Introduzione
Quello
che segue non è un testo giuridico, né come modo di esprimersi, né come
contenuto. Certo vi si parla di giustizia, ma a un livello più profondo, quello
della coscienza da cui procedono eventualmente i comportamenti verificabili e
sanzionabili in base alle leggi.
Quello
che segue non è neanche un testo ufficiale. Non è ovviamente compito di una
istituzione laica come il carcere proporre modelli etici. Tuttavia la laicità
di un ambito dovrebbe oggi consistere, piuttosto che nella neutralità e
nell'indifferenza, nell’attitudine ad ospitare una varietà di motivazioni
etiche (tradizionali o no, religiose o no), a suscitare il confronto tra queste
e a sollecitare eventuali convergenze su elementi comuni.
Questo
non è nemmeno un testo filosofico. L'articolo 27 della Costituzione italiana
parla di trattamento "umano", ma la nozione di "umanità",
come quella di "persona", o di "natura umana", o di
"pena" rinviano a grandi dibattiti e offrono molteplici accezioni, a
seconda delle filosofie e dei momenti storici; qui si è voluto partire dalla
realtà detentiva quale essa è, con le sue esigenze materiali e morali, e con i
compiti e le responsabilità che ne emergono, prima ancora dei diritti-doveri
giuridici.
Questo
testo perciò trae dal basso la sua possibile efficacia persuasiva e la sua
eventuale autorevolezza. Nel carcere molte norme sono imposte e vanno
rispettate. Molti diritti vengono formalmente riconosciuti. Ma si sente la
mancanza di riflessione sulle motivazioni morali che debbono indurre al rispetto
delle norme e all’attuazione dei diritti. Si sente più in generale la
mancanza di un discorso etico: certo non come imposizione dall'alto, ma come
capacità di esplicitare, di far circolare, di discutere temi e problemi
fondamentali dell’agire umano, prendendo magari posizione rispetto a questi.
Ciò ovviamente con speciale attenzione agli argomenti rilevanti per resistenza
reclusa, ma nella consapevolezza che si tratta di temi e problemi pressoché
comuni ad ogni tipo di esistenza.
Il
contenuto di questo testo è stato discusso e fondamentalmente condiviso da un
notevole numero di persone che per vari motivi e in vari ruoli hanno esperienza
della reclusione.
Esso
nasce da, e si rivolge a tutti coloro che sono coinvolti nella realtà
detentiva, anche se, come si è detto, in realtà i temi toccati riguardano la
vita umana come tale. Il testo dovrebbe essere soggetto a regolare revisione. La
sua forma - "temi e domande" - mira a favorire un atteggiamento di
esame, e anzitutto di auto-esame, nella direzione di una critica costruttiva del
proprio presente, a partire dalle condizioni date: cominciando da ora. I primi
cinque punti sono di ordine più generale.
Verso
una carta etica
-
Il
tempo è un nostro possesso, prezioso e incerto. Nonostante le dolorose
restrizioni che la durata della pena e la situazione di custodia impongono,
una certa parte del suo uso dipende ancora da noi. È vero questo? Come
vivere pienamente Qui e ora il tempo che ci è dato? Come cogliere le
opportunità che si offrono?
-
Vivere
è cambiare, possibilmente in meglio. Probabilmente il cambiamento non
avviene se alla consapevolezza della giustizia violata, del torto inflitto,
non si accompagna la scoperta della possibilità di una nuova relazione con
gli altri, compreso chi ha subito il torto. Si può condividere quest'affermazione?
Come, quando, con chi si può instaurare questo nuovo rapporto?
-
Si
può suggerire come un buon principio, quello che la giustizia sia resa, il
diritto sia rispettato, il dovuto sia dato senza che venga meno quella
spontaneità che fa dell'atto dovuto un atto pienamente umano. È vero
questo? In quali situazioni questo si può verificare, nella situazione
detentiva?
-
A
fondamento di Qualsiasi processo di auto - educazione e di formazione sta la
persuasione che la bellezza, esterna e interiore, la conoscenza, la scoperta
della legge e la stessa autodisciplina costituiscono un bisogno profondo
della persona, piuttosto che un'imposizione. Si può essere d'accordo su
quest'asserto? Che cosa può risvegliare, appunto, Questo bisogno? Che cosa
può mettere in moto e accompagnare un processo di auto-coltivazione? Come
criticare i "falsi assoluti morali"? Come sconfiggere simulazione,
ipocrisia, conformismo?
-
Un
principio, molto semplice e probabilmente universale, per regolare i
rapporti è: "Fa' agli altri quello che desidereresti fosse fatto a
te", e il suo corrispondente negativo. Questo principio tanto più si
arricchisce di contenuto quanto più profondo è il contatto con il proprio
bisogno, il proprio desiderio, il proprio corpo: solo così è possibile
correlarsi al bisogno dell'altro. Che cosa può frapporsi ad ostacolare
questo contatto, questa correlazione? Che cosa è una "giusta
distanza" fra le persone?
-
La
conoscenza è un potente mezzo di liberazione e di crescita: istruzione,
studio, lettura, cultura. Quale conoscenza? Con quali strumenti? Quali
possibilità sono offerte dal carcere, a tutti coloro che ci vivono? Come si
accolgono le varie proposte educative e culturali? Qual è il livello della
biblioteca?
-
Le
religioni sono, storicamente, e anche attualmente, una significativa
componente delle culture umane. Si suggerisce di considerare la religiosità
(nelle varie sue forme e tradizioni) come un elemento importante, non
tuttavia indispensabile; mentre è imprescindibile una maturità spirituale
e morale. È corretto? Quale atteggiamento viene proposto e perseguito
durante la reclusione?
-
Il
carcere, molto più di altri ambienti, è un luogo in cui sono presenti
molte culture. A di là delle difficoltà di comunicazione, si tratta di
cogliere questa pluralità come una ricchezza e un'occasione di scambio.
Come conoscere, come far convivere le culture e le tradizioni, nonostante
gli antagonismi che spesso esistono fra di esse?
-
Della
compiutezza armonica della persona, della sua dignità, fa parte, secondo
molto culture, la capacità di silenzio, di contemplazione, di meditazione.
Si condivide questo bisogno? Quale spazio può esservi dedicato nel contesto
detentivo? Di quanto silenzio vi si può disporre?
-
Anche
l'attività, il lavoro fanno parte di questa compiutezza. Occorre
distinguere tra attività e lavoro? Quali opportunità di lavoro si
presentano? Quale parte ha il lavoro, nella vita detentiva, quale
significato?
-
La
cura del proprio corpo, l'esercizio fisico, il mantenersi in salute, il
gioco, l'attenzione al vestire, al cibo sono espressione di stima di se
stessi e manifestano il proprio senso di dignità. Come favorire tutto
questo nel giusto equilibrio?
-
La
vita degli affetti interviene in profondità nell'essere, nel pensare e
nell'agire umano. La saggezza del vivere è scoperta sia nella relazione con
un essere umano d'altro sesso, sia attraverso altre variegate e profonde
relazioni. E' vero questo? Le restrizioni della libertà sono evidentemente
un ostacolo alla piena esplicazione di questi rapporti, che cosa si può
fare per favorirne lo sviluppo?
-
La
famiglia d'origine, insieme con il luogo e la cultura d'origine, rappresenta
un legame imprescindibile, che va recuperato e coltivato, anche se spesso si
tratta di un rapporto difficile e conflittuale. Vero? In che direzione
occorre lavorare in tema di legami originari?
|