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Sergio Segio, detenuto in semilibertà, da tempo impegnato con Sergio Cusani nella battaglia per migliori condizioni carcerarie, traccia un profilo della polizia penitenziaria, sotto accusa a Genova “Stile cileno”: questo il commento dell’onorevole Giuliano Pisapia. Ma la denuncia del parlamentare e avvocato milanese, in questo caso, non riguarda le violenze contro i manifestanti anti-G8 avvenute nei giorni scorsi a Genova, dove pure, e da più parti, è risuonata l’identica definizione. Queste parole di Pisapia non si riferiscono alla perquisizione della scuola media “Diaz” di sabato 21 luglio 2001, ma a quella nelle celle del carcere milanese di Opera, del novembre 1998. Perquisizione che rimase per giorni all’attenzione delle cronache, nonché divenne oggetto di successive interrogazioni parlamentari, per due motivi: la sua particolare durezza (i reclusi furono tenuti quattro ore in mutande nei cortili dell’aria, con minacce, insulti, distruzione degli effetti personali, foto dei famigliari stracciate) e la particolare struttura di agenti che la esegui, i GOM, Gruppi Operativi Mobili della polizia penitenziaria. Una sigla che torna ora di “cilena” attualità. Almeno, stando alle rivelazioni di un poliziotto, pubblicate da un quotidiano. Secondo l’agente, che presta servizio al Reparto Mobile di Bolzaneto, gli uomini del GOM sarebbero responsabili dei pestaggi più duri, se non di vere e proprie torture, ai danni delle persone arrestate nella scuola “Diaz” o fermate per strada e portate nel corso della notte di sabato proprio nella caserma di Bolzaneto, dove, dice il poliziotto, è avvenuto “il macello”. Sinora non si era mai parlato di un ruolo attivo della polizia penitenziaria nelle vicende e violenze di questi giorni, pur se alcune testimonianze, come quella del fotografo Evandro Fornasier, avevano parlato di ulteriori pestaggi proprio al momento dell’arrivo in prigione. Se confermate, le rivelazioni del poliziotto di Bolzaneto, aprono dunque nuovi e inquietanti interrogativi e, c’è da immaginarlo, rischiano di aggiungere benzina sul fuoco delle polemiche a livello politico, chiamando in causa responsabilità istituzionali e di governo diverse da quelle del solo ministero dell’Interno, sinora oggetto delle critiche dell’opposizione parlamentare. Anche perché il ruolo e la funzione del GOM e dei suoi responsabili è stata spesso oggetto di perplessità. Sempre l’onorevole Pisapia, nel 1998, in una conferenza stampa, denunciò l’opacità di questa struttura, tanto da risultare sconosciuta o quasi a lui stesso: “Pur essendo da anni presidente della Commissione Giustizia della Camera, dell’esistenza di questo gruppo non ho mai saputo niente. Si sa solo che e stato istituito ne11994, con un decreto dell’Amministrazione penitenziaria”. In realtà, dalla Relazione al Parlamento sull’attività delle forze di polizia e sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica nel territorio nazionale relativa al 1999 il GOM risulta “costituito con provvedimento del 25.05.1997” e sottoposto alle “dirette dipendenze del Direttore Generale” del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Funzioni espletate e previste sono “i servizi di traduzione e piantonamento relativi a detenuti ed internati ad altissimo indice di pericolosità e con particolare posizione processuale, che possono essere effettuati, per motivi di sicurezza e riservatezza, in deroga alle vigenti disposizioni amministrative in materia, con particolari modalità operative”. Dunque la struttura, che conta 600 uomini particolarmente addestrati, gode in effetti di qualche prerogativa di autonomia e di estrema mobilità. Dalla relazione del Viminale citata, ad esempio, nel 1999 il GOM risulta avere operato presso le Case Circondariali di Roma - Rebibbia, Roma - Regina Coeli, Velletri, Viterbo, L’Aquila, Ascoli Piceno, Pisa, Cuneo, Napoli - Secondigliano, Catanzaro, Agrigento, Palermo - Ucciardone, Palermo - Pagliarelli, Trapani, Novara, Tolmezzo, Alessandria e presso le Case di Reclusione di Spoleto, Sulmona e Parma. La struttura precedente al GOM si chiamava SCOP (Servizio coordinamento operativo). Nome diverso per i medesimi agenti (ci fu un semplice “travaso” da una struttura all’altra), per identiche funzioni e per analoghe polemiche. Lo SCOP, diretto dal genovese Enrico Ragosa, nel corso degli anni Novanta fu al centro delle inchieste per maltrattamenti avvenuti nelle carceri di Secondigliano (1993) e dell’isola di Pianosa (1992). Dopo quegli avvenimenti, nel 1997, il generale Ragosa passò al SISDE. Con un decreto del 16 febbraio 1999, l’allora Guardasigilli Oliviero Diliberto istituì l’UGAP (Ufficio per la garanzia penitenziaria), una sorta di struttura di intelligence dentro le carceri. La nuova struttura acquisiva anche “il coordinamento delle attività istituzionali che sono demandate al Gruppo Operativo Mobile e delle funzioni di polizia giudiziaria nelle indagini per reati connessi all’attività d’istituto del Corpo di Polizia Penitenziaria”. Responsabile veniva nominato il generale Ragosa, alle dirette dipendenze di Giancarlo Caselli, nuovo capo del DAP dopo il “defenestramento” di Alessandro Margara, decisamente antipatizzante di GOM e UGAP, già magistrato di sorveglianza di Firenze e di Pianosa (anche su sua iniziativa il carcere sull’isola, giudicato invivibile sia dai reclusi che dagli agenti, venne poi chiuso; il nuovo ministro Castelli lo vuole ora riaprire), proprio all’epoca dei maltrattamenti e delle denunce a carico dello SCOP di Ragosa. L’istituzione dell’UGAP provocò notevoli e trasversali proteste politiche. 17 senatori sia della maggioranza che dell’opposizione presentarono una dura interrogazione parlamentare lamentando che “l’istituzione di una struttura di intelligence nell’ambito del DAP costituisce la negazione di ogni tentativo di trasparenza, oltre a contribuire a ricreare il sistema delle veline riservate”. Decise riserve venivano avanzate dai parlamentari anche nei riguardi del generale Ragosa. Nonostante le accuse, l’Ugap fu costituito e Ragosa si insediò nel nuovo e importante incarico. Ma durò poco. L’anno scorso, Ragosa è divenuto, ed è tuttora, direttore dell’Ufficio centrale Beni e Servizi del Dap. Il GOM invece è rimasto lo stesso. Nome, uomini e polemiche. Sull’onda dei drammatici avvenimenti genovesi ritorna ora l’interrogativo se si tratti di un gruppo di “operai specializzati nella sorveglianza dei mafiosi e in situazioni di emergenza”, una sorta di alacri tute blu della sicurezza, come li ha definiti Ragosa, oppure gli artefici delle scene descritte dal poliziotto di Bolzaneto: “Dai furgoni scendevano quei ragazzi e giù botte. Una volta all’interno gli sbattevano la testa contro il muro. A qualcuno hanno pisciato addosso, altri colpi se non cantavano “Faccetta nera”. Una ragazza vomitava sangue e le kapò dei GOM la stavano a guardare. Minacciavano le ragazze di stuprarle con i manganelli...”. Un interrogativo inquietante. Ancora in attesa di risposte.
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