Lillo Di Mauro

 

I molti perché della protesta in carcere

di Lillo Di Mauro, Presidente della Consulta permanente
del Comune di Roma per i problemi penitenziari

 

Il Nuovo on line, 17 settembre 2002

 

Il carcere, la sua gente, è oggi un luogo di protesta. Quella con cui ci confrontiamo quali abitanti della Capitale, è partita dalla biblioteca Papillon di Rebibbia ed ha poi raggiunto tutti gli istituti di pena  italiani. Pacifica e civile si manifesta con  la "battitura dei ferri". E' questa un'azione che tante volte è stata ricostruita al cinema. Si tratta di sbattere le padelle, o qualsiasi cosa faccia rumore, contro le sbarre della cella. E' un frastuono incredibile. Da lontano sembra un grido di dolore. Finora sono 48 gli istituti di pena che hanno l' hanno ripetuto. A qualsiasi ora. Questo appello che non parla, nasce a causa dei gravi problemi che da anni assillano il carcere e che in questo ultimo anno si sono aggravati in maniera esponenziale. Gli istituti penitenziari vivono una stagione senza precedenti per il sovraffollamento: oltre 56 mila presenze a fronte delle 35/40mila massimo consentite, (nell’ultimo anno vi è stato un incremento di 5000 detenuti) tra tossicodipendenti, stranieri. Persone finite dentro per reati legati al patrimonio, furti, piccole rapine, spaccio di sostanze stupefacenti, che delineano una tipologia legata ad un disagio sociale, che avrebbe bisogno di altri e più incisivi interventi. Sul nel territorio, lì dove si creano le concentrazioni più esplosive, dove forme di devianza trovano giustificazione nella mancanza di interventi mirati di sostegno economico, nella integrazione culturale e socio economica. Nel Lazio la situazione non è differente al resto del Paese. In 14 istituti vi sono detenute 5132 persone 369 donne e 4763 uomini, di cui 2856 definitivi e 2276 imputati in attesa di giudizio, quasi il doppio della capienza massima consentita. Cosa fare allora? La protesta dei detenuti chiede azioni legislative: indulto, liberazione anticipata, 4 bis, 41 bis che se mai accolte, hanno bisogno di tempi biblici per essere ance solo presentate. Pensare approvate. I bisogni del detenuto malato o indigente sono ormai tali da non consentire di attendere ancora. Per questo l'intervento degli enti locali sono ancora più decisivi. Perché nessuno si può dimenticare che il detenuto a Roma, è un romano a tutti gli effetti. Grazie allo straordinario impegno delle organizzazioni del terzo settore che costituiscono la Consulta, alla sensibilità del Sindaco e della Giunta, alla collaborazione delle istituzioni, tempo fa si è organizzato un seminario all’interno di Rebibbia per analizzare i bisogni e individuare gli interventi da realizzare, inserendo il carcere nel Piano regolatore sociale del Comune. Cercando di farlo considerare di fatto alla stregua di un nuovo Municipio della città. Ma siamo ancora molto distanti dalla realizzazione delle intenzioni.

Ogni giorno riceviamo centinaia di denunce. Cito un caso che fa paura. Un detenuto sta rischiando, nel momento in cui scrivo, di perdere la gamba per cancrena - al pari di un ferito abbandonato in un campo di battaglia - perché l'ospedale del carcere non è capace di assisterlo come dovrebbe e il giudice di sorveglianza non gli concede i permessi per curarsi. Di queste vite, di queste storie ce ne sono troppe nella realtà che è chiusa dentro. In questo ultimo anno sono aumentati del doppio i morti in carcere rispetto agli anni passati.  Forse l'unica risposta è che per risolvere il problema non servono ideologie politiche, ma fatti. E nessuno può dimenticare che il carcere oggi rappresenta non più il luogo della sicurezza, ma un invaso di inutilità, di vuoto, di violenza. Oggi a Firenze, la giunta della regione Toscana ha presentato un progetto che si occuperà di fornire tutti gli strumenti necessari per affidare la salute del detenuto al sistema sanitario nazionale. Nel Lazio, candidato tre anni fa alla sperimentazione decisa dalla legge dello Stato, non si è ancora fatto nulla. Né protocolli di intesa, né altro. Le condizioni igienico - sanitarie degli istituti romani sono precarie e per alcuni versi allarmanti.

 

 

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