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Pene virtuali? Non sembra proprio...
Il
sostituto procuratore di Savona, Alberto Landolfi, sul Sito Internet
www.informanziani.it dichiara: “
L'Italia è il paese delle pene virtuali. Uno viene condannato all'ergastolo e
dopo vent'anni esce per buona condotta, a un altro vengono inflitti trent'anni
ed esce dopo 15 anni. Non dovrebbero essere previsti questi premi... così la
condanna perde efficacia”. Nell'interesse della verità occorre precisare che le asserzioni del magistrato sono, purtroppo, in contrasto sia con le norme di legge che con la giurisprudenza della Suprema Corte in quanto l’art. 50 dell'Ordinamento Penitenziario recita: «Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena». Quindi tra “uscire per buona condotta” e “poter essere ammessi al regime di semilibertà” la differenza è enorme. Inoltre l'articolo 48 della stessa legge recita: «il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale». Praticamente un ergastolano per poter sperare di ottenere la semilibertà, oltre l’espiazione di vent’anni di carcere e buona condotta deve avere i seguenti requisiti: 1. Partecipazione attiva all'opera di rieducazione; 2. Pareri favorevoli di:
Per ottenere l’ammissione al beneficio più ampio (liberazione condizionale), occorre, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte “tenere un comportamento tale da far ritenere sicuro il ravvedimento del condannato” ed aver espiato almeno 26 anni di pena, mentre “la pena dell’ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua, è stabilita fino alla morte del reo.” Per
quanto riguarda il parere del sig. Landolfi ove dichiara: «Io sono contro
l'ergastolo. Non dovrebbe essere previsto dalla nostra legislazione. Però se
viene fissato un massimo di vent'anni, ritengo che tali debbano essere, vale a
dire che siano effettivamente vent'anni, e questo anche se il detenuto si è
distinto per una condotta esemplare in carcere». L’unico commento di tutti condannati alla pena di ergastolo non potrebbe essere altro che: magari! Premesso che l’art. 27 della Costituzione prevede che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”, bisognerebbe modificarla inserendo “che le pene servono per l’isolamento temporaneo del reo dalla società, indipendentemente dai progressi compiuti nel processo di recupero”. Inoltre andrebbe sottolineato che “l’espiazione di pena fino all’ultimo giorno”, comporterebbe l’abolizione della “legge Gozzini” (un insieme di norme finalizzate al reinserimento graduale del condannato in base ai progressi compiuti nel processo di recupero), la quale sotto forme diverse, ma sostanzialmente molto simili esiste in tutti paesi d’Europa. Ad esempio, in Austria la pena dell’ergastolo significa espiare effettivamente 18 anni di reclusione, dopodiché viene fatta la valutazione della pericolosità sociale del condannato e la sua compatibilità con il reinserimento in società attraverso l’istituto della liberazione condizionale. Nel caso dell’esito sia negativo, la procedura viene ripetuta dopo un anno. Le asserzioni del magistrato di Savona derivano, secondo il parere dello scrivente, dal sistema delle informazioni ben collaudato nel quale le centinaia di ex delinquenti diventati, grazie alla legge Gozzini, lavoratori, contribuenti e padri di famiglia, non fanno la notizia, mentre uno solo che commette un reato grave mentre si trova in regime di semilibertà “desta particolare allarme sociale.”
Danko
Guardiamo da vicino il "modello americano"...
Credo che il modello proposto dal procuratore di Savona sia qualcosa che
va contro la rieducazione ed il recupero di detenuti. Imitare il sistema penale
degli Stati Uniti significherebbe ripetere lo stesso errore che, in dieci anni,
ha fatto passare i detenuti statunitensi da 500.000 a due milioni (senza contare
i tre milioni di condannati in sottoposti a pene alternative). Negli U.S.A. c’è
anche la pena di morte, eppure sono una delle nazioni in cui vengono commessi il
maggior numero di delitti. Il lavoro in carcere può servire ai detenuti, ma il lavoro forzato non
può avere finalità rieducative o dare speranze di inserimento nella società:
avrebbe solo un valore risarcitorio o, addirittura, vendicativo. Molte carceri, negli Stati Uniti, sottopongono ai lavori forzati i
detenuti che hanno una lunga condanna. Questa diventa anche un’occasione di
sfruttamento della manodopera a basso costo, così persone di pochi scrupoli
possono fare lucrosi affari sulla pelle dei condannati. Non capisco che gusto ci
sia a prendere, dagli altri stati, proprio l’esempio peggiore. Perché non
guardare all’Olanda, alla Svezia, alla Norvegia? Abdul
Per dirla con poeta...
Più volte ho iniziato a scrivere, ma alla fine strappavo sempre. Scrivere con serenità un commento a questa proposta degna di “altri tempi” non mi è affatto facile. In carcere sono diventato una persona mite, ho imparato a dominare le emozioni, gli impulsi; ma queste proposte hanno in sé qualcosa di sadico, di personale, di intimamente cattivo. Mi rifiuto di commentarle! Con i miei compagni di redazione, sono quattro anni circa che facciamo volontariamente il lavoro di redazione, a parte una borsa lavoro ad alcuni di noi per sei mesi. Penso che sia stato molto più educativo di qualsivoglia coercizione. Abbiamo imparato molto: la tolleranza, lo stare insieme, l’ascoltare gli altri anche quando non si è d’accordo. Il capirsi, provenendo da continenti diversi, non è sempre facile, ma noi lo stiamo facendo; i risultati, agli occhi di un osservatore attento, sono notevoli e lampanti. Signor Sostituto Procuratore, mi permetto di dissentire con lei. Io che sono considerato da uomini come lei, puri come diamanti, al pari di una belva da domare, una feccia. Per l’occasione prenderò a prestito una frase dal mio amato Fabrizio De Andrè, che dice: “Dai diamanti non nasce niente… dal letame nascono i fior ”.
Nicola |