Rassegna stampa 25 luglio

 

Carceri, record di suicidi. Pisapia (Prc): Castelli chiarisca

 

Il Manifesto, 25 giugno 2004

 

Suicidi, morti per cause poco chiare, overdose o cattiva assistenza sanitaria. Le stime, ovviamente non ufficiali ma tratte da fonti giornalistiche e organizzate in un dossier dall’associazione Ristretti orizzonti sono impietose: tredici decessi nel solo mese di giugno, tra cui nove casi di suicidio, che si sommano agli otto di maggio e alle denunce di violazioni dei diritti umani, l’ultima proprio ieri presentata alla procura della repubblica di Busto Arsizio da radicali e Rifondazione nei confronti della direttrice del locale carcere che avrebbe rifiutato i farmaci ai malati di aids e di epilessia. Miseramente fallito l’indultino, le carceri italiane continuano a scoppiare, le amministrazioni non brillano per trasparenza e tra le sbarre si continua a morire.

L’ultimo caso due giorni fa a Verona: un giovane di appena 26 anni, Cristian Orlandi, modenese, in carcere da otto mesi con l’accusa di omicidio, è stato trovato morto poco dopo un colloquio con la madre e la moglie. Lo stesso giorno, all’altro capo dell’Italia, a Caltanissetta, un assistente di polizia penitenziaria, Luigi Rizza, è stato condannato a otto anni e mezzo di reclusione per aver minacciato e abusato sessualmente di tre detenuti.

"La nostra preoccupazione riguarda l’informazione e la trasparenza", spiega Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone, "l’amministrazione carceraria ha un dovere di custodia morale e giuridica, le persone non possono entrare vive in carcere e uscirne morte. Qualche mese fa, ad esempio, c’è stato un suicidio sospetto ad Avezzano, poiché il cadavere presentava alcune ecchimosi, e se l’amministrazione fosse stata meno timorosa avremmo meno pregiudizi nei suoi confronti".

Ma capire cosa succede al di là delle sbarre è un’impresa ardua. Lo dimostrano i casi del calendario con le vignette di Vauro censurato dalla direzione del carcere di Badu ‘e Carros, all’inizio dell’anno, e nello stesso carcere la denuncia, da parte dei compagni di cella, del pestaggio e della scomparsa di un detenuto, Roberto Nicolosi, del quale l’unica notizia in seguito fornita dalla direzione è che sarebbe stato portato in isolamento. Il timore dei compagni di cella era quello che potesse ripetersi il caso di Luigi Acquaviva, trovato impiccato in cella di isolamento il 23 gennaio 2000 dopo aver subito, secondo l’accusa, un violento pestaggio da otto agenti di polizia penitenziaria che sono tuttora sotto processo. Ma l’interrogazione parlamentare del verde Mauro Bulgarelli è rimasta finora lettera morta.

Giuliano Pisapia del Prc ha invece presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia Castelli sulle morti in carcere nel mese di giugno. Detenuti trovati impiccati alle sbarre, morti di tumore per i quali i familiari denunciano la cattiva assistenza, ma anche decessi strani come quello avvenuto il 21 giugno nel carcere fiorentino di Sollicciano, dove un carcerato trentenne è stato trovato senza vita in cella senza che l’autopsia riuscisse a chiarirne il motivo.

Pesante anche la denuncia presentata ieri dai consiglieri regionali lombardi di radicali e Prc, Alessandro Litta Modigliani e Giovanni Martina, contro la direttrice del carcere di Busto Arsizio Caterina Ciampoli, che si sarebbe "rifiutata di somministrare medicinali ai malati di Hiv e di epilessia", avrebbe "negato la visita medica specialistica a un detenuto cardiopatico" e avrebbe "impedito l’utilizzo dell’ascensore a un carcerato con una gamba ingessata".

