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Ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario Sentenza 2 - 18 luglio 2003, n° 253
Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Cod. pen., art. 219, primo e terzo comma. Costituzione, art. 3.
SENTENZA N. 253 ANNO 2003 REPUBBLICA
ITALIANA In
nome del Popolo italiano
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente -
Gustavo ZAGREBELSKY Giudice -
Valerio ONIDA -
Carlo
MEZZANOTTE -
Fernanda CONTRI -
Guido NEPPI MODONA -
Piero Alberto CAPOTOSTI -
Annibale MARINI -
Franco BILE -
Giovanni Maria FLICK -
Francesco AMIRANTE -
Ugo DE
SIERVO -
Romano
VACCARELLA -
Paolo MADDALENA -
Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
Ritenuto in
fatto
1.– Con
ordinanza emessa il 10 luglio 2002 e pervenuta a questa Corte il 5
novembre 2002, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di
Genova, chiamato a pronunciarsi nelle forme del rito abbreviato
sulla responsabilità penale di un imputato maggiorenne, in relazione
ai delitti di cui agli articoli 56, 609-bis, 609-ter e
582 codice penale
(tentata violenza sessuale aggravata e lesione personale), ha
sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale
dell'art. 219, primo e terzo comma del codice penale
(Assegnazione a una casa di cura e di custodia), in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, e dell'art. 222 del
codice penale (Ricovero in un ospedale psichiatrico
giudiziario), in riferimento agli articoli 3 e 32 della
Costituzione.
Sulla base di
tale situazione, la difesa ha eccepito l'incostituzionalità
dell'art. 219, primo e terzo comma, cod. pen., nella parte in cui,
rispettivamente, non vi si prevede il ricovero in casa di cura e di
custodia anche per chi sia prosciolto per infermità psichica, e sia
di scarsa pericolosità sociale, e non vi si prevede la possibilità
per il giudice di applicare la libertà vigilata anche a chi sia
stato prosciolto per infermità psichica e sia di scarsa pericolosità
sociale.
Il giudice a
quo ritiene non manifestamente infondata la questione così
proposta, posto che la disciplina di legge ancorerebbe la scelta in
ordine alla misura di sicurezza da adottare ad un criterio (la
gravità del reato) espressivo della funzione retributiva, anziché di
prevenzione speciale della misura stessa.
In secondo
luogo, e soprattutto, aggiunge il remittente, , essa farebbe
dipendere il giudizio sulla pericolosità sociale del soggetto non da
un accertamento in concreto, ma da un indice astratto e presuntivo,
connesso alla distinzione tra vizio totale e vizio parziale di mente
(e alla conseguente maggiore pericolosità dell'imputato nel primo,
piuttosto che nel secondo caso), privo di “alcun supporto
scientifico”.
La necessaria
applicazione all'imputato, sulla base di tali condizioni, della
misura di sicurezza detentiva di cui all'art. 222 cod. pen. si
porrebbe, ad avviso del remittente, in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione.
Viene altresì
censurato, su conforme eccezione del pubblico ministero, alla luce
degli articoli 3 e 32 della Costituzione, l'art. 222 cod. pen.,
nella parte in cui, imponendo la misura del ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario, non prevede l'applicabilità al maggiorenne
affetto da vizio totale di mente della libertà
vigilata.
Per un primo
profilo, secondo il remittente verrebbe così a manifestarsi
disparità di trattamento rispetto alla condizione del minore non
imputabile, cui possono essere applicate le misure, dotate di
valenza terapeutica “più soddisfacente”, del ricovero in una casa di
cura e di custodia e della libertà vigilata (articoli 232 e 224 cod.
pen.), posto che in entrambi i casi si tratterebbe di difendere la
collettività da un individuo al tempo stesso pericoloso e penalmente
irresponsabile.
L'evoluzione
della psichiatria e della farmacologia, poi, garantirebbero di poter
conseguire tale obiettivo mediante la misura, più efficace
terapeuticamente, della libertà vigilata, anziché tramite il ricorso
alle forme segreganti dell'ospedale psichiatrico
giudiziario.
Per un secondo
profilo, la disposizione censurata precluderebbe la possibilità di
impiegare “soluzioni coerenti con le valutazioni medico-legali”: nel
caso di specie, l'imputato potrebbe proficuamente, secondo il
giudice a quo, permanere in comunità di recupero, mentre le
prescrizioni proprie del regime di libertà vigilata, “con
possibilità di ricorrere a misure segreganti, qualora venisse meno
la volontà dell'imputato di sottoporsi alle cure necessarie”,
rafforzerebbero l'efficacia del trattamento.
Difatti,
aggiunge il remittente, il regime di cura cui l'imputato è
sottoposto risulta adeguato alle esigenze terapeutiche e, nel
contempo, tutela la collettività in misura
soddisfacente.
