Rassegna stampa 21 agosto

 

Carceri: la Casa delle Libertà divisa sull’amnistia

 

Asca, 21 agosto 2004

 

La proposta dell’Udc che il Parlamento torni a discutere su un provvedimento di clemenza per ridurre il sovraffollamento nelle carceri considerata una boutade d’agosto dal coordinatore di An La Russa ma ritenuta invece senza alternative dal forzista Pecorella, presidente della commissione Giustizia della Camera.

"Non è nell’agenda del governo". Lo afferma il ministro per i Rapporti col Parlamento Carlo Giovanardi precisando che a "livello governativo non si è mai parlato di amnistia". "La questione può essere messa sul tavolo - osserva Giovanardi - ma viste le difficoltà parlamentari incontrate per il varo dell’indultino, penso che a livello politico l’amnistia incontrerebbe ancora più difficoltà ".

Violante (Ds): l'amnistia? non ha mai risolto i problemi

 

Asca, 21 agosto 2004

 

"Sono state fatte moltissime amnistie, ma si è visto che non hanno mai risolto i problemi penitenziari". Lo ha detto all’Ansa il presidente dei deputati della Quercia, Luciano Violante, commentando l’invito di oggi del capogruppo dell’Udc a Montecitorio, Luca Volontè, a tornare sul tema dell’amnistia dopo i disagi e le proteste nelle carceri. "Quello sull’amnistia - ha detto ancora Violante - è un balletto già visto che può alimentare illusioni che poi rischiano di creare conflitti difficilmente risolvibili nelle carceri".

"A questo punto - è l’invito dell’esponente dei Ds - affrontiamo seriamente il problema carceri: aspettiamo che il Comitato carceri della Camera presenti il suo rapporto, che dovrebbe esserci nelle prossime settimane, e sulla base di quello si decida cosa fare e si lavori, in particolare, sia sul versante dei detenuti che del personale".

Volontè (Udc): è ora di tornare sul tema amnistia

 

Ansa, 21 agosto 2004

 

"È necessario approfondire il tema di una possibile amnistia a partire dalla condivisione che ci fu dopo le parole del Santo Padre a Montecitorio". È quanto chiede il capogruppo dell’Udc alla Camera, Luca Volontè, interpellato dall’Ansa a proposito del dibattito sui disagi nelle carceri. "È ora che il Parlamento, assieme al tema della situazione logistica delle carceri e al dettato costituzionale che prevede nella detenzione un’occasione di recupero dell’individuo, approfondisca - conclude Volontè - anche il tema di una possibile amnistia".

Emilia Romagna: assessore Borghi aderisce a protesta carceri

 

Adnkronos, 21 agosto 2004

 

L’assessore regionale alle politiche sociali dell’Emilia Romagna Gianluca Borghi aderirà alla giornata di protesta e sciopero della fame di domenica prossima 22 agosto, indetta per denunciare la grave situazione delle carceri italiane. Per l’occasione Borghi visiterà gli istituti penitenziari di Reggio Emilia e di Bologna e incontrerà detenuti e operatori per esprimere loro la propria solidarietà, anche a nome della giunta regionale.

Gasparri (An): nessuna amnistia, ma aumentiamo capienza

 

Agi, 21 agosto 2004

 

"È necessario realizzare un maggior numero di carceri, piuttosto che adeguare il numero dei detenuti alla capienza disponibile". Lo ha detto il ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, oggi a Erice per partecipare alla prima giornata di studi del seminario sulle emergenze planetarie, valutando positivamente l’operato del ministro della Giustizia, Roberto Castelli.

"Dobbiamo adeguare, nella speranza che non serva, la capienza carceraria alle necessità. Incentivare, invece, forme di amnistia è sbagliato". Riguardo a questo argomento, secondo Gasparri, non ci sono strumentalizzazioni da parte delle forze politiche, "ma ci sono alcuni di sinistra - dice - che affrontano il problema con demagogia".

D’Elia (Ri): giornata di sciopero della fame e raccolta firme

 

Asca, 21 agosto 2004

 

"Una giornata di sciopero della fame e di raccolta firme sul referendum nelle carceri è l’esatto opposto della posizione provocatoria e irresponsabile che il ministro Giovanardi ci imputa". Lo afferma Sergio D’Elia, segretario dell’Associazione Nessuno tocchi Caino. "C’è un solo modo -aggiunge- per evitare che il carcere diventi luogo di violenza e di disperazione, ed è rendere il più possibile partecipi i detenuti della vita civile del proprio Paese.

È quello che i Radicali hanno con rigore e responsabilità fatto da quando esistono. Se dovesse prevalere la visione che appare essere di Giovanardi per cui i detenuti sarebbero cittadini di serie B che non hanno diritto a firmare i referendum e il carcere una discarica dove buttare i rifiuti della società, allora davvero il rischio sarebbe quello di sempre più atti di violenza, si autolesionismo e di suicidio dietro le sbarre.

Intanto segnaliamo che sono le ore 15 e 25 di venerdì e non abbiamo ancora ricevuto nessuna risposta alle 30 istanze avanzate ieri nei confronti di altrettanti direttori di carcere perché sia consentita domenica ai detenuti che ne hanno diritto la sottoscrizione del referendum contro la legge sulla fecondazione assistita. Diciamo -conclude D’Elia- che siamo in attesa di 30 smentite alle parole di Giovanardi".

Nieri e Manconi: per Regina Coeli avevamo autorizzazione 

 

Adnkronos, 21 agosto 2004

 

"L’autorizzazione c’era, ma l’hanno nascosta e le porte di Regina Coeli non si sono aperte". È quanto dichiarano in una nota Luigi Nieri, assessore al lavoro e alla periferie del Comune di Roma, e Luigi Manconi, garante capitolino dei detenuti, dopo che ieri non hanno avuto l’autorizzazione per far visita ai detenuti di Regine Coeli.

La Russa (An): sì alla privatizzazione degli istituti di pena

 

Asca, 21 agosto 2004

 

"Non ho nessuna preclusione rispetto all’ipotesi della privatizzazione, ma a condizione che sia istituita un’autorità che garantisce il rispetto di regole comuni anche nelle carceri gestite dai privati". Lo dichiara il coordinatore di An, Ignazio La Russa, in un articolo che sarà pubblicato domani dall’"Indipendente".

Cento (Rc): sì amnistia, no a bluff sulla pelle dei detenuti

 

Asca, 21 agosto 2004

 

"L’amnistia è una misura necessaria per affrontare seriamente l’emergenza carceraria e riformare il sistema delle sanzioni penali". Lo sostiene il Verde Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, dopo che il capogruppo alla Camera dell’Udc, Luca Volontè ha affermato in una dichiarazione alla stampa l’intenzione di riproporre in parlamento un provvedimento di amnistia.

"Le condizioni per fare questo atto di clemenza c’erano già in occasione della approvazione dell’indultino che, come i Verdi hanno sempre denunciato, si è poi rivelato un provvedimento inutile e dannoso - argomenta Cento - perché ha impedito per mesi qualsiasi discussione sulla situazione carceraria. Noi Verdi siamo pronti a fare la nostra parte, sostenendo una provvedimento di amnistia-indulto di tre anni, generalizzato, e che escluda solo i reati di stampo mafioso ma non accetteremo di partecipare all’ennesima discussione bluff di ferragosto che illude cinicamente i detenuti e si consuma sulla loro pelle senza portare a nulla di concreto".

Caruso (No global): l’amnistia subito o sarà rivolta

 

Asca, 21 agosto 2004

 

"La situazione nelle carceri è a dir poco drammatica ed esplosiva: se non si affronta ora la questione di una amnistia generalizzata, ben presto dovremmo fare i conti con frequenti rivolte e ribellioni nelle carceri. Il mio non è un auspicio né un istigazione, ma semplicemente una constatazione di fatto: per sommo dispiacere di Castelli, infatti, ho ispezionato negli ultimi mesi, insieme a quelli che lui definisce parlamentari-sovversivi, vari istituti penitenziari del sud Italia ed è evidente a chiunque varchi un cancello di una prigione che ormai le carceri sono una bomba ad orologeria".

Così il leader dei disobbedienti napoletani, Francesco Caruso, che aggiunge: "L’atteggiamento dei vari La Russa e Violante, che scelgono di fare campagna elettorale sulla pelle dei detenuti, è un atteggiamento a dir poco ignobile. Dopo 15 anni è arrivato il momento di un’amnistia generalizzata, malgrado questo possa diventare lo strumento per Silvio Berlusconi per evitare le inchieste e le condanne che lo vedono protagonista per vari reati di corruzione".