I consiglieri parlano anche di ricoveri in ospedale rifiutati, permessi cancellati e ore d’aria dimezzate la domenica, già segnalati in un esposto di una dirigente sanitaria, così come la dichiarazione della caposala che alla richiesta di acquistare psicofarmaci per i tossicodipendenti si sarebbe sentita rispondere dalla direttrice di mettere acqua nelle boccette. La direttrice del carcere era già stata allontanata una volta per incompatibilità ambientale, poi aveva fatto ricorso ed era stata reintegrata il 3 maggio scorso.

Francesco Romeo e Marcello Lonzi: due strane morti, un solo Pm

 

Il Manifesto, 25 giugno 2004

 

Francesco Romeo, un 28enne di oltre cento chili per un metro e 85 di altezza, muore il 7 ottobre 1997 nel carcere di Reggio Calabria. Un paio di settimane prima, nell’ultimo colloquio col fratello, aveva riferito di essere oggetto di pesanti pressioni volte a farlo "collaborare". Dagli atti giudiziari emerge che il 29 settembre Romeo sarebbe stato aggredito da almeno cinque persone e il suo corpo trasportato sotto un muro per simulare un tentativo di evasione. Una maldestra messinscena smascherata dalla consulenza medico-legale, che ha dichiarato l’assoluta incompatibilità delle lesioni con la precipitazione da un’altezza di neanche quattro metri.

La causa diretta della morte sarebbe infatti un violento pestaggio a colpi di bastone o manganello che avrebbe provocato la frattura del cranio. Le lesioni alle braccia avrebbero evidenziato un tentativo di protezione del volto; quelle allo scroto e al coccige una tortura inferta prima dei colpi mortali. Un caso per molti versi simile a quello di Marcello Lonzi, il giovane livornese deceduto nel carcere Le Sughere per cause ancora da chiarire. Notizia di ieri è che l’avvocato che assiste la madre di Lonzi è entrato in possesso di una ventina di fotografie per lui inedite, allegate al fascicolo relativo alla morte, nelle quali si vedono la schiena e i glutei del giovane segnati da profonde ferite, oggettivamente incompatibili con l’ipotesi ufficiale che parla di morte accidentale procurata da un infarto e dalla conseguente caduta faccia a terra.

Ma torniamo al caso Romeo. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, il 6 marzo 2003, ha confermato la condanna nei confronti del comandante e di un agente della Polizia penitenziaria del carcere reggino, ma con una sostanziale modifica del titolo di reato. Il primo è infatti passato da concorso omissivo doloso (è al corrente di quanto accade, ha l’obbligo di intervenire ma non interviene) ad agevolazione colposa (non è al corrente di quanto accade ma organizza il servizio in modo tale da agevolare inconsapevolmente gli autori dell’omicidio); il secondo da favoreggiamento a false dichiarazioni al Pm.

Il processo, celebrato con rito abbreviato, ha portato all’assoluzione di 19 imputati su 21 perché le dichiarazioni degli indagati subito dopo il linciaggio furono rilasciate in assenza dei propri legali. Resta misterioso il motivo per cui il Pm li abbia iscritti nel registro delle notizie di reato il giorno successivo al rinvenimento del corpo, ascoltandoli successivamente in qualità di persone informate sui fatti. Ci vorranno un anno e otto mesi perché siano ascoltati come imputati (e tutti, tranne uno, si avvarranno della facoltà di non rispondere). Nessuno ha poi voluto interrogare i compagni di cella e dell’ora d’aria. Questi ultimi in particolare avrebbero potuto riferire se Romeo alle 9 del mattino sia mai realmente entrato nel cortile esterno (in tre non lo ricordano presente).

