vita ad una serie di tornei di calcio e calcetto che si disputano nel campo sportivo del carcere e che hanno visto esponenti delle squadre del cuore dei veronesi partecipare attivamente a diverse partite, propone anche intrattenimenti musicali con band come la Bifo Band, i Nuovi Cedrini, i Petols, i Meshuge Klezmer Band. Non mancano esponenti di rilevanza nazionale sempre nell’ambito musicale come Grazia De Marchi e Marco Ongaro. Un occhio di riguardo è dato al reparto femminile dove si terrà un intrattenimento di musica classica con il duo d’arpa classica delle Sorelle Recchia. E poi ancora cabaret e rappresentazioni teatrali, in questo caso la presenza di Roberto Puliero è d’obbligo, dal momento che, come dice Ruzzenenti, "È sempre pronto ad offrire la sua arte in ogni dove, specie quando si tratta di aiutare e di alleviare quanti hanno bisogno di ridere per sopravvivere". Ma il programma non tratterà solo di spettacoli, ma anche di incontri-documentari. Sono in calendario corsi illustrativi di rafting con l’associazione Acqua Viva e di alpinismo, quest’ultimo sarà tenuto dalla guida alpina Marco Heltai. Non mancherà la parte tutta culturale-artistica che verrà gestita dal direttore di Palazzo Forti Giorgio Cortenova che tratterà di arte moderna. E visto che anche gli adulti amano le fiabe ecco che il gruppo di animazione Estrapola si esibirà nel presentare divertenti fiabe. Sempre per rimanere nell’ambito culturale è in questi giorni partito nella sezione femminile il minipercorso di lettura espressiva guidato dall’associazione di volontariato per la promozione della lettura Il Cigno. E sempre qui partirà a breve un corso di estetica e cura della persona. "Lo abbiamo deciso", sottolinea Ruzzenenti, "per fare in modo che le donne ospiti della struttura non perdano la voglia di prendersi cura di se stesse e non si lascino andare. Spesso la quotidianità del carcere induce a trascurare la propria persona. Anche in questo caso non abbiamo la pretesa di insegnare nulla ma di invitare ad una consapevolezza della propria persona che a nostro avviso non va mai dimenticata, specie quando la vita ti mette a dura prova". Carcere militare contro gli "scoop" su missioni di pace
Vita, 22 novembre 2004
Lo prevede la riforma del codice penale militare approvata in prima lettura dal Senato. Rivelare notizie riservate sulle missioni militari italiane, comprese quelle di pace, potrebbe costare caro: da cinque a venti anni di carcere. È questo l’effetto della riforma del codice penale militare approvata in prima lettura dal Senato. La riforma, in sostanza, estende il codice militare di guerra anche alle missioni militari di pace. Dunque anche alla missione "Antica Babilonia", che da oltre un anno vede i militari in italiani presenti a Nassiriya. Per effetto di questa decisione, diventano operativi anche gli articoli 72 e 73 del codice penale militare italiano sulla "illecita raccolta, pubblicazione e diffusione di notizie militari". Vi si dice che è punito con la reclusione militare da due a dieci anni "chiunque si procura notizie concernenti la forza, la preparazione o la difesa militare, la dislocazione o i movimenti delle forze armate, il loro stato sanitario, la disciplina o le operazioni militari e ogni altra notizia che, non essendo segreta, ha tuttavia carattere riservato". Se poi le notizie raccolte vengono diffuse, gli anni di carcere passano da un minimo di cinque a un massimo di venti. "È questa una delle conseguenze - sottolinea il senatore dei Ds Elvio Fassone - della decisione della maggioranza di estendere l’ambito del codice penale militare di guerra. Una scelta molto inopportuna sotto molti aspetti, ma che rischia di avere conseguenze molto gravi anche nel campo della libertà di informazione. Speriamo che alla Camera ci sia un ripensamento generale". E così la legge sulle droghe approdò in Senato…
TG Com, 22 novembre 2004
