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Lo stato della
giustizia in Italia di
Vittorio Aliquò
Ricorre in questi mesi
il decimo anniversario delle stragi di mafia di Capaci (23 maggio
1992) e di via D'Amelio a Palermo (19 luglio 1992), di cui restarono
vittime, rispettivamente, il magistrato Giovanni Falcone, la moglie
Francesca e tre agenti
della scorta, e il magistrato Paolo Borsellino con i cinque agenti della
scorta. Furono giorni tragici, tristi e dolorosi, ma determinarono una forte
unità d'intenti, una reazione dello Stato e della società civile, mai prima
d'allora verificatasi con tanta determinazione, e ad essa seguì l'apertura
di grandi brecce nella compattezza della stessa organizzazione mafiosa Cosa
Nostra. Sono passati dieci anni e quei giorni sfumano nella memoria. Si dimenticano presto i morti, l'onda travolgente del dolore e dello sdegno, l'impegno durissimo degli anni successivi per riuscire a identificare, arrestare e condannare i colpevoli, per smantellare in larga misura l'organizzazione criminale. Quei giorni sembrano
lontani, molto lontani, tanto da farci dimenticare certe lungaggini e
storture, che non hanno ancora permesso di concludere in tutti i gradi
di giudizio molti processi e che, per contro, in alcuni casi hanno
fatto sì che soggetti condannati in via definitiva abbiano riacquistato, in
forza di benefici carcerari, una libertà che consente loro di riallacciare
le vecchie fila, di ricostruire strutture criminali demolite a così alto
prezzo. Si levano, di tanto in tanto, perfino voci che chiedono un atto di
clemenza o suggeriscono un'apertura per la concessione di ulteriori benefici
a fronte di una dissociazione meramente verbale, non accompagnata da veri
segni di rottura definitiva, qual è la collaborazione con le autorità
inquirenti. Il desiderio di una
completa sconfitta della mafia, che non è poi altro se non la giusta
aspirazione a rientrare del tutto in una «normalità» per troppo tempo
perduta, è così forte da farci illudere di averla davvero sconfitta, di aver
finalmente raggiunto la normalità e di averla definitivamente assicurata a
noi stessi e alle generazioni future. Purtroppo è ancora un'illusione. È
un'illusione nella quale sono caduti i nostri padri e i nostri nonni.
Basterebbe leggere cosa è avvenuto alla fine dell'800 (è di quei tempi il
delitto Notarbartolo) e nel periodo fascista, con la repressione compiuta
dal prefetto Mori e la falsa certezza di poter ormai e definitivamente
«dormire con le porte aperte», come si diceva all'epoca 1). Ciascuno di noi, guardando indietro alla propria storia, non potrà non rileggere complessivamente il significato della propria vita, che, come quella di tanti altri, è stata toccata da episodi di violenza, o ha risentito della violenza ad altri arrecata, o comunque diffusa accanto a noi, o è stata addirittura una vita trascorsa - come per molti magistrati, avvocati, giuristi, funzionari, appartenenti alle forze di polizia - al servizio diretto della giustizia. E ognuno potrà constatare come la propria storia, la propria vita sia stata violentata e condizionata, in questi anni, dalla brutalità criminale e dalla mafia; non solo in Sicilia. Ogni violenza è come una
grossa pietra in un lago tranquillo: si solleva un'onda che può anche
travolgere di cerchio in cerchio chi si trova sulla sua strada. Un'onda che
colpisce non solo la vittima, ma anche la sua famiglia, il suo mondo, la
società e spesso raggiunge nei suoi effetti perversi l'autore stesso del
delitto, i suoi figli, la sua famiglia, i suoi affetti. Per questo è un
dovere morale impedire che quella pietra venga scagliata, ma anche
soccorrere chi è travolto dall'onda, chiunque esso sia, e impegnare
la propria vita e la società in cui viviamo a fare scelte coerenti e tali da
impedire ogni ritorno di un passato così oscuro. 1.
