Rassegna stampa 26 maggio

 

Terni: il progetto "Sestante", per dare lavoro ai detenuti

 

Il Messaggero, 26 maggio 2004


Reinserire nel mondo del lavoro e recuperare alla società civile chi ha avuto problemi e in condizioni normali non ce la farebbe. Il senso del progetto "Sestante", della Caritas Italiana, portato avanti a livello locale dalla sezione diocesana e dall'Associazione San Martino con i fondi dell'otto per mille, è tutto qui.

In un anno di attività, i risultato sono stati di grande livello, anche in considerazione del fatto che si è scelto di puntare l'attenzione su un ramo di persone davvero in difficoltà come i detenuti o ex detenuti del carcere di vocabolo Sabbione.

I dati del primo anno del progetto sono stati resi noti dalla diocesi nei giorni scorsi: a fronte di millecentottantuno persone che si sono rivolte al servizio orientamento ed inserimento lavorativo di strada di valle verde, ben duecentododici (il 34.5%) hanno trovato un posto di lavoro: su centosedici detenuti, invece, che si sono rivolti allo sportello attivato presso il carcere, nove lavorano presso aziende esterne e quattro (due dei quali reclusi ad Orvieto) lo faranno appena riceveranno i necessari permessi.

Dietro il progetto "Sestante" ci sono tante storie di vita. Bruno Andreoli, presidente della Caritas diocesana ne parla con orgoglio. «Noi offriamo delle borse lavoro - spiega - con le quali contattiamo le aziende, proponendo di 'prendere' gli ex detenuti per un periodo di prova pagato con quei soldi, chiedendo poi, una volta finito il percorso, l'impegno 'morale' ad assumerli. Così capita che molti detenuti o ex detenuti ricomincino a fare i lavori che svolgevano prima della detenzione, muratori, carpentieri, elettricisti, meccanici e lentamente si riavvicinano ad una vita normale. In qualche caso capita che non abbiano esperienze, così per loro, buttarsi nel mondo del lavoro diventa una cosa nuova: anzi, è proprio in due casi del genere, che abbiamo già ricevuto l'impegno delle aziende all'assunzione, precisamente da una lavanderia e da una cooperativa sociale».
Ma il progetto "Sestante" è molto di più. Vuol dire anche un rapporto di fiducia e vicinanza più stretta con i detenuti.

«Noi incontriamo i detenuti nel carcere - spiega Andreoli - tramite un gruppo di nostri volontari e prendiamo atto di quelle che sono le loro esigenze, come ad esempio vestiti o cose di prima necessità. Con i mezzi a disposizione della Caritas, cerchiamo quanto possibile di far fronte a queste necessità».
I detenuti mostrano di apprezzare e si avvicinano al progetto "Sestante" con la fiducia di affidarsi a persone amiche: al di là di quelle sbarre, per loro potrebbe affacciarsi un futuro nuovo, che li porterà a reinserirsi da uomini liberi nella società e nel mondo del lavoro.
Una possibilità per uscire da un lungo tunnel.

 

Decisiva la collaborazione con lo sportello dell’Inps

 

Il progetto Sestante nasce anche attraverso la collaborazione dell’Inps che svolge una parte importante per quanto concerne lo sportello sito all’interno della casa circondariale di Terni: "Lo sportello- spiega Giampaolo Cianchetta, direttore della sede ternana - si chiama Punto Cliente Inps e si rivolge alla popolazione carceraria che in questo modo può usufruire dei servizi informativi e delle pratiche relativi alla posizione contributiva dei singoli". In pratica, coloro che hanno lavorato prima di essere reclusi all’interno del carcere, possono verificare costantemente la propria posizione all’interno di questa struttura ad hoc: "La novità- spiega Cianchetta - è che esso è gestito direttamente dal personale del carcere, che ha partecipato ad un corso di formazione realizzato dall’Inps a questo scopo". Il progetto, di cui il carcere ternano è la sede pilota, dovrebbe partire presto anche negli istituti di pena di Regina Coeli a Roma, di Padova e della Sardegna.

 

I numeri del progetto Sestante:

1181 le persone appartenenti alle fasce deboli che si sono rivolte al servizio di orientamento ed inserimento al lavoro della Caritas;

212 quelle impiegate (34.5%);

116 i detenuti che si sono rivolti allo sportello sito all’interno del carcere di Terni;

9 quelli che attualmente lavorano;

4 quelli in attesa dei permessi per cominciare a lavorare dei quali 2 reclusi ad Orvieto.

Lucca: sportello - lavoro all'interno della Casa Circondariale

 

Nove da Firenze, 26 maggio 3004

 

La casa circondariale di Lucca ospiterà uno sportello per la ricerca del lavoro, attivato dalla Provincia attraverso il Centro per l’impiego, in modo tale da garantire attività di consulenza e di orientamento ai detenuti che scontano la propria pena nella struttura cittadina.