È iniziato al Senato l’iter per la nuova legge sugli stupefacenti. Il testo che vede primo firmatario Fini prevede la cancellazione della distinzione tra droghe leggere e pesanti e punisce con sanzioni graduali, amministrative e penali, l’uso di tutte le droghe. Vi racconto la storia di Sandro. Non faceva uso di droghe. Una sera esce con amici che fanno uso di haschisc. Viene arrestato, va in galera, conosce l’eroina, esce dal carcere e muore di Aids. È un tipico caso dove lo spinello non gli avrebbe cambiato la vita, la punizione sì. Riflettiamoci. I bersagli dei mercanti di morte sono i giovani e i giovanissimi. In tutta Europa prevale un’impostazione di grande severità contro i trafficanti mentre verso i consumatori viene fatta una distinzione tra droghe pesanti e leggere. Mi chiedo e vi chiedo quanto possa influire un forte proibizionismo sulla psicologia di un ragazzo. C’è poi il discorso sulle comunità terapeutiche, tema delicato perché lì girano davvero molti denari e interessi non sempre esemplari. Secondo dati recenti il 15 per cento di ragazzi tra i 18 e i 25 anni avrebbero fatto uso almeno una volta di cocaina. Che facciamo, riempiamo le galere ? Oggi occorre informare, informare e ancora informare i giovani. Bisogna martellarli con informazioni corrette sui danni del consumo, sui pericoli terribili dell’assuefazione. E stroncare il traffico che è gestito dalla criminalità organizzata. Lecce: casa-famiglia dell’ass. "Papa Giovanni XXIII"
La Gazzetta del Mezzogiorno, 22 novembre 2004
Famiglie accoglienti ed affido. Domani nella sala teatrale della parrocchia SS Cosma e Damiano, verrà presentato il progetto dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. L’appuntamento è per le ore 17. Saranno presenti all’incontro Sebastano Leo, responsabile regionale dell’affidamento e Carmela di Punzio. "Il nostro concetto di accoglienza-affidamento - dice Sebastiano Leo - prevede che i bambini, i giovani o gli adulti che si trovino a vivere queste tematiche devono far parte di una casa-famiglia, all’interno della quale, soprattutto per i bambini, bisogna ricreare una condizione ideale con i due nuovi genitori capaci di far vivere loro momenti autentici simili a quelli di qualsiasi famiglia regolarmente costituita". Leo ed i suoi collaboratori lavorano da tempo alla costituzione di una casa-famiglia anche nella nostra città. Un sogno che sembra stia per realizzarsi. "Da noi-continua - c’è posto per tutti, comprese le ragazze-madri ed i soggetti deboli della società che tutti si gettano alle spalle". Fra un anno in Italia saranno chiusi tutti quei vecchi istituti che sotto forma di case del fanciullo accoglievano senza autentici valori affettivi i bambini provenienti da famiglie disastrate. "Noi come associazione - aggiunge Leo - ci stiamo preparando a creare quelle strutture che lungi dall’essere un convitto, devono configurarsi come famiglie vere e proprie". I minori, gli adolescenti, i giovani in condizione di disagio, persone con handicap, i detenuti, gli zingari, i tossicodipendenti, quelli senza fissa dimora, gli immigrati, gli anziani e gli ammalati di Aids, con le case-famiglie possono trovare qualcuno che li accolga". I riferimenti telefonici della Giovanni XXIII sono: Carmela Di Punzio, 080.4969981-348.4766867; Sebastiano Leo, 0832-933066-328.9723350. La segreteria di zona può essere raggiunta allo 080.4964800. Antonio Tarsi Catania: stella del football americano incontra i detenuti
La Sicilia, 22 novembre 2004
Una giornata diversa per i detenuti del supercarcere di Bicocca, dove ieri s’è recato in visita, il "divino" Bramlet, campionissimo del football americano - quello con casco e visiera, per intenderci - che ha appunto incontrato i detenuti della casa circondariale. Bramlet, che in questi giorni ha avuto una serie di incontri con la comunità americana della base di Sigonella, ha raccontato ai detenuti la vicenda di un ragazzo difficile, deviante, che attraverso l’adesione a valori cristiani e ad una maturazione spirituale trova la forza di affrontare con successo le avversità della vita fino al raggiungimento di grandi affermazioni. "The Bull" ("il Toro", questo il suo soprannome sportivo), accompagnato da una delegazione della base aeronavale della Marina Usa guidata dal tenente di vascello Steve Curry, ufficiale capo, addetto stampa, è stato ricevuto dal direttore Rizza che ha ringraziato gli ospiti per l’iniziativa. Volterra: Movimento Umanista, la festa esce dal carcere...
