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Associazione Papillon: poche note dalle carceri e alcune proposte
Alla c.a. di tutte le Giunte delle Regioni, della Province e dei Comuni italiani Alla c.a. di tutti i Consiglieri di maggioranza e di opposizione di tutte le Regioni, le Province e i Comuni italiani
Egregi Onorevoli, considerando che alla vigilia dell’estate è consuetudine abbastanza diffusa rilanciare l’allarme sulla situazione delle carceri (da alcuni in perfetta buonafede, da altri per normale speculazione politica e da qualcun altro con il meschino scopo di lucrare un po’ di soldi pubblici) ci permettiamo di rubare un po’ del Vostro tempo per sottoporvi alcune note sulla realtà penitenziaria ed alcune semplici e concrete proposte. Come forse saprete, nel corso degli ultimi otto anni i detenuti di tutta Italia sono stati più volte costretti a protestare pacificamente, raccogliendo attorno a loro consensi e dissensi in tutte gli ambienti politici e sociali. La nostra Associazione è stata la promotrice di questa lunga battaglia riformatrice, evitando che durante il suo svolgimento accadesse il benché minimo incidente, e forse proprio per questo ha pagato ogni volta dei prezzi in termini di rapporti disciplinari, denunce, trasferimenti punitivi e campagne provocatorie e minacciose di qualche giornale particolarmente forcaiolo. Ciònonostante, quelle pacifiche proteste sono state un necessario atto di civiltà per richiamare alle sue responsabilità verso il dettato costituzionale un mondo politico che sembra fatichi ad accorgersi che nella stragrande maggioranza delle oltre duecento carceri italiane il Diritto è stato in un certo senso "sospeso a tempo indeterminato", poiché tutto si può dire tranne che là dentro siano davvero perseguite la rieducazione e la risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi. Ci rendiamo conto che affrontare concretamente in Parlamento una riforma del nostro sistema penale e penitenziario non è cosa facile, ma non per questo è tollerabile il permanere di una situazione che scivola ogni giorno di più oltre i limiti della legalità. A meno che, per puri fini di speculazione politico/elettorale, non si voglia continuare a vendere ai Cittadini l’illusione che un sistema penale e penitenziario per molti versi "fuorilegge" è l’unico modo per garantire il loro sacrosanto Diritto alla sicurezza quotidiana. Una pericolosa china demagogica più volte denunciata, con argomentazioni che assumevano un valore universale, da Papa Giovanni Paolo II durante il suo pontificato. Anche soltanto sullo specifico dell’ordinamento penitenziario, ad esempio, non si può far finta di non vedere che da tutte le carceri i detenuti hanno denunciato il fatto che la catena di relazioni tra area educativa/direzione/forze di polizia/Magistratura di Sorveglianza sembra diventare ogni giorno più pesante e farraginosa, come se dappertutto venisse applicata una sorta di linea politica di riduzione ai minimi termini del Diritto ai permessi premio, alle misure alternative, al differimento della pena, all’uscita dall’incostituzionale art. 41 bis, alla liberazione anticipata, ecc., il che moltiplica gli effetti di un sovraffollamento che si accompagna alle delizie della malasanità penitenziaria, all’abuso della carcerazione preventiva, ai tanti, troppi suicidi e alla estrema limitatezza di spazi e di attività culturali e formative. Del resto, non siamo soltanto noi detenuti e la Chiesa Cattolica a sottolineare il limite di guardia ormai raggiunto nelle carceri. Anzi, un dato importante della nuova situazione è che oggi alcuni tra i più importanti sindacati del personale penitenziario riconoscono che per ristabilire nelle carceri un equilibrio minimamente accettabile occorrono misure che alleggeriscano davvero un sovraffollamento