Vietti: ci sono fondi per recupero strutture mai usate

 

Agi, 21 agosto 2004

 

Recuperare tutte le strutture rimaste inutilizzate per anni e ancora adatte ad ospitare detenuti. È questo l’impegno del ministero della Giustizia, come spiega il sottosegretario Michele Vietti, intervenuto oggi a Radio anch’io.

"Il ministero - assicura Vietti - si è attivato per recuperare tutte le strutture che, con interventi di ristrutturazione, possono essere riutilizzate a scopo carcerario. Gli stanziamenti per l’edilizia ci sono, ma intendiamo anche attivare un sistema alternativo basato sul project financing, che spero ci consentirà di risolvere il problema". Secondo quanto rileva il sottosegretario, "ci sono state strutture dismesse negli anni, alcune perché fatiscenti.

Queste le vogliamo alienare, per avere risorse per costruirne di nuove. Altre invece possono essere recuperate, anche se negli anni parametri ed esigenze sono cambiati, alcune non potranno più essere utilizzate come carceri". Lo scorso aprile, Giovanni Tinebra, responsabile del Dipartimento amministrazione penitenziaria, tracciò lo stato di attuazione del programma di edilizia in una relazione inviata al Parlamento.

Nei prossimi anni, secondo quanto sottolineato allora da Tinebra, saranno costruite 13 delle 24 nuove carceri previste, con un investimento complessivo di circa 470 milioni di euro. Ad oggi, nell’ambito del programma, avviato con una legge del 1971, sono stati realizzati 81 nuovi istituti, a cui si aggiungono quelli di Ancona Barcaglione (capienza 100 posti) e Sant’Angelo dei Lombardi (107 posti), di prossima attivazione, oltre alle strutture in costruzione di Perugia (capienza pari a 250 unita) e Reggio Calabria (300).

Tinebra (Dap): anche Regina Coeli si può vendere...

 

Apcom, 21 agosto 2004

 

"Se arrivasse un’offerta economica conveniente, Regina Coeli potrebbe essere venduto per realizzare un altro carcere alla periferia di Roma. Ma il prezzo sarebbe altissimo". È una delle possibili misure per far fronte al sovraffollamento delle carceri annunciata in un’intervista al Corriere della Sera, dal direttore del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra. "Anche se - precisa Tinebra - quella romana è considerata una delle strutture in cui si è fatto di più".

Per risolvere il problema del sovraffollamento, aggiunge il direttore del Dap, "abbiamo un vasto programma si ammodernamento e di dismissioni", un piano che prevede l’intervento su 23 istituti. Tinebra non esclude a tale proposito parziali privatizzazioni delle carceri "purché non si tocchi la gestione della sicurezza e il trattamento dei carcerati". Già 11 ex penitenziari non sono più nella disponibilità del Demanio.

Ancora più grave è, secondo Tinebra, la situazione al Sud Italia dove ci sono strutture fatiscenti che dovrebbero essere chiuse. "In Sicilia saranno chiusi Piazza Lanza a Catania, le carceri di Sciacca e Mistretta. Altri quattro saranno chiusi in Sardegna", fa sapere il capo del Dap.

Nella geografia della vivibilità il Dap ha individuato 3 fasce. La prima è composta da 60/70 carceri in ottimo stato, una seconda fascia media è composta da 100/110 strutture in condizioni discrete, e infine ci sono 30 strutture da smantellare. "I programmi di intervento riguarderanno 23 di questi 30 istituti", ribadisce Tinebra che sottolinea "ci sono già finanziamenti pubblici per 8,9 carceri". Il piano prevede inoltre la costruzione di 11 carceri con il ricavato della vendita dei penitenziari dimessi, grazie alla società Dike Aedifica costituita ad hoc.

Torino, il Cardinale Furno: ignorato l’appello del Papa

 

Apcom, 21 agosto 2004

 

"Basta con le strumentalizzazioni e le adesioni di facciata che non mutano lo stato delle cose. Due anni fa a Montecitorio l’appello papale per i detenuti fu applaudito da tutti i partiti, ma non era certo l’indultino l’atto di clemenza invocato da Giovanni Paolo II fin dalla preparazione del Giubileo". Così il cardinale torinese, Carlo Furno, dalle colonne della Stampa esprime il disappunto della Santa Sede per l’ennesima emergenza del sovraffollamento delle carceri.

Secondo il cardinale, infatti, a pochi mesi dall’approvazione dell’indultino i penitenziari già riesplodono perché "invece di accogliere davvero l’invito del Papa e approfondire i contenuti, in Parlamento hanno prevalso le motivazioni di parte e si è ripiegato su un provvedimento parziale e inadeguato alla gravità della situazione carceraria. In pratica - sottolinea il cardinale Furno - è passata la versione attenuata di quanto trasversalemte promesso".

Ad uscirne sconfitta, non è secondo il cardinale, la Santa Sede "che non ha bisogno di simili vittorie", bensì "la credibilità del mondo politico che ha ceduto ala litigiosità e agli opportunismi di fazione sulla pelle della popolazione carceraria".

Biondi (FI), "Sì all’amnistia, per limitare il problema"

 

Asca, 21 agosto 2004

 

Il vicepresidente della Camera e deputato di Forza Italia, Alfredo Biondi, si dice favorevole alla proposta di amnistia per i detenuti. "Sono sempre stato contrario a misure indulgenziali - spiega - Tuttavia di fronte all’emergenza carceraria credo che un’amnistia costituisca, a distanza di quindici anni dall’ultima, un rimedio che non risolverà i mali della giustizia ma limiterà la gravità afflittiva su chi dovrebbe nel carcere trovare ambiente di redenzione invece che di disperazione".

Il criminologo Romano: otto carcerati su dieci tornano dentro

 

Giornale di Brescia, 21 agosto 2004

 

Dieci lasciano il carcere, otto di loro vi fanno ritorno nel giro di breve. Questo perché il carcere non riesce ad assicurare alla pena uno dei suoi fini costituzionali: lo scopo rieducativo. Non ci riesce per diversi motivi, il primo è quello per il quale in questi giorni si sono registrate tensioni, polemiche, infinite discussioni: il sovraffollamento.

Una piaga che Carlo Alberto Romano, criminologo e presidente dell’associazione "Carcere e territorio" pone in cima alla lista dei problemi da risolvere. "A Canton Mombello - ci ha spiegato - sino a poco tempo fa c’erano 500 detenuti, la situazione è migliorata solo di recente grazie ad un minisfollamento necessario per consentire lavori di ristrutturazione".

Una goccia nel deserto. "La condizione di promiscuità è sempre elevatissima - prosegue il prof. Romano - e non consente certo di rieducare alla vita i condannati. Nella casa circondariale di Brescia si possono contare dodici persone nella stessa cella e si verificano fenomeni davvero gravi: ci sono turni per sedersi e per stare in piedi, per mangiare e per l’ora d’aria". Oltre al numero elevato di ospiti a creare difficoltà è anche la sua eterogenea composizione. "Sono presenti numerose etnie a Canton Mombello e molte - prosegue il prof. Romano - sono incompatibili tra loro. Gli operatori sono costretti a tenere distanti le une dalle altre per evitare contatti davvero pericolosi". Una mano, secondo il criminologo, non l’ha certo data la Bossi-Fini.

"La legge esclude i condannati stranieri dalla concessione di misure alternative. Loro - commenta Carlo Alberto Romano - non avendo prospettiva diversa dal carcere non si preoccupano di tenere una buona condotta. Hanno un atteggiamento spesso strafottente, danno luogo a rivolte, mettono in pericolo l’equilibrio già precario che si vive nelle celle". Sotto il profilo sanitario ed occupazionale le cose non vanno meglio.

"I tagli hanno ridotto le risorse per l’acquisto di medicinali - spiega il prof. Romano -, ma se per queste la Regione ha imposto alle Asl di coprire le spese in eccesso, per le prestazioni specialistiche, invece, non c’è nulla da fare". Da fare c’è poco anche in senso più stretto. "Meno di una quarantina di detenuti lavorano all’interno di Canton Mombello - prosegue Romano - e questo è un altro aspetto preoccupante.

Cominciare a lavorare quando si sta scontando la pena consentirebbe ai detenuti un percorso più agevole verso il reinserimento in società. Purtroppo così non è". Come a dire: "Lasciate ogni speranza voi che... uscite". Altro discorso va affrontato per chi in carcere ci finisce per esigenze di carattere cautelare.