Significato delle
relazioni annuali dei Procuratori Generali È questo il solo senso,
oggi, delle annuali relazioni pronunciate dal Procuratore Generale presso la
Corte di Cassazione e dai Procuratori Generali presso tutte le Corti
d'Appello, nel corso di cerimonie, che hanno forse un sapore arcaico e sono
talora occasioni di polemiche e contestazioni, ma che, sulla base di una
corretta informazione, dovrebbero essere per tutti una spinta a guardarsi
intorno nella materia della giustizia, che tutti ci riguarda, a fare un
esame che non sia solo attinente alla situazione di fatto nell'ambito
limitato che ci è familiare, quello della nostra cerchia di conoscenze e di
attività, o al massimo della nostra città, ma che sia un'annuale
rivisitazione dei problemi generali della giustizia in Italia; forse una
sorta di esame di coscienza: perché ognuno di noi, ogni individuo,
ogni categoria, tanto più, ma non solo, chi ha responsabilità di governo,
può e deve influire sul complessivo andamento del mondo in cui vive, per
migliorarlo e trasformarlo, se necessario, ma sempre in una prospettiva di
attenta valutazione degli interessi superiori, che per noi sono compendiati
nel termine giustizia. Certamente, nelle
relazioni dei Procuratori Generali variano le tecniche espositive e variano
i dati statistici, per un motivo o per l'altro, anche per l'introduzione di
nuove tecniche e di nuovi moduli di raccolta dei dati. Poche dunque le
certezze, forse relative soltanto alla netta contrazione dei delitti più
gravi e del numero dei procedimenti pendenti in primo grado, sia nel settore
penale sia in quello civile; ma contrazione accompagnata da un preoccupante
aumento, già in corso e prevedibilmente destinato ad aggravarsi, dei
procedimenti pendenti negli ulteriori gradi di giudizio, soprattutto nella
fase dell'appello, cui si ricorre in maniera generalizzata. Nei discorsi dei
Procuratori Generali, però, è possibile cogliere alcuni punti
fondamentali di unità e di comune sottolineatura, che sono stati, nei
due ultimi anni, i seguenti: a) la troppo scarsa
attenzione da parte del legislatore, complessivamente ma soprattutto nei
più recenti interventi, alla persona offesa, sia sotto il profilo più
strettamente individuale e umano, che sotto quello di più generale esigenza
di tutela sociale; b) la grave offesa ai
diritti dell'uomo costituita dai tempi lunghi di svolgimento del
nostro processo penale e dalla non minore durata del processo civile;
c) l'incongruenza
dell'introduzione da parte del legislatore di non poche nuove figure
di reato, spesso per fatti di limitatissimo allarme sociale, che
richiedono un dispendio di attività investigative e giurisdizionali tali da
ridurre considerevolmente gli effetti positivi di altri interventi
legislativi, volti più opportunamente alla depenalizzazione, cioè in
definitiva ad ampliare il campo dell'intervento amministrativo, riservando
la sanzione penale alle espressioni più gravi di antisocialità; d) la nuova necessità di
calibrare il nostro sistema procedurale e sostanziale su quello
dell'Unione Europea accogliendo istituti e discipline consueti ad altri
Paesi e facendo in modo che anche il nostro diritto, che ha tanti
pregevolissimi aspetti, sia conosciuto e accettato in questa nuova comunità,
che un po' tutti già amiamo e sentiamo nostra2); e) l'opportunità di
molte delle recenti riforme, a volte attese da anni, e tuttavia
realizzate in maniera affrettata e poco meditata, trascurando quel
giusto equilibrio la cui assenza le ha talvolta trasformate in ulteriori
occasioni di lungaggini e di ostacoli al raggiungimento della verità
sostanziale. Nel suo discorso inaugurale del 2001, il Procuratore Generale
presso la Corte di Cassazione, Francesco Favara, osservava: «talune norme di
garanzia rispondono a imprescindibili esigenze di giustizia e sono
intoccabili, altre sono tali solo formalmente, perché in realtà sono
nient'altro che regole, le quali, se mal poste o male applicate,
contribuiscono ad allungare i tempi della procedura, senza offrire una
tutela sostanziale dei diritti delle parti. Questo genere di garanzie esclusivamente formali è incompatibile con un processo rispettoso del principio dell'efficienza e di quello della durata ragionevole di ogni accertamento giudiziario». Esempi di tal genere se
ne possono trovare in abbondanza non solo nei recenti interventi legislativi
in materia penale, ma anche in normative attinenti al processo civile. 2.