di oltre 15.000 detenuti. Inoltre, grazie ai detenuti e ai sindacati del personale penitenziario si è ormai completamente diradato anche il fumo ideologico che nel 2003 ha accompagnato l’approvazione del cosiddetto "indultino", lasciando in evidenza il suo carattere di Legge/truffa che invece di alleggerire il sovraffollamento non ha fatto altro che sovrapporsi, peggiorandole, alle già esistenti misure che prevedono l’affidamento in prova ai servizi sociali per i residui pena sotto i tre anni, limitando così la già scarsa applicazione di tutte le altre misure alternative preesistenti (tutte questioni ormai riconosciute anche dalle relazioni annuali di molte Procure). Ma se queste sono considerazioni di carattere nazionale - che richiamano la necessità di una serena riflessione parlamentare sull’urgenza di un provvedimento di "amnistia e indulto per tutti, nessuno escluso" - ciò non vuol dire che gli Enti Locali non possano fare niente per "aggredire" almeno le più urgenti tra le questioni da più parti e più volte sollevate. Iniziamo allora evidenziando il legame esistente tra questioni di metodo e di merito, e diciamo che proprio l’estrema e un po’ stupida "cocciutaggine" dimostrata da quasi tutti i gruppi parlamentari (tranne, in verità, da quello dei Verdi) durante la tragicomica discussione sull’indultino, quando hanno fatto finta di non sentire la denuncia della Legge/truffa che insieme a noi detenuti veniva sostenuta anche da centinaia di associazioni del volontariato, da noti Giuristi e dagli stessi sindacati del personale penitenziario, ci induce a sottolineare già in premessa il fatto che anche ogni intervento degli Enti Locali in materia penitenziaria, se vuole essere realmente efficace, deve scaturire da una partecipazione diretta e indiretta dei detenuti e degli operatori penitenziari (agenti, educatori, psicologi, ecc.) alla sua elaborazione e alla verifica della sua attuazione. Questa partecipazione si può ottenere anzitutto attraverso il coinvolgimento delle associazioni maggiormente rappresentative dei detenuti e degli operatori penitenziari, ed è ovviamente cosa qualitativamente diversa dal costoso coinvolgimento dei soliti "professionisti del disagio sociale" che per lo più sono capaci soltanto di indicare i modi e le maniere per dilapidare in megagalattici (e incontrollabili) progetti le poche risorse destinate al sistema penitenziario. Senza stabilire i criteri e le modalità di questa compartecipazione dei soggetti sociali che più di altri hanno interesse alla risoluzione dei tanti problemi del nostro sistema penale e penitenziario, tutte le parole sulla "Democrazia Partecipata", sui cosiddetti "Piani Regolatori Sociali sul Carcere", e adesso persino sulla "Economia Partecipata", si dimostrerebbero il classico fumo di copertura dietro il quale si procede invece nel modo più vecchio ed ottuso, ossia considerando i detenuti ( e persino gli operatori penitenziari) come Cittadini di serie B che non possono e non devono essere educati alla partecipazione attiva e diretta nella vita politico/amministrativa delle Istituzioni locali. Ad ogni modo, ciò che vogliamo qui proporre a tutte le Giunte e a tutti i Consiglieri di Regioni, Province e Comuni sono alcune semplici ma importanti iniziative istituzionali che ricadono nelle loro competenze e che non comportano elevate spese finanziarie. Tutte elaborazioni che non nascono dal nostro "Libro dei sogni" (il quale, ve lo assicuriamo, contiene ben altro che non queste modeste proposte riformatrici) ma dall’esperienza pratica di noi detenuti e soprattutto dall’esperienza di alcune Istituzioni locali del Paese. Tutte proposte, infine, che proprio per la loro concreta semplicità potrebbero trovare un attivo sostegno da parte di tutte - ma proprio tutte - le forze politiche.
