Sesta Opera San Fedele

 

    Ero carcerato e siete venuti a trovarmi

di Francesco Occhetta

La Sesta Opera San Fedele è una delle più antiche associazioni di assistenza carceraria operanti in Italia. La sua origine ci riporta alla Milano del 1923, fra le tensioni di una società che, superato lo spartiacque della Grande Guerra, si trovava nella crisi drammatica dell’Italia liberale ormai in crisi irrimediabile per il pieno dispiegarsi del regime fascista.

    Le radici remote della Sesta Opera affondano nel terreno della spiritualità ignaziana. La decisione di un gruppo di liberi professionisti milanesi di impegnarsi nel servizio fra i detenuti per adempiere alla sesta opera di carità: «Ero carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36), scaturì proprio da un ciclo di esercizi spirituali tenuti dal p. Carlo Beretta s.i. direttore della allora Congregazione Mariana milanese (oggi cvx – Comunità di vita cristiana).

    Inizialmente all’opera era permesso solo di svolgere colloqui con i reclusi sia maggiorenni sia minorenni e di gestire due scuole, una per gli analfabeti e l’altra per i minorenni.

    Da allora sia la realtà del volontariato carcerario sia la legislazione in materia si sono molto evolute. Attualmente in Italia ci sono circa 6.500 volontari carcerari attivi in 351 organizzazioni che garantiscono 21.500 ore di impegno ogni settimana nei 206 Istituti penitenziari del Paese.

    Ancora oggi l’esperienza pionieristica della Sesta Opera San Fedele rimane un punto di riferimento significativo nel mondo carcerario, nel quale prosegue lo stesso servizio che aveva già superato il mezzo secolo di vita quando la legge di riforma penitenziaria del 1975 assegnava al volontariato la promozione dello «sviluppo dei contatti fra la comunità carceraria e la società libera».

    Ripercorrere quindi alcuni tratti significativi della sua storia, spiegare le attività che svolge negli Istituti penitenziari dell’area milanese: San Vittore, Bollate e Opera, e delineare i progetti futuri finalizzati ad approfondire la dimensione della cultura della giustizia e del carcere ci sembra il modo più efficace per presentare l’impegno della Sesta Opera nei suoi quasi 80 anni di vita. 

1. Gli sviluppi della Sesta Opera San Fedele

    Il servizio prestato nei primi anni dell’attività venne svolto in condizioni sociali e culturali difficili. Malgrado il Regio Decreto n. 787/1931 — primo vero regolamento penitenziario — riconoscesse lo Stato come unico soggetto preposto all’esecuzione penitenziaria e al reinserimento dei detenuti, ignorando così il servizio dei volontari, il gruppo divenne in pochi anni un interlocutore attivo e credibile dell’Amministrazione carceraria.

    Il gruppo, grazie alla collaborazione con la Direzione del carcere, conseguì nel 1930 alcune importanti conquiste sociali ed umane, ottenendo che per alcune attività rieducative i detenuti minorenni venissero separati dagli adulti e che gli ex-detenuti fossero concretamente aiutati nel loro difficile reinserimento nella società. L’assistenza post-carceraria del gruppo, approvata dalla Procura, realizzò: un laboratorio presso un’azienda metalmeccanica, nel quale venivano accolti gli ex-detenuti, desiderosi di lavorare, ma che si scontravano con l’insormontabile diffidenza dei datori di lavoro; un centro di accoglienza per coloro che non avevano famiglia.

    Nel 1938 i volontari regalarono al carcere di San Vittore l’impianto radiofonico che resisterà fino al 1987, quando fu ammodernato ancora con il contributo della Sesta Opera. 

    L’attività del gruppo venne temporaneamente sospesa nel 1942 a causa della guerra e ripresa nel 1946 con il nome: «Patronato di Assistenza Carceraria e Post Carceraria». Nello stesso anno, su invito del direttore di San Vittore, i volontari ricostruirono il Centro Clinico offrendo le attrezzature radiologiche e odontoiatriche; mentre due anni dopo, nel 1948, iniziarono anche il servizio nel carcere militare di Peschiera, protrattosi fino al 1970.