Le
recenti riforme in materia di giustizia E invero in questi anni
sono stati affrontati molti punti nodali della nostra legislazione in
materia di giustizia e sono state attuate - specialmente nell'ultimo
triennio - riforme sostanziali di non comune rilievo, nel cui
contesto però sono state spesso introdotte norme inadeguate, se non
addirittura contrarie negli effetti alle accennate esigenze. Si sono realizzate in
tal modo, benché disorganicamente, riforme, soprattutto di carattere
procedurale, nuove e imponenti, che hanno richiesto all'intera struttura
giudiziaria un enorme sforzo di innovazione, aggiornamento e riscrittura di
modalità e procedure operative tuttora in corso. Il complesso di tali norme
si muove certamente nella giusta direzione dell'alleggerimento del carico
gravante sulla giustizia ordinaria. Occorre infatti prendere
atto della impossibilità che i magistrati ordinari, in numero ridotto, con
gravi carenze di organico e con i noti problemi di inadeguata distribuzione
sul territorio, possano gravarsi dell'intero onere di tutte le controversie,
di tutti i procedimenti penali derivanti dalla violazione di qualsivoglia
norma. Agli stessi va invece riservata la competenza a giudicare i fatti più
gravi e i conflitti di maggiore allarme sociale, così da consentirne la
soluzione in tempi ragionevoli. Tra le riforme di maggiore ampiezza nel
settore penalistico vanno annoverate l'istituzione del giudice unico
di primo grado 3), la depenalizzazione delle figure di reato
meno gravi 4), la nuova disciplina dei reati tributari
5), la c.d. «legge Carotti» 6), che ha
profondamente innovato alcuni istituti, incidendo sulla struttura stessa
del codice di procedura penale ben più di quanto la apparente modestia
dell'intento riformatore facesse prevedere, e, ancora, la nuova
disciplina in materia di collaboratori di giustizia 7),
l'introduzione del nuovo istituto delle investigazioni difensive
8) e l'attribuzione di competenze penali al giudice di
pace 9), con effetto appena dal gennaio scorso. Di più ampia
valenza e di notevole incidenza la riformulazione dell'art. 111 della
Costituzione, in materia di «giusto processo», con le successive
leggi attuative, recanti nuove regole sull'assunzione e valutazione delle
prove e altri ampi interventi sulla disciplina del processo penale. Il nuovo
testo dell'art. 111, nella parte appunto modificata, fissa, con maggiore
ampiezza e dettaglio rispetto al passato, i principi fondamentali cui deve
rispondere ogni attività giurisdizionale e ogni processo
10). Di non minore rilievo
sono state le riforme nel settore civilistico, fra le quali l'introduzione
dei giudici di pace e dei giudici onorari aggregati 11), oltre
che, anche in sede civile, del giudice unico di primo grado, introduzione
correlata alla profonda riforma di tutta la procedura, che, attraverso un
complesso sistema di preclusioni, decadenze e provvedimenti cautelari,
appare finalizzata alla semplificazione e concentrazione del processo
e, in definitiva, alla razionalizzazione del sistema giustizia, con il
necessario alleggerimento dei carichi di lavoro, cha hanno ormai raggiunto
livelli insostenibili. 3.
Le
riforme attuate nel sistema penalistico: luci e ombre Per restare nel
campo penalistico, con la prima delle menzionate riforme, quella che ha
introdotto il giudice unico di primo grado, sono stati perseguiti
fini di razionalizzazione del sistema, evitando di immobilizzare più
magistrati, come avveniva in passato, nella celebrazione di dibattimenti
necessariamente lunghi per la soluzione di processi di non grande entità. Il
prezzo pagato, cioè la soppressione dell'antichissima figura del
Pretore, in molti dei nostri centri periferici simbolo vivente della
presenza dello Stato, nell'esercizio di una funzione di cui si percepiva
tuttora fortemente il valore etico, è stato certamente altissimo e sarebbe
stato opportuno quindi mantenere l'originario impianto strutturale che
restringeva al massimo le ipotesi di intervento del Tribunale nella sua
composizione tradizionale (appunto con tre giudici), prevedendo, come
normale, l'intervento del giudice unico e sfruttando quindi al massimo le
potenzialità della riforma. Invece l'ambito del giudizio monocratico è stato
ristretto e correlativamente è stato ampliato quello del giudizio
collegiale, certamente più ponderato e quindi fonte di maggiori garanzie per
l'imputato, ma anche molto più lento e più complesso. Inoltre non hanno
ancora trovato definitiva soluzione una serie di problemi organizzativi, fra
cui quelli derivanti per i pubblici ministeri residenti nel capoluogo del
circondario dalla celebrazione in contemporanea di numerose udienze, anche
in sedi distaccate assai lontane. Di pari rilievo, quanto
meno per la sua novità, è l'attribuzione di competenza penale al giudice
di pace, che presenta numerosi aspetti positivamente innovativi in
materia di citazione a giudizio, svolgimento del processo e discrezionalità
nell'applicare sanzioni alternative alla pena tradizionale. La
riforma, però, stenta ancora a funzionare correttamente per
gravi carenze nelle strutture e per non trascurabili problemi dei magistrati
onorari, peraltro spesso non ancora sufficientemente «rodati» nelle