Il servizio, previsto nel protocollo d’intesa siglato dagli assessori alle politiche per il lavoro e alle politiche sociali della stessa Provincia, dal direttore della Casa circondariale "San Giorgio" e dal direttore generale dell’Asl 2 di Lucca, prevede appunto l’apertura di uno sportello informativo all’interno del carcere con l’obiettivo di assicurare attività di informazione, consulenza e orientamento per i detenuti.

L’iniziativa è stata presentata stamani (martedì) a Palazzo Ducale dal presidente della Provincia, Andrea Tagliasacchi, dal responsabile del Centro per l’impiego di Lucca, Leonardo Frizzi e da Angelo de Lellis educatore della Casa Circondariale lucchese.

Si tratta di un’attività complementare a quella regolarmente svolta dai diversi Centri per l’impiego aperti dall’amministrazione provinciale e che garantisce quindi gli stessi servizi erogati su tutto il territorio provinciale.

Il personale del Centro per l’impiego di Lucca, con il supporto della direzione della Casa circondariale, darà modo ai detenuti che stanno ormai terminando di scontare la pena, di conoscere le opportunità lavorative e di cominciare ad orientarsi nel panorama occupazionale. Il centro per l’impiego assicurerà la presenza di un orientatore al lavoro una volta a settimana e precisamente il martedì dalle 9.00 alle 11.00.

Dunque un’azione di carattere conoscitivo che sarà svolta attraverso l’illustrazione delle offerte di lavoro, con il supporto di colloqui per mettere a fuoco potenzialità, aspettative e ambiti lavorativi.

"Si tratta di un servizio particolarmente importante – spiega il presidente della Provincia Andrea Tagliasacchi – in quanto consente a coloro che stanno finendo di scontare la pena detentiva, di avere un primo contatto concreto con la realtà lavorativa del territorio. Un’azione di orientamento che permetterà loro di cominciare a conoscere e valutare le opportunità che li attendono fuori dal carcere, in modo da fornire importanti incentivi in questa delicata fase e quindi da sostenere, nelle forme adeguate, il reinserimento nel mondo del lavoro e della società".

Biella: delegazione del Prc visita la Casa Circondariale

 

Biella on line, 26 maggio 2004

 

Una delegazione del Gruppo Consigliare Regionale di Rifondazione Comunista, composta dall’On. Graziella Mascia (Deputato del PRC), da Mario Contu (Consigliere Regionale PRC) e da Antonio Filoni (Consigliere comunale PRC), ha visitato la Casa Circondariale di Biella.

Tale visita rientra nella seconda azione di monitoraggio del sistema penitenziario piemontese (il primo si era concluso nel novembre 2003) e si lega alla proposta di legge d’istituzione del Difensore Civico dei detenuti.

Il monitoraggio del sistema penitenziario piemontese, in riferimento alla Casa Circondariale di Biella ha messo in evidenza diversi aspetti, non tutti negativi, riassunti in un documento redatto dal Gruppo Consigliare Regionale di Rifondazione Comunista.

La struttura di Biella (inaugurata a fine 1988) era prevista originariamente per 190 detenuti, ma ne ospita oggi 283, cui vanno aggiunti, fuori circuito, 12 detenuti che scontano la pena con le misure alternative previste dall’Ordinamento Penitenziario, 7 dei quali in articolo 21 dell’O.P. (uscita dal carcere per il solo orario di lavoro all’esterno) e 3 che usufruiscono della semilibertà (obbligati al solo rientro serale in carcere sia nei giorni lavorativi che festivi). A questi vanno sommati 2 detenuti che operano alle dipendenze di una cooperativa che ha in appalto i lavori di pulizia degli uffici e della caserma della Polizia Penitenziaria.

Queste opportunità di lavoro sono possibili utilizzando i fondi della L.R. 45/95 e rappresentano anche il segnale che il carcere si presenta come una realtà ben integrata ed accetta dalle amministrazioni locali, infatti gran parte di questi detenuti in misura alternativa lavorano presso i Comuni di Biella, Cossato e Vigliano.

Va sottolineato che solo un detenuto extra-comunitario è ammesso al lavoro esterno a dimostrazione di quanta strada ancora bisogna percorrere nelle politiche d’integrazione dei migranti.
Sempre sul fronte del lavoro va registrato un dato estremamente interessante: ben 16 detenuti usufruiscono di una borsa lavoro nell’azienda floro vivaistica impiantata negli spazi verdi all’interno della cinta carceraria, nell’ambito di un progetto che prevede il loro definitivo inserimento lavorativo a fine pena.

I lavori interni della comunità carceraria (lavanderia, cucina, pulizie generali, piccoli lavori di manutenzione etc.) sono assicurati da 63 incarichi affidati a rotazione ai vari detenuti.