Proposte
Vista l’emergenza sanitaria in corso, che non permette a nessuno di trastullarsi in reciproche e sterili accuse di sapore elettorale, ci rivolgiamo al Ministro della Salute, On. Francesco Storace, e a tutte le Giunte e i Consigli Regionali affinché rivolgano unitariamente un appello al Presidente del Consiglio e al Ministro della Giustizia chiedendogli di porre straordinariamente almeno 2/3 dei circa ottanta milioni di Euro della "Cassa delle Ammende" (soldi già oggi fruibili immediatamente) a disposizione di interventi sanitari urgenti per i prossimi quattro mesi in istituti penitenziari delle diverse regioni ove sarebbero immediatamente necessari più medici, più infermieri e più medicinali. Noi crediamo che tutti i problemi burocratici connessi con il Regolamento della Cassa delle Ammende possono essere facilmente superati, visto che lo stesso Ministro della Giustizia, il 14 febbraio del 2004, ha stabilito la possibilità di utilizzo di quegli ingenti fondi per progetti di carattere sanitario: "Tra le numerose lacune che sono state ereditate da questo ministro e che non è stato materialmente possibile sistemare in breve tempo, c’era quella del sostanziale inutilizzo dei fondi della Cassa delle Ammende. L’attuale amministrazione ha predisposto un regolamento, in fase di elaborazione dalla scorsa estate e ormai pronto, per disciplinare l’utilizzo di tali risorse. Il regolamento sarà approvato dal Consiglio di Amministrazione della Cassa, che si terrà entro metà febbraio. Nel frattempo sono stati esaminati due progetti pluriennali che saranno finanziati proprio attraverso la Cassa delle Ammende, attinenti alla sanità penitenziaria. Il primo riguarda la telemedicina e consentirà diagnosi tempestive a distanza, attraverso moderne tecnologie, e vedrà l’investimento di circa 3 milioni di euro. Il secondo riguarda il servizio psichiatrico negli istituti di pena, per affrontare i momenti di criticità della vita del detenuto, e comporterà un investimento di circa 4 milioni di euro". (sta nel sito ministeriale www.giustizia.it ) Ovviamente, la dimensione e il tipo di intervento nei vari istituti dovrebbe essere definito dagli Assessorati alla Sanità di ogni singola Regione e va da se che una siffatta copertura di questa emergenza sarebbe appunto di carattere straordinario e non risparmierebbe certo alle Regioni l’onere di compiere al più presto passi concreti e verificabili di natura strutturale nella sanità penitenziaria.
Chiediamo l’istituzione di "Educatori e Psicologi Regionali", ossia chiediamo di estendere ed ampliare la bella e positiva esperienza iniziata nel 2004 dalla Regione Piemonte, rifinanziata dalla stessa per il 2005 e in via di discussione anche in altri Consigli Regionali. In pratica, la Regione Piemonte si è fatta carico per il 2004 di un investimento di € 600000,00 (seicentomila Euro) per aumentare negli istituti di pena della regione il numero degli educatori professionali, attraverso convenzioni, in accordo con l’amministrazione penitenziaria, attivate dagli Enti Gestori delle funzioni socio-assistenziali E occorre anche sottolineare che la buona riuscita di questa intelligente sperimentazione è stata possibile grazie alla stretta collaborazione che si è venuta costruendo tra gli Enti Locali, l’amministrazione penitenziaria, il Tribunale di Sorveglianza, i Servizi Socio/Sanitari e il "Terzo Settore", per giungere ad una programmazione concertata. Nel formulare questa proposta ci piace sottolineare che le risorse economiche necessarie NON sarebbero gestite da questa o quella grande associazione (o da qualche cartello di grandi associazioni e/o grandi cooperative) per quei mastodontici pseudo progetti di "monitoraggio" o di "sportello nelle carceri" che costano molto e quasi sempre hanno come unico risultato positivo quello di offrire qualche mese di lavoro a giovani studenti universitari incensurati e disoccupati, bensì sarebbero risorse gestite direttamente ed esclusivamente dagli Assessorati competenti e chiunque ben presto potrebbe misurare la reale ricaduta utile sui detenuti e gli operatori di un simile investimento. Orbene, c’è forse qualche valida ragione per non generalizzare questa esperienza nelle altre Regioni, permettendo così di alleggerire il carico di lavoro dei pochi educatori e psicologi oggi presenti nelle carceri e rendendo più snella ed efficace per ogni detenuto la cosiddetta "osservazione intramuraria" che è un passaggio indispensabile per accedere ai cosiddetti "benefici" previsti dalla Leggi vigenti?
