medicina

 

Per la salute dietro le sbarre ancora non si volta pagina

 

La Repubblica Salute, 19 Luglio 2001

 

A un anno dall’annunciato passaggio di consegne della medicina penitenziaria dal ministro di Grazia e Giustizia alle A.S.L., ancora quasi nulla è accaduto. La cosiddetta sperimentazione del passaggio di competenze alle regioni designante (inizialmente Toscana, Lazio e Puglia, cui si sono aggiunte Emilia Romagna, Campania e Molise) non è ancora arrivata; la data per la fine della sperimentazione è stata spostata con un decreto (per molti anticostituzionale) a fine giugno dell’anno prossimo; i medici penitenziari continuano a recalcitrare e anche le aziende sanitarie non si può dire siano soddisfatte, considerato che dovrebbero prendere in carico malati molto particolari a costo zero.

Per i detenuti, nel frattempo, niente è cambiato. Stesso sovraffollamento, tante malattie, alcune delle quali nuove e causate dal gran numero di stranieri dietro le sbarre.

«I principi ispiratori del provvedimento, cioè garantire la salute in carcere, sono positivi: chi potrebbe non essere d’accordo nel dover tutelare e difendere la salute dei cittadini dietro le sbarre?», attacca Francesco Ceraudo, presidente dell’Ampi, il sindacato dei medici penitenziari.

«Sono gli strumenti scelti ad essere fuori dal mondo. In carcere il rapporto con il medico è basato sulla fiducia, ma il medico deve essere anche in grado di valutare se il detenuto finge per ottenere i benefici previsti dalla legge. Il solo pensiero del detenuto è quello di uscire, non di guarire».

E poi, ragiona Domenico Tiso, da 13 anni medico nel carcere di Livorno, «non vorremmo che con il passaggio alla Sanità i detenuti diventassero davvero gli ultimi, curati da persone mandate in carcere controvoglia dalle ASL».

Dunque, tutto da ripensare? «Io sono convinto», precisa Tiso, «che l’intenzione fosse di migliorare le condizioni sanitarie in carcere, ma credo che sia difficile stabilire standard qualitativi più alti a costo zero. Tra l’altro già adesso un detenuto costa al DAP (dipartimento amministrazione penitenziaria) novemila lire al giorno, mutande e assistenza sanitaria compresa. E meno di così...».

Dunque, a un anno di distanza, la domanda è la stessa: il trasferimento gioverà davvero ai detenuti e, soprattutto, quando si potrà fare?

«In queste condizioni non può avvenire», risponde Maria Giuseppina Cabras, dirigente del dipartimento per il Diritto alla salute della Regione Toscana, «perché mancano gli strumenti nazionali, ovvero i presupposti giuridici, le risorse economiche e non sono neppure stati affrontati i problemi contrattuali dei medici delle carceri, che possono lavorare anche altrove. Detto questo, noi non solo siamo disponibili al cambiamento ma stiamo già studiando la fattibilità del trasferimento. In Toscana esiste un protocollo operativo tra ASL, Regione e amministrazione penitenziaria ed è attivo un gruppo di coordinamento di cui fanno parte il direttore del carcere minorile e dell’ospedale psichiatrico giudiziario. L’obiettivo è arrivare alla verifica con proposte concrete, premettendo comunque che, se davvero si vuole una riforma, non può essere gratis».    

 

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