Gravissima appare la carenza di personale di Polizia Penitenziaria, attualmente sono in forza al carcere di Biella 171 agenti, ma a questi vanno sottratti 5 agenti in missione e 7 agenti distaccati ad altre mansioni. Pertanto gli agenti di Polizia Penitenziaria effettivamente in servizio sono solo 159 nonostante la pianta organica ne preveda 200 (41 in meno, pari al 20%). Costretti ad operare su 3 turni da 8 ore, anziché, come previsto dal contratto, su 4 turni da 6 ore, subiscono gravi limitazioni ai loro diritti contrattuali con pesanti ricadute sulle condizioni di vita dei detenuti all’interno del carcere.

Nel comparto amministrativo mancano ben 12 impiegati nonostante la pianta organica ne preveda 20 (-60%).

L’area pedagogica, che svolge una funzione importante per i progetti relativi al reinserimento sociale dei detenuti, prevede in pianta organica 4 educatori. Attualmente risultano in servizio un solo educatore ministeriale e uno dei due educatori assunti a tempo determinato. Uno degli educatori a tempo determinato ha dato le dimissioni. L’area pedagogica di Biella quindi, attualmente, funziona con un organico ridotto del 50%. Il secondo monitoraggio intende soprattutto accertare la condizione di detenzione in relazione alla posizione giuridica dei detenuti.

Oltre il 30% dei detenuti risulta essere in attesa di giudizio o comunque con una condanna non definitiva, infatti: 43 sono gli imputati (in attesa di giudizio), 40 sono gli appellanti (in attesa del giudizio di appello), 16 i ricorrenti (in attesa della sentenza di cassazione), 184 risultano essere i detenuti condannati a pene definitive.

Un’altra grave emergenza è rappresentata dal crescente numero dei tossicodipendenti detenuti: a Biella sono ben 89 (il 31%) presenza questa che si scontra con le evidenti difficoltà del trattamento carcerario.
Gli stranieri detenuti sono ben 103 che, su 283 rappresenta il 36% della popolazione detenuta, mentre le comunità più consistenti sono il Marocco e l’Albania.

In tutto il carcere sono attivi alcuni corsi di Formazione Professionale: floricoltura, cucina e un laboratorio per la riparazione di biciclette; vi sono inoltre due corsi di alfabetizzazione (per italiani e per stranieri) e di scuola media.

La Casa Circondariale di Biella ospita diverse tipologie di detenuti: accanto alle classiche sezioni per detenuti imputati, appellanti, ricorrenti e definitivi abbiamo anche una sezione in cui sono ristretti quei detenuti condannati per fatti di pedofilia o altri reati di matrice "sessuale", una sezione cosiddetta E.I.V. (Elevato Indice di Vigilanza) in cui oggi vi sono ristretti 15 detenuti ed infine una comunità interna di 1° livello per detenuti tossicodipendenti.

Quella del volontariato è una delle "ricchezze" di questo carcere: sono circa una trentina che, per un carcere con 283 detenuti è moltissimo. Questo forte impegno del volontariato segna positivamente il rapporto dell’istituto con la città. Una comunità cittadina che non lo isola come un bubbone infetto, ma che lo considera come un quartiere a tutti gli effetti, un quartiere sicuramente con qualche problema in più, ma pur sempre popolato da persone titolari di un diritto di cittadinanza.

Per contro l’area sanitaria è poco attrezzata per cui tutte una serie di analisi e di cure devono essere effettuate all’esterno e qui si somma il problema di una Polizia Penitenziaria, incaricata dell’accompagnamento dei detenuti all’ospedale, fortemente sotto organico. A completare queste carenze c’è da segnalare la mancanza degli specialisti in oculistica, ortopedia e chirurgia.

In un quadro così preoccupante di limitazione dei diritti e di opportunità che caratterizza tutto il sistema carcerario piemontese, un’altra nuova emergenza è rappresentata dall’aumento delle patologie psichiatriche, magari anche solo borderline, ma con un quadro di disagio psichico sempre più diffuso.

In questo quadro si collocano anche tutti quegli atti nei quali il detenuto si procura volontariamente ferite (o altri atti anti-conservativi) per le più diverse motivazioni.
La fredda statistica del Ministero inquadra questa problematica secondo tre tipologie: autolesionismo, tentato suicidio e sciopero della fame.

Nel carcere di Biella gli eventi critici che si sono verificati dal 01.07.2003 al 31.12.2003 (quindi in un solo semestre) sono stati: 20 episodi di autolesionismo (14 imputati e 6 definitivi), 4 tentati suicidi (dei quali 3 imputati e 1 definitivo) e 16 episodi di sciopero della fame (dei quali 2 imputati e 14 condannati).