"L’impatto è pesantissimo, soprattutto per coloro che, non delinquendo per professione - spiega il prof. Romano - non mettono preventivamente in conto un passaggio in prigione. Oltre al fatto che la custodia cautelare è avvertita come una sentenza di condanna, la condizione di prostrazione dovuta alla reclusione e il forte stato di malessere dovuto alla situazione ambientale possono far maturare nell’imputato propositi suicidiari". Soluzioni a breve per risolvere questa e le altre problematiche legate alla condizione carceraria italiana in generale e bresciana in particolare non ci sono. Molto però si può fare.

"È necessario che si studino misure alternative che preparino al dopo. Che carcere e territorio - dice Romano - siano in collegamento. Un condannato che ha scontato la sua pena quando esce non ha una lira, non sa dove andare e cosa fare. Il più delle volte, circa otto su dieci, torna a delinquere. Bisogna dargli alloggi, un lavoro, un’assistenza sanitaria. Bisogna dargli un’alternativa, creargliela prima che riacquisti la libertà".

Sabella (ex Dap): non c’è volontà di risolvere i problemi

 

Apcom, 21 agosto 2004

 

"La situazione carceraria? Non interessa a nessuno. Questa è la cruda verità. Si scopre solo d’estate che i penitenziari sono sovraffollati, che ci sono inefficienze e che le condizioni dei detenuti sono al limite". È quanto afferma il Pm Alfonso Sabella, dal gennaio 2001 e nei nove mesi successivi, capo degli ispettori del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.

A tre anni di distanza Sabella, interpellato da Apcom, conferma il "quadro" allarmante sul sistema penitenziario italiano tracciato in un documento inviato il 20 dicembre 2002 al Consiglio superiore della magistratura, al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, e al Capo del Dap, Giovanni Tinebra, poco dopo aver lasciato il suo incarico "per contrasti interni con il suo Capo (Tenebra - ndr)" a seguito di "proposte e iniziative" che avrebbero "potuto compromettere equilibri consolidati nella gestione del Dipartimento" .

"Quel rapporto - spiega Sabella - fu il risultato di una lunga attività di monitoraggio. In nove mesi, in pratica, visitai il 50% delle carceri italiane. Credo che nessuno al Dap abbia fatto un attività di monitoraggio simile". Alla domanda se sia stato mai stato convocato dal Csm, o da una Commissione parlamentare (Antimafia o Giustizia) per essere ascoltato su quanto scrisse nel suo rapporto, Sabella risponde: "Mai. Nessuno mi ha mai chiamato". Eppure nel rapporto dell’allora capo degli ispettori del Dap (chiamato al vertice dell’ufficio dal predecessore di Tinebra, l’attuale Pg di Torino Giancarlo Caselli) già nel 2001 e per la prima volta, viene messa a fuoco con una mole di dati, anche comparativi con i sistemi di altri Paesi, una situazione allarmante con molti coni d’ombra sul funzionamento della realtà penitenziaria italiana.

Secondo Sabella la realtà descritta nel 2001 è sostanzialmente rimasta la stessa. Non ci sono stati cambiamenti. "I problemi sono rimasti gli stessi. Si parla di carenza di organico della polizia penitenziaria - osserva - quando è noto che in Italia il rapporto tra popolazione detenuta e agenti è quasi di uno a uno. Il triplo di Paesi come Olanda, Inghilterra, Germania". "Ci sono penitenziari gemelli cioè con caratteristiche presso che simili che hanno una capienza diversa.

Chi stabilisce il criterio della capienza", chiede Sabella. L’altro punto dolente, secondo l’ex capo degli ispettori del Dap, è costituito dall’utilizzo degli agenti. "Nelle carceri italiane - afferma - non esistono praticamente le sentinelle sulle mura ci cinta. Sembra assurdo ma è così. Mi è capitato, una volta, durante un’ispezione di arrivare alle 22 in un piccolo istituto con circa 50 detenuti e di non trovare un solo agente. C’erano solo i detenuti".

Mastella: sull'amnistia fare meno calcoli elettorali

 

Agi, 21 agosto 2004

 

"A quanti nel centrodestra e nel centrosinistra continuano ad essere contrari all’amnistia vorremmo ricordare il coro di consensi che due anni fa, in occasione della sua visita al Parlamento italiano, accompagnò la richiesta del Papa di un atto di clemenza verso i detenuti. Quell’appello purtroppo cadde nel vuoto anche se il problema sollevato dal Pontefice resta di drammatica attualità".

Lo ha affermato il segretario dell’Udeur, Clemente Mastella, che spiega: "Noi continuiamo ad essere favorevoli, ma registriamo divisioni e resistenze nei due schieramenti che rischiano purtroppo di relegare l’argomento ancora una volta a discussione estiva. Il problema invece esiste è drammatico - conclude - e richiederebbe da parte di tutte le forze politiche meno calcoli elettorali e maggiore senso di responsabilità"

Fucci (Anm): decisione politica che spetta al Parlamento

 

Il Gazzettino, 21 agosto 2004

 

Sì a una amnistia limitata ai reati minori ma "resta indispensabile la rivisitazione del codice penale sotto il profilo della depenalizzazione, con interventi indispensabili sulla durata dei processi, altrimenti dopo qualche mese le carceri tornano piene come prima".

È la posizione del segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati, Carlo Fucci." Ovviamente - dice Fucci - l’amnistia è una decisione politica che spetta al Parlamento. Un eventuale provvedimento del genere dovrebbe essere circoscritto ai reati minori e non dovrebbe vanificare attività di indagine e processuali di particolare rilievo che comunque hanno avuto un costo per la collettività".

Tendenzialmente favorevole anche il presidente dell’Unione delle camere penali, Ettore Randazzo. "Ritengo - dice il rappresentante degli avvocati - che l’amnistia sia un rimedio emergenziale, ma ben venga in una situazione come quella attuale dove è tragico il sovraffollamento nelle carceri che è un problema molto grave e merita attenzione non solo nel mese di agosto!". Tuttavia l’amnistia "non può costituire la soluzione definitiva del problema che va affrontato in maniera organica assicurando la funzione rieducativa della pena, ricorrendo alla detenzione in carcere solo per i casi che veramente lo meritano e applicando negli altri la personalizzazione nello scontare la condanna".

Teme operazioni "diversive" rispetto all’emergenza carceri il coordinatore dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella. "Non vorremmo - dice - che si parlasse di amnistia per non parlare di quanto accade nelle carceri. Riteniamo - spiega - che sia diritto dei cittadini - afferma - sapere cosa sta succedendo nelle carceri italiane. Nei giorni scorsi è iniziata una protesta a Regina Coeli. Non si sa cosa sia accaduto nelle ore immediatamente successive. Nel frattempo la comunicazione con l’esterno di è ridotta, anzi è stata interrotta. Tutto ciò è preoccupante".

Sergio Cusani: "L’indultino è stato una vera schifezza"

 

Il Gazzettino, 21 agosto 2004

 

"Sarebbe ora, perché l’indultino è stata una vera schifezza, la solita misura all’italiana, che non ha risolto assolutamente niente". Parola di Sergio Cusani, protagonista del processo Enimont al termine del quale fu condannato e che, da quando ha finito di scontare la pena, è fortemente impegnato nel volontariato nelle carceri.

L’argomento è l’amnistia, della quale si discute in questi giorni, dopo il suicidio del sindaco di Roccaraso e le proteste dei detenuti del carcere di Regina Coeli: "A Milano, per esempio, l’indultino è fallito completamente, perché ci sono delle restrizioni molto forti".

L’ex detenuto simbolo di Tangentopoli, invece, è favorevole all’amnistia, "ma a una condizione": se servisse per avere il tempo necessario per affrontare i problemi strutturali del carcere "di cui ha parlato Violante". "Indulto e amnistia - spiega - darebbero quei due, tre anni di tempo per affrontare con serietà i problemi strutturali del sistema penitenziario". Problemi "che sono andati peggiorando negli ultimi anni".

Napoli, il Cardinale Angelini: dai parlamentari nulla di concreto 

 

Il Mattino, 21 agosto 2004

 

"Non posso non manifestare tutta la mia amarezza nel constatare che tutti i deputati e senatori, dopo aver accolto in modo solenne il Santo Padre a Montecitorio il 14 novembre 2002 ed essersi impegnati a tramutare in legge la sua richiesta di clemenza per i carcerati, nulla hanno fatto in concreto, finora, per onorare quella promessa". Così esordisce il cardinale Fiorenzo Angelini nel commentare la questione riguardante i carcerati e le gravi condizioni in cui continuano a vivere.

 

Eminenza, mi pare di cogliere nelle sue parole più che un’amarezza per il fatto che si sia venuti meno ad un impegno assunto dai membri delle due Camere e dal governo in una seduta che ha avuto un significato storico per l’Italia.