È stata inoltre accertata, all’interno del carcere, la presenza dei Gom, i Gruppi operativi mobili. Ad alimentare ulteriori sospetti sono poi una serie di domande che non hanno trovato risposta: perché il comandante, proprio quella mattina, priva di adeguata custodia alcuni punti chiave del carcere? Perché sposta cinque uomini per sostituire un solo agente in malattia? Perché modifica le proprie mansioni alle 9 dopo la conferenza di servizio delle 7,50? Perché affida il controllo di due posti chiave (primo cancello e garitta cortile passeggio) a un solo agente? Perché questi non fa scattare l’allarme che avrebbe permesso la registrazione automatica dei filmati a circuito chiuso? Perché l’agente preposta ai monitor della sala regia non vede niente sino alle 10? E perché nessun agente, dalle 9 alle 10, vuole risultare al proprio posto? Il Pm Roberto Pennisi, lo stesso che ha chiesto l’archiviazione del caso Lonzi, non ha saputo dare risposta a nessuna di queste domande, limitandosi a chiedere l’assoluzione per i vizi formali riportati in precedenza.

Cagliari, il provveditore Nello Cesari: "Buoncammino non si tocca"

 

L’Unione Sarda, 25 luglio 2004

 

Aspettando il nuovo carcere vale la pena investire su Buoncammino. "Non credo che i tempi saranno rapidissimi - azzarda il nuovo provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Nello Cesari - trovo più sensato migliorare la casa circondariale che già esiste".

Gli hanno affidato una missione impossibile: strappare al medioevo il sistema carcerario sardo per portarlo a un livello accettabile. Forse perché Nello Cesari ha un’esperienza infinita: vice direttore di Buoncammino nel ‘74 e poi direttore di carceri sparse in tutt’Italia, Sardegna compresa, fino all’incarico di provveditore in molte regioni. A 59 anni è stato catapultato in Sardegna per rimettere ordine in un settore disastrato: "La situazione è rimasta più o meno quella di 25 anni fa".

 

Come pensa di modificarla?

"Il carcere è una parte della società. Chi la pensa diversamente sbaglia e contribuisce a perpetuare il circuito infernale della reiterazione dei reati. Quest’isola ha grandi potenzialità, ci vogliono intuizione e fantasia. In Emilia Romagna ho visto terroristi come Ognibene fondare cooperative che stanno sul mercato e danno lavoro a detenuti ed ex. In Sardegna era l’ispiratore delle rivolte di Fornelli, temuto quanto pericoloso, è diventato un imprenditore serio e affidabile".

 

Si è ipotizzata la riapertura dell’Asinara. È d’accordo?

"Potrebbe diventare una colonia per il reinserimento, credo che il ministro Castelli abbia fatto la proposta in quest’ottica. Istituto di massima sicurezza no, ce ne sono già abbastanza e perfino più sicuri. Detto questo, un carcere non si riapre dalla sera alla mattina, anche se sotto l’amministrazione penitenziaria quelle zone si sono salvate da ogni tipo di speculazione".

 

A proposito del ministro Castelli: dopo una vista a Buoncammino ha detto che i detenuti vivevano nel lusso. Condivide?

"Non so quale frase abbia pronunciato il ministro, come posso esprimere un parere su una cosa che non conosco".

 

Come giudica Buoncammino?

"Stiamo costruendo un campo di calcetto, a San Sebastiano non c’è manco quello. Per il resto è una fortezza, l’idea del carcere in voga nell’800. L’unica cosa da fare per renderlo più vivibile è ridurre la capacità realizzando servizi igienici all’esterno delle celle. Con un milione e mezzo di euro ce la dovremmo fare".

 

Le sembra un carcere a misura d’uomo?

"Un po’ sovraffollato, certo, ma le condizioni sono accettabili, considerando che c’è anche una sezione chiusa".

 

Cresce continuamente il numero di sieropositivi e malati di aids.

"Siamo nella media nazionale".

 

Resta l’allarme suicidi.

"Sta per iniziare un’indagine sulle cause di questo malessere. I tossicodipendenti sono i più esposti, soprattutto quando cadono in depressione. Per una parte, non lo nego, può concorrere il carcere".