"Continua" conclude il documento redatto dai rappresentanti di Rifondazione "il nostro impegno di monitoraggio del sistema carcerario ed è in questo contesto che si colloca la proposta di legge d’istituzione del Difensore Civico dei detenuti, figura fondamentale per garantire il rispetto di quei diritti soggettivi che la condizione di detenuto mai e poi mai può annullare".

Napoli: "Davanti a me é caduto il cielo", libro delle detenute di Pozzuoli

 

Yahoo Notizie, 24 maggio 2004

 

Nella Sala Rari della Biblioteca Nazionale di Napoli, alle ore 17, viene presentato il libro "Davanti a me é caduto il cielo" (Edizioni Filema), che contiene scritti in prosa e in versi delle detenute dela Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli.

Intervengono Rosa Russo Iervolino, Vincenzo Figliola, Giovanni Tinebra, Tommaso Contestabile, Francesco Saverio De Martino e Giorgia Palombi.

Rapporto Fondazione Ismu: più del 30% dei detenuti sono stranieri

 

Redattore sociale, 26 maggio 2004

 

Tra i numeri dell'immigrazione raccolti nel "Nono rapporto sulle migrazioni 2003" curato dall'Ismu (Istituto per gli studi sulla multietnicità) non mancano i dati su carcere e criminalità. Numeri che rivelano una fortissima correlazione tra irregolarità e reati e una percentuale di stranieri detenuti che supera il 30 per cento del totale delle persone in carcere. Si tratta di 16.363 persone (il dato è del giugno 2003), su un totale di 56.838 detenuti,  tra cui prevalgono, come nazionalità, i marocchini (6,5 per cento sul totale dei detenuti in Italia) e gli albanesi (5 per cento).

Non a caso le due nazionalità che prima della regolarizzazione erano segnalate come le più numerose nel nostro Paese. Molto basso il numero delle donne straniere detenute sul totale delle persone in carcere, anche se dal punto di vista percentuale, le donne detenute straniere (soprattutto nigeriane, colombiane, rumene) sul totale dei detenuti immigrati arriva al 6 per cento, mentre lo stesso dato relativo alle italiane si attesta al 3,9 per cento. Fotografia di una realtà, quella carceraria, che cambia però tra Nord e Sud Italia. La maggior parte dei detenuti stranieri si trova al Nord (54,8 per cento sul totale degli immigrati in carcere), segue il Centro (25,7 per cento) e il Sud (11,7 per cento). Significativo anche il dato sugli stranieri denunciati, passati a 105mila circa nel 2002, contro gli 89mila del 2001. Un dato che, però, va letto alla luce anche di quanti avviene per gli italiani: il numero di denunce a carico dei quali è cresciuto in modo simile, passando dalle 423mila denunce del 2001 alle 455mila del 2002.

In carcere per cosa? I reati più frequenti per cui sono stati denunciati gli immigrati sono furto, spaccio, false generalità. Reati che, osservava pochi giorni fa il direttore del carcere di San Vittore Luigi Pagano, "difficilmente vengono scontati in carcere dagli italiani, che riescono a ottenere misure alternative. Per gli stranieri è più difficile: molti non hanno un domicilio dove scontare la pena o sono privi di permesso di soggiorno".

Una spiegazione che chiarisce l'alto numero di stranieri nelle carceri e rivela che a compiere i reati, come si evidenzia anche nel rapporto Ismu, sono soprattutto gli stranieri irregolari. Tra il 70 e il 90 per cento dei reati è commesso da stranieri irregolari. Le fattispecie di reato, si diceva, sono soprattutto furto (reato per cui è stato denunciato il 19.1 per cento degli stranieri nel 2002), produzione e spaccio di stupefacenti (14.8 per cento), false generalità (10.4 per cento).

 

Padova: proposta per garante dei diritti dei detenuti

 

Venerdì 28 maggio - ore 15.00: al Caffè Pedrocchi di Padova sarà presentata la proposta di istituire il Garante comunale per i diritti delle persone private della libertà personale.

Parteciperano Alessandro Zan (candidato al consiglio comunale - indipendente Ds); Luigi Manconi (garante per i diritti delle persone private della libertà personale a Roma); Piero Ruzzante (deputato Ds) e Flavio Zanonato (candidato sindaco di Padova).

Le nuove frontiere dell’occupazione. Il lavoro solidale

 

Corriere Lavoro, 7 maggio 2004


Il primo a parlarne è stato il "guru" del management, Peter Drucker, che agli inizi degli anni 40 ha teorizzato la "dimensione sociale dell’impresa". Ma le radici sono più antiche e vanno a numi tutelari sette-ottocenteschi come Jeremy Bentham e Carlo Cattaneo, arrivando più vicini a noi a John Rawls e all’economista indiano Amartya Sen, che ha una cattedra ad Harvard che tiene insieme l’economia e la morale.