    Dal ’50 al ’60 il gruppo scelse di testimoniare pubblicamente il proprio impegno. Alcuni volontari offrirono gratuitamente consulenze legali e mediche alle famiglie dei detenuti più bisognosi o ai detenuti poveri privi di difesa. Altri volontari iniziarono a sensibilizzare la società sul problema carcerario attraverso conferenze e testimonianze. Ma questo periodo fu anche il più delicato per la vita dell’Associazione e più in generale per il volontariato carcerario. Alcuni progetti di legge, infatti, prevedevano di sopprimere il volontariato per affidare l’assistenza esclusivamente agli operatori sociali e agli educatori. Il gruppo di volontari, preoccupato per questi orientamenti, si costituì giuridicamente in Associazione per poter far sentire in tal modo più efficacemente la propria voce. Fu così che il 30 novembre 1963, con il contributo del p. Sergio Masetto s.i., l’Associazione formalizzò la sua rinnovata identità assumendo la denominazione «Sesta Opera San Fedele». In quell’occasione vennero anche ridefinite, attingendo alla ricca eredità di esperienza accumulata, le attività che ancora oggi caratterizzano l’Associazione:

    a) visitare e assistere i detenuti; assistere le loro famiglie; svolgere azione particolare di sostegno al termine della pena;

    b) stabilire il collegamento e il coordinamento con Enti e Associazioni, pubbliche o private, aventi per scopo la assistenza carceraria e post-carceraria;

    c) collaborare con gli organi statali, centrali e periferici; con i cappellani e con l’ispettorato dei cappellani;

    d) studiare i problemi riguardanti la assistenza carceraria e post-carceraria, allo scopo di contribuire al miglioramento della legislazione in materia;

    e) svolgere attività informativa per attenuare nella opinione pubblica i pregiudizi verso gli ex-detenuti, creando un clima di maggiore sensibilità per i loro problemi.

    Con l’ampliarsi dell’impegno nel carcere milanese, l’Associazione si propose sempre più come prezioso punto di riferimento per il mondo cattolico. Fu infatti su impulso della Sesta Opera che nel 1968 la Azione Cattolica Italiana si fece promotrice del coordinamento degli enti e dei singoli volontari impegnati nell’assistenza carceraria, costituendo un Segretariato Enti Assistenza Carceraria (seac) [2]. Le maggiori conquiste raggiunte dalla nuova struttura, cui non è mai venuto meno il contributo della Sesta Opera, sono state: un costante dialogo con le istituzioni e il Governo sui problemi dell’amministrazione della giustizia, una formazione dei volontari più qualificata e aperta alla dimensione civile e politica del proprio impegno. Particolarmente rilevante è stata la continua sollecitazione rivolta al legislatore perché nel nuovo Regolamento Penitenziario (del 1975) [3] fosse riconosciuto il ruolo insostituibile del volontariato nella rieducazione del detenuto. Lo sforzo produsse la stesura degli articoli 17, 45, 46 e 78, in forza dei quali gli assistenti volontari furono formalmente riconosciuti per legge.

    Negli anni ’70 la Sesta Opera fu particolarmente impegnata nell’emergenza terrorismo. Fu la stessa Direzione di San Vittore a chiedere ad alcuni volontari un intervento focalizzato sui problemi specifici di trattamento dei terroristi. Una grande assunzione di responsabilità, da parte dei volontari: fra i loro compiti primari verso i protagonisti degli anni di piombo, c’era quello di promuovere attraverso i rapporti umani un nuovo atteggiamento di fiducia verso le istituzioni democratiche. Si trattò di un intervento fecondo, i cui positivi risultati vennero riconosciuti dagli stessi detenuti, tanto che brigatisti e detenuti comuni invitarono la Direzione a rivolgersi alla Sesta Opera perché potesse gestire con loro l’amministrazione dei laboratori di serigrafia, pelletteria, falegnameria e la redazione del giornale Senza titolo.