 

I sindacati giudicano insufficiente l’organico della polizia penitenziaria.

"Secondo loro è gravemente carente, io credo che in alcuni punti lo sia di più e in altri meno".

 

In un’epoca di tagli con quali soldi finanzierà i progetti di ammodernamento?

"Potrebbe contribuire la Regione, e nei prossimi giorni incontrerò il presidente Soru. Ci sono anche alcune leggi dello Stato, ma non hanno grandi coperture finanziarie. Il futuro è nei progetti interistituzionali finanziati dal fondo sociale europeo. Quella è la strada per cambiare la faccia delle carceri sarde e io cercherò di percorrerla".

Nuoro: le donne del Consiglio comunale visitano le detenute

 

L’Unione Sarda, 25 luglio 2004

 

Il consiglio comunale sarà domani a fianco dei sindacati, decisi a sollecitare interventi urgenti per migliorare la situazione nel carcere di Badu ‘e Carros. La presidente del Consiglio Nerina Fiori, in esecuzione dell’ordine del giorno dell’assemblea votato all’unanimità un paio di settimane fa, ha convocato per le 9 la conferenza dei capigruppo, estesa anche agli altri consiglieri. Appuntamento in municipio. Poi la delegazione del Comune raggiungerà i sindacati davanti alla Prefettura.

L’adesione alla manifestazione di domani non è l’unica iniziativa rivolta a Badu ‘e Carros. Su proposta di Paola Demuro, consigliere dello Sdi, le donne dell’assemblea e della giunta faranno visita alle ospiti del penitenziario nuorese. L’iniziativa è stata accolta con favore e la presidente Nerina Fiori ha già avviato le procedure necessarie per realizzarla. Ha già contattato il direttore, Paolo Sanna, tornato da pochi giorni alla guida del carcere nuorese.

L’autorizzazione per l’incontro - annuncia Paola Demuro - è già arrivata e la visita potrà avvenire entro la settimana. "L’obiettivo di questo incontro che porta dentro le mura soggetti della società civile - spiega l’esponente socialista - è quello di prendere consapevolezza delle problematiche relative a questo mondo femminile considerando il carcere non un luogo separato dalla città, ma uno dei luoghi della città in cui è attiva la rete dei servizi e delle opportunità".

L’iniziativa - aggiunge - "non vuole né deve sostituirsi ai ruoli e alle funzioni della direzione degli istituti di pena e della équipe educativa del carcere, ma ha il significato di raccogliere le esigenze delle detenute e di raccordarle rispetto alle opportunità che altri soggetti sono disponibili a offrire nella logica della tutela dei diritti di cittadinanza".

Nella nota Paola Demuro sottolinea che "il problema delle donne in carcere è drammatico, soprattutto a causa della scarsissima informazione. Se per il carcere maschile la difficoltà viene soprattutto dal sovraffollamento e dall’aggressività che questo comporta, per le detenute il vero problema è la frammentazione. Solo una minima parte delle detenute - dice - vive nelle carceri femminili mentre la maggior parte è sparsa nelle sezioni distaccate delle carceri maschili in gruppi esigui. I piccoli numeri non consentono di fare programmi significativi né progetti relativi a corsi scolastici. Un altro grave problema è dato dall’inadeguatezza del sistema carcerario, modellato sulle esigenze maschili. Inoltre, è dimostrato che le donne abbiano maggiori problemi materiali e psicologici nella detenzione".

Oltre all’incontro con le donne, gli amministratori comunali puntano a visitare la struttura di cui da tempo i sindacati hanno denunciato le carenze. Anche per questo è stata chiesta l’autorizzazione al direttore. Farebbero parte della delegazione il sindaco, l’assessore ai Servizi sociali, il presidente del Consiglio e due consiglieri: uno per la maggioranza, l’altro per l’opposizione.

