Il
Quirinale riprende il potere di grazia
La
Repubblica, 2 aprile 2004
Il
capo dello Stato, con una lettera irritualmente resa pubblica, chiede al
ministro di Giustizia che gli siano inviati "i fascicoli" per la
concessione della grazia a Ovidio Bompressi e Adriano Sofri. Con
quest’iniziativa, Carlo Azeglio Ciampi sembra voler liquidare finalmente le
due anomalie che hanno finora impedito la soluzione del "caso Sofri".
Anche se oggi la questione - soprattutto per il coraggio e la determinazione di
Marco Pannella - va ben oltre il destino di un detenuto e interpella, come ha
scritto il leader radicale, "l’esercizio di un potere
costituzionale" e "lo stesso principio di legalità".
Occorre ricordare quali sono le due anomalie che affliggono l’affare. La prima
anomalia si chiama Roberto Castelli. Il ministro di Giustizia ritiene di avere
"un potere di concerto" nell’atto di clemenza, "una
responsabilità politica" nel provvedimento. Addirittura "un potere
d’interdizione". La grazia, in realtà, non è stata mai riconducibile al
potere di indirizzo politico di un governo. Al ministro, la Costituzione assegna
soltanto il compito dell’istruzione del provvedimento, quindi "un ruolo
servente rispetto al Quirinale" (Michele Ainis). Il Guardasigilli istruisce
"il fascicolo". Lo invia al capo dello Stato con una proposta
favorevole o sfavorevole alla concessione. La sua controfirma al provvedimento
di clemenza "è un atto dovuto" (Andrea Manzella, Francesco Paolo
Casavola, Giuliano Amato). È la prima anomalia.
La seconda anomalia chiama in causa lo stesso capo dello Stato. Già in luglio
Ciampi era pronto a concedere la grazia ad Adriano Sofri. Dinanzi al rifiuto del
ministro, decide di non firmarla. La rinuncia rafforza l’infondata convinzione
che la grazia sia un provvedimento duale, nella disponibilità di due soggetti:
il capo dello Stato e il ministro di Giustizia. E in effetti è stata questa,
finora, la prassi. La prassi ha avuto, però, sempre un principio sotteso,
ineliminabile e decisivo: lo spirito di collaborazione tra le istituzioni.
Sorprendentemente il ministro Castelli nega ogni collaborazione al presidente
della Repubblica. Pronto a concedere la clemenza, Ciampi pubblicamente dice di
avere già la penna in mano. Castelli decide di lasciarlo con la penna a
mezz’aria. Per molti, questa è già la mossa ostile, e abusiva, che impone di
modificare la prassi per ritornare alla lettura autentica del dettato
costituzionale, quindi alla riappropriazione da parte del presidente della
Repubblica di un potere che oggi gli appartiene in modo esclusivo, come ieri era
esclusivo potere del sovrano.
Ciampi non ama gli strappi istituzionali e decide di aggirare l’ostacolo
chiedendo al Parlamento di approvare una legge che gli assegni ciò che è già
suo per la Carta e che glielo assegni anche se il detenuto non avanzi una
domanda di clemenza. Quindi con una modalità già ora presente nella legge
("La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o
proposta", codice di procedura penale, art. 681). Anche questo tentativo di
sminare il terreno evitando un conflitto istituzionale va a vuoto. La
maggioranza boccia la proposta avanzata da Marco Boato: gli uomini di An pensano
ancora che per avere un atto di clemenza bisogna abiurare; i leghisti sono in
perenne campagna elettorale; Berlusconi tace e s’eclissa. Non è un male che
le Camere affondino il pasticcio.
Ostinato a evitare ogni conflitto, Ciampi in queste settimane, con discrezione,
chiede al ministro attraverso i suoi "ambasciatori" di inviargli
"le istruttorie in materia di grazia". Castelli fa finta di nulla.
Ciampi decide allora di pubblicizzare la sua iniziativa e Castelli, dopo aver
negato al mattino di aver ricevuto una lettera dal Quirinale, ammette a sera di
aver letto "solo oggi" la missiva spedita due giorni fa per concludere
che "per cortesia istituzionale" invierà le carte anche se questo
"non implica un’adesione alla richiesta di grazia". L’espressione
è ambigua. Castelli maneggia male il glossario e non si comprende se questa
precisazione annuncia che egli invierà la documentazione con il suo parere
negativo. O, al contrario, che rifiuterà di "controfirmare" il
provvedimento di clemenza.
Quali che siano alla fine le decisioni del Guardasigilli, la lettera del capo di
Stato comincia a fare un po’ di luce in un affare che, limpido nella lettura
della Carta, è stato oscurato da interpretazioni quietiste e mosse illegittime
(o forse soltanto ignoranti).
Con la sua iniziativa, Ciampi ribadisce che il potere di grazia è una assoluta,
esclusiva prerogativa del suo ufficio. Ricorda che la collaborazione del
ministro si limita all’istruzione e all’invio del fascicolo al Quirinale e
non può trasformarsi in potere di interdizione. Sono mosse chiare, inequivoche
e necessarie, che tuttavia avviano un percorso istituzionale, ma non sollecitano
all’ottimismo. La conclusione di questo affare potrebbe ancora non essere
rapida né priva di conflitti.
Al contrario, se si ha a mente il comportamento distruttivo del "principio
di legalità", per dirla con Pannella, tenuto dal Guardasigilli, chi può
essere autorizzato a credere che Roberto Castelli si sia convinto a rispettare
le regole (direi, il decoro) del suo ruolo? Ha fatto orecchie da mercante in
queste settimane dinanzi agli inviti del Quirinale. Ha negato l’esistenza
della lettera di Ciampi. Quando ne ha ammesso l’esistenza, provocatoriamente
s’è appellato alla sola "cortesia", non al dovere istituzionale,
lasciando scivolare una obliqua minaccia: boccerò la richiesta o non la
controfirmerò.
Da qui a qualche settimana (Castelli già parla di mesi), il confronto tra
Governo e Quirinale potrebbe dunque riproporsi. In queste forme. Ciampi riceve i
fascicoli, non tiene conto del parere negativo del ministro (obbligatorio, ma
non vincolante) e firma un provvedimento di clemenza per Bompressi e Sofri.
Castelli non lo controfirma. La firma di Castelli è un atto dovuto, abbiamo già
detto, perché il ministro "non ha nessuna responsabilità di merito"
(Augusto Cerri), ma soltanto il dovere del consueto controllo di legittimità.
Senza quella firma, però, i detenuti restano in prigione (le chiavi delle celle
sono nella tasca del ministro). È vero, la grazia potrebbe essere controfirmata
dal presidente del Consiglio. "È controfirmatore idoneo o meglio
eccellente" (Franco Cordero). Ma avrà voglia Silvio Berlusconi di farlo
alla vigilia delle elezioni e in contrasto con il suo miglior alleato nel
governo? Senza una controfirma quell’atto di clemenza è monco e sterilizzato.
Al capo dello Stato si presenterebbe soltanto una strada, la più dolorosa:
sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale.
Ha ragione Marco Pannella. In questa storia, c’è ancora spazio per altri
trabocchetti. Ha torto, però, il leader radicale a non vedere, nella lettera
firmata da Ciampi, il "gesto che inequivocabilmente dimostra che il
presidente è tornato libero di fare quello che la Costituzione gli chiede e gli
consente di fare".
Rinunci oggi allo sciopero della sete. La difesa della Costituzione da
illegittimi poteri d’interdizione o di indirizzo politico potrebbe richiedere
il suo coraggio domani.