    Sullo slancio di quella fiducia reciproca che univa Direzione, volontari della Sesta Opera e detenuti, oltre all’acquisto dei materiali necessari e di alcune macchine nacque anche l’idea di creare all’esterno del carcere un laboratorio di pelletteria per dare ai detenuti in uscita la possibilità di un lavoro. In questa linea di intervento fu fondata dalla Sesta Opera anche la cooperativa Tiremm Innanz per la lavorazione di pelletteria, ceduta poi nel 1992 agli stessi ex-detenuti ormai autosufficienti.   

Come si diventa assistente volontario

 

Attualmente oltre 10.000 assistenti volontari entrano nelle carceri italiane con l'autorizzazione prevista dall'art 17 che, rilasciata dal Magistrato di Sorveglianza su parere del Direttore, è concessa in relazione ad iniziative specifiche, come per esempio attività religiose, spettacoli, corsi, ecc.

L'autorizzazione prevista dall'art 78 è di competenza del Ministero che valuta se «persone idonee all'assistenza e all'educazione» possano «frequentare gli Istituti penitenziari, allo scopo di partecipare all'opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale». Sono circa 1.200 gli assistenti volontari autorizzati da questo articolo. Entrambe le possibilità richiedono lunghi periodi d'attesa. L'aspirante volontario può aspettare anche un anno dalla consegna della domanda

L'ordinamento Penitenziario

permette di diventare assistente

 volontario in base agli artt.

 17 e 18 della legge n. 354/75

 e all'art. 120 del DPR 30 giugno

 2000, n. 230

 

2. La Sesta Opera San Fedele e la spiritualità ignaziana: un legame strutturante

    L’impegno e la ispirazione civile di un sodalizio che ha scelto il servizio nel carcere — cioè nell’area dell’estrema esclusione che è quasi uno spaccato di tutti i mali individuali e sociali del tempo — si sono incontrati con il rinnovato impegno della Compagnia di Gesù per la promozione della giustizia sociale fondata sulla centralità dell’uomo: «La missione della Compagnia oggi è il servizio della fede, di cui la promozione della giustizia costituisce un’esigenza assoluta, in quanto fa parte di quella riconciliazione tra gli uomini richiesta dalla loro riconciliazione con Dio, che è scelta decisiva della Compagnia». Queste parole di p. Bartolomeo Sorge tratte dalla presentazione del sito della Sesta Opera colgono pienamente la ricchezza delle passioni evangelica e civile che fa della Sesta Opera un terreno assai fecondo di lavoro, condiviso da uomini e donne con ispirazioni, esperienze e orientamenti talora diversi, ma la cui diversità si compone sempre nel fraterno servizio per la giustizia, dimensione in sé inconciliabile con qualsiasi forma di esclusione sociale che mortifica il valore della persona umana.

    In particolare negli anni ’70, se da un lato il servizio carcerario della Sesta Opera si arricchì nello spirito di forte impegno civile, riconosciuto dalla nuova legge di riforma, dall’altra poté attingere alla corrente di rinnovamento che percorreva la Compagnia di Gesù nel pieno del suo aggiornamento post-conciliare. Riferimento particolarmente fecondo fu il Decreto 4 della Congregazione Generale 32a del 1974, che indicava il servizio della fede e la promozione della giustizia quale impegno costitutivo della Compagnia.

    La radice originaria della Sesta Opera ne è stata rivitalizzata, e la sua attività ha potuto affrontare e superare un altro quarto di secolo di servizio nelle carceri. Oggi, di fronte a sfide inedite che richiedono nuove aperture culturali e nuovi strumenti di intervento, l’Associazione trova il proprio radicamento ideale e gli stimoli più fecondi nel Decreto 3 della Congregazione Generale 34a del 1995, La nostra missione e la giustizia.