La rigidità dei
criteri imposti dalle disposizioni censurate in ordine alla scelta
della misura di sicurezza si tradurrebbe, perciò, nel vizio
denunciato.
3.– Non vi è
stata costituzione in giudizio delle parti, né intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Considerato in
diritto
1.– Nel corso di
un giudizio abbreviato nei confronti di un soggetto ritenuto, in
sede di perizia, totalmente incapace di intendere e di volere per
infermità psichica, nonché socialmente pericoloso solo se non
ricoverato in una comunità per psicotici, il Giudice dell'udienza
preliminare del Tribunale di Genova ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, in riferimento all'articolo 3 della
Costituzione, dell'articolo 219 (Assegnazione a una casa di cura
e di custodia), primo e terzo comma, e, in riferimento agli
articoli 3 e 32 della Costituzione, dell'articolo 222 (Ricovero
in un ospedale psichiatrico giudiziario) del codice
penale.
L'art. 219 è
denunciato nella parte in cui, nel prevedere che il condannato per
delitto non colposo ad una pena diminuita per vizio parziale di
mente sia ricoverato in una casa di cura e di custodia (primo
comma), con possibilità di sostituire a detta misura, a certe
condizioni, quella della libertà vigilata (terzo comma), non
contempla le stesse possibilità nei riguardi del soggetto prosciolto
per totale incapacità di intendere e di volere a causa di infermità
psichica, la cui pericolosità sociale non sia tale da richiedere la
misura del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. L'art. 222
è a sua volta denunciato nella parte in cui, nei riguardi del
soggetto prosciolto per infermità psichica, giudicato socialmente
pericoloso, impone sempre di adottare la misura del ricovero in
ospedale psichiatrico giudiziario, senza consentire (come invece è
previsto per il minore non imputabile dagli articoli 224 e 232,
primo e secondo comma, del codice penale) di adottare altre misure,
e in specie quella della libertà vigilata, con eventuali
prescrizioni.
Il giudice
remittente ritiene che la rigidità dei criteri imposti dalla legge
per l'adozione della misura segregante del ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario nel caso di maggiorenne totalmente incapace
e socialmente pericoloso, e la conseguente impossibilità di
ricorrere, come invece è previsto per il seminfermo di mente e per
il minore non imputabile, ad altre misure, stabilendo la legge una
presunzione di maggiore pericolosità dei soggetti affetti da vizio
totale di mente, non confortata da alcun supporto scientifico,
realizzino una irragionevole disparità di trattamento rispetto a
dette analoghe situazioni; ancorino l'adozione della misura di
sicurezza a un criterio (la gravità astratta del reato) che finisce
per attribuire ad essa funzione retributiva anziché di prevenzione
speciale; e impediscano l'adozione di soluzioni idonee a difendere
la collettività e insieme a curare adeguatamente un soggetto
pericoloso ma penalmente irresponsabile (donde la violazione
dell'art. 32 della Costituzione).
2.– La questione
è fondata.
Non è da oggi
che la Corte è stata investita di questioni di legittimità
costituzionale volte a censurare l'inadeguatezza della disciplina
che la legge penale prevede nel caso degli infermi di mente che
commettono fatti costituenti oggettivamente reato (il solo art. 222
del codice penale risulta oggetto di ben 18 decisioni della Corte,
dal 1967 ad oggi). Una volta risolto il problema, inizialmente assai
dibattuto, della necessaria “attualizzazione” della valutazione di
pericolosità sociale (sentenza n. 139 del 1982), sono state
ripetutamente sottoposte alla Corte questioni tendenti a mettere in
dubbio la legittimità sul piano costituzionale della previsione
della misura “obbligatoria” del ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario, spesso facendo leva anche sulla legislazione che, a
partire dalla legge 13 maggio 1978, n.180 (Accertamenti e
trattamenti sanitari volontari ed obbligatori), ha cercato di far
fronte al problema dell'assistenza ai malati di mente superando
l'antica prassi del ricovero in strutture segreganti come erano i
manicomi: infatti gli ospedali psichiatrici giudiziari (nuovo nome
dei manicomi giudiziari) sono rimaste le ultime strutture “chiuse”
per la cura di infermi psichiatrici.
La specificità
di questa misura di sicurezza sta, ovviamente, nella circostanza che
essa è prevista nei confronti di persone che, per essere gravemente
infermi di mente, non sono in alcun modo penalmente responsabili, e
dunque non possono essere destinatari di misure aventi un contenuto
anche solo parzialmente punitivo. La loro qualità di infermi
richiede misure a contenuto terapeutico, non diverse da quelle che
in generale si ritengono adeguate alla cura degli infermi psichici.