precedenti competenze civili, nell'affrontare le nuove competenze,
nonostante siano stati già organizzati corsi di aggiornamento
obbligatori. Non minore importanza,
ai fini del complessivo discorso riformatore, riveste la citata «legge
Carotti» (Legge 16 dicembre 1999, n. 479), che ha innovato
profondamente il sistema processuale con una pluralità di norme che incidono
su quasi tutti gli aspetti della procedura penale. Talune delle innovazioni
introdotte hanno già suscitato, però, critiche e perplessità sotto il
profilo della spedita definizione dei procedimenti. In particolare
l'istituto, del tutto nuovo, dell'avviso di conclusione delle indagini,
previsto dall'art. 415 bis del c.p.p., nella pratica costituisce un
adempimento meramente formale, complesso e generalmente inutile, tanto più
che è stato contestualmente esteso l'ambito dell'udienza preliminare
anche a talune categorie di delitti di competenza del giudice monocratico
(per i quali la citazione in giudizio dell'accusato avrebbe dovuto avvenire
direttamente, mediante decreto di citazione). L'ampliamento di tale udienza,
peraltro, insieme a ulteriori modifiche della procedura, consente già di
raggiungere notevoli economie nell'attività giurisdizionale, per una molto
più ampia possibilità di far ricorso al rito abbreviato, riservando
così il dibattimento a ipotesi particolarmente dubbie, o comunque a quelle
nelle quali il rito stesso non appaia conveniente all'imputato (che gode di
un diritto di scelta che non può essere disatteso dal giudice). In tal modo
la definizione del giudizio nell'udienza preliminare si avvia a
diventare, tendenzialmente, la forma di giudizio più frequentemente
adottata in concreto. Tale riforma, che comunque richiede ancora un
notevole rafforzamento degli uffici dei Giudici dell'Udienza Preliminare, si
muove certo nello spirito originario del codice di procedura penale del
1989, le cui aspettative di possibile efficienza erano fondate sul
presupposto, poi rivelatosi inconsistente, della assoluta preminenza
statistica dei riti speciali sul rito ordinario, che avrebbe dovuto essere
riservato a un numero assolutamente esiguo di casi. Una ulteriore riforma
che ha inciso sull'acquisizione delle prove, soprattutto in materia di
reati di mafia, è quella attuata con la Legge 13 febbraio 2001, n.
45, già prima ricordata, sulla modifica della disciplina della
protezione e del trattamento dei collaboratori di giustizia, più noti
con l'errata definizione di «pentiti». Da tempo si invocava una disciplina
organica della materia che rimediasse a difetti e lacune della vecchia
normativa, pur benemerita in un particolare momento storico, ma ormai
eccessiva e moralmente inaccettabile sotto vari profili. Sono stati
introdotti principi basilari, come quello della separazione del
profilo processuale premiale - riguardante cioè la riduzione di pena e altri
vantaggi per l'esecuzione della stessa - da quello della protezione della
persona del collaboratore e dei suoi familiari da possibili vendette della
criminalità, ora realizzata in modo differenziato, in relazione
all'importanza del singolo collaboratore e al pericolo cui è concretamente
esposto, e correlando i benefici premiali esclusivamente all'attendibilità e
importanza del contributo processuale offerto, con ben precisi minimi di
pena, che l'imputato collaborante deve comunque scontare in stato di
detenzione prima di beneficiare di scarcerazioni anticipate. Sono invece meno
convincenti altre disposizioni, pur dettate dall'intento di tutelare la
genuinità della fonte, come quelle che prevedono una sorta di isolamento in
carcere del collaboratore di giustizia, in un regime deteriore persino
rispetto a quello previsto per i mafiosi irriducibili, o che impongono un
termine ultimo e rigido, quello di sei mesi dall'inizio della
collaborazione, entro il quale il collaboratore deve riferire in ordine a
tutti i fatti di cui è a conoscenza e ai relativi responsabili. In tal caso,
infatti, per le dichiarazioni fuori termine, è prevista, oltre a una
gravissima sanzione per il collaboratore, anche la «inutilizzabilità
probatoria» nei confronti degli eventuali accusati, che possono perciò
facilmente sfuggire alle loro responsabilità. Si tratta, come si vede, più
che di una sanzione per il collaboratore impreciso o fraudolento, di un
grave ostacolo alla ricerca della verità. Ostacolo tanto più
irrazionale, ove si rifletta sull'evoluzione complessiva della normativa -
in materia di ricerca di specifici riscontri alle accuse dei collaboranti -
e della giurisprudenza, sempre più rigorosa nella valutazione
dell'attendibilità delle loro dichiarazioni e nella distinzione tra fatti
conosciuti per via diretta o appresi da altri, ben diversamente valutabili,
se non del tutto privi di valore probatorio. Da tale doverosamente
vario apprezzamento delle persone e delle dichiarazioni derivano spesso
quelle profonde differenze nelle decisioni della magistratura e, in
particolare, negli interventi correttivi della Corte di Cassazione,
con gravi condanne di taluni imputati e assoluzione di altri pur loti
criminali, che a volte sorprendono o disorientano l'opinione pubblica, non
adeguatamente informata. 4.
