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Sofri: incontro con il carcerato più famoso d’Italia
L’Unione Sarda, 15 novembre 2004
Per gentile concessione della casa editrice piemontese "Scritturapura", pubblichiamo alcuni stralci del libro Adriano Sofri. "Attaccante Estremo", scritto dal giornalista cagliaritano Giorgio Porrà che da anni vive e lavora a Milano, per Sky. Un’intervista in cui emerge l’Italia e i travagli del suo tempo, i sogni di una generazione e i suoi tradimenti. Ma soprattutto è un’accorata dichiarazione d’amore al calcio. Calcio come istantanea serena nell’album d’infelicità del carcere, ora d’aria del recluso più famoso d’Italia, che gioca all’attacco, in un campetto dove vale tutto e non c’è fuorigioco.
Mi pare che tu non gradisca molto neppure le sconfitte. Ti piacerebbe vedere soltanto pareggi. Questa, devo dire, è una posizione abbastanza isolata… "Non sono le sconfitte che non mi piacciono, semmai è il meccanismo vittoria-sconfitta. Ormai è stato talmente feticizzato e drammatizzato che è diventato qualcosa di imbarazzante. Le persone hanno semplicemente fatto quello che era nelle leggi della statistica: o si vince o si perde e qualche volta si pareggia. Poi il pareggio è stato praticamente abolito e oggi le persone che perdono sembrano commettere un delitto efferato".
Più in generale una manifestazione come il mondiale, le olimpiadi? che hanno un carattere multietnico? Come vengono vissute dentro un carcere? Creano spaccature e divisioni, c’è della faziosità oppure qui dentro prevale sempre lo spirito di solidarietà? "No, devi tenere conto del fatto che il carcere è un posto di grandissima avanguardia. È una specie di laboratorio dei problemi del mondo contemporaneo, nel senso che la popolazione del carcere è multi etnica in una misura impensabile nella società esterna. Per esempio, nelle prigioni italiane, nell’arco di pochissimo tempo, la maggioranza è diventata di detenuti stranieri. Tu immagina se la società fuori? Che già esplode per una piccola percentuale di immigrati stranieri? si misurasse con una percentuale così ampia. La popolazione del carcere è una specie di mostro perché non ci sono? Nel carcere maschile, naturalmente? Le donne, i bambini, gli animali e le piante. Un mondo così è come un paradiso in cui ci sia solo Adamo e nemmeno il serpente. Di questa popolazione, una parte ingente è costituita da marocchini, tunisini e algerini, a volte ci sono dei palestinesi, insomma delle minoranze; e poi ci sono gli albanesi, gli slavi in generale. Vari esponenti di altre scuole calcistiche, e anche del delitto? non so, i trafficanti di coca che vengono dalla Colombia e così via. Si ha, dunque, una situazione straordinaria perché in una specie di compressione? come succede appunto nei laboratori dove fanno degli esperimenti? puoi misurare i rapporti tra queste varie nazionalità. Quando c’è il campionato di calcio, la cosa più interessante è questa: che ciascuna di queste etnie? se vogliamo usare questa pessima parola, solo "razza" è peggiore, ma sono pessime tutte e due? fa il tifo naturalmente per la propria squadra, se ce l’ha. Salvo alcuni rinnegati che sono casi singoli. Quando non c’è una squadra propria? per esempio nello scorso mondiale è stato il caso dei maghrebini? il loro tifo per la nazionale del paese che li ospita? sia pure sotto chiave, in questo caso l’Italia che li tiene in galera? è sfegatato. Cioè, la prima forma di integrazione? questo è sottovalutato dai politici, dai preti, da chiunque, ma è molto importante? di questi che arrivano in un paese europeo, è l’adesione a un’identità calcistica che spesso precede anche l’immigrazione. Hanno visto in televisione la Juventus, l’Inter, il Milan, il Parma, la Roma e le altre squadre, le hanno viste in televisione in Albania oppure a Marrakech. Arrivano avendo già, per così dire, una specie di carta d’identità. Hanno distrutto tutte le loro carte d’identità, ma hanno questa nuova identità: sono juventini, interisti o altro. E come succedeva agli italiani immigrati in America, sono molto più accesi dei locali. Il loro tifo per l’Inter è molto più impegnato, molto più devoto di quello di un qualunque altro milanese".
Tu hai descritto in maniera meravigliosa alcuni personaggi che giocano o hanno giocato a pallone qui. C’è "Savicevic", ci sono i napoletani che ogni volta che sbagliano un gol si producono in manifestazioni veramente clamorose. Mi interessa anche la dinamica della scelta del portiere, che è un po’ lo stessa dei campetti di periferia. In porta ci vanno o quelli molto bravi o quelli che sono mal visti. "Beh, questo ce lo ricordiamo tutti dall’infanzia. "Tu giochi in porta" è come un’intimazione punitiva che quelli più grossi danno a quelli più piccoli. Io da bambino a volte giocavo in porta perché non mi lasciavano giocare da un’altra parte, perché ero troppo piccolo. Dopodiché, però, sei il portiere... E per uno che ha la vocazione del portiere, allora il portiere diventa superiore a ogni altra figura nel gioco del calcio. Quando io ero bambino, in particolare,? tu forse sei troppo giovane per ricordartene? c’era un giornalista sportivo molto importante che si chiamava De Martino. Aveva scritto un libro per ragazzi che si intitolava Pufi, storia di un cane sportivo. Ora, questo cagnolino? una specie di spinone o barboncino? diventava il portiere della squadra del suo padroncino e, naturalmente, salvava la partita finale con degli interventi straordinari. Questa idea del portiere-eroe ha trovato sempre delle persone straordinarie a incarnarla. Quando io ero un po’ più che un bambino, Giorgio Ghezzi veniva chiamato "kamikaze"? espressione che oggi non si userebbe più, ahimè, come tante altre consumate e infamate dalla storia. Il portiere è quello che si butta con totale dedizione. Solo certi grandi gregari del ciclismo? non so, De Filippis? sono paragonabili a un portiere. In galera succede la stessa cosa. C’è uno che non vale niente o che non ha nemmeno le scarpe da tennis, che sta stravaccato per terra a passare la sua ora d’aria con l’occhio fisso nel vuoto. Se quel giorno manca il portiere, gli si dice: "Tu mettiti in porta". Magari lui si riscatterà con delle grandi parate, perché esiste sempre quella possibilità nella rivelazione. Oppure ci sono persone dedite al mestiere di portiere. Allora, quelle sono impressionanti perché tu devi tenere conto che, per l’appunto, hanno un muro alle spalle, invece che una porta con la rete, e per terra hanno del cemento. Ma si avventano con totale abnegazione. Sono tutti degni di medaglie alla memoria, perché poi sopravvivono difficilmente a queste cose epiche. Io avevo raccontato di uno molto simpatico? che per fortuna ora è fuori? un portiere veramente bravo. Lui era davvero straordinario da guardare? perché tu devi immaginare che in un posto così, quando si gioca molto bene, si crea un effetto di ammirazione di tutti nei confronti di quello che si capisce essere di un’altra levatura. Lì, la cosa impressionante e straordinaria era che questa persona? che aveva avuto una vita molto dura anche in galera? era uno di quelli che cedono all’autolesionismo per difendere la propria posizione. Aveva la terribile, terrificante mania di schiacciarsi le dita fino ad amputarsele. Dunque, si era ridotto ad avere 4 o 5 dita in meno, capisci? Però arrivava laggiù con i suoi guanti e faceva la sua straordinaria figura".