Sulla base dell’esperienza del Consiglio Regionale del Lazio, che già nel giugno del 2001 si pronunciò favorevolmente, chiediamo che ogni Consiglio Regionale istituisca una Commissione regionale di controllo sulle condizioni di vita e di lavoro dei detenuti e degli operatori penitenziari all’interno delle carceri presenti nelle rispettive regioni. Ciò consentirebbe anzitutto di compiere un’operazione di "trasparenza" sulla realtà penitenziaria, permetterebbe di superare agevolmente tutti i limiti che ancora oggi i pochi Garanti Regionali incontrano nel corso del loro intervento e anzi darebbe maggior forza ai loro stessi uffici. I Garanti Regionali, ovviamente, farebbero parte di diritto di tale Commissione e ne costituirebbero, insieme alle associazioni dei detenuti maggiormente rappresentative e ai sindacati degli operatori penitenziari, la reale forza propulsiva. In secondo luogo, una Commissione così composta permetterebbe anche una reale e partecipata programmazione dei più onerosi interventi finanziari nel carcere e sul carcere, superando progressivamente la consuetudine di certi interventi alquanto costosi ma dei quali, francamente, a noi detenuti riesce per lo più difficile vedere una reale ricaduta utile sui detenuti e gli ex detenuti. Infine, a nessuno può sfuggire il fatto che una simile Commissione così composta, lungi dal divenire la classica "palude", avrebbe invece un potere di intervento diretto e immediato su quegli importanti temi di competenza regionale che sono la sanità penitenziaria e la formazione/lavoro.
Chiediamo che tutti gli Assessorati al Lavoro delle Regioni, delle Province e dei Comuni sul cui territorio esistono istituti penitenziari, sostengano apertamente e unitariamente la battaglia sindacale di tanti detenuti ed ex detenuti per il rispetto della Legge che stabilisce il periodico aggiornamento delle retribuzioni dei detenuti lavoranti e per la restituzione di quanto, dal 1993 ad oggi, è stato arbitrariamente negato a decine di migliaia di detenuti lavoranti. La Corte di Cassazione, nel luglio 2004, ha dato ragione alle nostre denunce e alle nostre vertenze-pilota, ed ora chiediamo a tutti gli Assessorati competenti di aiutarci a sanare e superare questa ennesima ingiustizia che si protrae da dodici anni
Agli stessi Assessorati al Lavoro di Regioni, Province e Comuni chiediamo di verificare nelle sedi Istituzionali competenti la possibilità di generalizzare le esperienze di quegli Enti Locali che hanno utilizzato una piccola quota del lavoro a tempo determinato che in vario modo è collegato con la loro attività istituzionale (Cantieri, parchi, imprese di facchinaggio, lavori stagionali, ecc.) destinandola a detenuti in misura alternativa e ad ex detenuti. Un simile provvedimento potrebbe addirittura essere accompagnato da una qualche facilitazione (nel calcolo del punteggio finale che viene effettuato nelle gare di appalto promosse dagli Enti Locali) per quelle imprese private che si impegnassero preventivamente ad assumere a tempo determinato una piccola quota di detenuti in misura alternativa ed ex detenuti residenti nel territorio ove si svolge l’attività lavorativa appaltata. Come si può capire facilmente, questi provvedimenti non costerebbero nulla e anzi permetterebbero di ridimensionare quei mastodontici e dispendiosi progetti (di carattere pseudo formativo) gestiti singolarmente da grandi associazioni e cooperative (o da loro consorzi) e la cui utilità reale per i detenuti e gli ex detenuti è francamente molto difficile da vedere e apprezzare. Operando invece in questa nuova direzione, e avvalendosi delle più accurate analisi del mercato del lavoro compiute annualmente dai centri studio delle associazioni di imprenditori e dai sindacati, le scarse risorse destinate alla formazione/lavoro per detenuti ed ex detenuti potrebbe essere indirizzata unicamente (o prevalentemente) in quei settori della produzione e dei servizi che effettivamente chiedono al mercato forza lavoro variamente qualificata, evitando così una stupida (e in verità anche clientelare) distribuzione "a perdere" di finanziamenti che potrebbero essere utilizzati molto meglio.
