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Funziona a pieno regime da solo due anni e già mostra segni di degrado nelle condizioni di vita dei reclusi
Liberazione, 2 gennaio 2004
Periferia di Palermo, il letto secco di un fiume che diviene in alcuni tratti fogna a cielo aperto, la strada porta verso l’interno tra il verde cupo della vegetazione invernale. Si allontana la città ma ci si ferma ad un grande parcheggio già pieno alle 10 del mattino. Inferriate alte e gialle circondano le mura del complesso carcerario "Pagliarelli", quello che avrebbe dovuto, nei programmi del ministero della giustizia, risolvere il sovraffollamento dell’Ucciardone, il penitenziario storico di Palermo. Il Pagliarelli è stato inaugurato nel 1995 e da due anni funziona a pieno regime. La sua realizzazione segue i dettami della nuova urbanistica della reclusione: macro edifici apparentemente moderni, costruiti in aree non troppo abitate e comunque periferiche, divisi in sezioni compatibili, per quanto possibile, con le fasi processuali che determinano la custodia cautelare o la vera e propria reclusione in base a sentenza passata in giudicato. All’ingresso una lunga fila: per le festività sono tanti i parenti che vengono a portare un po’ di conforto ai propri cari, molte le donne e i bambini che camminano con l’aria smarrita lungo i vialetti che portano nei diversi spazi in cui si svolgono i colloqui. Bisogna alzarsi presto alla mattina, soprattutto se si giunge da località remote dell’isola: i colloqui avvengono tre volte alla settimana ma soltanto nelle prime ore del mattino, fino alle 13. Se si arriva tardi bisogna ritornare e questo è un costo che per molti è difficile da sostenere. Nell’ultima domenica dell’anno, una delegazione composta da due deputati del Prc, Graziella Mascia e Giovanni Russo Spena, accompagnati da 4 collaboratori - dei Giovani Comunisti, dell’associazionismo e del dipartimento immigrazione - è entrata a sorpresa in questa casa circondariale. Hanno parlato con i detenuti, con il personale penitenziario, con la dottoressa Laura Brancato, che da poco ne è la direttrice. Si sono trattenuti nell’istituto per oltre due ore ma forse sarebbe occorsa l’intera giornata per farsi un’idea complessiva delle condizioni di vita e delle carenze che, nonostante le apparenze, caratterizzano la vita quotidiana in condizioni di restrizione. "Bisogna con urgenza far chiarezza sull’emergenza idrica che da tutti i detenuti è denunciata come prioritaria - osserva Graziella Mascia - Possono farsi la doccia non più di tre volte alla settimana, gli impianti necessitano di manutenzione e l’acqua che esce dai rubinetti, anche se ufficialmente potabile è imbevibile e rugginosa". È vero che il problema dell’acqua, con i suoi mille risvolti, coinvolge buona parte della Sicilia, con la differenza che in galera spesso non si hanno neanche i soldi per comperarsi l’acqua minerale. I detenuti stranieri - circa il 35% della popolazione carceraria - vivono questo come altri problemi in maniera ancora più amplificata, raramente hanno parenti che provvedono a sostenerli, col risultato di frequenti problemi sanitari. "Questa struttura è relativamente nuova - dice Giovanni Russo Spena - ma senza adeguata manutenzione rischia di divenire decrepita in poco tempo, con tutte le disfunzioni per la vita dei reclusi che ne possono derivare". Tante altre sono state le rimostranze che la delegazione ha portato fuori: dalle condizioni di sovraffollamento - 1.200 detenuti di fronte ad una capienza massima di 900 - alla difficoltà di trovare prospettive di lavoro esterno o interno. E se alcune di queste difficoltà hanno origine in una scarsità di fondi dell’amministrazione, su cui hanno inciso fortemente i tagli della finanziaria, esistono a monte carenze strutturali o scelte gestionali che la neo direttrice ha promesso di rimuovere al più presto. Difficile in effetti lavorare avendo a disposizione solo tre medici, difficile sostenere una popolazione carceraria in cui il 30% è composta da tossicodipendenti. Secondo quanto riferito alla delegazione, uno dei medici del Sert, pagato dalla Regione, non percepisce stipendio da sei mesi. Difficile poter avviare percorsi di mediazione culturale perché un progetto è esaurito e non ce ne sono ancora di nuovi. Inspiegabile per ora il non utilizzo delle strutture sportive, in particolare di un campo che per i detenuti è un miraggio, quasi come l’opportunità di lavorare. Ma se per i deputati che ormai da anni sono abituati a visitare carceri in tutta Italia, lacune e disservizi sono vissuti come routinarie, diverso è l’effetto prodotto sugli altri membri della delegazione. Toccare con mano i danni che ad ogni singolo individuo, per quanto colpevole, vengono arrecati da un sistema penale capace solo di incattivire e determinare devianza, impone un diverso punto di vista. Saltano i paradigmi forcaioli. Si verifica l’inutilità del sistema carcerario in quanto tale. Nasce così l’esigenza di dare continuità ad un lavoro di monitoraggio e di denuncia. "Ci saranno altre visite al "Pagliarelli" con deputati regionali, nazionali ed europei", secondo quanto affermato con un comunicato stampa della delegazione, e si avvierà un lavoro nel territorio per dare spazio a quella giustizia che sbarre, mura alte, inferriate e corridoi non potranno mai garantire.
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