Movimento Umanista, 22 novembre 2004
Il Movimento Umanista, organizzazione internazionale di volontari impegnati nell’affermare il valore supremo dell’essere umano e nella lotta contro ogni forma di violenza e di discriminazione, è entrato in carcere, nella casa di reclusione di Volterra (Pisa). Da circa nove mesi i detenuti sono entrati in contatto con le idee, i progetti e le attività del Movimento Umanista e molti di loro si sono impegnati formando gruppi per sviluppare una nuova attività nel campo dei diritti umani: costruire la futura società senza carceri. L’adesione al Movimento all’interno dell’istituto penitenziario esprime la nascita della cultura della nonviolenza in un luogo come il carcere, la cui esistenza si basa sulla logica della violenza. Un aspetto fondamentale dell’azione che portiamo avanti è comprendere profondamente che la violenza si ferma e si supera solo attraverso azioni nonviolente, le uniche in grado di rompere la catena della violenza. La carcerazione è violenza. Anche quando il trattamento riservato ai detenuti è basato sulla gentilezza e la comprensione e su attività trattamentali che mirano allo sviluppo della persona, la carcerazione c’è comunque: è come una forza che schiaccia, che prende la vita delle persone per tenersela, che toglie la possibilità di decidere della propria esistenza, toglie autonomia e responsabilità, svuota la vita affettiva e tiene costantemente sotto osservazione, sotto giudizio, sotto tiro. Sfuggire a questa forza distruttrice anche solo un po’ è difficile e duro. Mantenersi saldi è arduo perché essa indebolisce l’essere. Ci vuole molto impegno e incrollabile forza di volontà per resistere almeno un po’ al carcere, che vorrebbe rieducare e riabilitare attraverso l’annientamento della persona (è mai possibile?). Allora lo sviluppo della cultura della nonviolenza dentro a un carcere è un mezzo per evolversi dentro e per trasformare fuori. L’apertura verso l’esterno del carcere, cioè verso la società delle altre persone è il primo e fondamentale passo da fare per superare la violenza dentro di sé e attorno a sé. Per aprirsi agli altri è necessario comprendere se stessi e la propria storia, che si è andata costruendo all’interno di una società violenta e ingiusta, per alcuni di più e per altri di meno. Abbiamo fatto una bella mossa di apertura verso l’esterno del carcere: abbiamo organizzato una festa per i cittadini di Volterra, per dire loro che nel carcere è nato un gruppo del movimento umanista, con molti progetti e attività nelle quali vogliamo coinvolgerli. È successo venerdì 19 novembre 2004, al Quo Vadis, un pub della cittadina, alla sera. La festa l’abbiamo chiamata "Sbar(r)aondas" e abbiamo invitato tutti. Sembra assurdo, ma è stato proprio così, i detenuti di un carcere hanno organizzato una festa fuori dal carcere a cui hanno partecipato circa 200 persone più circa 8 di noi che sono usciti in permesso premio. Sono venuti a suonare per noi due gruppi, i Pura Utopia di Roma e gli Animani di Milano, l’hanno fatto gratis perché anche loro sono umanisti e impegnati nel sociale. Con la loro musica hanno trasmesso vitalità, allegria e cultura, li abbiamo abbracciati e ringraziati. Ringraziamo tanto anche i musicisti Antonio Chierici e Marco Bagnai che si sono occupati della fonica, gli studenti dell’Istituto Niccolini che ci hanno aiutato a montare gli strumenti, hanno ballato e uno di loro ha fatto da dj. Ringraziamo la nostra direttrice che ci sostiene e ci incita, il comandante, gli ispettori e agenti del carcere che ci appoggiano, che hanno partecipato alla festa e si sono divertiti. Da parte nostra c’abbiamo messo il cuore, la nostra voglia di vivere, di esprimerci e di costruire qualcosa di grande che coinvolga la vita delle persone; abbiamo animato la serata, abbiamo chiacchierato e ballato, servito al bar, sorriso e incontrato molti amici, dato e ricevuto molti abbracci. Tra circa un mese proporremo un incontro pubblico per tutti coloro che vogliono conoscere meglio il nostro Movimento.
Gruppo umanista - carcere di Volterra: paola@dialogo.org)
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