La responsabilità sociale dell’impresa è un tema persino di moda, ma è una cosa seria, che ha bisogno di idee e di grande concretezza. La stessa Unione Europea chiede oggi alle imprese di aderire ai programmi di "Csr" ("Corporate social responsibility"). E le imprese hanno capito che il bilancio economico-finanziario può diventare "bilancio sociale", che perseguire il profitto può aiutare il "non profit", che le ottocentesche beneficenza e assistenza oggi possono convivere con l’efficienza.

E’ una nuova frontiera per le imprese. E in questa nuova visione dipendenti, collaboratori, ma anche azionisti e fornitori possono condividere gli stessi obiettivi e diventare portatori di interessi. Insomma, la "business community" mantiene il "business" ma diventa sempre più "community". Per questo vanno sostenute le idee e le iniziative che valorizzano la dimensione sociale delle imprese, che non possono essere ridotte a pure "fabbriche di profitti", ma che dialogano e che intervengono nell’ambiente. Del resto, in una realtà come quella milanese e lombarda, pur favorite da uno sviluppo economico d’avanguardia, non mancano temi critici sui quali sperimentare la formula dell’"impresa solidale". Si tratta di mettere insieme le forze, datori di lavoro, dipendenti, istituzioni locali, fondazioni finanziarie e bancarie, e sviluppare la "mappatura dei problemi sociali", sui quali indirizzare energie e risorse.

Tra di essi, vi è sicuramente la questione degli anziani (ricordiamo la proposta francese di devolvere a questo tema una giornata di lavoro all’anno da parte di imprese e dipendenti), ma anche quella dei più giovani (dai bambini, per esempio sviluppando asili nido, agli adolescenti, sino ai giovani, che, nonostante tutto, anche nella nostra realtà soffrono della "fatica di salire" sulla giostra del lavoro), per arrivare alle diverse aree del disagio e alle "nuove povertà", che caratterizzano anche una metropoli ricca.

Uno dei temi centrali e campanello d’allarme è anche quello degli "over 50" che hanno perso il lavoro. Sono alcune migliaia a Milano, più di mezzo milione in Italia. In provincia i disoccupati con più di 40 anni sono 15 mila. E altri sono a rischio. Sono difficili da riqualificare, spesso con basse qualifiche e titoli di studio. I cinquantenni, troppo giovani per la pensione, ma troppo "vecchi" per il lavoro, sono oggi il terreno più drammatico e urgente su cui sperimentare la "città solidale".

Prestito d’onore oltre le sbarre

 

Corriere Lavoro, 7 maggio 2004

 

Anche il carcere può diventare una scuola di formazione e reinserimento? Pensiamo di sì, ad alcune condizioni. Più una proposta. Secondo i dati dell’Amministrazione penitenziaria, diffusi da AgeSoL, l’Agenzia di Solidarietà per il Lavoro, oggi i detenuti in Italia sono quasi 55 mila, di cui 2.500 donne. Quelli che svolgono un lavoro sono quasi 14 mila, circa uno su quattro. In gran parte lavorano alle dipendenze dell’amministrazione, mentre 2.500 lavorano per terzi.

E’ vero che la popolazione carceraria è soggetta a forti rotazioni, soprattutto di immigrati e tossicodipendenti, ma è anche vero che una fetta consistente di detenuti trascorre molti anni in carcere, sconta la pena ed esce a un’età in cui può e spesso deve svolgere un lavoro, perché, proprio per le colpe commesse, non ha contribuzione né pensione. Come reinserire nella società persone che hanno espiato errori di gioventù? Può il carcere fare da ponte verso il reintegro e l’inclusione sociale? Pensiamo di sì, se si svilupperanno iniziative di formazione con le imprese.

E una volta uscito dal carcere, l’ex detenuto può aspirare al diritto al lavoro? Pensiamo di sì. Agevolando le imprese che assumono ex detenuti formati. E stabilendo un prestito sull’onore per coloro che volessero intraprendere un lavoro autonomo o mettersi in proprio.

 

La proposta

 

L’Agenzia di Solidarietà del Lavoro, che si occupa di inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti nella provincia di Milano, ha accolto con favore le proposte espresse da "Corriere Lavoro" per il reinserimento dei detenuti ed ex, per esempio nuove iniziative di formazione nelle imprese ed estensione del "prestito d’onore". Si tratta di un argomento correlato alla Responsabilità sociale d’impresa e alle agevolazioni alle aziende.

La Csr è un tema che le imprese italiane devono ancora approfondire. Le aziende dovrebbero prendere seriamente in considerazione l’idea che sia indispensabile la loro partecipazione a un progetto di "città solidale", non alternativa, ma connessa alla ricerca del profitto. Forse l’abbattimento di certe barriere culturali potrebbe essere un punto d’inizio per considerare che i detenuti sono soggetti attivi - e non cittadini di serie B - e che è più vantaggioso avere cittadini di nuovo partecipi alla vita sociale che detenuti reclusi.