D'altra parte la pericolosità sociale di tali persone, manifestatasi
nel compimento di fatti costituenti oggettivamente reato, e valutata
prognosticamente in occasione e in vista delle decisioni giudiziarie
conseguenti, richiede ragionevolmente misure atte a contenere tale
pericolosità e a tutelare la collettività dalle sue ulteriori
possibili manifestazioni pregiudizievoli. Le misure di sicurezza nei
riguardi degli infermi di mente incapaci totali si muovono
inevitabilmente fra queste due polarità, e in tanto si giustificano,
in un ordinamento ispirato al principio personalista (art. 2 della
Costituzione), in quanto rispondano contemporaneamente a entrambe
queste finalità, collegate e non scindibili (cfr. sentenza n. 139
del 1982), di cura e tutela dell'infermo e di contenimento della sua
pericolosità sociale. Un sistema che rispondesse ad una sola di
queste finalità (e così a quella di controllo dell'infermo
“pericoloso”), e non all'altra, non potrebbe ritenersi
costituzionalmente ammissibile.
Di più, le
esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai
giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla
salute del paziente (cfr. sentenze n. 307 del 1990, n. 258 del 1994,
n. 118 del 1996, sulle misure sanitarie obbligatorie a tutela della
salute pubblica): e pertanto, ove in concreto la misura coercitiva
del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario si rivelasse tale
da arrecare presumibilmente un danno alla salute psichica
dell'infermo, non la si potrebbe considerare giustificata nemmeno in
nome di tali esigenze.
Fino ad oggi
però la Corte si è trovata di fronte a questioni volte o ad un
intento meramente caducatorio, il cui accoglimento avrebbe condotto
ad un vuoto di tutela, o più spesso a richiedere la introduzione di
una nuova disciplina di creazione giurisprudenziale, non ancorata a
contenuti normativi già esistenti: così che essa si è indotta a
pronunciarne la infondatezza, o più spesso la inammissibilità, vuoi
perché non disponeva degli strumenti necessari per intervenire nel
senso indicato, vuoi perché le questioni prospettavano profili di
fattuale inadeguatezza delle strutture di ricovero più che di
inadeguatezza delle previsioni normative (cfr. sentenza n. 139 del
1982, ordinanze n. 24 del 1985, n. 111 del 1990, n. 333 del 1994, n.
396 del 1994, sentenze n. 111 del 1996 e n. 228 del 1999, ordinanza
n. 88 del 2001). E' tuttavia significativo che in più occasioni la
Corte abbia avvertito l'esigenza di indicare, là dove era possibile,
soluzioni pratiche adeguate (cfr. ordinanza n. 111 del 1990,
relativa all'attiguo tema della misura del ricovero del seminfermo
di mente in casa di cura e custodia), e soprattutto di esprimere la
propria valutazione circa il “non soddisfacente trattamento
riservato all'infermità psichica grave ( ... ) specie quando è
incompatibile con l'unico tipo di struttura custodiale oggi
prevista” (sentenza n. 111 del 1996), nonché circa l'opportunità di
una “attenta revisione” dell'intera disciplina in questione, “sia
alla stregua dei dubbi avanzati intorno all'istituto stesso
dell'ospedale psichiatrico giudiziario, sia alla stregua di una
valutazione relativa all'adeguatezza di tale istituzione in
relazione ai mutamenti introdotti sin dalle leggi 13 maggio 1978, n.
180 e 23 dicembre 1978, n. 833 per il trattamento dei soggetti
totalmente infermi di mente” (sentenza n. 228 del
1999.
Solo nei
confronti dei minori infermi di mente la Corte ha potuto giungere
alla caducazione della norma che anche nei loro riguardi prevedeva
il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, facendo leva sulla
necessità costituzionale di un trattamento differenziato dei
soggetti minorenni (cfr. sentenza n. 324 del
1998).
3.– L'odierna questione si
pone con connotati diversi da quelli di altre del passato. Il
remittente non invoca qui né la semplice eliminazione della misura
di sicurezza, né la sua sostituzione con misure alternative di
creazione giurisprudenziale, e nemmeno riferisce la sua censura ad
una inadeguatezza di fatto delle strutture degli ospedali
psichiatrici giudiziari. Denuncia invece il rigido “automatismo”
della regola legale che impone al giudice, in caso di
proscioglimento per infermità mentale per un delitto che comporti
una pena edittale superiore nel massimo a due anni, di ordinare il
ricovero dell'imputato in ospedale psichiatrico giudiziario per un
periodo minimo di due anni, o per un periodo più lungo in relazione
all'entità della pena edittale prevista, senza consentirgli di
disporre, in alternativa, misure diverse, pur quando in concreto
tale prima misura non appaia adeguata alle caratteristiche del
soggetto, alle sue esigenze terapeutiche e al livello della sua
pericolosità sociale: a differenza di quanto avviene sia nel caso
del seminfermo di mente (per il quale l'art. 219, terzo comma,
prevede, a certe condizioni, la sostituibilità della misura del
ricovero in casa di cura e custodia con quella della libertà
vigilata), sia nel caso del minore non imputabile (per il quale
l'art. 224 del codice penale contempla la possibilità di disporre la
libertà vigilata in alternativa al ricovero in riformatorio
giudiziario: e in proposito cfr. sentenza n. 1 del 1971, che ha
eliminato l'obbligo, in certi casi, di ordinare il ricovero in
riformatorio giudiziario, nonché sentenza n. 324 del 1998, che
esclude l'applicabilità ai minori della misura del ricovero in
ospedale psichiatrico giudiziario).