    La relazione di Francesco Borroni, presidente dell’Associazione, tenuta durante il convegno del gennaio 2002 dedicato al tema: «Giustizia e riconciliazione», rappresenta uno schema programmatico di lavoro che da quei principi trae ispirazione e orientamento nell’affrontare i compiti che questa realtà ci consegna.

    Compiti che sollecitano l’Associazione a un  servizio necessariamente nelle dimensioni del dentro e del fuori: «dentro» il carcere occorre costruire speranze e prospettive per il «dopo e fuori», dove è decisivo il lavoro di prevenzione e di contrasto dei meccanismi che generano alte percentuali di recidività affrontando i problemi del reinserimento a partire dal lavoro e dalla casa. Su questo terreno la Sesta Opera è attiva con il Centro d’ascolto, tre appartamenti, una rete di contatti 4 il cui sviluppo sarà tra gli impegni dei prossimi anni, tra i quali il sito web, le attività di formazione, la ripresa dell’attività editoriale già in calendario.

    Nella relazione del Presidente troviamo la giustificazione di queste scelte: «Se pensiamo ad un ex-detenuto che si trova ad affrontare il passaggio da un mondo eterodiretto a una vita riconsegnata alla sua autodirezione, fra pregiudizi e discriminazioni, spesso privo di casa, lavoro, relazioni familiari e sociali, allora essere volontari anche per il dopo e fuori diventa un servizio equivalente a quelli che da sempre facciamo nelle carceri» [5]. Anche il card. Martini, nell’indirizzo di saluto in occasione del convegno, ha incoraggiato i volontari a proseguire in questa direzione.

    A questa intensa attività dell’Associazione sono indispensabili i due ritiri di  riflessione e di preghiera che annualmente vengono proposti.

    Questo rapporto con la spiritualità ignaziana non caratterizza l’Associazione come confessionale, ma favorisce un comune orizzonte progettuale, di società, di giustizia e di equità, su cui si incontrano volontari credenti e non.

3. Identità e servizio della Sesta Opera San Fedele oggi

    Oggi la Sesta Opera vive con consapevolezza le sfide del terzo millennio (globalizzazione, immigrazione, nuove povertà, nuove forme di esclusione, carcere come discarica sociale, ecc.) rispondendo nello spirito delle precedenti generazioni di volontari, con la certezza di continuare a vivere un tempo propizio di servizio. Su queste basi si fondano le nuove sfide e l’identità dei quasi 100 soci della Associazione.

    I volontari sono coordinati da un Comitato di Presidenza, eletto dalla Assemblea dei soci, che rimane in carica per tre anni. Attualmente il presidente è Francesco Borroni, mentre p. Guido Bertagna s.i. è l’assistente spirituale; Gian Battista Legnani, il cui padre Egidio fu nel 1923 tra i fondatori del sodalizio, dopo 36 anni di presidenza rimane presidente onorario e punto di riferimento significativo per l’intera Associazione.

 

a) Assistenza ai detenuti di San Vittore, Opera e Bollate

    La tradizionale e consolidata assistenza intramuraria, oltre ad offrire sostegno ai singoli detenuti attraverso i «colloqui», vede l’Associazione impegnata anche a migliorare, per quanto è possibile, la qualità della vita all’interno degli Istituti. La principale funzione di questo servizio è di fornire un sostegno psicologico alleviando così anche parte della solitudine e delle tensioni che si accumulano nelle celle. In molti casi i colloqui vengono fatti per aiutare i più deboli: gli immigrati, i nuovi arrivati e i malati. Sovente i contenuti del colloquio richiedono l’impegno di informare le famiglie, sollecitare gli avvocati o contattare gli educatori.

    A San Vittore, inoltre, ogni sabato mattina alcuni volontari distribuiscono biancheria e indumenti: nel 2001 sono stati aiutati più di 1.800 detenuti. Da anni inoltre si garantisce un supporto logistico e organizzativo per i tornei di calcio e di scacchi e la partecipazione alle due giornate di incontro tra detenuti e famiglie, note come «giornate dell’affettività».