Quanto alle agevolazioni, la Legge Smuraglia prevede incentivi fiscali e agevolazioni contributive per chi impiega detenuti ed ex. Riteniamo però che sarebbe utile una legge regionale che intervenga dove la "Smuraglia" è carente, essendo concentrata sul lavoro in carcere. E per quanto quest’ultimo sia un aspetto importante, si deve pensare anche all’inserimento lavorativo dei detenuti all’esterno e dopo il carcere. Le aziende usufruiscono di agevolazioni se assumono detenuti in articolo 21 O.P (lavoro all’esterno) o reclusi. Non si parla né di chi è in semilibertà, né degli affidati. Ci auguriamo che la Regione Lombardia, sensibile al problema, intervenga con sgravi e incentivi sulle categorie non contemplate. E che tutte le province seguano l’esempio della provincia di Milano e destinino una quota del Fondo Nazionale per l’Occupazione per tirocini a chi ha avuto problemi con la giustizia.

Per quanto riguarda il prestito d’onore, esistono già una legge nazionale (608/96) ed una lombarda (23/99), riservata a famiglie e giovani coppie, in cui si parla anche di "stato di detenzione". Ma cosa accade per i detenuti senza famiglia o che l’hanno perduta, spesso a causa della detenzione?

Su tali questioni riteniamo utile aprire un ampio confronto - magari proprio dalle pagine di "Corriere Lavoro" - che coinvolga istituzioni, mondo della finanza e dell’impresa, enti locali e privato sociale, per trovare insieme soluzioni concrete e praticabili. AgeSoL è in prima fila per portare avanti tali obiettivi.

 

Don Virginio Colmegna, Presidente AgeSoL

Licia Roselli, Direttrice AgeSoL

Treviso: in carcere duecento attestati di studio

 

Il Gazzettino, 26 maggio 2004

 

A Treviso, all’interno del carcere e dell’istituto penale per i minori, operano gli insegnanti del Centro territoriale permanente, istituzione - che fa capo alle scuole medie "Coletti"- nata nel 1997 con lo scopo di rispondere al diritto dell’adulto all’alfabetizzazione, all’educazione e alla formazione permanente. In questi anni, oltre ai tradizionali corsi di italiano per stranieri e a quelli di scuola media, sono state introdotte proposte alternative tra cui quelle di teatro, d’informatica di base, di lingua inglese e francese, di biblioteconomia e ceramica.

Assieme al Ctp svolgono attività scolastica all’interno delle carceri anche l’Istituto Palladio, l’Istituto Turazza e i volontari dell’associazione "Per ricominciare". Il tutto confluisce in una commissione didattica che, assieme agli Operatori penitenziari, formula il Progetto annuale di istruzione. I risultati ottenuti finora sono incoraggianti perché nell’ultimo anno scolastico sono stati rilasciati oltre 200 fra attestati di frequenza ai vari corsi e diplomi di licenza elementare, media e di lingua italiana per stranieri. Inoltre, per garantire un intervento più mirato, è stato realizzato dalla commissione didattica un questionario, distribuito tra i detenuti, allo scopo di ottenere informazioni utili sui bisogni della popolazione carceraria.

Dalla ricerca, unico esempio a livello regionale, emerge una realtà complessa sia per quel che concerne la nazionalità dei detenuti - 53% italiani, 12% marocchini, 9% albanesi e altre percentuali minori di provenienti da Romania, Tunisia, Algeria, Ghana, Nigeria, Svizzera, Slovenia ed altri Paesi - sia per quel che riguarda il titolo di studio posseduto- il 55% licenza media, il 30% licenza elementare, l’11% diploma, l’1% laurea, mentre il 3% è analfabeta.

Amnesty: in Italia a rischio i diritti dei richiedenti asilo

 

Reuters, 26 maggio 2004

 

In Italia la tutela dei diritti umani non è solo un problema di politica estera, ma anche di politica interna. Lo ha detto oggi Amnesty International, in occasione della presentazione del suo Rapporto Annuale 2004 in Italia.

Secondo il presidente di Amnesty, Carlo Bertotto, infatti, nel nostro paese ci sono buone ragioni per credere che c’è ancora da lavorare in tema di tutela dei diritti umani.

"È ora che chi ci governa si assuma le responsabilità delle violazioni esistenti anche a casa nostra. Esiste una mancanza di leadership a carico delle nostre istituzioni, incluse quelle a livello europeo", ha detto Bertotto nel corso di una conferenza stampa presso la sede della Rai, "questo è un problema di vecchia data: è come se la violazione dei diritti umani non fosse un tema di politica interna ma riguardasse esclusivamente gli affari esteri".

In particolare, il capitolo del Rapporto dedicato all’Italia, solleva la questione nazionale più spinosa: quella legata all’immigrazione e, precisamente, ai richiedenti asilo.