Apriamo metaforicamente una finestra sui problemi del calcio, che non sono un grande dolore dell’umanità, però insomma? come sai? creano parecchio disagio... Ti sei fatto un’idea di questo movimento malato, di questo collasso economico? Un’idea dei responsabili? Di chi ha le colpe maggiori? "No, è difficile. Sono incompetente, per fortuna, e mi è difficile assegnare colpe. Poi, diciamo, non mi piacerebbe nemmeno. Ma trovo che si sia esagerato, e la cosa vale in generale per la storia del mondo. Abbiamo esagerato con le foreste. Abbiamo esagerato con le cose da mangiare. Abbiamo esagerato con l’acqua. Abbiamo esagerato moltissimo con il calcio. Allora il problema non è di constatare che abbiamo esagerato, perché è sotto gli occhi di tutti. Il problema non è di aggiungere una voce a quelli che dicono "che stronzata, il problema è di vedere se è possibile tornare indietro". Venezia: un laboratorio di cosmetica nel carcere femminile
Famiglia Cristiana, 15 novembre 2004
Grazie a una cooperativa sociale, a Venezia le detenute possono lavorare dietro le sbarre e prepararsi un futuro migliore. i loro prodotti "adottati" da un grande hotel. Un albergo di lusso e un carcere femminile: cosa possono avere in comune due ambienti così lontani, l’uno nato per offrire un soggiorno da sogno al turista, l’altro per segregare chi deve scontare una pena? A far incontrare a Venezia un’albergatrice e un gruppo di detenute sono stati un profumo e un sapone prodotti da un singolare laboratorio di cosmesi. A lanciare l’idea è stata la cooperativa sociale veneziana "Rio Terà dei pensieri", che da dieci anni opera nell’ambito del volontariato carcerario. Aggiungeteci: la disponibilità della direttrice dei due istituti penitenziari di Venezia, Gabriella Straffi, e la passione per la cosmesi coltivata da un chimico veneziano, Fabrizio Longo. Condite il tutto con l’anticonformismo del presidente dell’Hotel Bauer, Francesca Bortolotto, e il gioco è fatto; anzi, la linea di cortesia per albergo", ovvero quel set di saponette, shampoo, bagnoschiuma, creme per il viso e per il corpo che gli ospiti trovano nelle stanze. La linea, coi marchio "Santa Maria degli Angeli", viene prodotta nel Laboratorio di cosmetica naturale sorto dentro il carcere femminile veneziano, che occupa la struttura di un antico convento sull’isola della Giudecca. L’unico laboratorio del genere aperto in una struttura penitenziaria italiana, afferma Longo, chimico con anni d’esperienza d’insegnamento nei corsi di formazione per carcerati, e col pallino di recuperare la secolare tradizione veneziana degli speziali e dei maestri di cosmetica. Tre anni fa la cooperativa propose di trasformare il capanno degli attrezzi e la vecchia stalla del carcere in laboratorio artigianale. E in soli sei mesi il progetto divenne realtà. I locali quindi vennero attrezzati, a spese della "Rio Terà dei pensieri" dell’occorrente per partire con la produzione: distillatori, rimescolatore per i bagnoschiuma e gli shampoo, turbo emulsore per i cosmetici di pregio, come le creme per il corpo. "Alcune piante aromatiche, per esempio la menta, le coltiviamo negli stessi orti del carcere, altre essenze le ordiniamo nei Paesi d’origine: è il caso", spiega Longo, "del coriandolo per i profumi d’ambiente che viene dalla Russia, della mirra, dall’Iran, e dell’incenso, dall’India. Sono nate così due linee di prodotti: una più economica, la "Rio Terà dei pensieri", e una di punta, la "Santa Maria degli Angeli", promossa dal Bauer". Tra i prodotti realizzati ci sono anche candele profumate, e un recentissimo profumo d’ambiente, "Aria di B.". A Natale dal carcere della Giudecca uscirà pure una nuova crema antirughe, e aromi da usare nell’idromassaggio. Inoltre, la produzione di saponi potrà aumentare con l’arrivo di una nuova cellofanatrice del costo di 60.000 euro (20.000 finanziati dal Progetto Urban"), capace di confezionare 15 pezzi al minuto.
"Un giorno sarà il mio lavoro"
Oggi, il laboratorio dà lavoro, oltre alla coordinatrice Vania Carlot, a tre detenute, assunte dalla cooperativa con regolare contratto. Una di esse, Marta, vi lavora da un anno e mezzo: "un’occupazione che mi piace, e mi toglie dalla grigia quotidianità della prigione. Quando entro qui, dimentico quasi di essere una reclusa". Carmen, detenuta argentina, fa già progetti per il dopo carcere: "Con l’esperienza acquisita qui dentro, mi piacerebbe aprire una profumeria nel mio Paese". Chi ha creduto fin dall’inizio al progetto è Francesca Bortolotto che segue da vicino le produzioni cosmetiche, dando consigli e proponendo nuove fragranze: "Mi affascina anzitutto l’entusiasmo col quale opera il laboratorio. E poi, per una come me che vuole uscire dai soliti parametri di commercializzazione, questa linea di cortesia rappresenta per l’Hotel Bauer un autentico valore aggiunto. Il messaggio che trasmettono questi prodotti è che si può fare qualcosa di qualità, genuinamente artigianale ed esclusivo. E coinvolgiamo persone che trovano forza e positività nell’accettare la loro difficile condizione attuale dì carcerate", afferma il presidente dell’albergo. Un dépliant che illustra l’origine della linea di cortesia sta in bella vista in ogni stanza del Bauer. Progetti per il futuro? "Più assunzioni, anzitutto. Puntiamo, poi, alla certificazione di qualità del laboratorio e a migliorare la distribuzione dei cosmetici, che ora si trovano in alcuni punti vendita di commercio equo?solidale. Nostri clienti sono già altri cinque alberghi veneziani, ma vorremmo rivolgerci anche alle farmacie e al circuito carcerario nazionale", conclude Gabriele Millino, presidente della cooperativa. Sassari: riapriamo l’Asinara, ma senza i boss...