"Sarebbe lungo il discorso sulle promesse mancate, da parte dei politici, rispetto alle richieste del Papa nei campi della giustizia, della solidarietà e della pace. Se il Santo Padre fosse stato ascoltato, non ci troveremmo di fronte alla tragedia irachena. Ma restiamo al problema delle carceri e dei carcerati per i quali il Papa ha fatto una richiesta precisa quando, invitato a parlare a tutti i parlamentari dalla scranno di Montecitorio, ha sottolineato che il carcerato è, prima di tutto, una persona con i suoi diritti inviolabili fin dalla nascita. La stessa Costituzione italiana contempla e garantisce questi valori che, per la dottrina cristiana come per lo statuto dell’Onu, sono il fondamento del vivere civile. Non ci si può, quindi, non interrogare oggi sul perché quella richiesta sia stata disattesa a distanza di quasi due anni".

 

E, magari, si torna a parlare delle carceri e dei carcerati solo quando si verificano fatti drammatici come quello del sindaco di Roccaraso o altri episodi del genere.

"Le condizioni poco umane delle carceri sono di sempre e, purtroppo, si aspetta che accada qualche cosa di straordinariamente negativo per poi intervenire. Io ho avuto l’occasione di visitare più volte Regina Coeli a Roma e stare in mezzo ai detenuti. Qui non si tratta di avere un senso di pena retorico, poetico, irreale, ma di avere la consapevolezza che ci si trova di fronte a vicende umane che possono colpire tutti allo stesso modo. Anche nostro Signore Gesù Cristo fu arrestato, incarcerato, flagellato e condannato a morte, sebbene innocente. Che sia necessaria la legge a fondamento di uno Stato civile e che preveda punizioni per le persone risultate colpevoli di un reato non c’è dubbio. Ma non possiamo dimenticare che una pena, per essere umana, deve avere il carattere della redenzione e della riabilitazione di un essere umano, altrimenti si sfocia nella barbarie".

 

Ora sembra che alcuni politici tendano a riproporre addirittura un’amnistia. Che ne pensa?

"Non è mia competenza addentrarmi in un discorso tecnico. Riaffermo, però, con forza che la richiesta del Papa di concedere clemenza è rimasta disattesa. Invito, perciò, i parlamentari, il governo a mantenere la loro promessa al Papa, il quale non può essere strumentalizzato per secondi fini. Ricordo, anzi, a tutti i politici che il concetto di rieducazione ha radici cristiane ma fa parte pure della civiltà moderna che alla persona, anche se risultata colpevole, non nega mai la possibilità di rinnovarsi e reinserirsi nella società civile. Perciò, non basta dare al carcerato il necessario per la sopravvivenza biologica, occorre ciò che si addice ad una persona che tale resta anche se si è macchiata di un reato. Sta, quindi, al Governo, al Parlamento trovare la soluzione per risolvere una situazione carceraria intollerabile".

 

Comitato carceri in Campania

 

Martedì saranno a Regina Coeli, dove nei giorni scorsi è divampata la rivolta. A settembre, o al più tardi a ottobre, il comitato carceri della commissione giustizia di Montecitorio visiterà gli istituti di pena del Sud. Le date saranno definite alla ripresa dei lavori parlamentari. Enrico Buemi, Sdi, presidente del comitato; Francesco Carboni, Ds, vice; e Mario Pepe, Forza Italia, entreranno anche nelle carceri di Napoli e del resto della Campania. Ai tre parlamentari potrebbero aggiungersi Giuseppe Fanfani, Margherita, e Sergio Cola, An.

Del Turco (Sdi): carcerazione preventiva è vero problema

 

Il Messaggero, 21 agosto 2004

 

"Chiunque voglia trovare spiegazioni nella morte di Camillo Valentini non deve cercarle nel carcere di Sulmona". Ottaviano Del Turco, parlamentare dello Sdi ed ex presidente della Commissione antimafia, di carceri ne ha viste tante. Dall’Ucciardone a San Vittore. Ieri per un’ora e mezza ha visitato il penitenziario di Sulmona dove nella notte tra il 15 e il 16 agosto è morto Camillo Valentini.

L’ispezione nel penitenziario si è conclusa giovedì a tarda sera. Gli uomini del Ministero chiariranno all’amministrazione le circostanze della morte di Valentini, mentre la Procura indaga per istigazione al suicidio. Ma Del Turco non ha dubbi: "Non ha avuto il tempo di misurarsi con la durezza del carcere. E comunque se si visita Sulmona si rischia di essere fuorviati. Non è certo esemplificativo della situazione carceri italiane".

Nell’istituto, diretto da Giacinto Siciliano, ci sono 430 detenuti, per una disponibilità di 470 posti. Numeri che nulla a che vedere con quelli degli altri penitenziari. A Sulmona, i controlli notturni sono stati aboliti due anni fa su richiesta dei detenuti. Gli agenti non entrano nelle celle, guardano soltanto dallo spioncino. "Ho visto le scarpe da tennis che indossava il sindaco quando è entrato in carcere dice Del Turco non è vero che calzasse dei mocassini. Ma scarpe da ginnastica. Su questa storia ci sono state troppe semplificazioni. Ci si può suicidare anche con le lenzuola date in dotazione in cella o chi gli slip. Eppure se questi effetti non venissero concessi, si parlerebbe giustamente di violazione della dignità della persona. Chi cerca nel carcere di Sulmona le ragioni della morte di Valentini, non vuole vedere il vero problema: l’uso della carcerazione preventiva in Italia. Un problema che va affrontato dalla politica. Per me un uomo è innocente fino al terzo grado di giudizio. È necessaria una riforma".

Non sua mezzi termini Del Turco e ripete: "Inutile cercare le ragioni del suicidio del sindaco dietro quelle sbarre. L’inchiesta dovrà chiarire molte cose, ma spero che il Pg approfondisca anche la questione della fuga di notizie. È in questa atmosfera che va cercata la spiegazione alla morte di Valentini. L’arresto è stato eseguito il giorno primo di Ferragosto, a ridosso della festa patronale". Sugli altri suicidi a Sulmona Del Turco spiega: "È un carcere dove si arriva dopo essere stati in altri istituti. Ritengono non abbiano nulla a che vedere con la morte del sindaco di Roccaraso. A uccidere Valentini è stato altro".

E mentre l’inchiesta sugli appalti va avanti e continuano i veleni, la Prefettura dell’Aquila ha avviato la procedura di scioglimento del Consiglio comunale di Roccaraso.

Biondi: amnistia opportuna di fronte a situazioni disumane

 

Apcom, 21 agosto 2004

 

Di fronte a tante situazioni "al limite della disumanità" potrebbe essere opportuno "concedere un’amnistia". Lo dice il vicepresidente dela Camera Alfredo Biondi. Per l’esponente di Forza Italia "amnistia ed indulto contraddicono la pretesa punitiva dello Stato che ha il monopolio legittimo della forza e della legge. Proprio per queste considerazioni sono sempre stato contrario a misure indulgenziali".

"Tuttavia - sottolinea Biondi - di fronte all’emergenza carceraria, che non è di oggi, e che sopravvive al mostriciattolo dell’indultino, frutto dell’ipocrisia parlamentare e governativa, di fronte alle tragedie che costituiscono la realtà quotidiana del carcere, credo che un’amnistia costituisca, a distanza di quindici anni dall’ultima, un rimedio che non risolverà i mali della giustizia ma limiterà la gravità afflittiva su chi dovrebbe nel carcere trovare ambiente di redenzione invece che di disperazione".

L’amnistia osserva Biondi "avrebbe come conseguenza lo sfoltimento dei processi e quindi la possibilità per la magistratura di essere più sollecita nel decidere i casi più gravi e preoccupanti". "L’indulto condizionato - prosegue il vicepresidente della Camera - potrebbe avere duplice effetto, da un lato ridurre l’asfissia carceraria e dall’altro puntare sulla convenienza per chi ne beneficiasse di non commettere altri reati e non sommare le sanzioni con la revoca del condono concesso".

"Tutto questo - conclude Alfredo Biondi - mi fa propendere, anche in vista della riforma del codice penale, di procedura e di quelle dell’ordinamento giudiziario di far prevalere la concessione di questi benefici rispetto al maleficio del perdurare di una situazione insostenibile al limite della disumanità".

Morte di giustizia: la triste vicenda di Camillo Valentini

 

Agenzia Radicale, 21 agosto 2004

 

Sulla triste vicenda di Camillo Valentini, Sindaco di Roccaraso, ha "certamente" ragione Di Pietro: un suicidio in carcere, cito dal Corriere della Sera del 17 agosto 2004, non consente di sollevare polveroni e criminalizzare la giustizia.