"La mancanza in Italia di una legge organica sull’asilo, insieme ad alcune disposizioni previste dalla legge sull’immigrazione, ha ostacolato molti richiedenti asilo nell’esercizio del loro diritto", ha spiegato Bertotto.

Altra questione nodale è rappresentata per Amnesty dai centri di permanenza temporanea, in cui gli immigrati irregolari e i richiedenti asilo respinti, possono essere detenuti fino a 60 giorni prima dell’espulsione dal paese.

"Le persone raccolte in questi centri spesso hanno difficoltà nell’ottenere accesso all’assistenza legale necessaria, per non parlare dell’igiene, inadeguata, e del sovraffollamento", ha detto il presidente dell’organizzazione.

"Amnesty ha riscontrato che il numero di denunce di aggressioni fisiche a i danni delle persone ospitate nei centri di permanenza temporanea è andato progressivamente aumentando negli ultimi anni", ha aggiunto Bertotto.

"E’ importante che proprio in questo momento, un documento come il Rapporto di Amnesty venga presentato qui da noi", ha detto Carlo Romeo, responsabile del Segretariato Sociale della Rai, "il diritto all’informazione non può non essere declinato in una chiave che sia al tempo stesso rispettosa dei diritti umani, anche in un paese come il nostro in cui la tutela dei diritti fondamentali sembra essere un valore acquisito".

Rovereto: bilancio dei corsi organizzati con i fondi europei

 

L’Adige, 26 maggio 2004

 

L’immagine di detenuti sempre impegnati a contare i giorni della pena da scontare non si addice molto ai carcerati della Casa circondariale di Rovereto. Lo dimostra la partecipazione massiccia della cosiddetta "popolazione carceraria" alle iniziative organizzate dalla direzione della struttura, attualmente affidata alla dottoressa Forgione, in collaborazione con tre istituti di formazione, il centro formazione "Veronesi", il "Canossa" di Trento e il "Consolida".

Inevitabile che ieri l’attenzione fosse tutta per i sette corsi organizzati nell’anno "scolastico" appena concluso proprio dal "Veronesi". Tre corsi di informatica, uno da elettricista, uno da piastrellista per i carcerati di sesso maschile. Altri due, uno dedicato alla lavorazione dell’argilla e l’altro alla lavorazione della pelletteria, per la popolazione carceraria femminile.

A presentare il bilancio dei corsi fatti ieri sono stati, oltre alla dottoressa Forgione, l’ingegner Igor Demonti per il "Veronesi", Giuseppe Stoppa (educatore del carcere) e Mauro Festini, editore, che ha lanciato l’idea di dare alle stampe, forse già l’anno prossimo, un vero e proprio giornale del carcere, capace di avere una diffusione significativa anche all’esterno della casa circondariale. Con loro Anna Valli, titolare dello spaccio di Avio, che si è occupata del corso di pelletteria e che ora fornirà un canale di vendita al frutto di tante ore spese in carcere.

Il valore vero dei corsi formativi organizzati in carcere è ovviamente non tanto nei due euro l’ora che i detenuti ricevono e neppure nella visibilità all’esterno che questo lavoro può avere. È invece nella voglia dei detenuti di imparare un mestiere, un’arte, oppure semplicemente di imparare, frequentando gli altri corsi didattici, quelli che permettono agli stranieri di imparare l’italiano, agli italiani di imparare le scienze, la matematica, le lettere, anche l’arte del cinema. Corsi sempre liberi, ma per i quali è richiesta costanza nella frequenza.

Per l’anno venturo altre idee. Un corso di florovivaismo per le ragazze, un corso avanzato sull’impiantistica elettrica, un corso da idraulico più quelli legati al giornalino: impaginazione, grafica, archivista. Tutte iniziative che fino al 2006 potranno beneficiare dei contributi del fondo sociale europeo. Corsi che permettono a chi attende la libertà di vivere comunque, di imparare, di uscire dal carcere con qualche conoscenza in più da spendere, fuori.

Camerino: Governo conferma finanziamento per nuovo carcere

 

Corriere Adriatico, 26 maggio 2004


Si fa sempre più concreta l’ipotesi di realizzazione di un nuovo carcere a Camerino. Ad ufficializzare le notizie dell’ultima ora è anche il sindaco della città  Mario Giannella. "Notizie ministeriali - sottolinea il primo cittadino uscente che si ricandiderà  alle prossime elezioni - confermate dal vice ministro dell’Economia Mario Baldassarri in occasione della sua visita a Camerino per i Campionati Nazionali Universitari, assicurano i finanziamenti per la realizzazione del nuovo carcere.