L’Unione Sarda, 15 novembre 2004
Un’isola prigione nel golfo dell’Asinara. Il parco tarda a decollare e il ministero di Giustizia torna alla carica con la proposta di riapertura del carcere di Fornelli, la leggendaria sezione che ha ospitato dai boss della criminalità organizzata ai leader delle Brigate rosse. A rispolverare un progetto che riaffiora ciclicamente per riaffondare in un mare di smentite e conferme, questa volta è una voce autorevole: il responsabile dei penitenziari sardi Nello De Cesari. Martedì sarà a Porto Torres per un vertice con il sindaco Cermelli. Il progetto prevede una sorta di convivenza tra parco e un carcere per detenuti "a basso indice di pericolosità sociale", cioè reclusi condannati per reati minori. Il sindaco non si sbilancia: "Ascolterò i funzionari del ministero, ma a decidere sarà la città". La nostalgia è di casa al ministero di Giustizia: è di questi giorni la ripresa della proposta di far tornare i detenuti nell’isola dell’Asinara. Secondo il rappresentante della Uil penitenziari Roberto Picchedda, avrebbe ripreso questa idea il provveditore regionale per le carceri Nello De Cesari, che lo avrebbe sostenuto nel corso di un incontro con i sindacalisti. È vero che si continua a parlare semplicemente di carcere attenuato, che nel linguaggio tecnico distinguerebbe un penitenziario per quei carcerati con pene minori ed a basso indice di pericolosità. L’area da dedicare all’ospitalità di questi detenuti dovrebbe essere quella di Fornelli, che pertanto dovrebbe essere sottratta alla gestione del comitato del Parco nazionale. Si tratta naturalmente, di un’ipotesi cullata con molta dedizione dal ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli, tanto che si riaffaccia a distanze di tempo quasi regolari all’attenzione dei suoi collaboratori. Dai responsabili della gestione del Parco, ogni qualvolta la proposta viene alla luce, in genere quasi sussurrata per impedire proteste troppo violente, l’ipotesi viene rigettata con decisione, ritenendo una danno la presenza di carcerati all’interno dell’area del parco. Ferma la opposizione anche del consigliere provinciale Antonello Unida, che si è preoccupato più volte della sorti dell’Asinara come parco e che, per i problemi legati alle carceri, nei giorni scorsi aveva attuato uno sciopero della fame, per protesta sul mantenimento del penitenziario di San Sebastiano in città. Molto diplomatico invece il sindaco di Porto Torres, nella cui giurisdizione amministrativa rientra anche l’isola dell’Asinara, quale territorio comunale. Gilda Usai Cermelli ammette di aver avuto sentore della riproposizione da parte del Ministero del carcere a Fornelli, ma di non averne avuto notizia ufficiale. Che, però, vi siano probabilità che la notizia non sia la solita leggenda metropolitana, ma un’ipotesi realistica, lo giustifica un appuntamento previsto per martedì fra il sindaco Gilda Usai Cermelli ed il provveditore regionale per le carceri Nello De Cesari. "Tempo fa - ammette con molta cautela Gilda Usai Cermelli -, appunto in occasione della solita notizia ufficiosa che dava possibile il ricostituirsi di un sistema carcerario nell’isola dell’Asinara, ho inviato una lettera al ministro Castelli per chiedere, eventualmente, di conoscere le intenzioni del ministero ed il progetto". Alla lettera del sindaco turritano, si affrettò a rispondere per telefono il sottosegretario Gianni Letta, il quale spiegava che ogni decisione del ministero sarebbe stata portata a conoscenza degli amministratori. E che, comunque, l’amministrazione ne avrebbe avuto in visione i progetti relativi. Allo stato attuale, comunque, il comune turritano non ha avuto alcuna conferma, se non, appunto, il probabile appuntamento del Provveditore regionale con il sindaco, previsto per martedì mattina. Ma l’ipotesi di riaprire l’Asinara ai detenuti come sarà accolta dall’amministrazione? "No comment!", è stata la decisa risposta del sindaco, che ha aggiunto: "Sarà l’intera comunità, cui l’ipotesi verrà proposta, a decidere. Io non commento: è la città che deve rispondere". Milano: Tribunale riconferma "carcere duro" a Riina
Reuters, 15 novembre 2004
Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha bocciato la richiesta di revoca del regime carcerario speciale del 41 bis, il cosiddetto "carcere duro", presentata dai legali del superboss mafioso Salvatore Riina, attualmente detenuto nel carcere milanese di Opera. Lo hanno riferito fonti giudiziarie, citando il provvedimento di quattro pagine in cui il Tribunale dice che "non risulta essere venuta meno la sua capacità di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell’organizzazione criminale denominata Cosa Nostra". "Alla luce dei pareri pervenuti - motiva il Tribunale nella sua decisione - si attesta concordemente che l’inserimento di Riina al vertice dell’organizzazione criminale Cosa Nostra permane tuttora". Salvatore "Totò" Riina, che domani compirà 74 anni, è stato il capo del clan dei corleonesi che prese il potere in Cosa Nostra al termine della guerra di mafia negli anni 80, e che diede vita alla cosiddetta "svolta militare" dell’organizzazione criminale allo Stato che ebbe il suo apice nelle stragi di Capaci e via D’Amelio in cui vennero uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le loro scorte. Riina venne arrestato dal Ros dei carabinieri il 15 gennaio 1993 dopo oltre 25 anni di latitanza. Condannato a 12 ergastoli, è stato detenuto nel carcere speciale dell’Asinara, in Sardegna, fino al luglio ‘97, poi in quello di Marino del Tronto, ad Ascoli Piceno, e infine in quello di Opera. Perugia: ex detenuto minaccia di gettarsi da una gru
Il Messaggero, 15 novembre 2004
È salito sulla gru che sovrasta il cantiere di Palazzo comunale. Minacciandosi di gettarsi nel vuoto se qualcuno non lo avesse aiutato a trovare un lavoro. A.C., 48 anni, ex detenuto di origini siciliane assai noto in città, ieri mattina ha tentato di richiamare l’attenzione con questo gesto disperato. E per quasi un’ora, dalle 9 alle 10, ha tenuto in allerta polizia, carabinieri, vigili del fuoco e personale del 118 che era intervenuto sul posto subito dopo che alcuni passanti avevano dato l’allarme. Dopo averlo tranquillizzato, un ispettore di polizia lo ha convinto a scendere e l’ex detenuto è stato accompagnato in Commissariato dove ha avuto un colloquio con il dirigente Francesca Peppicelli. L’ex detenuto, peraltro, si era seriamente infortunato cadendo davanti al sagrato della chiesa di Santa Rita. Ma nonostante un polso slogato è riuscito ad arrampicarsi sino all’estremità della gru minacciandosi di gettarsi nel vuoto. Aurelia: ancora proteste, riprende il presidio dell’Osapp
Il Messaggero, 15 novembre 2004
Il Dipartimento non aumenta le unità e l’Osapp riprende il sit in di protesta sospeso l’8 ottobre scorso. Cgil, Cisl, Uil, Sappe, Sag intanto hanno ripreso le assemblee nell’Istituto di Civitavecchia per ribadire l’emergenza di organico in cui versa l’Istituto Penitenziario di Aurelia. "Il Dap è stato irremovibile e ad Aurelia non sarà inviata alcuna unità in più rispetto ai 17 agenti già assegnati. La situazione nell’istituto, è rimasta invariata, se non peggiorata. Il personale femminile diminuisce sempre di più - afferma il segretario regionale dell’Osapp Giuseppe Proietti Con salvi - e a questo si aggiungono le prime intimidazioni rivolte ai colleghi che partecipano al presidio, per i quali sembra stia per scattare il trasferimento in settori diversi da quelli in cui finora hanno prestato servizio. La sicurezza dell’istituto ha raggiunto livelli troppo bassi per questo la nostra azione sindacale e di protesta sarà ancora molto più dura". Stati Uniti: Nel piatto? Granchio delle montagne blu..