Alghero: due agenti aggrediti, protesta nel "carcere modello"

 

L’Unione Sarda, 25 luglio 2004

 

Un agente minacciato con una lametta da barba. Altri due finiti alla guardia medica, dopo aver sedato una rissa fra detenuti. Sono soltanto gli ultimi episodi di una lunga serie, dicono i poliziotti del penitenziario modello, come viene definito il carcere di Alghero. I problemi riguardano l’organico ormai ridotto all’osso, con personale stanco e demotivato, chiamato a coprire anche tre turni contemporaneamente.

A denunciarlo è il sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sinappe) che, in una nota indirizzata al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di Roma, chiede sia data continuità all’applicazione del contratto nazionale di lavoro e dell’accordo quadro nazionale con un intervento risolutivo delle tante vertenze aperte. Sono anni ormai che il numero del personale del carcere di San Michele è diminuito, mentre sono raddoppiati i detenuti, con l’ultimazione di quattro nuovi reparti che ospitano anche dei carcerati sottoposti ad altissima sicurezza.

Una situazione insostenibile, insomma, che va risolta prima che possa degenerare. "Non è possibile assistere ancora passivamente - si legge nel documento - agli innumerevoli disservizi derivanti anche da una gestione non proprio ottimale, come per esempio - spiegano i sindacati - il dover ricoprire, senza possedere il dono dell’ubiquità, diversi turni di servizio contemporaneamente".

L’aria, insomma, si è fatta pesante all’interno della casa circondariale di via Vittorio Emanuele. A sentire gli agenti penitenziari, poi, negli ultimi tempi sono persino sorti problemi di ordine pubblico, nel senso che si assiste sempre più spesso ad aggressioni da parte dei reclusi contro il personale di polizia. "L’ultima nel mese di giugno - riferiscono dal Sinappe - quando al rientro dal cortile, nel tentativo di sedare una violenta rissa tra detenuti, un assistente capo e un sottufficiale hanno riportato lesioni e ferite leggere".

Un altro agente era stato minacciato con una lametta da barba. Ma poteva andare peggio. Le mansioni degli agenti sono rese ancor più pesanti dal fatto che all’interno del carcere è stata attivata una serie di corsi, laboratori e attività ricreative che necessita, da parte del corpo di polizia, di un surplus di lavoro. Progetti voluti fortemente dall’area educativa della struttura ma che complicano la vita allo scarso personale in organico. "Occorre tornare con i piedi per terra - continua la nota - e magari rinunciare ai passaggi nei media. Ora è preminente restituire fiducia ai poliziotti penitenziari".

Verona: sovraffollamento e celle senz’acqua 3 ore al giorno

 

L’Arena, 25 luglio 2004

 

Il pensiero assillante in questo momento è per tutti lo stesso: quello di doversi ritrovare un letto sulla testa. Fino ad oggi infatti si considerano fortunati quelli che, nelle lunghe giornate riempite soltanto dall’attesa che il tempo passi, hanno come orizzonte il soffitto. Almeno riescono a respirare, e non si sentono soffocati da un letto a castello che, quando se ne stanno sdraiati, come avviene se sei rinchiuso in una cella di due metri per tre (dritti in piedi non ci si può mica restare più di tanto), ti grava sul fiato rimandandoti il tuo stesso respiro, come in un incubo: che però a Montorio è realtà.

È questo ciò che hanno raccontato i 665 detenuti della sezione maschile e le 63 detenute rinchiuse nella sezione femminile all’onorevole Tiziana Valpiana e a Fiorenzo Fasoli, capogruppo di Rifondazione comunista in Consiglio comunale, che ieri mattina hanno fatto un sopralluogo in carcere, anche in seguito ai gravi episodi degli ultimi tempi (un caso confermato di Tbc e due sospetti, a cui si aggiunge la misteriosa morte di un altro detenuto). Senza però avere l’opportunità di incontrare nessun’altro, tranne detenuti e guardie: il direttore Salvatore Erminio è in ferie, il vicedirettore (che ha tale incarico sia a Verona che a Rovereto) era a Rovereto e il vice del vicedirettore era a Padova. E le attività sono tutte sospese fino a settembre.

