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Valorizzare le attività del volontariato penitenziario di Rita Zanutel
Il Gazzettino di Venezia, 11 marzo 2004
Consigliera Provincia Venezia Gruppo Rifondazione Comunista
La partecipazione all’incontro organizzato nel carcere della Giudecca in occasione dell’8 marzo, è stato per me innanzi tutto un’occasione per comprendere maggiormente un luogo ancora troppo separato dalla vita della città. Questa separazione rimane, nonostante le diverse e costanti iniziative promosse dalle associazioni di volontariato, dalle cooperative sociali, dagli Enti locali e che vedono l’impegno diretto delle donne che in questo luogo vivono. Ritengo fondamentale valorizzare le attività del volontariato penitenziario, un volontariato non facile, perché si occupa dei "cattivi", di persone che spesso suscitano sentimenti di timore e riprovazione, non certo di solidarietà, si scontra quindi con giudizi e pregiudizi molto forti e radicati, chi sta fuori difficilmente è interessato a capire le situazioni difficili, complesse, che molti si sono trovati a vivere. Decisamente scarsa è l’attenzione generale sul sistema carcerario e sulle condizioni di vita dei detenuti e delle detenute. Il rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, presentato in Parlamento, evidenzia una situazione molto grave: il sovraffollamento delle carceri italiane nelle quali ci sono 15000 detenuti in più rispetto alla capienza delle strutture; nel Veneto la capienza regolamentare prevede 1427 persone, in realtà ce ne sono oltre 2500. La prima conseguenza è spesso un trattamento disumano, fatto di assenza di privacy, di condizioni igieniche precarie, di disagio psicologico. Ma di quello che succede dentro le carceri ben poco si sa. Ecco perché il dossier "Morire di carcere" curato da Ristretti Orizzonti, periodico dal carcere di Padova (www.ristretti.it), è un importante strumento di conoscenza e denuncia. Per 130 persone decedute negli ultimi due anni, sulle quali è stata pubblicata qualche notizia, ce ne sono state altrettante a cui la stampa non ha dedicato neanche una riga. I detenuti muoiono per cause naturali, a volte per complicazioni legate a un malanno trascurato o curato male, sono vittime di crisi depressive ed altri disturbi mentali; allarmanti sono i dati sul suicidio, ben venti volte superiore alla media. È importante che questo dossier sia continuamente aggiornato, "suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose" non possono passare sotto silenzio, perché chi ha il dovere di intervenire non possa sottrarsi alle proprie responsabilità. La necessità è di una svolta radicale nel rapporto tra carcere e società. Va riportata una situazione nella quale sia consentito il rispetto della dignità personale dei detenuti e di chi opera e lavora in ambito carcerario. La nostra Costituzione prevede che, tra gli scopi della pena, rieducativo, punitivo e di deterrenza, il primato spetti proprio a quello rieducativo. Il sovraffollamento e le più che precarie condizioni igienico sanitarie sono considerate "trattamento degradante" vietato dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. È necessario garantire nuove forme di controllo della legalità nei luoghi di detenzione. Per questo sarebbe molto importante l’approvazione della proposta di legge per l’istituzione del difensore civico delle persone private della libertà personale; un difensore civico collegiale con ampi poteri ispettivi e l’obbligo in caso di reati di fare rapporto all’autorità giudiziaria competente. Nel carcere della Giudecca non si registra una situazione di particolare gravità, tuttavia si stanno ancora cercando risposte adeguate all’esigenza di coinvolgere tutte le donne in esperienze di formazione e lavorative che possano offrire delle possibilità anche per il "dopo". Vi è poi la particolare, difficile situazione della presenza di bambini, che, quando non ha alternative, richiede una grande attenzione ed interventi di sostegno sia nei confronti dei piccoli che delle mamme. La carcerazione sospende provvisoriamente la libertà di movimento. Le altre libertà non andrebbero toccate o compresse. La prassi penitenziaria, quasi sempre, invece le tocca e comprime tutte. Se il modello carcerario rappresenta un indicatore dello sviluppo civile del Paese, finché esisteranno strutture penitenziarie solo punitive e finché non sentiremo vicine le ingiustizie subite da tante persone in tali luoghi, difficilmente potremo dire d’aver raggiunto un sufficiente grado di civiltà. È pertanto indispensabile, se sul serio crediamo in una Comunità con valori umani, etici, sociali sviluppati, che investiamo da subito nelle nostre strutture carcerarie, perché diventino davvero luoghi dove si possa riflettere, ripensare sé stessi e il proprio futuro con la dignità e il rispetto dovuto ad ogni essere umano.
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