Effetti delle nuove
normative Nel complesso, comunque,
le nuove disposizioni hanno finito col favorire il ricorso a nuove tecniche
d'indagine, specialmente di tipo tecnologico, di maggior rilievo e utilità,
ma che allo stato dei fatti non è possibile adottare se non in casi
percentualmente limitati e a costi rilevanti. Sembra peraltro già in
atto il paventato effetto che la nuova normativa, anche per
l'illustrazione in parte errata datale dai media, venga percepita
dalle organizzazioni mafiose come «segnale di arretramento»
dello Stato, scoraggiando nuove collaborazioni, soprattutto
dei soggetti di maggiore importanza, e quindi azzerando la parte di maggiore
utilità del fenomeno del pentitismo. Fenomeno che è troppo riduttivo
qualificare oggi come spregevole tentativo di accaparrarsi benefici,
dimenticando che solo esso ha consentito di evitare ulteriori e più tremende
stragi e di far luce su un mondo criminale rimasto per decenni impenetrabile
e sostanzialmente sconosciuto a danno di tutti noi; dimenticando,
soprattutto, che spesso la vera collaborazione è stata pagata con la vita e
sempre con gravi disagi e sacrifici personali e familiari; dimenticando
ancora che fra i pentiti, insieme a coloro che hanno avuto un comportamento
poco affidabile o che sono ritornati al delitto, vi sono altri che hanno
vissuto l'esperienza come un specie di liberazione, hanno tenuto un
comportamento lineare e sono oggi nuovamente inseriti nella società, senza
pubblicità e in silenzio, sconosciuti ai benpensanti che auspicano il
recupero del delinquente, ma sono pronti a fissarsi sulla pagliuzza che
ancora conserva nell'occhio. Quanto alle
investigazioni, la legge n. 397/2000 12) ha regolato
compiutamente l'istituto di quelle difensive, che rappresentano una
radicale novità nel nostro ordinamento, anche se la facoltà di acquisire
elementi in favore del proprio assistito era stata introdotta fin dal 1995,
con il diritto attribuito al difensore di conferire con persone informate
sui fatti. La nuova legge, che sotto alcuni profili, per un vero e
proprio eccesso di garantismo, ha attribuito al difensore poteri
talvolta quanto meno anche «anomali» (per esempio, in tema di attività
investigativa preventiva «per l'eventualità che si instauri un procedimento
penale» e cioè prima ancora che tale procedimento sia iniziato e che il
delitto stesso sia stato scoperto, con intuibili pericoli di inquinamento
delle prove), ha reso generale il principio che anche il difensore è
protagonista dell'indagine preliminare e può svolgere tutte le
investigazioni. Ne deriverà però, ovviamente, la necessità di acquisire
professionalità e organizzazione, con una certissima lievitazione di
costi. Ben più complessi e tali
da non potere essere affrontati in questa sede sono gli effetti indotti
nel sistema di assunzione e valutazione della prova dal nuovo testo
dell'art. 111 della Costituzione e dalle relative leggi attuative, che
hanno imposto una rimodulazione delle tecniche d'indagine, da una parte
garantendo gli spazi dovuti alla difesa e il fondamentale diritto alla
formazione della prova nel contraddittorio dibattimentale, dall'altra,
secondo molte voci, comprimendo eccessivamente, attraverso un sistema
di preclusioni e inutilizzabilità, gli irrinunciabili principi del libero
convincimento del giudice e della ricerca della verità non soltanto formale,
ma sostanziale. Come si vede, gli
interventi del legislatore non sono mancati e non può dirsi neppure che
siano stati privi di effetti positivi. Non sono diminuite solo le
pendenze giudiziarie e, sia pure ancora troppo limitatamente, i tempi della
giustizia, ma sono stati conseguiti in questi anni, con l'impegno di tutti,
altri risultati, ai quali a volte non si presta la dovuta attenzione. A Palermo, e non solo a
Palermo, gli omicidi non sono più frequenti come negli anni passati. Nel
Paese, nonostante recenti dolorosissimi episodi, non vi sono quotidiani
delitti politici. Rapine e furti, ancora frequenti, non rivestono più la
gravità cui ci avevano abituati gli assalti quotidiani alle banche. Non è
più vero, nella maggior parte dei nostri quartieri, che la sera non si possa
uscire senza esporsi a esperienze traumatizzanti. Molti, anzi la massima
parte, dei grandi criminali sono stati arrestati e la maggior parte di essi
scontano già gravi pene definitive. Le ripetute recenti catture e le
frequenti vaste operazioni ai danni delle organizzazioni criminali operanti
nei più vari campi testimoniano l'efficienza dei magistrati inquirenti e
delle forze di polizia giudiziaria, ma anche la persistente efficacia della
normativa che regola i loro interventi. 5.