Così, nel pomeriggio, la Valpiana e Fasoli hanno indetto una conferenza stampa nella sede di Rifondazione per riferire gli appelli ascoltati la mattina e per raccontare quello che hanno visto con i loro occhi. Spiegando innanzitutto che il carcere di Montorio (non è un caso isolato, ma un dato comune a tutta la situazione carceraria nazionale) soffre di una situazione di gravissimo sovraffollamento: attrezzato per ospitare massimo 450 detenuti, ne contiene poco meno di 800. Di cui il 70% è costituito da extracomunitari.

"Attualmente nella sezione maschile le celle ospitano ciascuna tre detenuti, ma sono già state effettuate le misurazioni per l’installazione del quarto letto", ha spiegato Valpiana. "Ed è soprattutto questo che i detenuti, ma anche le guardie, hanno mostrato di temere: già in tre infatti sono in condizioni disumane.

L’aspetto drammatico è poi dato dalla considerazione che la situazione in cui viene scontata la pena oggi, rispetto a dieci anni fa, è molto peggiorata: non è cambiata la legislazione carceraria, ma è drammaticamente più duro sopravvivere in condizioni in cui noi non lasceremmo nemmeno i nostri animali. Come mi ha detto oggi un detenuto: "viviamo peggio delle bestie, quelle almeno, chi le maltratta, va in carcere".

"Quanto alle condizioni igieniche, nelle celle c’è un bagno che non ha nemmeno la porta che lo separa dal resto dello spazio e, considerando che dalle 15 alle 18 nelle celle viene interrotta l’acqua, con il caldo estivo ci vuole poco ad immaginare come stanno i detenuti", aggiunge Fasoli, confermando che il caso di Tbc accertata è uno e riguarda un detenuto che l’ha contratta però fuori dal carcere, altri due casi sono sospetti e dieci da accertare, mentre degli altri detenuti, 268 sono risultati positivi al controllo. Gravissima resta poi, secondo la Valpiana, l’assenza di lavoro: "I detenuti non possono nemmeno pagarsi l’avvocato E allora è evidente che il problema di fondo è che in questa società il carcere non è sentito come parte della società".

Foggia: 500 agenti di p.p. per una maxi operazione di controllo

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 25 luglio 2004

 

Una maxi-operazione ci controllo è stata compiuta ieri nel carcere di Foggia da circa 500 agenti di polizia penitenziaria, provenienti da tutta la regione, al comando del commissario del corpo. Lo rende noto il vicesegretario generale nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Domenico Mastrulli, il quale afferma che l’operazione è stata compiuta dopo gli episodi - registrati nelle scorse settimane - di "ritrovamenti nel carcere di Foggia di cellulari e droga e dopo un tentativo di evasione e di una evasione che si sono verificati nell’istituto di pena".

"Una situazione - afferma - determinata, malgrado l’impegno degli agenti di polizia penitenziaria, dal problema del sovraffollamento: nel carcere di Foggia ci sono 650 detenuti, a fronte dei 240 previsti". Mastrulli esprime "soddisfazione per questa grande operazione e compiacimento per l’attività svolta dall'amministrazione penitenziaria centrale e dal provveditore regionale della Puglia, Rosario Cardillo".

L’Osapp sollecita "interventi strutturali ed economici, destinati all’edilizia penitenziaria in Puglia ed un incremento di personale di 1000 unità". Auspica inoltre "l’immediato pagamento degli incentivi 2002-2003 al personale di polizia penitenziaria". Una delegazione dell’Osapp, guidata da Mastrulli, sarà domani a Palazzo Chigi dove il governo presenterà ai sindacati di polizia le linee guida del Dpf 2005-2008.

 

 

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