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Il carcere s’abbatte e non si cambia
Liberazione, 10 luglio 2003
La protesta che nel settembre scorso si era levata per quattro mesi dalle carceri italiane, finora non ha prodotto alcun risultato ma non si dà per vinta, e dal 22 giugno scorso i detenuti di Regina Coeli a Roma hanno avviato nuove azioni pacifiche per denunciare l’insostenibilità delle loro condizioni di vita. Protesta difficile, per la composizione della popolazione frantumata e segmentata al suo interno; protesta dura, a causa della sordità da parte di Parlamento e Governo che, con l’ulteriore peggioramento del provvedimento di sospensione condizionale del residuo di pena, il cosiddetto "indultino", hanno inferto l’ultima beffa alle richieste dei detenuti. Di contro al muro di silenzio innalzato dalla classe politica dirigente, un presidio rumoroso si terrà oggi alle 18 al Gianicolo, sopra il carcere di Regina Coeli, per "Alzare la voce e superare quelle sbarre", perché laddove un altro mondo è possibile, uno senza galere diventa allora necessario. L’iniziativa è indetta da "Odio il carcere", il gruppo di attivisti provenienti dai centri sociali, associazioni, realtà della comunicazione e della società solidale, da anni impegnato sulla situazione dei detenuti e sulle problematiche relative, promotori nel giugno scorso di un’altra street-parade intorno al carcere di Rebibbia. L’obiettivo è accompagnare l’abolizione del carcere ed il superamento del Codice Penale con prospettive per una più generale trasformazione della società, a partire dalla creazione di una sensibilità diffusa sui problemi carcerari, affinché questo non rappresenti più un luogo isolato ove punire quei fenomeni di disagio sociale a cui la società non sa o non vuole dare altra risposta. In tal senso è necessario intrecciare relazioni con le persone che lo subiscono, direttamente o indirettamente, stabilire un rapporto con il "dentro" che permetta di controllare e denunciare, interagire con un "fuori" in grado di far nascere mobilitazioni dal basso su punti precisi quali l’abbassamento generalizzato delle pene, la soppressione dei regimi di carcerazione speciale, l’allargamento dei benefici per le misure alternative, l’abolizione della carcerazione preventiva. L’entrata in vigore della Legge Gozzini e l’aumento di popolazione detenuta hanno portato a notevoli cambiamenti nell’attuale sistema: la prima ha introdotto la possibilità di ricorrere a pene alternative assegnate sulla base di un meccanismo di premialità, che trasforma il comportamento dentro le mura in oggetto di osservazione da parte delle autorità; l’aumento di popolazione ha coinvolto invece persone imputate per reati minori, in linea con le recenti politiche repressive sugli stupefacenti, sull’immigrazione e sui fenomeni di microcriminalità. Risultato? Oltre 70.000 presenze a fronte di una capienza massima degli istituti di pena di 40.000 posti; violazione delle leggi che garantiscono i diritti di chi è recluso, come la non applicazione del trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale per la responsabilità della salute dei carcerati. L’emergenza negli istituti di pena non può che suscitare indignazione: quello contro il carcere è un odio contro l’ingiustizia sociale. Intervenire significa modificare le leggi che regolano l’esistenza dell’istituzione penitenziaria come quella della giustizia in generale, proprio mentre si varano leggi ad personam volte a consolidare poteri e privilegi costituiti. Senza considerare che, per buona parte il nostro Codice Penale è figlio dell’epoca fascista totalmente improntato su criteri antidemocratici e reazionari, una battaglia politica oggi deve necessariamente fondarsi su di un’impostazione abolizionista totale.
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