Dallo stesso quotidiano si apprende che il PM titolare dell’indagine che ha portato all’arresto del Valentini, attualmente in USA "per aspettativa familiare" è "sconvolta da quanto è successo ma non ha nulla da rimproverarsi". Si apprende ancora che il provvedimento restrittivo emesso nei confronti del Sindaco di Roccaraso è stato firmato il 12 agosto e che l’arresto era previsto (cito sempre dalla stessa fonte) a Roccaraso per il 13 di agosto, giornata della festa del Patrono della cittadina, magari nel corso della Processione.

Ora si apre la fase delle inchieste. Del Ministero. Del CSM. Inutili. Potranno accertare che la Magistratura ha soltanto compiuto il suo dovere. Un PM ha avuto notizia di un reato, ha fatto indagini, ha raccolto prove, ha deciso che alcuni dei responsabili dovessero essere tratti in arresto forse per un pericolo di fuga o forse per il pericolo di occultamento delle prove. Ineccepibile. Una procedura perfetta.

Conta poco o nulla che il PM che ha condotto l’inchiesta se ne sia andato in ferie dopo avere chiesto il provvedimento: diamine! La Magistratura non chiude mica per ferragosto. Un procedimento promosso da un PM può tranquillamente essere proseguito da un suo collega. Il fatto che il collega subentrante potrebbe conoscere poco o niente le carte del processo poco importa. La giustizia non può essere criticata in quanto tra critica e criminalizzazione il passo, si sa, è breve. Bisogna avere sempre e comunque fiducia nella giustizia e quindi se un arresto ci doveva essere è giusto che sia stato fatto. Nessuno, ripeto, deve rimproverarsi nulla.

Verrebbe da ridere. Se tutta la vicenda non fosse tragica. Perché non ribaltare la situazione e criticare aspramente Valentini?

Lui ha sbagliato perché non ha avuto fiducia nella giustizia. Chissà, magari deve avere ceduto allo sconforto nel vedere passare le ore, i minuti, i secondi senza avere ottenuto quel contatto con i suoi inquisitori che pure aveva richiesto.

Magari avrà pensato che qualcuno potesse essersela presa proprio con lui e che il ritardo dell’interrogatorio fosse una conferma di questo pensiero disperante.

Magari avrà pensato che nessuno avrebbe mai potuto, dopo una permanenza in galera, rendergli una onorabilità distrutta. Anche in caso di assoluzione.

Magari avrà pensato che per avere ragione potevano passare 10 anni di tempo per superare tutti e tre i livelli di giudizio.

Le persone che hanno la fortuna di avere fede in Dio possono essere serene. Questa Persona che ha interrotto disperazione e vergogna con un suicidio è ora nelle mani paterne di chi applica una Giustizia veramente al di sopra di tutto e tutti.

Di Pietro ha ragione, lo ribadisco ancora: niente polveroni e criminalizzazioni. Il PM se ne stia tranquillo negli USA: non deve sentire rimorsi. Tutto ciò lo ribadisco con forza.

Qualcuno prenda, però, magari senza criticare e criminalizzare nessuno l’impegno serio di riformare profondamente questa nostra giustizia. Questi fatti pesano come macigni e rendono impossibile ragionare con serenità.

Forse la mia riflessione non ha attinenza alcuna con la vicenda, ma non riesco a togliere davanti i miei occhi l’immagine del colonnello americano interpretato magistralmente da Marlon Brando in Apocalipse Now.

Una mirabile fotografia illumina Brando in modo sinistro; l’ufficiale commenta un episodio di guerra. Soldati Vietcong hanno tagliato le braccia dei bambini che sono stati vaccinati dagli americani. I Vietcong avevano fatto questa cosa atroce, spiega il colonnello USA, superando l’orrore del gesto in quanto convinti della sua giustezza.

Sulmona: terminata ispezione disposta dal ministero

 

Gazzetta del Sud, 21 agosto 2004

 

Un paese nella bufera, dove non restano aperte solo le inchieste giudiziarie su cantieri ed appalti, ma dove si inaugura anche una stagione di estrema incertezza politica, attraversata da faide e veleni. Così si presenta Roccaraso a neanche una settimana dall’arresto del sindaco Camillo Valentini per concussione e dal suo suicidio nel carcere di Sulmona: il comune si appresta ora a tornare alle urne, essendo stata avviata dalla Prefettura dell’Aquila la procedura di scioglimento del consiglio comunale.

Elezioni che non potranno che arrivare in un clima intossicato, rabbioso. Ancora in questi giorni, agli attuali amministratori sono continuate ad arrivare le intimidazioni, le lettere anonime, come quella recapitata mercoledì al vice sindaco Giuseppe Di Virgilio, braccio destro di Valentini e ora reggente del Comune.

Le ultime ore di Valentini, intanto, sono state ricostruite nel corso dell’ispezione al carcere di Sulmona voluta dal ministro della Giustizia, Roberto Castelli, e terminata ieri dopo le audizioni di tutto il personale che ha avuto a che fare con la detenzione del sindaco. Ormai esiste un quadro definitivo su quanto accaduto. Valentini si è ucciso infilandosi sul capo il sacchetto di plastica che gli era stato consegnato all’ingresso in carcere per depositare la biancheria.

Si è stretto intorno al collo, avvolgendoli più volte, i lacci delle sue scarpe da jogging (il fatto che al momento dell’arresto avesse indossato questo tipo di calzature, dopo essersi tolto un paio di mocassini, era stato confermato anche dalla figlia Dionne) e si è disteso sul letto della cella coprendosi con le lenzuola: prima, al lato della testa, aveva disposto anche il cuscino, in modo che dallo spioncino gli agenti di custodia non notassero la presenza della borsa di plastica. L’ora della morte è stata fissata tra le 2 e le 3 del 16 agosto: ad accorgersi della morte è stato un agente circa tre ore dopo, alle 5.30.

Dal momento che Valentini era privo di battito, sono stati tentati il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale. Quindi, come estremo scrupolo, previsto dalla prescrizioni interne di soccorso, è stato deciso il trasporto in ospedale. All’arrivo nel nosocomio, il corpo era già freddo.

Il fatto che il sindaco potesse detenere sia il sacchetto di plastica che i lacci delle scarpe era stato deciso durante la visita medica al momento dell’arrivo in carcere: nel redigere la scheda di valutazione, si è ritenuto che Valentini non fosse un soggetto a rischio di atti autolesivi.

Ora il personale dell’istituto di pena, per bocca del responsabile dell’area sanitaria Fabio Federico, dice di attendere "con assoluta serenità" la conclusione delle indagini e la consegna al ministro Castelli della relazione degli ispettori. Spunti di polemica vengono tuttavia alimentati dai sindacati della polizia penitenziaria, in particolare l’Osapp e il Sinappe.

Riflessioni su un suicidio, articolo di Gerardo D’Ambrosio

 

L’Unità, 21 agosto 2004

 

Non appena si è diffusa la notizia della morte del Sindaco di Roccaraso Camillo Valentini, avvenuta il 16 agosto u.s. nel carcere di massima sicurezza di Sulmona, senza che si conoscesse altra circostanza se non quella che era stato rinvenuto in cella privo di vita con la testa infilata in un sacchetto di plastica legato al collo da un paio di stringhe per le scarpe, da parte di tutti si è subito dato per scontato che la morte fosse dovuta a suicidio.

Eppure la famiglia del sindaco senza esitazione e senza mezzi termini, compatta, aveva parlato di omicidio e l’ipotesi non era del tutto priva di fondamento posto che, al contrario di quanto sempre avviene in tutte le carceri, ed in particolare in quelle di massima sicurezza, proprio per evitare gesti autolesivi, i detenuti vengono privati di qualsiasi strumento atto a offendere e in particolare dei lacci delle scarpe.

E posto che per il brevissimo tempo trascorso dall’arresto, un solo giorno, non era normale che l’ing. Valentini avesse infilato tra gli effetti personali un sacchetto di plastica e che questo non avesse insospettito gli agenti della polizia penitenziaria, cui era e non poteva non essere noto il precedente dell’ing. Cagliari suicidatosi proprio utilizzando quel mezzo.

Tutti i parlamentari della maggioranza inoltre, senza aver letto le motivazioni dell’ordine di custodia cautelare in carcere, non avevano dubbi che l’ordine stesso fosse stato emesso al fine di ottenere o meglio "di estorcere" una confessione all’indagato. In altri termini che esso fosse illegittimo, emesso in mancanza di uno dei presupposti voluti dalla legge.