Esigenze di revisione
delle nuove normative Ma questo non può
tranquillizzarci, non deve far passare in secondo piano i problemi di
tutela sociale tuttora persistenti. Infatti, di fronte a talune
periodiche eclatanti manifestazioni, che dimostrano una capacità di
rinascita e di ricostruzione assolutamente preoccupante, chi può ritenere
che mafia, camorra, sacra corona unita e simili consorterie siano scomparse
o si siano improvvisamente trasformate in associazioni di benpensanti? Secondo l'ultima
relazione del Procuratore Generale di Palermo, anzi, proprio nel momento
attuale, il vertice di Cosa Nostra sta tentando di realizzare un
complesso progetto di ricostruzione del suo assetto organizzativo, nel
quale sono confluite via via varie componenti storiche dell'associazione, e,
in particolare, il latitante Bernardo Provenzano ha cercato di coagulare
attorno a sé un ristretto vertice, capace di restituire all'associazione
stessa la sua tradizionale funzionalità strategica. Chi può poi dire che le
organizzazioni criminali degli immigrati non trovino opportunità e
convenienza a stanziarsi definitivamente presso di noi? Chi può affermare
che le droghe, sempre più diffuse e sempre più nuove e raffinate, non
siano un pericolo ben superiore al morbo della mucca pazza per il quale sono
state giustamente mobilitate risorse straordinarie? Chi, in definitiva, può
sentirsi certo che i propri figli non corrano alcun pericolo dalla
criminalità nelle loro attività future, specialmente se si tratta di
attività imprenditoriali? Il dovere di operare con
giusta fermezza fin da subito non è dunque un optional, o magari
qualcosa da lasciare agli altri, ma è un impegno personale e comunitario,
che va al di là delle nostre opinioni politiche e degli interessi
momentanei. È davvero una buona causa impegnare la nostra vita, di cittadini
e di giuristi, per ottenere un sistema legislativo e operativo che
consenta sempre - e non solo in brevi momenti di crisi emozionale,
presto rimossi - che il crimine sia prevenuto, in quanto possibile, e sia
punito, se commesso; che nessuno possa godere, né direttamente né per
vie traverse, dei frutti di un delitto; che ciascuno possa tutelare in tempi
ragionevoli i propri interessi e che si eviti in ogni modo la possibilità di
avvalersi di sotterfugi e di mezzi, anche legali, per raggiungere lo scopo
illecito di danneggiare altri, nel campo civile, o di bloccare il sistema di
difesa sociale, nel campo penale. Se dunque molte delle
recenti riforme, auspicate e attese, hanno trascurato questi aspetti e in
qualche caso anzi hanno determinato pericolosi effetti contrari, è
assolutamente necessario, senza nulla togliere ai diritti della difesa e ai
nuovi spazi d'intervento aperti con l'introduzione delle investigazioni
difensive, tagliare di netto la possibilità per i criminali di sfruttare
quelle accennate pieghe della legislazione al solo fine di conseguire
l'impunità e conservare il profitto del reato, cioè per continuare a
delinquere o, peggio, per ricostruire la rete di strutture criminali prima
ancora che sia completata la sua demolizione. 6.