Guardando all’esperienza di Roma, chiediamo che i Comuni e le Province sul cui territorio è collocato uno o più istituti penitenziari, promuovano la nascita di Consulte Cittadine e/o Provinciali sui Problemi Penitenziari composte da Associazioni e cooperative sociali che intervengono all’interno delle carceri o comunque sui problemi dei detenuti ed ex detenuti. Tali Consulte, nelle quali deve essere in qualche modo garantita una reale ed attiva rappresentanza dei Cittadini detenuti, potrebbe assolvere al principale scopo di elaborare un piano triennale di intervento sui temi penitenziari da parte delle Province e dei Comuni competenti territorialmente.
Sempre prendendo spunto dagli aspetti positivi ma anche dai limiti dell’esperienza di Roma, chiediamo che le Province ed i Comuni competenti stabiliscano una commissione istituzionale mista, composta da Consiglieri di maggioranza e di opposizione di ambedue gli Enti Locali, dai Garanti Comunali delle persone detenute e dai Presidenti delle Consulte Cittadine e/o Provinciali sui Problemi Penitenziari, che abbia il compito di programmare e verificare la concreta applicazione dei piani triennali elaborati dalle Consulte Cittadine e/o Provinciali sui Problemi Penitenziari. Per evitare la "sterilizzazione" delle sue funzioni, una tale Commissione mista di rappresentanti dei Comuni e delle Province, dovrebbe avere la facoltà di intervenire direttamente - almeno in una certa misura - sui capitoli di spesa dei vari Assessorati comunali e provinciali competenti per la realizzazione concreta dei piani triennali elaborati dalle Consulte Penitenziarie. Ovviamente, in conformità con il giusto concetto del carcere come "XXI Municipio", elaborato unitariamente dall’intero Consiglio Comunale di Roma già nel dicembre 2002, di una tale Commissione mista farebbero parte di Diritto le associazioni maggiormente rappresentative dei Cittadini detenuti e degli operatori penitenziari.
Assumendo l’esperienza del Municipio V del Comune di Roma - sul cui territorio si trovano i tre carceri di Rebibbia e che è l’unico ad avere un Assessorato che si qualifica formalmente come "Assessorato Politiche promozione Infanzia e della Famiglia, e Politiche per l’inclusione sociale della popolazione detenuta e degli immigrati" - si potrebbe sperimentare ( per lo meno nei Municipi decentrati delle grandi città sul cui territorio si trovano delle carceri, e nei Municipi delle piccole città e dei paese nel cui territorio si trovano degli istituti penitenziari) la concessione di una serie di deleghe che qualifichi formalmente nello stesso senso uno degli Assessorati esistenti. A nessuno può sfuggire che una tale qualificazione, sebbene realisticamente possa oggi esistere soltanto dentro un ambito territorialmente molto circoscritto e quindi con limitate risorse a disposizione, ha in se un carattere innovativo poiché in una certa misura fa entrare anche i soggetti sociali più emarginati all’interno di una Assemblea Elettiva al pari di tutti gli altri Cittadini, nonostante ben pochi di essi abbiano contribuito ad eleggerla perché privati dei Diritti politici o per scelta dovuta alla sfiducia nelle Istituzioni.
Egregi Onorevoli, ci auguriamo che troviate il tempo e la pazienza per valutare serenamente e con competenza le nostre proposte politico/amministrative e restiamo a Vostra disposizione per discuterne in ogni sede e in qualsiasi momento lo riterrete necessario.
Roma lì, 21.06.2005
Associazione Culturale Papillon - Rebibbia onlus Sede legale 00159 Roma. Piazza S. Maria Consolatrice n° 13 Tel. 0697602180. Cell. 3280213759 - 3343640722 Sito Internet www.papillonrebibbia.org - e-mail papillonrebibbia@katamail.com vittorioantonini@tiscalinet.it
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