Di quale presupposto poi si trattasse: mancanza dei gravi indizi di colpevolezza o mancanza di una delle esigenze cautelari (il concreto ed attuale pericolo di inquinamento della prova o il concreto pericolo di fuga) non aveva alcuna importanza. Molti di questi davano anche per scontato che si stava ripetendo lo stesso abuso compiuto sistematicamente dal pool dei magistrati della Procura della Repubblica di Milano, nel corso dell’inchiesta comunemente nota sotto il nome di "mani pulite".

Naturalmente non so come siano andate le cose ed attendo, prima di esprimere un qualsiasi giudizio sul caso, di conoscere gli esiti dell’autopsia e quindi dell’indagine relativa alla morte del Valentini, e delle inchieste disposte sia dal Consiglio Superiore della Magistratura sia dal Ministro della Giustizia.

Mi pare comunque che non vi possa essere dubbio che l’attuale atteggiamento si ponga nella scia della campagna di delegittimazione iniziata nei confronti della magistratura, in maniera evidente, nel 1994 dopo l’invio dell’invito a comparire al Presidente del Consiglio da parte del pool di Milano.

Se così non fosse la questione della carcerazione preventiva non verrebbe affrontata solo quando in carcere entrano persone note o come si suol dire i colletti bianchi. Non mi pare un caso infatti che la questione sia stata posta anche in occasione dell’arresto di Callisto Tanzi in relazione al dissesto della Parmalat, nonostante l’enorme danno provocato a milioni di risparmiatori che avevano, in buona fede acquistato le obbligazioni, i Bond, emessi dalla sua società. Non solo ne parlarono alcuni quotidiani ma addirittura una radio pubblica, in apposito dibattito cui fui invitato a partecipare.

Né verrebbero di nuovo richiamati i suicidi degli indagati nell’inchiesta mani pulite (quattro) come se tutti, nessuno escluso, fossero avvenuti in carcere. Uno solo di quei suicidi avvenne infatti in carcere: quello del presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, (titolare di conti svizzeri su cui erano accumulati circa dodici miliardi e ritenuto, a torto o ragione, collettore delle tangenti destinate al Psi ed alla Dc ). Cagliari, come è noto, si uccise infilando la testa in un grosso e robusto sacchetto di plastica che legava poi intorno al collo il 20 luglio 1993. Fu trovato ancora vivo e forse si sarebbe potuto salvare, se il suo compagno di cella, non avesse tardato a rientrare.

Anche allora si accusò esplicitamente la Procura di Milano di fare uso strumentale della carcerazione preventiva al fine di ottenere rapide confessioni da parte degli imputati. Eppure era noto che, con l’entrata in vigore del codice dell’88 il pubblico Ministero aveva perso il potere di disporre direttamente la carcerazione preventiva e che questo potere era stato attribuito al giudice delle indagini preliminari. Era noto altresì che ogni provvedimento restrittivo della libertà emesso dal Giudice era soggetto ad un controllo immediato e completo.

L’imputato o il suo difensore infatti potevano proporre immediatamente impugnazione dinanzi al Tribunale del riesame ed il relativo procedimento doveva svolgersi entro termini molto brevi, calcolati in giorni. Era noto ancora che i provvedimenti emessi dal GIP su richiesta dei P.M. del Pool o non erano stati impugnati o se impugnati erano stati confermati dal Tribunale della libertà e dalla Cassazione perché emessi nel pieno rispetto delle regole.

Era noto infine che la maggior parte degli imprenditori, appena venivano informati dagli imputati già interrogati, che erano stati chiamati in causa, si precipitavano davanti agli uffici dei pubblici ministeri del pool per essere interrogati e rendere confessione, con la convinzione che ormai il dilagare dell’inchiesta e l’enorme debito pubblico accumulato non avrebbe più consentito l’allegro ricorso ai pubblici appalti, che il quadro politico su cui il sistema si era fondato era ormai troppo debole per far fronte all’indignazione popolare.

Allora la soluzione adottata fu quella di rendere più rigide le norme sulla carcerazione preventiva da una parte e di prevedere dall’altra la scarcerazione automatica per perdita di efficacia della misura, per il mancato rispetto dei termini da parte del P.M. o del Tribunale del riesame.

Oggi, posto che la custodia preventiva è un male necessario, posto che gli eventuali errori o abusi del giudice, oltre che immediatamente rilevabili e rimediabili, (per il sistema dei controlli interni al processo: ricorso al Tribunale del Riesame, Appello, Ricorso per Cassazione) possono essere perseguiti sul piano disciplinare e, ove ricorrano estremi di reato, anche sul piano penale, non possiamo che auspicare che il legislatore si preoccupi, finalmente, da una parte di rendere le nostre carceri degne di un paese civile e dall’altra di rendere la definizione dei processi penali molto più rapida.

È ora insomma che il legislatore, o più correttamente l’attuale maggioranza di governo, tenga presente che, tra i principi fondamentali della nostra Costituzione, v’è anche l’art. 3, secondo cui "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge , senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Le celle scoppiano: non resta che l’amnistia...

 

Giornale di Brescia, 21 agosto 2004

 

Da più di vent’anni è un passaggio fisso della relazione del procuratore generale sullo stato della giustizia nel distretto di Brescia. Da più di vent’anni si sente lo stesso concetto: "Le condizioni di persistente sovraffollamento della popolazione carceraria di Bergamo e Brescia... determina tensioni e disfunzioni che ostacolano quel processo di risocializzazione del reo... nonché riverberi igienico sanitari...".

Sembra ormai diventata una specie di litania di secondaria importanza, eppure non c’è stato un solo procuratore generale che non abbia sottolineato l’inciviltà di una situazione di degrado carcerario come quella di Canton Mombello e i pericoli che ne derivano. Tra questi magistrati c’è anche Luigi Trematerra la cui lunga carriera lo ha portato, dopo esperienze di pretore e di sostituto procuratore generale, a presiedere il Tribunale di sorveglianza di Brescia che si occupa dell’esecuzione della pena (e quindi esclusivamente della situazione dei condannati con sentenza definitiva) nelle carceri di Brescia, Bergamo, Cremona, Mantova, e nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere.

Un punto di vista quindi particolarmente qualificato, il suo, sull’emergenza carcere, proprio perché al dottor Trematerra è capitato di dover condannare alla detenzione, di dover avallare arresti e di chiedere condanne a pene detentive, e ora il suo compito principale è seguire i detenuti definitivi nel loro cosiddetto "percorso carcerario" per valutare i segnali positivi ed eventualmente approvare l’ammissione a pene alternative, al lavoro esterno al carcere, alla semilibertà. Il presidente Trematerra, a proposito dell’emergenza carcere di questi giorni, sottolinea appunto che al centro delle polemiche c’è la custodia cautelare, il carcere per gli imputati in attesa di giudizio. Quindi le polemiche non lo riguardano direttamente, ma anche per il lavoro del Tribunale di sorveglianza i disagi e il sovraffollamento hanno conseguenze negative.

"Il problema è antico - spiega Trematerra - ed ha avuto una evoluzione particolare: tutti ricordano che vent’anni fa le carceri erano molto più esplosive di oggi: ogni estate si contavano numerose rivolte spesso violente e le condizioni di vita all’interno erano identiche a oggi. Ciò dimostra che si è fatto troppo poco per migliorare e rendere accettabile la vita dei detenuti, ma va ricordato che la relativa calma che si è instaurata nelle case di detenzione in Italia è dovuta esclusivamente alla legge Gozzini, alle norme che prevedono in sostanza premi per chi si comporta bene e dimostra di volersi reinserire nella società".

La legge Gozzini, tanto contestata, ha avuto quindi effetti positivi sulla vita dietro le sbarre, se è vero ad esempio che su 621 permessi concessi in un anno tra il 2002 e il 2003 si sono verificati solo tre casi di non rientro e quindi di evasione. "Sicuramente la legge che dà una speranza ai detenuti ha avuto effetti positivi per il carcere - spiega Trematerra - e anche per la società, ma i problemi di sovraffollamento creano grosse difficoltà ai detenuti e a chi deve seguirne il percorso, rischiando di vanificare gli effetti positivi della Gozzini e di rendere difficilissima la prognosi che noi giudici di sorveglianza dobbiamo fare quando neghiamo o concediamo misure alternative al carcere".

Brescia in particolare è un territorio all’avanguardia per i giudici di sorveglianza: qui è nato grazie al presidente Giancarlo Zappa, recentemente scomparso, un "progetto" per il reinserimento dei detenuti nella società che coinvolge enti pubblici, privati, istituzioni e che è un esperimento pilota importantissimo.