Alcune necessità
primarie A tal fine i Procuratori
Generali hanno indicato alcune necessità primarie, riconducibili alle
seguenti: a) riforma della
prescrizione dei reati, che, verificandosi irrazionalmente anche durante
la trattazione del processo, costituisce una spinta formidabile alle
lungaggini ad opera della difesa; b) riforma delle
impugnazioni, una gran parte delle quali sono pretestuose e mirate solo
a conseguire appunto la prescrizione del reato, ovvero a procrastinare
l'esecuzione della pena; c) razionalizzazione
dei sistemi deflattivi, ossia previsti per una più veloce definizione
dei processi, perché essi abbrevino concretamente i processi stessi e perché
non escludano, come oggi in pratica avviene, ogni diritto della persona
offesa; d) ritocco del
sistema di acquisizione delle prove, in modo che non siano mortificati i
diritti della difesa, come giustamente sancito dal nuovo testo dell'art. 111
della Costituzione, ma che non sia neppure ostacolata, come oggi con le
nuove disposizioni spesso accade, l'attività del pubblico ministero, stretto
nella gabbia di numerosi termini, il cui superamento è variamente sanzionato
con nullità, decadenze e inutilizzabilità degli atti acquisiti. E invero, se attraverso
l'indagine penale non può e non deve ricercarsi altro che la verità reale -,
una verità solo formale è, per definizione, un'apparenza probabilmente
menzognera -, questa verità deve potersi ricercare, attraverso sistemi di
sanatoria e di recupero, purché sempre rispettino la parità delle parti,
anche se essa emergesse in momenti diversi o fuori dagli schemi
consueti. Fuori da schemi
consueti, ad esempio, è incontestabile che grandissimi servigi abbia reso
alla giustizia il fenomeno del pentitismo, pur nelle sue anomalie e
nonostante varie storture, in gran parte eliminate con gli ultimi
provvedimenti, sopra menzionati, i quali a loro volta tuttavia hanno
introdotto pesanti limitazioni che scoraggiano le nuove collaborazioni. Ritornando alle
necessità primarie, nell'attuale stato della giustizia in Italia, una di
esse è la riforma di alcuni aspetti dell'ordinamento riguardanti i
giudici, molto spesso distratti da incombenze non giudiziarie e male, o
per nulla, supportati da adeguati uffici organizzativi, ancorché di recente
siano stati compiuti sforzi notevolissimi in materia di informatizzazione e,
in alcune sedi, di edilizia giudiziaria, mentre è già avviato un
intensissimo programma di formazione e riqualificazione del personale. Sui giudici influisce
molto, forse disorientandoli, ma comunque rendendo estremamente
aleatoria e complessa la composizione dei collegi giudicanti, con
pregiudizio del principio costituzionale del giudice precostituito per
legge, il recente orientamento a portare alle estreme conseguenze il
principio di incompatibilità, sconosciuto in gran parte delle altre
legislazioni e manifestazione di una tendenziale sfiducia nell'indipendenza
del magistrato. Dal medesimo
atteggiamento di sfiducia, che in linea di massima non è affatto
giustificata, è connotata la recente problematica sulla figura del
pubblico ministero, la cui carriera si vorrebbe del tutto distaccata da
quella del giudice. È indubbiamente una richiesta che viene da molte
parti e forse non si può più trascurare un intervento legislativo
profondamente innovatore. Tuttavia, chi ha vissuto questi ultimi anni della
propria vita giudiziaria all'interno delle Procure sa bene quale maggior
ponderazione, quale obiettività, quale rispetto del ruolo della difesa e di
quello del giudice dimostrino i sostituti procuratori che hanno vissuto le
loro prime esperienze giovanili nei collegi giudicanti, e come, peraltro, la
prospettiva del passaggio alla funzione giudicante costituisca, per la
massima parte di quanti ancora non ne hanno fatto esperienza, una spinta a
mantenere una preparazione più ampia e una sostanziale terzietà rispetto
all'indagine, per aspirare in futuro a compiti giudicanti, più stimolanti,
quanto meno per la loro novità. Un'altra necessità,
ancor più essenziale per il nostro sistema di giustizia, può individuarsi
nell'urgenza di una forte incentivazione dei mezzi di recupero sociale,
soprattutto di quelli riguardanti i minori, le cui eclatanti
manifestazioni nel campo del crimine sgomentano ogni giorno di più, e di una
seria revisione di quelli concernenti i maggiorenni, per i quali
attualmente i vari benefici previsti dall'ordinamento penitenziario
funzionano, anziché come mezzi differenziati di effettivo recupero,
piuttosto come mezzi anomali, volti solo all'abbreviazione irrazionale,
quasi sempre neppure giustificata o del tutto immotivata, della pena