Ne prendiamo atto - avverte Giannella a nome degli amministratori che hanno guidato nell’ultima legislatura il governo cittadino - con grande soddisfazione per tutto quello che questa nuova realizzazione potrà  portare in termini di occupazione e di sviluppo economico per l’intero territorio comunale. Riteniamo che questo sia un ulteriore riconoscimento del buon lavoro svolto da questa amministrazione - avverte ancora Giannella scivolando sull’onda della campagna elettorale - nel segno dell’impegno e della concretezza per lo sviluppo della città".

A sottolineare il buon andamento dell’iter amministrativo e politico per la realizzazione del nuovo carcere tempo fa era intervenuto anche il senatore della Repubblica Alessandro Forlani (Cdu). Forlani aveva rimandato ad alcune decisioni del comitato paritetico del ministero della Giustizia in virtù della quale il carcere di Camerino risultava, nell’ambito del programma di nuova edilizia carceraria 2003-2005, al dodicesimo posto nella graduatoria delle nuove strutture finanziate e quindi da realizzare. L’Amministrazione comunale camerte intanto da tempo ha individuato l’area ove sarà  ubicata la struttura di reclusione.

"Camerino lamenta problemi continui di spazio visto che la struttura esistente ha una capacità  di circa trenta detenuti eppure è costretta ad ospitarne di più - ha spiegato da parte sua in più di un’intervista il direttore dell’attuale casa circondariale, dott. Giacobbe Pantaleo. La soluzione al problema? Potrebbe essere la realizzazione del nuovo carcere a breve scadenza, spero entro due o tre anni al massimo.

Il ministero ha già  concesso i nulla osta e il finanziamento per una nuova struttura ed il Comune avrebbe individuato l’area dove sarà  costruito il nuovo carcere. Nella bozza di progetto che è stata fatta si prevede - spiega ancora il direttore - un numero di 100, 150 detenuti e dovrebbe esservi la capacità  perché la struttura possa essere un carcere scuola". Nella graduatoria dei finanziamenti del ministero per i 22 nuovi carceri, quello di Camerino sarebbe, come tempo fa, al dodicesimo posto.

Verona: diplomarsi cuochi sotto la guida dell’istituto alberghiero

 

L’Arena di Verona, 24 maggio 2004

 

Hanno preso il via i primi esami di Stato per la qualifica di cuoco all’interno della casa circondariale di Montorio. Ad accompagnare i cinque allievi nella prima prova prevista c’erano tutti gli insegnanti che in questi tre anni si sono prestati nell’impartire loro tutte le lezioni delle materie previste dal corso di studio dalla matematica, all’italiano, alle lingue e a tutte le discipline professionali.

Una vera e propria sede staccata dell’istituto alberghiero Angelo Berti di Chievo, quella che si è creata. Una saletta all’interno della struttura carceraria è stata allestita come un vero e proprio ristorante. Seduti ai tavoli il direttore del carcere Salvatore Erminio, il comandante della polizia penitenziaria Angelo Auletta ed Enrichetta Ribezzi, responsabile dell’area trattamento.

Con loro il preside dell’istituto alberghiero Edoardo Manara con tutti i docenti che ci pare giusto menzionare, visto l’impegno: Massimo Pasquetto (matematica), Cristina Boifava (economia aziendale), Maria Luisa Zanfante (alimentazione), Nicoletta Barazzuti (cucina), Paolo Massagrande (sala-bar), Lorenzo Rocca (italiano), Manuela Totola (tedesco), Dino Mascalzoni ( educazione fisica), Aurelio Dispero (ricevimento), Laura Zavarise (scienze). Su ogni tavolo era ben visibile un foglio dove gli insegnati annotavano i giudizi per quanto veniva loro servito: i voti sono stati decisamente sopra la media.

Gli allievi della terza media si sono prodigati nel preparare un’insalata di polipo come antipasto, un primo piatto di tagliolini con melanzane e peperoni, un secondo di salmone al sale con zabaione alle erbette e infine, come dessert, un tortino freddo di ricotta.

Nonostante la grande soddisfazione del corpo docente, non è mancata una nota polemica riguardo alla sospensione del corso da parte della sovrintendenza scolastica regionale che non ne ha approvato l’istituzione: "è stata un’esperienza importante sia dal punto di vista professionale che umano", hanno affermato tutti gli insegnati. Molti di loro hanno addirittura espresso il parere che occorrerebbe un vero e proprio tutor che incoraggiasse l’inserimento lavorativo di quanti riescono all’interno di simili realtà a conseguire un diploma.

"È una forma di riscatto sociale", ha affermato Rocca che punta il dito contro il dirigente regionale che non ha approvato l’iniziativa, "siamo delusi e amareggiati. Con questi cinque neo diplomati finisce un’esperienza per noi importante".

A buttare acqua sul fuoco sono il preside Manara e il direttore del carcere Erminio che affermano: "Questo genere di esperienza proseguirà seppure con modalità diverse, magari facendo sì che siano di più i detenuti coinvolti".

 

 

Precedente Home Su Successiva