"L’eredità di Zappa, e l’eredità della cultura italiana in tema di scopo della pena è ben chiara a tutti i magistrati - dice il presidente Trematerra - ma ripeto le situazioni difficili, nel nostro distretto soprattutto a Canton Mombello e nel carcere di via Gleno a Bergamo, rendono veramente arduo il nostro lavoro". Cosa fare? "A Brescia ci vuole sicuramente una nuova struttura - spiega Trematerra - sono tutti d’accordo e se ne parla da decenni.

Ma è ovvio che se si iniziasse ora a progettare e a realizzare un nuovo carcere, ci vorrebbero una decina di anni per vederlo in funzione. Quindi si deve ricorrere a provvedimenti per affrontare l’emergenza e, anche se capisco che sia impopolare, l’unica cosa da fare è pensare a interventi di amnistia o di indulto che davvero riducano drasticamente la popolazione carceraria".

Radicali: domenica giornata di "nonviolenza e referendum"

 

Agenzia Radicale, 22 agosto 2004

 

Il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (DAP) del Ministero di Grazia e Giustizia ha autorizzato la raccolta firme dei radicali nelle carceri sul referendum abrogativo della legge sulla fecondazione assistita. L’autorizzazione del DAP è stata inoltrata ai provveditorati regionali e da questi comunicata alle direzioni di tutte le carceri italiane e al Comitato promotore referendum.

È confermata quindi per domani, domenica 22 agosto, la giornata di "nonviolenza e referendum" nelle carceri italiane promossa da Radicali Italiani.

In una dichiarazione congiunta, Daniele Capezzone, Segretario di Radicali Italiani, Rita Bernardini, Tesoriera di Radicali Italiani e Sergio D’Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino, hanno voluto ringraziare l’Amministrazione penitenziaria per la collaborazione assicurata all’opera in corso volta a consentire ai detenuti l’esercizio del diritto costituzionale a sottoscrivere i referendum.

I tre esponenti radicali hanno anche lanciato un appello al mondo delle carceri: "Chiediamo ai detenuti, agli agenti di polizia penitenziaria e ai direttori di dare vita con noi a un giorno di sciopero della fame per sostenere con la nonviolenza le loro richieste e di firmare il referendum abrogativo della legge sulla fecondazione, dando così seguito ad una lunga tradizione di sostegno dalle carceri alle grandi battaglie civili. Sia quella di domani una bella giornata di legalità e di impegno civile, senza disordini e con il recupero di quei diritti di cittadinanza umiliati dalle condizioni di detenzione."

Tra gli altri, hanno comunicato la loro adesione alla giornata di "nonviolenza e referendum" anche i detenuti del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere in provincia di Salerno. Nella sua rubrica quotidiana sul Foglio anche Adriano Sofri ha annunciato la sua partecipazione.

I radicali entreranno a raccogliere firme in 38 istituti: Bari, Bologna, Bolzano, Catania, Cremona, Firenze, Foggia, Forlì, Milano (Opera), Modena, Napoli (Pozzuoli) Perugia, Pisa, Pordenone, Reggio Emilia, Rimini, Roma (Rebibbia e Regina Coeli), Salerno, Teramo, Terni, Tolmezzo, Torino, Trieste, Udine, Verona (Montorio), Vicenza, Bellizzi Irpino, Genova, La Spezia, Potenza, San Gimignano, Siena, Ariano Irpino, Brescia (Canton Mombello e Verziano), Napoli (Poggioreale).

 

Domenica 22 agosto, alle ore 17, in Via di Torre Argentina 76, Conferenza Stampa sull’esito della giornata di "nonviolenza e referendum" nelle carceri di Daniele Capezzone, Rita Bernardini, Sergio D’Elia e Michele De Lucia

E allora, cari amici di tutte le carceri, che facciamo?

 

Associazione Papillon, 21 agosto 2004

 

Cari amici, ormai non passa giorno senza che qualche giornale nazionale o locale riporti cattive notizie dalle carceri. Sovraffollamento, suicidi, morti per malasanità, proteste pacifiche addirittura per l’elementare diritto a bere acqua potabile (come è successo in Sicilia e nel Lazio).

Anzi, stando alle decine di lettere e di telefonate che riceviamo da detenuti, ex detenuti o familiari di detenuti (alle quali purtroppo non riusciamo sempre a rispondere) quel che arriva sui giornali è soltanto una parte di ciò che ogni giorno i detenuti devono subire nelle galere italiane.

Nella stragrande maggioranza delle oltre duecento carceri italiane sembra che il Diritto sia stato in un certo senso "sospeso a tempo indeterminato", poiché tutto si può dire tranne che là dentro vengano davvero perseguite la "rieducazione" e la "risocializzazione" delle donne e degli uomini reclusi.

Le stesse Leggi in vigore, prime fra tutte la famosa Legge Gozzini e la Legge di riforma della sanità penitenziaria, diventano ogni giorno di più un miraggio, mentre sembra che persino nelle carceri cosiddette "modello" vada aumentando l’attitudine a reprimere i detenuti anche per fatti insignificanti con minacce, rapporti disciplinari, denunce penali e trasferimenti, che in alcuni casi si accompagnano ad odiosi maltrattamenti fisici e psicologici.

La catena di relazioni tra area educativa/direzione/forze di polizia/Magistratura di Sorveglianza sembra diventare in tutte le carceri ogni giorno più pesante e farraginosa, come se dappertutto venisse applicata una linea politica di riduzione ai minimi termini del Diritto ai permessi premio, alle misure alternative, al differimento della pena, all’uscita dall’incostituzionale art. 41 bis, alla liberazione anticipata, ecc..

La stessa occasione di un serio dibattito parlamentare sulle proposte di riforma del Codice Penale elaborate dalla Commissione Nordio (per quanto da noi non siano considerate tutte soddisfacenti) sembra allontanarsi sempre di più.

Nel frattempo dilaga l’ipocrisia di chi, a destra a sinistra e al centro, fa finta di non capire che le prime e le più importanti riforme del pianeta Giustizia dovrebbero essere anzitutto un provvedimento di indulto e amnistia che ristabilisca un minimo di equilibrio e di vivibilità nelle carceri italiane (oltre a decongestionare il lavoro dei tribunali) e in secondo luogo una serie di provvedimenti che rendano in un certo senso "obbligatoria" (ossia riducano al minimo l’eccessiva "discrezionalità" del Giudice di Sorveglianza) l’applicazione piena ed integrale della Legge Gozzini in tutti i Tribunali di Sorveglianza e per tutti i detenuti, siano essi italiani o stranieri, malati o in buona salute, ristretti in sezioni normali o in carceri e sezioni speciali.

Ma se tutti noi detenuti conosciamo bene i drammi del carcere e le possibili soluzioni immediate, non possiamo però illuderci che il mondo politico metta mano di sua iniziativa ai provvedimenti che auspichiamo. Forse per ridare corpo anche soltanto alle nostre speranze c’è bisogno di una notevole spinta dall’interno e dall’esterno delle carceri.

In questi ultimi due anni, la nostra associazione ha dialogato più volte con tutte le forze politiche, comprese quelle più ostili alle nostre proposte, ed abbiamo organizzato centinaia di incontri con i Cittadini di varie città, privilegiando quelli che si illudevano di difendere il loro sacrosanto Diritto alla sicurezza quotidiana chiedendo più carcere e l’abolizione della Gozzini (abitanti delle periferie e dei quartieri benestanti, lavoratori, pensionati, commercianti, artigiani, ecc.).

Discutere con i Cittadini, con i Parlamentari, con Consiglieri regionali, provinciali e comunali è stato senz’altro necessario e utile poiché ci ha permesso di capire che all’esterno delle carceri esistono forze politiche e sociali anche diverse tra loro che possono però essere coinvolte unitariamente a sostegno delle nostre denunce e delle nostre richieste, anche con piccole ma significative mobilitazioni (come ad esempio l’ultima di luglio 2004 a Firenze, o quelle del 2003 a Roma, Cosenza, Napoli, ecc.).

Ma ciò che più è importante, e su cui in queste settimane dovremmo discutere noi detenuti, è la necessità di riprendere noi stessi la parola dentro le carceri, affinché i nostri drammi quotidiani e le nostre proposte riescano a comunicare con i Cittadini attraverso i mezzi di informazione, riproponendosi così anche all’attenzione di un mondo politico che oggi sembra "in tutt’altre faccende affaccendato".

Forti anche dell’esperienza fatta durante il ciclo di proteste pacifiche iniziato nel settembre 2002 (con i suoi lati positivi e i suoi lati negativi) noi vorremmo ragionare sulla possibilità di organizzare nelle carceri una mobilitazione pacifica che veda si la partecipazione di tutti ma che abbia al suo centro un vero e proprio sciopero totale della fame di piccoli gruppi di detenuti organizzato a rotazione.