    Nel carcere di Bollate i volontari distribuiscono ai detenuti biancheria e indumenti tre volte alla settimana e svolgono un prezioso servizio di cineforum, frequentato da più di 100 detenuti a proiezione, preparando schede di lettura e questionari per i detenuti.

    Nel carcere di Opera i volontari della Sesta Opera svolgono attività di catechesi settimanale e prestano servizio di animazione attraverso la lettura dei quotidiani, corsi di acquerello, scuola di chitarra nei reparti di massima sicurezza e nel Centro Clinico in cui vengono ricoverati i malati di aids. Ultimamente l’Associazione ha contribuito alla sistemazione definitiva delle vetrate artistiche della Cappella del Carcere, benedette dal card. Martini durante la Messa di Natale del 2001. L’Associazione ha anche contribuito a finanziare un progetto per l’allestimento di un laboratorio di elaborazione dati e lettura ottica in cui saranno occupati 49 detenuti. Inoltre si sta preparando un gruppo di volontari che presteranno servizio nel Centro di Servizio Sociale per Adulti (cssa) [6]. 

b) Centro d’ascolto

    Il Centro d’ascolto, nato circa 4 anni fa, segue con regolarità circa 60 persone all’anno nel periodo immediatamente successivo alla detenzione. I servizi che caratterizzano il Centro sono l’ascolto e l’aiuto agli ex-detenuti e alle loro famiglie. Vengono offerti un sostegno morale e forme di assistenza concreta in caso di necessità, come per esempio pratiche per l’ottenimento della residenza, la regolarizzazione dei documenti, l’offerta di assistenza giuridica e di istanze di affido ai servizi sociali per casi particolarmente disagiati. Molto proficua si è rivelata la collaborazione con la Caritas Ambrosiana e la Società di San Vincenzo de’ Paoli nel far fronte a situazioni particolarmente difficili e nel seguire le famiglie dei detenuti poveri.

 

c) Appartamenti

    Un primo appartamento è riservato all’accoglienza dei detenuti in permesso premio per consentire loro di incontrare i familiari. L’appartamento è usato anche per ospitare famiglie provenienti da località lontane che giungono a Milano per visitare il loro familiare in carcere. La seconda casa di accoglienza nasce con lo scopo di far vivere in una piccola comunità quattro ex-detenuti o detenuti affidati al Servizio Sociale per Adulti. La casa è diretta da un operatore residente; gli ospiti scelti da una commissione del Centro d’ascolto, accettano di aderire a un regolamento riabilitativo che regola la nuova convivenza. Il tempo di permanenza è volutamente limitato a pochi mesi per favorire il rientro in società dell’ex-detenuto. Anche questo è un servizio importante per l’Associazione, i cui volontari, a piccoli gruppi, possono recarsi alla sera per cenare e conversare con gli ospiti.

L’insieme di questi progetti, pesanti da gestire e onerosi da mantenere, vive grazie ai contributi pubblici e di alcuni generosi benefattori

4. Le sfide della Sesta Opera San Fedele

    Oggi l’Associazione è interpellata da almeno tre sfide: lo stato di salute delle carceri in cui presta servizio, il modello rieducativo e la comunicazione con altre Associazioni.

    Il carcere milanese di San Vittore, tra i più grandi in Italia, costituisce un esempio emblematico. Progettato per ospitare 800 detenuti, ne contiene circa 2.000, che costano allo Stato circa 200 euro al giorno pro capite. Le celle di 8 mq ospitano 6 o 7 detenuti ciascuna. Inoltre il 60% della popolazione carceraria è immigrata, il che determina un’urgente domanda di integrazione necessaria per sopravvivere. Gli alti tassi di recidività indicano il fallimento di una certa visione del carcere e del trattamento penale. Inoltre i limiti dei percorsi rieducativi, nonostante la professionalità di molti operatori, e lo scarso coordinamento tra Associazioni di volontariato rischiano di disperdere energie preziose.