Giornale di Brescia, 15 novembre 2004
Cosa ne direste di un bel pranzetto a base di "Misto della prigione", magari seguito da una "Casseruola della galera" per finire con un "Dolce caramellato del blocco"? Se, fino a qualche tempo fa, per assaggiare tali specialità dall’inequivocabile sapore penitenziario bisognava di fatto essere reclusi nel carcere di Walla Walla, stato di Washington, Usa, ora sarà possibile prepararle a casa propria. Secondo quanto riportato, fra molti altri, dallo Usa Today, il più diffuso quotidiano statunitense, infatti, i carcerati di quella famosa galera hanno pubblicato un libro di ricette nel quale si forniscono dettagliate spiegazioni sulla ricerca culinaria di quei "cattivi ragazzi di buon gusto" stanchi dei pasti dello Stato. Il "Ricettario del carcerato", come si intitola il libro in vendita a 18 dollari, contiene anche un glossario sullo slang dei prigionieri ed un saggio in cui si spiega perché, nonostante i pasti che escono dalle cucine del carcere non siano immangiabili, i carcerati sentono la necessità di provare ogni tanto qualcosa di nuovo, mettendo al contempo alla prova la propria creatività. Dote più che mai necessaria, viste le difficoltà in cui si imbattono gli "chef dietro le sbarre" che non hanno a disposizione una cucina, né strumenti quali coltelli o pestelli o terrine. Ecco allora che il principale strumento di lavoro consiste in una busta di plastica dove mescolare gli ingredienti per preparazioni che, al massimo, possono essere bollite, utilizzando l’acqua calda ottenuta con una piccola resistenza in grado di portare ad ebollizione una tazza d’acqua. Per fortuna, alcune ricette possono essere realizzate utilizzando il calore del termosifone, mentre altre richiedono una preparazione a freddo, nel qual caso il clima dei rigidi inverni di quelle latitudini statunitensi si presta perfettamente alla bisogna. È il caso della ricetta fornita da Ron Valentine. Il suo "Granchio delle montagne blu" si prepara infatti mescolando nella solita busta di plastica una lattina di polpa di granchio, cui si aggiungono cracker sbriciolati, formaggio cremoso e maionese, il tutto ben lavorato con le mani. Una volta pronto, il composto va poi esposto fuori dalle sbarre della finestra in modo da solidificare col freddo. Senza alcun bisogno di cottura si prepara anche la "Pizza prigioniera", utilizzando per la base una confezione di spaghetti istantanei crudi, capaci di mantenere una consistenza leggermente croccante una volta assorbita l’umidità della salsa di pomodori, cui il recluso Donald Dunn, autore della ricetta, suggerisce di aggiungere peperoni, salsiccia e formaggio spalmabile. Subito pronte saranno anche le "Frittatine perfette di Dave Rivers" che verranno messe a bollire nella loro immancabile busta di plastica dove saranno stati miscelati gli ingredienti classici. E se il gusto vi sembra troppo delicato potrete irrobustire il palato con il "Sandwich del drogato fanatico" consistente in due biscotti al burro d’arachidi farciti con una barretta tipo "Mars" sbriciolata. Un dolce che sembra andare per la maggiore fra i reclusi eroinomani, avidi di zuccheri, o, chissà, anche fra i "liberi" bisognosi d’affetto. A morte la pena di morte…, articolo di Roberto Gervaso
Giornale di Vicenza, 15 novembre 2004
Mi è capitato in questi giorni fra le mani e sotto gli occhi l’ultimo rapporto sulla pena di morte nel mondo Nessuno tocchi Caino, pubblicato da Marsilio (un tascabile di 568 pagine, 16 euro). Un documento che tutti dovrebbero leggere: leggere e meditare. I Paesi in cui vige la pena capitale erano - nel 2003 - 63 (tre meno del 2002). L’Asia è continente dove si "giustizia" di più: 5.474 le vittime di leggi crudeli e codici mostruosi. In Africa, il numero delle sentenze capitali è sceso da 63 a 56. Nelle Americhe, la parte del leone, e del boia, la fanno gli Stati Uniti: 65 vittime nel 2003 contro le 71 del 2002. La cenerentola del Nuovo Continente è la Cuba di Castro, che si è accontentata (bontà sua) di mettere al muro nel 2003 solo tre persone. Sessantatre Paesi sono ancora troppi, ma i 133 che hanno rinunciato a questa barbarie non sono pochi. Forse verrà il giorno in cui le parole di Matteo non saranno solo parole, e i moniti evangelici non cadranno nel vuoto: "Avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente. Io, invece, vi dico di non resistere al male. Anche se uno ti colpisce alla guancia destra, offrigli la sinistra". Noi non chiediamo a nessuno, neanche a noi stessi, di piegarsi a un simile atto di masochistica umiltà, ma l’occhio per occhio e dente per dente, no: mai. "L’assassinio in base a una sentenza - scriveva Dostoevskij - è incompatibilmente più atroce del delitto del malfattore. Uccidere legalmente è un oltraggio all’anima, e niente di più. I testi sacri dicono di non uccidere. Mentre l’uomo, perché un altro uomo ha ucciso, decide che questo deve morire". Nessun delitto resti impunito. Chi è venuto meno alle leggi, chi ha violato il sesto comandamento, non può, non deve farla franca. Va assicurato alla giustizia, processato e condannato. E dopo il verdetto, se ha commesso un reato estremo, il solo, il giusto castigo è il carcere. Anche duro, durissimo. Nessuna pietà per chi non ne ha avuta per gli altri. Dietro le sbarre sconterà la pena, fatta salva la sua dignità di uomo e, attraverso l’espiazione, potrà redimersi. Il giudice, qualunque giudice, anche il meno fallibile, può sbagliare. Ma se non sbaglia, e se le prove che legittimano la sentenza sono schiaccianti e inoppugnabili, non può condannare a morte l’imputato. Non solo: deve distinguere fra delitto e delitto, anche se l’esito del sanguinario gesto è lo stesso. Un uomo può sopprimere un altro uomo a freddo, con scellerata e cinica determinazione, per calcolo, per rappresaglia, in nome di un dogma, di un’ideologia, di una pretesa superiorità razziale, ma può anche eliminarlo perché accecato dalla passione o dalla gelosia, in un impeto di furia bestiale. Se il lucido assassino non ha attenuanti, chi ha agito in preda a un raptus va giudicato con minor rigore, che non significa con pietistica indulgenza. Il primo è un omicida che avrebbe comunque commesso il suo crimine: il secondo, uno sventurato succube di una pulsione perversa, non l’esecutore di una volontà feroce, ma raziocinante, coscientemente finalizzata al male. Tutt’e due devono finire sul banco degli imputati, entrambi vanno condannati, ma nessuno, per nessuna ragione, dovrà subire l’onta della pena capitale. Se questa è ancora in vigore in tanti Paesi, anche vigili e democratici, come gli Stati Uniti, nessuna lotta è più santa e sacrosanta di quella per abolirla. Guai a chi tocca Caino. Droghe: mercoledì al Senato parte l’esame del ddl Fini