In pratica, noi pensiamo che si possono organizzare in ogni carcere almeno quattro gruppi di detenuti (ognuno composto da circa dieci detenuti). Il primo gruppo inizierebbe lo sciopero totale della fame per una settimana, e insieme ad esso tutti gli altri detenuti del carcere inizierebbero le forme di mobilitazione che ritengono più valide ( dallo sciopero del carrello, allo sciopero dei lavoranti, e via dicendo). Al termine della prima settimana, finirebbe lo sciopero totale della fame del primo gruppo ed inizierebbe quello del secondo, accompagnato anch’esso dalle più diverse forme di mobilitazione di tutti gli altri detenuti del carcere.

In tal modo, si potrebbe resistere almeno un mese, creando certo un po' di problemi al carcere e testimoniando, sia con lo sciopero totale della fame a rotazione che con le altre forme di protesta, il fatto che la situazione è davvero drammatica.

Noi pensiamo che si potrebbe iniziare nella seconda metà di ottobre, e più esattamente lunedì 18 ottobre, avendo così a disposizione oltre due mesi per discutere tra di noi e decidere in ogni carcere cosa fare. Inoltre, se dopo un mese di mobilitazione la situazione lo richiedesse, si potrebbe decidere di proseguire con la mobilitazione anche oltre, arrivando magari fino a dicembre o addirittura a Natale.

La cosa più importante è ovviamente quella di partire tutti insieme e di resistere compatti le prima settimane, ma si deve anche evitare di esaurire tutte le forze con le prime settimane di mobilitazione. Secondo noi, dovremmo anche essere preparati all’eventualità che dopo le prime quattro settimane si renda necessario aumentare la spinta dichiarando in tutte le carceri almeno una settimana di sciopero totale della fame di tutti i detenuti (escludendo ovviamente i malati).

Una cosa importante è che già prima di iniziare la mobilitazione, ogni carcere potrebbe scrivere lettere e documenti da inviare ai giornali nazionali e locali, ai Parlamentari eletti nelle rispettive regioni, ai Consiglieri regionali, provinciali e comunali, chiedendo a tutti di aiutarci a dare visibilità alle nostre argomentazioni e di venire in carcere a verificare con i loro occhi la situazione.

Cogliamo l’occasione per ricordare a tutti che la nostra associazione ha raccolto in molte carceri le firme dei detenuti che chiedevano ai Parlamentari eletti nelle varie regioni, ai Presidenti delle Giunte Regionali e agli stessi Presidenti dei Tribunali di Sorveglianza di verificare (per quanto di loro competenza) gli ostacoli che incontra nelle varie regioni l’applicazione piena ed integrale della Legge Gozzini.. Chiunque lo voglia, può raccogliere (anche a nome della Papillon) le firme nel proprio carcere e inviarne una copia alla nostra sede legale (Piazza S. Maria Consolatrice 13 –00159- Roma) e una copia al Presidente della Giunta Regionale e al Presidente del Tribunale di Sorveglianza competente.

Per il momento crediamo di aver detto abbastanza per iniziare con calma la discussione tra tutti i detenuti. Aspettiamo le vostre proposte, le vostre critiche e i vostri punti di vista su cosa fare e come farlo.

C'è emergenza nelle carceri, ma Parma è tranquilla

 

Gazzetta di Parma, 21 agosto 2004

 

La scintilla è scoccata a Roma, alla quarta sezione di Regina Coeli, a Roma, con la rivolta di 47 detenuti. Ora, un po’ in tutte le carceri italiane l’atmosfera è surriscaldata: proteste potrebbero divampare in ogni momento. Nulla di strano, per ora, è segnalato in via Burla: dalla direzione del carcere della nostra città si riferisce di una situazione tranquilla. Intanto, anche sul fronte politico i toni si sono accesi, mentre si è ripreso a parlare di amnistia.

Per domani è stata proclamata una giornata di protesta e sciopero della fame per l’emergenza carceri. All’iniziativa aderirà l’assessore regionale alle Politiche sociali: Gianluca Borghi visiterà anche gli istituti penitenziari di Reggio Emilia e di Bologna, per incontrare detenuti e operatori ed esprimere loro la propria solidarietà anche a nome della giunta regionale.

"La situazione delle carceri italiane - ha spiegato Borghi - non rappresenta purtroppo una novità, ma una drammatica quotidianità per detenuti e operatori, rispetto alla quale il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha sempre manifestato un atteggiamento di totale chiusura, come ha confermato anche in questa occasione. Le affermazioni del Ministro oltre che gravissime sono irrispettose nei confronti di chi, parlamentari, forze politiche e sociali e istituzioni come questa Regione, da anni sono impegnati su questi temi".

Brescia: i colloqui, inutili disagi anche fuori dalle mura

 

Giornale di Brescia, 21 agosto 2004

 

Se sono indegne di un paese civile per come si vive all’interno, le carceri italiane sono discutibili anche per i rapporti con l’esterno, con chi sta fuori e si reca in carcere per far visita a un parente. Il problema dei rapporti con le famiglie dei detenuti non può essere collegato direttamente ai molti "mali" delle carceri italiane, ma spesso le difficoltà che il sistema impone ai famigliari contribuiscono ad aggravare la situazione di chi vive in cella, aumentando i disagi inutili e ingiusti. E i due nodi di questa questione sono i colloqui e i "pacchi", cioè i generi di prima necessità che le famiglie inviano ai detenuti.

Nodi che forse potrebbe essere sciolti semplicemente con qualche idea nuova e qualche piccola rettifica ai regolamenti. Canton Mombello non fa eccezione neppure per questi aspetti. "Non sono mai stata trattata così male - dice una giovane donna napoletana che attende fuori da Canton Mombello il suo turno per un colloquio col marito - a Poggio Reale è molto meglio di qui. Qui si aspetta per ore davanti all’ingresso, al freddo d’inverno e sotto il sole in piena estate".

La giovane donna napoletana non è l’unica che accetta di parlare dei disagi legati ai colloqui: "Noi abitiamo lontano - spiega un sessantenne bresciano col figlio detenuto - e bisogna venire almeno due ore prima dell’inizio dei turni (che sono tre, fissati ogni due ore a partire dalle 8.30). Poi quando si entra si viene stipati in una stanzetta angusta e polverosa.

Una cosa indecente! E ci sono quasi sempre molti bambini e donne a volta incinte". Il problema a volte sono anche restrizioni incomprensibili nella concessione dei colloqui: "Mio fratello è detenuto - spiega una donna - per una condanna definitiva. Ormai sta pagando cose accertate e non ci sono più indagini su di lui, eppure non autorizzano colloqui ad alcuni suoi amici, tutti persone per bene, che vogliono aiutarlo e potrebbero davvero fare qualcosa più di me per lui". Ma come migliorare i colloqui?

Tutti i parenti che abbiamo sentito fuori da Canton Mombello suggeriscono in coro una revisione del regolamento e un sistema di colloqui quasi su prenotazione che, se ben organizzato, potrebbe funzionare bene. Per i "pacchi" il cui peso e contenuto vengono rigorosamente controllati, ci vorrebbe invece un intervento legislativo centrale, che consenta di far arrivare in cella più cibo, che sembra essere indispensabile, e il vestiario ancora in ordine, cioè senza doverlo perquisire manualmente. "Intanto però - aggiunge il padre di un detenuto - si potrebbe pulire e dare un’imbiancata a quella saletta d’attesa che fa davvero schifo".

Spagna: carceri sovraffollate, allarme di direzione generale

 

Apcom, 21 agosto 2004

 

La saturazione delle carceri spagnole, che ospitano 59.199 detenuti, ha provocato "un aumento della tensione" tra i reclusi. L’allarme arriva dalla direttrice generale delle istituzioni penitenziarie, Mercedes Gallizo: "Sono preoccupatissima, perché ci sono molte persone e poca attività che, in situazioni di sovraffollamento, si traduce in baruffe e incidenti", si legge sul sito online del Pais.

La riforma abbordata dal precedente governo popolare - che ha ridotto i benefici penitenziari, prolungato le pene e allungato la lista dei motivi di reclusione - ha provocato un sensibile aumento della popolazione penitenziaria e, di conseguenza, della tensione all’interno delle carceri.

Secondo i dati del ministero degli Interni, i 66 penitenziari hanno una capacità ricettiva di 40mila posti, contro i 51.220 carcerati presenti; in Catalogna nove prigioni ospitano 7.987 detenuti. La situazione più grave si registra nelle Canarie.

 

 

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