inflitta dopo anni di processi, approfondita riflessione e dettagliata
motivazione, sicché in definitiva la sanzione penale è svuotata di
efficacia. Naturalmente, si può pensare a moltissime altre urgenti necessità e ciascuno può certamente avere molte utili nuove idee. Ben vengano, soprattutto da chi riveste cariche istituzionali e politiche. Ma vengano in sincera ricerca, senza riserve mentali, senza posizioni precostituite, ricordando che la società che abbiamo creato la lasceremo ai nostri figli. 1) Emanuele
Notarbartolo, direttore generale del Banco di Sicilia e sindaco di Palermo
dal 1874 al 1876, venne ucciso il 1° febbraio 1893, mentre viaggiava in
treno da Termini Imerese a Palermo. Del delitto vennero accusati il deputato
Raffaele Palazzolo, quale mandante, e tale Giuseppe Fontana, quale
esecutore. Essi, dopo complesse
vicende processuali, che evidenziarono una capillare e già opprimente
presenza mafiosa nell'ambiente siciliano, con interessi nel mondo degli
affari e della finanza, furono infine assolti. Cfr Notarbartolo L., Il
caso Notarbartolo, li Vespro, Palermo 1977. Cesare Mori, brillante
funzionario di polizia, inviato in Sicilia per reprimere i movimenti di
ribellione in certe zone dell'Isola, nel periodo successivo alla prima
guerra mondiale, aveva avuto modo di notare la presenza fitta di interessi e
gruppi mafiosi e di illustrarne in suoi scritti l'evoluzione. Tornò in
Sicilia a metà degli anni Venti, da prefetto, inviato da Mussolini, con il
compito di condurre una lotta radicale contro la mafia, cui si dedicò con
metodi spesso durissimi e indiscriminati. Sul significato, i limiti e gli
effetti delle sue operazioni repressive, cfr Romano S. F., Storia della
mafia, Mondadori, Milano 1966. 2) Cfr, ad esempio, in
proposito Militello V. e Altri, Il crimine organizzato come fenomeno
transnazionale: forme di manifestazione, prevenzione e repressione in
Italia, Germania e Spagna, Giuffrè & Iuscrim, Freiburg 2000. 3) D. lg. 19 febbraio
1998, n. 51, Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo
grado. 4) Si vedano, in
particolare, la Legge 25 giugno 1999, n. 205, Delega al Governo per la
depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale
tributario, e il D. lg. 30 dicembre 1999, n. 507, Depenalizzazione
dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell'art. 1
della legge 25 giugno 1999, n. 205. 5) D. lg. 10 marzo
2000, n. 74, Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e
sul valore aggiunto, a norma dell'art. 9 della legge 25 giugno 1999, n.
205. 6) Legge 16 dicembre
1999, n. 479, Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al
tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di
procedura penale. Modifiche al codice penale e all'ordinamento giudiziario.
Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità
spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense. 7) Legge 13 febbraio
2001, n. 45, Modifica della disciplina della protezione e del trattamento
sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia, nonché
disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza. 8) Legge 7 dicembre 2000, n. 397, Disposizioni in materia d'indagini difensive. 9) Legge 24 novembre
1999, n. 468, Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374, recante
istituzione del giudice di pace. Delega al Governo in materia di competenza
penale del giudice di pace e modifica dell'art. 593 del codice di procedura
penale, e D. Ig. 28 agosto 2000, n. 274, Disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'art. 14 della legge 24 novembre
1999, n. 468. 10) I commi 1-5 dell'art. 111 della Costituzione, introdotti dalla Legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, così recitano: «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. - Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. - Nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. - II processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. - La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita». Le necessarie modifiche
del codice penale e del codice di procedura penale in materia di formazione
e valutazione della prova, in attuazione della legge costituzionale
suddetta, sono state apportate con la Legge 25 febbraio 2000, n. 35,
e con la Legge 1 ° marzo 2001, n. 63. 11) Legge 21 novembre
1991, n. 374, Istituzione del giudice di pace; Legge 22 luglio 1997, n. 276,
Disposizioni per la definizione del contenzioso civile pendente: nomina di
giudici onorari aggregati e istituzione delle sezioni stralcio nei tribunali
ordinari. 12) Cfr supra, nota 8.
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