Il Tempo, 15 novembre 2004
Si sblocca al Senato il ddl Fini sulla droga. L’appuntamento è per mercoledì prossimo: dopo un’attesa di cinque mesi, le commissioni Giustizia e Sanità di palazzo Madama cominceranno a discutere del provvedimento voluto dal vicepresidente del Consiglio che inasprisce le sanzioni per il consumo di droga e mette fuori legge lo spinello. La maggioranza, An in testa, ha intenzione di approvare le nuove norme anti-droga in tempi veloci, anche se l’arrivo della Finanziaria al Senato obbligherà subito a uno stop di qualche settimana. Ancora prima dell’avvio della discussione in commissione, già montano le polemiche tra i due poli, che arrivano alla discussione generale su posizioni contrapposte. "Non è assolutamente vero, come dice falsamente qualcuno - sostiene il capogruppo di An al Senato Domenico Nania - che questa sia una proposta repressiva. Certamente lo è per chi produce e spaccia droga, per il resto è una proposta che riafferma il principio per cui drogarsi non è un diritto, mentre è un dovere delle istituzioni dare aiuto a coloro che si drogano e alle loro famiglie. È una legge di civiltà, e mi auguro che il Senato l’approvi rapidamente". Di avviso completamente contrario, il senatore diessino Guido Calvi, capogruppo in commissione Giustizia. "Il ddl Fini è una legge ottusa e repressiva, totalmente estranea alla cultura giuridica italiana". Secondo i Ds, l’uso personale delle droghe leggere non deve essere sanzionato mentre bisogna concentrarsi sulla piaga dell’eroina e delle altre droghe chimiche. Il centrosinistra ha presentato due disegni di legge (uno dei Ds, uno della Margherita), che saranno illustrati la prossima settimana. Il ddl Fini non fa distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti: per gli spacciatori di tutte le varie sostanze stupefacenti c’è sempre il carcere. Anche il possesso di droga destinata agli amici sarà considerato reato. Fumare uno spinello comporterà dei rischi: i trasgressori rischieranno la sospensione della patente o del passaporto e saranno obbligati a sottoporsi a un trattamento terapeutico. Immigrazione: sì definitivo alla modifica della Bossi-Fini
Gazzetta del Mezzogiorno, 15 novembre 2004
Sì definitivo dell’Aula della Camera al decreto legge sull’immigrazione, varato dal governo dopo la bocciatura di alcune parti della legge Bossi-Fini da parte della Corte Costituzionale nello scorso mese di luglio. I sì sono stati 266, 98 i no, sei gli astenuti; a favore hanno votato i gruppi della maggioranza, contro tutta l’opposizione, che ha contestato duramente il provvedimento in Aula. Oltre a nuove norme sulle espulsioni, il decreto legge di cui oggi alla Camera si è approvata la definitiva conversione prevede la possibilità per gli immigrati di rinnovare il permesso di soggiorno alle poste o in banca. Il Senato aveva a suo tempo deciso anche un giro di vite sui clandestini che restano in Italia nonostante l’espulsione: rischieranno fino a quattro anni di carcere. La principale novità introdotta dal dl è, comunque, la convalida delle espulsioni da parte dei giudici di pace. La soluzione era stata trovata dal governo per ovviare alle critiche della Corte Costituzionale, che aveva bocciato la Bossi-Fini perché poco "garantista". La legge sull’immigrazione votata dal centrodestra prevedeva, infatti, la possibilità di convalidare l’espulsione senza ascoltare l’immigrato e senza concedergli garanzie di difesa. Ora le garanzie ci sono, ma a pronunciarsi sull’espulsione è il giudice di pace e non un giudice ordinario, per evitare di ingolfare ulteriormente i tribunali. Durissimo il giudizio delle opposizioni sul provvedimento. "Questo decreto è un oltraggio alla civiltà giuridica che serve solo a criminalizzare gli immigrati", ha detto il diessino Carlo Leoni, sottolineando che "il fallimento della Bossi-Fini porterà al fallimento della Cdl". Il Verde Marco Boato ha invece evidenziato che "su questo decreto si è andati al muro contro muro: la Cdl non ha voluto accogliere nessuna proposta di modifica del testo benché ci fossero i tempi per fare un ulteriore passato in Senato. E poi ci si dice che si cerca il dialogo con l’opposizione...". Sala Consilina: Castelli; "Il carcere? Tanto rumore per nulla"
Il Mattino, 15 novembre 2004
Scongiurata definitivamente la soppressione del carcere del Vallo di Diano, sulla cui vicenda è intervenuto in prima persona anche il Guardasigilli Roberto Castelli. "Non ho mai pensato di chiudere il carcere di Sala Consilina - ha detto il Ministro della Giustizia - il provvedimento intorno al quale si è creato tanto rumore era solo temporaneo, in quanto la struttura necessita di lavori di ammodernamento. Dal momento, però, che grazie all’intervento dei parlamentari della zona e del sindaco di Sala Consilina è stato garantito l’impegno di provvedere ai lavori di ammodernamento della struttura prima della realizzazione del nuovo carcere, il provvedimento di sospensione dell’attività penitenziaria è stato definitivamente cancellato. Per la nuova struttura carceraria di Sala Consilina - ha continuato il Ministro Castelli - sono già pronti 33 milioni di euro e, unitamente al decreto che ho firmato ieri mattina per la realizzazione di un nuovo Palazzo di Giustizia a Sapri". Il ministro assicura che non solo non sarà soppressa la casa circondariale, ma anche le voci alimentate sulla paventata soppressione del Tribunale di Sala Consilina sono assolutamente infondate. "Gli abitanti del posto - ha concluso Castelli - possono stare tranquilli. Tramite il senatore Borea ho già provveduto a rassicurare le istituzioni e le associazioni che si erano rivolte a me". Soddisfatto delle precisazioni dell’on Castelli è stato il sindaco di Sala Consilina Gaetano Ferrari. Teramo: festa per la fine del ramadan in carcere
Il Tempo, 15 novembre 2004