    In queste condizioni la Sesta Opera, oltre ad avere più volte richiamato l’estrema difficoltà dell’azione di recupero secondo lo spirito della nostra Carta costituzionale, ritiene necessario:

    a) operare un drastico miglioramento della vivibilità in carcere, riducendo il sovraffollamento e promovendo attività culturali, sportive e di lavoro per tutti i detenuti, tra i quali gli immigrati che oggi sono fortemente penalizzati;

b) aumentare le presenze degli educatori;

c) favorire un effettivo coordinamento tra Associazioni di volontariato nel quadro di strategie complessive di intervento, per evitare una sorta di concorrenza sul mercato del bene.

Carceri e volontariato: alcune cifre

La popolazione carceraria in Italia

A metà del 2001 la popolazione carceraria ammontava a 55.383 detenuti, di cui 16.330 immigrati, cioè il 29% (5 anni gli stranieri detenuti erano il 18% del totale); un altro 30% della popolazione carceraria era costituito da tossicodipendenti e alcolisti. Al 31 marzo 2002 i detenuti sono 57.114 mentre la capienza massima, nei 206 Istituti penitenziari del Paese, è di 48.000 persone detenute.

Volontari negli Istituti penitenziari italiani

Le 351 formazioni solidaristiche impegnate nel settore giustizia (non solo all'interno degli Istituti penitenziari) coinvolgono 15.000 persone, di cui almeno 5.000 volontari attivi.

Nell'arco di un anno i volontari carcerari sono in grado di stabilire 63.000 contatti, di promuovere la realizzazione di progetti che coinvolgono: 13.300 detenuti, 3.500 ex-detenuti, almeno altrettante persone che usufruiscono di misure alternative e 4.900 famiglie di detenuti ed ex-detenuti.

Nel campione di 191 organizzazioni esaminate operano 8.476 persone. Sono 2.506 i volontari attivi e continuativi, 1.698 quelli attivi non continuativi, 3.422 i soci/tesserati, 228 gli obiettori, 138 le persone che usufruiscono di rimborso spese, 131 i collaboratori, 194 i dipendenti e 159 i religiosi.

 

Fonti:

- per i dati sulla popolazione carceraria: Ufficio statistico del Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria (DAP);

- per i dati sul volontariato penitenziario: Annuario Sociale Gruppo Abele 2001 (dati relativi a fine 1999)

5. L’avvenire della Sesta Opera: percorsi di giustizia e di carcere

    La Sesta Opera ha scelto di orientare il suo sforzo futuro movendosi tra «azione sociale» e «riflessione culturale»: dall’equilibrio in cui saranno mantenute le due dimensioni, dipendono la capacità di tener vivi i motivi ispiratori evangelici e civili, e la capacità di proseguire nel servizio di volontariato con una strumentazione culturale sui temi della giustizia e del carcere all’altezza della sfida cui l’Associazione è chiamata. La commissione «formazione-informazione» ha come suo specifico terreno di lavoro il potenziamento e la condivisione di questa strumentazione culturale, sempre più necessaria per sostenere l’azione diretta nelle carceri, e fuori, sul territorio nei percorsi di esecuzione penale esterna, la richiesta di più larghi spazi per le misure alternative, la dimensione riparativa della giustizia e le pratiche di mediazione. La scelta di attivare un sito Internet, lanciato circa un anno fa, è una tappa di questo percorso. Esaurita l’esperienza di Magazine 2, la Sesta Opera riprenderà un’attività editoriale propria, per promuovere una cultura della giustizia e del carcere fondata su uno spirito di riconciliazione. Contemporaneamente l’Associazione si propone come struttura di servizio collaborando a iniziative di informazione dalle carceri che abbiano come protagonisti i detenuti stessi.

    Un altro momento di fondamentale importanza rimane il corso per aspiranti volontari in cui esperti di varie discipline in campo penale ed etico offrono elementi di conoscenza e di riflessione utili per la formazione di un volontario. Negli ultimi 10 anni il corso è stato frequentato da circa 250 aspiranti volontari. 