Sicuramente un appuntamento diverso dal solito, particolare. La presenza di musulmani in carcere a cui si è aggiunta la partecipazione di due marocchini che in carcere svolgono un ruolo di stagisti per un corso della Provincia, ha messo in piedi la festa di questa mattina, nel carcere di Castrogno, per la fine del ramadan. "L’amministrazione penitenziaria è molto attenta alla libertà religiosa - ha detto Michele Sidoti, responsabile dell’area educativa a Castrogno - favorisce la libera espressione della propria religione a ognuno che ne manifesti l’intenzione. "Così in questi giorni c’è stata maggiore attenzione anche per il vitto - ha aggiunto - anziché a mezzogiorno è stato la sera, con la possibilità di poter scegliere se averlo crudo a cotto, quando le regole solitamente consentono solo cibi cotti". Stamattina alle 9.30 la festa per la chiusura che è stata proposta dagli stagisti che stanno frequentando il corso, organizzato dal settore politiche sociali e immigrazione dell’amministrazione provinciale. Un corso per mediatori culturali a cui partecipano due marocchini. Oggi sarà l’Imam della moschea di San Nicolò a Tordino a tenere il suo sermone prima della preghiera comunitaria. "Si tratta di un momento riservato alla loro festa - ha concluso Michele Sidoti - così come è stato fatto per i cristiani a Pasqua e per i testimoni di geova per la loro pasqua. Si tratta di occasioni che rasserenano, distendono gli animi. Alla fine della festa è previsto un rinfresco a base di dolci e tè". Enna: si inaugura azienda per la riabilitazione dei detenuti
La Sicilia, 15 novembre 2004
Il 18 novembre, alle ore 11.30, sarà inaugurato ufficialmente il progetto Polo di eccellenza e di promozione umana e di solidarietà, sorto nel fondo rurale sito in contrada Russa dei boschi a Caltagirone, dedicato alla redenzione del mondo carcerario, che ospita già nel suo seno i primi tre detenuti. L’inaugurazione del Fondo, che fu dei fratelli Mario e Luigi Sturzo, avverrà alla presenza dei vescovi di Caltagirone Vincenzo Manzella, e di Piazza Armerina Michele Pennisi, del presidente della Fondazione Salvatore Martinez e del direttore generale dell’amministrazione penitenziaria Sebastiano Ardita. Testimone speciale dell’evento, Ronald Nikkel, presidente mondiale della Prison Felloship International, la più grande organizzazione nella difesa dei diritti carcerari. Sarà presente anche l’attrice Claudia Koll, nella qualità di madrina. E così, dopo la stipula della Convenzione con il Dipartimento nazionale dell’amministrazione penitenziaria, avvenuta lo scorso anno, nell’ambito di un convegno programmatico il "Progetto Sturzo" entra nel vivo della sua operatività, trasformando il fondo rurale in una cittadella che, allo scadere di cinque anni, sarà in grado di ospitare una ventina di detenuti in fase finale di pena insieme alle loro famiglie. Scopo del progetto è di favorire la loro reintegrazione sociale, morale, affettiva culturale e economica, pertanto i detenuti potranno impegnarsi in attività produttive nei settori dell’agricoltura e della zootecnia. È prevista anche la creazione di laboratori di trasformazione dei prodotti, e la creazione di ambienti di socializzazione ed evangelizzazione, tra cui un museo storico dedicato ai fratelli Sturzo e un’università della promozione umana per la formazione scolastica e la specializzazione nel campo del terzo settore, del volontariato sociale e del dialogo interculturale. Data l’importanza dell’evento l’opera sarà presentata, nel giorno precedente l’inaugurazione, nell’ambito del Forum interculturale promosso dal Consiglio d’Europa, che si terrà a Troina, al quale parteciperanno rappresentanti di 48 stati europei e extraeuropei, poiché il progetto Sturzo si inscrive nell’ambito del più grande progetto denominato "Città aperte nel mondo" che da Troina va diffondendosi nei cinque continenti come "primo quartiere aperto" dedicato ai carcerati. Apprezzamenti per l’iniziativa da parte del vescovo Michele Pennisi e dal coordinatore nazionale del Rinnovamento nello Spirito, Salvatore Martinez. Enna: apre una "cittadella" per detenuti e famiglie
Vita, 15 novembre 2004
Una "cittadella" che ospiterà, in via sperimentale, tre detenuti che devono finire di scontare la loro pena e i loro familiari sarà inaugurata giovedì prossimo nel Fondo rurale storico che fu dei fratelli Mario e Luigi Sturzo, in Contrada Russa dei Boschi a Caltagirone. Il "Progetto Sturzo" di recupero e reinserimento è realizzato dall’ istituto di promozione umana Mons. Francesco Di Vincenzo e dal Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria. L’ iniziativa prevede la realizzazione di una "cittadella" destinata al reinserimento sociale dei detenuti in fase finale di pena e delle loro famiglie che, fatto unico in Europa, vivranno con i detenuti per partecipare ad un programma triennale alternativo alla carcerazione in vista di una piena riabilitazione affettiva, morale, sociale, culturale ed economica. Entro 5 anni, la "cittadella" potrà ospitare una ventina di detenuti regolarmente retribuiti, che saranno coinvolti insieme ad altrettanti operai in stato di libertà in attività produttive nei settori dell’agricoltura e della zootecnia. Prevista, in prima istanza, la riqualificazione fondiaria e il recupero della residenza storica degli Sturzo; successivamente, la creazione di laboratori di trasformazione dei prodotti, ambienti di socializzazione e di evangelizzazione, un auditorium da 250 posti, una biblioteca e un museo storico dedicato agli Sturzo, venti villette mono familiari e un’ università della Promozione Umana per la formazione scolastica e la specializzazione nel campo del terzo settore, del volontariato sociale, del dialogo interculturale. Nel Progetto Sturzo saranno coinvolti oltre cinquanta volontari specializzati in corsi rieducativi a sfondo psico-pedagogico e socio-ricreativo. "Questo progetto - hanno affermato il vescovo di Piazza Armerina, Michele Pennisi, e il coordinatore nazionale del Rinnovamento nello Spirito, Salvatore Martinez - è l’annunzio di una novità di bene che dalla Sicilia interpella tutti gli uomini di buona volontà per la creazione di autentici spazi di libertà e di riconciliazione. Una grande opera nel cuore euromediterraneo, in memoria di due grandi europeisti, che testimonierà la benevolenza di molti uomini e la redenzione di tantissimi altri, in una terra in cui tante profezie di redenzione sociale attendono ancora il loro compimento". Alla cerimonia di inaugurazione saranno presenti, tra gli altri, il direttore generale del Dap, Sebastiano Ardita, e il presidente mondiale della Prison Felloship International, la più grande organizzazione nella difesa dei diritti carcerari, Ronald Nikkel. Madrina dell’ evento l’attrice Claudia Koll. Bari: recupero sociale dei detenuti, siglato un accordo
La Gazzetta del Mezzogiorno, 15 novembre 2004
Accordo tra Amministrazione penitenziaria e Conferenza regionale volontariato giustizia della Puglia per il recupero sociale dei detenuti. L’accordo è stato siglato ieri, tra il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Rosario Cardillo e don Raffaele Sarno legale rappresentante della Conferenza. "La collaborazione tra le due parti - si legge in una nota - darà vita a specifiche iniziative a livello provinciale, sia attraverso azioni di sostegno al reinserimento sociale dei soggetti sottoposti a misure alternative alla detenzione che attraverso interventi di sensibilizzazione delle comunità locali, per la promozione della cultura della legalità e per la partecipazione attiva della cittadinanza al recupero dei condannati". Milano: Cd "Avanzi di galera" vince Premio Cenacolo Editoria
Redattore Sociale, 15 novembre 2004
Avanzi premiati. Il Cd-rom "Avanzi di galera", progetto multimediale di ricette e suggerimenti dell’arte dell’arrangiarsi in cucina, realizzato dai detenuti del carcere milanese di San Vittore, ha vinto la sezione "Editoria" dell’edizione 2004 del "Premio Cenacolo per l’editoria e l’innovazione", promosso da Assolombarda, Il Sole-24ore, Mediaset, Mondadori, Radio e Reti ed Rcs MediaGroup, con una giuria presieduta da Umberto Eco. "Aver ricevuto questo premio significa che tutto è possibile", commenta Emilia Patruno, giornalista e Direttore de "Il due", giornale dei detenuti del carcere milanese, i cui redattori hanno idealmente vestito i panni di cuoco realizzando i contenuti del Cd-rom premiato oggi. Il supporto contiene 80 ricette originali, dal "cavolfiore nel cellone" alle "zucchine in salsa dell’ergastolano", ed insegna a costruirsi strumenti utili come un fornellino con la carta di giornale, un coltello e una grattugia. Le quattro sezioni in cui è articolato il cd rom (Ricette, Interviste, Racconti, Istituzioni) sono accompagnate da numerosi contributi audio-video e arricchiti dalle musiche di Fabrizio De André, Giorgio Gaber e Fred Bongusto. Un modo per conoscere meglio la condizione di chi vive in carcere, non senza un pizzico di auto ironia. "Sono onorata di questo Premio - prosegue la Patruno -: è l’occasione per rivendicare il bisogno di un’attenzione più costante verso il mondo del carcere, per far capire quanta umanità ci sia dietro le sbarre, e quanta voglia di comunicare. Oggi si è parlato di nuovi media, dispositivi che integrano radio,televisione e telefono in un singolo apparecchio. In un contesto come questo e da un posto fuori dalla storia come il carcere, luogo della pena corporale dal quale, per definizione, non si può comunicare, siamo riusciti a dire qualcosa di importante al mondo esterno, attraverso il nostro Cd-rom e soprattutto il sito internet del nostro giornale (www.ildue.it, ndr)". Nato quattro anni fa per promuovere gli aspetti più innovativi della produzione editoriale italiana e per valorizzare il sistema editoria-comunicazione e il ruolo di Milano come capitale di questo settore, quest’anno il Premio Cenacolo ha selezionato 659 candidati nelle sezioni Editoria, Giovani e Comunicazione. I vincitori sono stati scelti da una giuria presieduta dallo scrittore Umberto Eco e composta da docenti universitari, imprenditori ed operatori del mondo della comunicazione. In occasione della premiazione di "Avanzi di galera" la magistratura di sorveglianza del carcere di San Vittore ha concesso un permesso straordinario a un detenuto e ha consentito ad alcuni reclusi di recarsi alla cerimonia di consegna del Premio. Roma: gli assistenti sociali contrari alla riforma dei Cssa
Ansa, 15 novembre 2004
La Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine Assistenti Sociali esprime il suo dissenso al disegno di legge che vuole la trasformazione dei Centri di servizio sociale per adulti della Giustizia con incarichi repressivi e di controllo Assistenti sociali contro la nuova normativa che vuole trasformare il Cssa (Centro Servizi Sociali per Adulti). La Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine Assistenti Sociali esprime il suo dissenso al disegno di legge che vuole la trasformazione dei Centri di servizio sociale per adulti della Giustizia con incarichi repressivi e di controllo piuttosto che riabilitativi. Il 14 Luglio 2004 è stato approvato al Senato della Repubblica il Disegno di Legge n. 1184: "Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria". Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, avendo attentamente considerato il testo, attualmente all’esame della Camera dei Deputati, esprime la propria decisa contrarietà ad un provvedimento che riconduce sostanzialmente ad una concezione puramente afflittiva della pena e accentua gli aspetti di controllo nella espiazione della stessa, trascurando l’impegno alla riabilitazione, che pure è irrinunciabile perché sancito dalla Costituzione, recepito nell’attuale ordinamento giudiziario non meno che dalla comune coscienza e dalla consapevolezza dei cittadini. L’importanza dell’impegno riabilitativo dal punto di vista sociale e normativo. La trasformazione dei Cssa (Centri di Servizio Sociale per Adulti) in Ulepe (Uffici locali esecuzione penale esterna), eclissa l’esplicito riferimento al servizio sociale professionale, con il suo peculiare portato, che coniuga il mandato di controllo sociale con l’impegno all’aiuto in vista del recupero sociale, e accentua esclusivamente la funzione di controllo e di repressione. L’art. 72 dell’Ordinamento Penitenziario del 1976 pone il servizio sociale come soggetto centrale nella gestione delle misure alternative (in particolare dell’affidamento al servizio sociale) dando rilevanza al principio costituzionale di recupero sociale del condannato. La normativa vigente considera il Cssa un servizio sociale decentrato dello Stato che si inserisce e integra con i servizi sociali territoriali, predisponendo e attuando progetti e programmi integrati (servizi, operatori, professionalità, risorse) per coloro che espiano tutta o parte della pena attraverso misure alternative al carcere. Togliere tale prospettiva, escludere il concreto impegno riabilitativo, appiattire il servizio sociale professionale a una mera funzione di controllo, stravolge il mandato sociale fin qui assegnato e svolto dal servizio sociale professionale, appiattisce di conseguenza la professione rappresentata in compiti impropri perché non saldamente coniugati alla funzione di aiuto assegnata agli assistenti sociali anche dalla legge 84/93 istitutiva dell’Ordine. In passato si erano già registrati tentativi di modificare la denominazione dei suddetti servizi, ma nell’anno 2000 la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati aveva espresso un parere negativo, che non possiamo non rammentare e riproporre condividendolo appieno: "la modifica del nome può far sorgere fraintendimenti sulla modifica della natura del mandato istituzionale ai Cssa". Il coraggio di pensare ad una "festa del detenuto"…
Agenpress.it, 15 novembre 2004