6. Conclusione

    L’esperienza di 80 anni di volontariato penitenziario ha prodotto il radicato convincimento che il carcere non può essere l'unica risposta penale: altre soluzioni vanno ricercate con pazienza, costruendo una diversa sensibilità sociale ai temi della colpa e della pena, dialogando e avanzando proposte credibili alle istituzioni. 

    L’Associazione è consapevole che il lavoro di questi anni sarà decisivo per definire le forme future di servizio del volontariato, nell’ambito del trattamento penale e delle alternative che si riusciranno a costruire. Il carcere richiede al volontariato un servizio sempre più difficile; basti pensare al carattere multiculturale che ha acquisito negli ultimi anni, configurandosi come spazio nel quale convivono culture diverse, che impongono ai volontari prospettive di inculturazione alle quali non ci si può sottrarre senza depotenziare la propria opera. Un lavoro difficile, quindi, che si scontra con disinformazione, luoghi comuni, orientamenti che, alla giusta richiesta di sicurezza dei cittadini, pensano di rispondere con detenzioni più lunghe e dure, in strutture che finiscono col funzionare da discariche sociali, e la cui gestione si immagina di rendere più efficace promovendone la privatizzazione.

    Nella Sesta Opera è nota una frase di una volontaria di grande esperienza che alla domanda: «Perché vai a trovare proprio quel brigatista?», rispose: «Perché anche lui è mio fratello». Questa consapevolezza nasce proprio dall’incontro io-tu da cui prendono vita veri e propri cammini di responsabilità e di liberazione, in cui il riconoscimento del male fatto alla vittima del reato o il perdono offerto al detenuto dalla vittima del reato o da suoi familiari sono autentiche e silenziose conquiste umane e di fede. Non giudicare, saper perdonare e farsi prossimi sono i modi con cui la Sesta Opera prosegue il suo cammino, di cui si ritrova in Buber un aspetto centrale: «La condizione fondamentale per l’istituirsi di una vera conversazione è che ognuno consideri il suo interlocutore come quest’uomo, proprio questo. […] e accetto l’uomo che ho intuito, così da potere in tutta serietà indirizzare a lui, in quanto lui, la mia parola» [7]. 

* di Aggiornamenti Sociali.

Si ringrazia Antonio Casella, della Sesta Opera, per il confronto e l’aiuto nella stesura di questo articolo.

[2] Cfr Vella N., Il volontariato nelle carceri, Fondazione italiana per il volontariato, Roma 2000; <www.volontariatoseac.it >. 

[3] Con la legge di riforma penitenziaria del 1975 il carcere si apriva alla società civile; l’Ordinamento Penitenziario promulgato in quell’anno si inscriveva nel quadro di trattati e convenzioni internazionali che si era venuto definendo dalla fine della guerra. Il nuovo Ordinamento recepiva la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (già ratificata dall’Italia con la Legge 4 agosto 1955, n. 848) e le Regole minime per il trattamento dei detenuti, che erano state approvate il 30 agosto 1955 dal I Congresso dell’ONU per la prevenzione del delitto e il trattamento dei delinquenti; queste Regole minime vennero sostanzialmente riprese e approvate dal Consiglio d’Europa il 19 gennaio 1973. 

[4] Questa dimensione dovrà essere potenziata promovendo iniziative di lavoro in rete; la collaborazione con strutture di alto profilo come Caritas, Nova Spes, cooperativa di lavoro, e Agesol (Agenzia Solidarietà Lavoro), diretta da Licia Roselli, che si occupa del problema del lavoro per detenuti ed ex-detenuti, appare uno sviluppo potenzialmente tra i più fertili.

[5] <www.gesuiti.it/sestaopera/home.htm>. Voce «documenti», § 5 della relazione.

[6] Cfr Pedrinazzi A., «Pene detentive o misure alternative?», in questo stesso fascicolo alle pp. 386-397. 

[7] Buber M., Le parole di un incontro, Città Nuova, Roma 2000, 14

 

 

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