Quanti uomini civili saranno passati davanti ad una cella, senza mai illuminarla. Chissà se qualcuno di questi uomini avrà un giorno il coraggio di festeggiare un detenuto. Quante volte si sono riempite pagine di giornali sui problemi dei detenuti. E quante volte la società "cosiddetta civile" si è promessa di risolverli. Ma tutte le volte ci siamo addormentati senza mai sognare un detenuto. Purtroppo nella nostra vita ci sono angoli bui che stentano ad illuminarsi. Ci sono pozzi dove vi guardiamo dentro, sappiamo che c’è l’ acqua ma non riusciamo a vederla. Sappiamo che esistono le carceri ma non riusciamo a vedere i volti dei detenuti. Comunque la cosiddetta "società civile", ci dice che l’importante è sapere che esistono le carceri e che a qualcosa servono. Ma non dice che la civiltà di una società si misura sulla quantità di detenuti che sono presenti nelle carceri di un Paese. Non dice che molti detenuti diventano uomini inutili, consapevoli della propria inutilità. Non dice che la loro speranza viene prosciugata senza che nemmeno una goccia rimanga nel proprio corpo. Purtroppo quella società sta diventando sempre più attuale, sempre più plateale, dove ogni Istituzione ricerca consensi per manifestare forse solo pseudopere. Non esiste più l’uomo sconosciuto, ognuno deve reclamizzare e pubblicizzare il proprio prodotto. E ciò avviene anche nelle manifestazioni, "una tantum", sulle carceri. Cosicché la tragedia di un detenuto diventa la farsa di un uomo. Quanti uomini civili saranno passati davanti ad una cella, senza mai illuminarla. Chissà se qualcuno di questi uomini avrà un giorno il coraggio di festeggiare un detenuto. La Festa del detenuto nasce dall’esigenza di voler sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di chi si ritrova recluso. Il detenuto è un uomo che ha sbagliato più degli altri. Ma ha anche sofferto più degli altri. Certamente la sofferenza non giustifica gli atti delinquenziali, ma chissà quanti di questi atti potevano essere prevenuti, se accanto a quegli uomini ci fosse stata una società civile che fosse stata maestra e non tutore, che fosse stata esemplare e non da esempio, che non abbia sempre avuto l’esigenza e la necessità di giudicare. Forse da una società si chiede troppo, ma un uomo "divenuto" detenuto ha sempre chiesto meno di altri, ha sempre ricevuto meno degli altri, ha sempre urlato sottovoce. Non per timore ma per paura che quelle parole potessero essere vere. Il dramma di un detenuto e il suo vissuto non viene considerato ai fini procedurali, egli diventa un "processo" dove non è più padrone della propria dignità. È uno schiavo della giustizia. È un soldato che prende ordini. È un soggetto debole e come tale è sottoposto a procedure che a volte si sono dimostrate sbagliate. Gli errori giudiziari condannano un uomo più di una pena vera e propria. Le condizioni di vita all’interno degli istituti di pena ledono la dignità dell’uomo, laddove si parla di recupero per le colpe commesse. Il disagio di una convivenza numerosa al limite delle condizioni igieniche, offendono la persona e oltraggiano il senso civile di ognuno. È moralmente e giuridicamente giusto scontare la pena di una colpa commessa, in considerazione della gravità del reato. È altresì moralmente e giuridicamente giusto scontarla senza offendere la dignità di nessuno. L ‘elevato numero delle persone ristrette fa sì che ciò non avvenga. Fa sì che le carceri diventino un ammassamento umano del quale se ne parla tanto a fronte di scarsi risultati. La "Festa del detenuto" è la festa di chi non ha voce nella società. Di chi non ha la possibilità di difendere la propria dignità. Di chi vuol aprire la propria porta agli altri per accompagnarli in un mondo diverso, lontano dalla società civile. Un giorno per dar voce alle problematiche di questo mondo. Un giorno per ricordare c’è un mondo sommerso che deve essere portato alla luce. Un giorno a porte aperte. Un giorno soprattutto per ascoltare la loro voce e quella dei familiari Un giorno in cui far capire che i detenuti esistono anche al di là delle belle parole che si ascoltano e al di là delle propagande politiche. Un giorno per far capire che un detenuto è soprattutto un uomo, con la sua vita, la sua famiglia. Un giorno in cui i Giudici e Pubblici Ministeri, debbono "spogliarsi della toga" e diventare "finalmente uomini", capaci di capire l’uomo, la sua vita, prima ancora che la sua colpa. Un giorno per dar voce alle numerose associazioni di volontariato che operano a favore dei detenuti per il loro reinserimento nella società. Un giorno in cui poter affrontare l’annoso problema dei procedimenti giudiziari, delle misure cautelari coercitive ristrette ed alternative. La detenzione cautelare pone l’uomo in uno stato di condanna prima ancora di essere giudicato, e questo non solo di fronte alla giustizia, ma anche di fronte alla società, abituata a giudicare da ciò che vede. Avviene così che la vita di un uomo viene distrutta in un attimo, e con lui la famiglia. Per questo bisogna lottare affinché chi amministra la giustizia si renda conto che un uomo con l’attuale trattamento viene giudicato ancor prima di essere condannato. I controlli domiciliari, diurni e notturni, da parte delle forze dell’ ordine lo pongono in uno stato di disagio sociale notevole. Disagio che potrebbe essere evitato con l’utilizzo di persone e macchine civili. Ma ai giudici e pm importa poco, anzi per niente, di questo disagio. E quello che sembrerebbe essere un beneficio, in quanto alternativo al carcere, si rivela una punizione maggiore. Il malessere e l’imbarazzo prendono il posto di quel beneficio, soprattutto per la mancanza di quella riservatezza che viene a mancare, e prima ancora di essere eventualmente condannati da un giudice lo si è dalla società. Ripeto "eventualmente", perché la custodia cautelare in carcere o domiciliare, a breve o lungo termine, è una misura spesso sbagliata, in considerazione soprattutto della persona che vi è sottoposta, della sua vita, delle sue esigenze personali ed economiche, che vengono in tal modo danneggiate. Un giorno importante dedicato ad un problema importante, del quale la società civile, la politica e la giustizia debbono tenerne conto. Un giorno dedicato a dibattiti, convegni e non solo parole o promesse. Ma fatti. E i fatti si fanno facendo sentire la propria voce, con quella dignità che altri vogliono annientare. Solo la "forza dei deboli" potrà far sentire la voce di quegli uomini detenuti al di sopra di quegli uomini liberi. Il coraggio di festeggiare il detenuto è arrivato. Da oggi chiunque voglia aderire a questa iniziativa può inviare una e-mail di adesione all’indirizzo agenpp.press@tin.it oppure al numero di fax 06.233222550.
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