In sostanza ciò
che viene denunciato come incostituzionale è il vincolo rigido
imposto al giudice di disporre comunque la misura detentiva (tale è
il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario: art. 215, primo
comma, n. 3, cod. pen.) anche quando una misura meno drastica, e in
particolare una misura più elastica e non segregante come la libertà
vigilata, che è accompagnata da prescrizioni imposte dal giudice, di
contenuto non tipizzato (e quindi anche con valenza terapeutica),
“idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati” (art. 228, secondo
comma, cod. pen.), appaia capace, in concreto, di soddisfare
contemporaneamente le esigenze di cura e tutela della persona
interessata e di controllo della sua pericolosità
sociale.
La legge qui
adotta un modello che esclude ogni apprezzamento della situazione da
parte del giudice, per imporgli un'unica scelta, che può rivelarsi,
in concreto, lesiva del necessario equilibrio fra le diverse
esigenze che deve invece necessariamente caratterizzare, questo tipo
di fattispecie, e persino tale da pregiudicare la salute
dell'infermo: ciò che, come si è detto, non è in alcun caso
ammissibile.
Non sono poche
le ipotesi nelle quali la Corte è dovuta intervenire a correggere od
eliminare automatismi di tal genere, nelle quali l'apprezzamento da
parte del giudice della situazione concreta, e la conseguente
possibilità per il giudice stesso di adottare diverse determinazioni
nell'ambito delle previsioni legali, è apparso l'unico modo per
realizzare il bilanciamento di diverse esigenze costituzionali (cfr.
ad esempio sentenze n. 343 del 1987, n. 306 del 1993, n. 186 del
1995, n. 504 del 1995, n. 173 del 1997, n. 445 del 1997), in
particolare con riguardo all'esigenza di flessibilità e di
individualizzazione della risposta penale relativa ai soggetti
minori (cfr. sentenze n. 46 del 1978, n. 222 del 1983, n. 128 del
1987, n. 78 del 1989, n. 182 del 1991, n. 143 del 1996, n. 109 del
1997, n. 403 del 1997, n. 16 del 1998, n. 450 del 1998 e n. 436 del
1999).
La situazione
dell'infermo di mente che abbia compiuto atti costituenti
oggettivamente reato, ma non sia responsabile penalmente in forza
appunto della sua infermità, è per molti versi assimilabile a quella
di una persona bisognosa di specifica protezione come il minore.
Anche per l'infermo di mente l'automatismo di una misura segregante
e “totale”, come il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario,
imposta pur quando essa appaia in concreto inadatta, infrange
l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze
essenziali di protezione dei diritti della persona, nella specie del
diritto alla salute di cui all'art. 32 della
Costituzione.
In conclusione,
mentre solo il legislatore (la cui inerzia in questo campo,
caratterizzato da scelte assai risalenti nel tempo e mai riviste
alla luce dei principi costituzionali e delle acquisizioni
scientifiche, non può omettersi di rilevare ancora una volta) può
intraprendere la strada di un ripensamento del sistema delle misure
di sicurezza, con particolare riguardo a quelle previste per gli
infermi di mente autori di fatti di reato, e ancor più di una
riorganizzazione delle strutture e di un potenziamento delle
risorse, questa Corte non può sottrarsi al più limitato compito di
eliminare l'accennato automatismo, consentendo che, pur nell'ambito
dell'attuale sistema, il giudice possa adottare, fra le misure che
l'ordinamento prevede, quella che in concreto appaia idonea a
soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona, da un lato,
di controllo e contenimento della sua pericolosità sociale
dall'altro lato.
Deve pertanto
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 222 del
codice penale nella parte in cui preclude al giudice, che in
concreto ravvisi l'inidoneità della misura del ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario a rispondere alle predette esigenze, di
adottare un'altra fra le misure previste dalla legge, e in specie la
misura della libertà vigilata, accompagnata, ai sensi dell'art. 228,
secondo comma, del codice penale, da prescrizioni idonee nella
specie ad evitare le occasioni di nuovi
reati. Non richiede invece alcun intervento additivo l'art. 219 del codice penale, pure denunciato dal remittente, ma in realtà costituente, nello schema della questione da lui posta, piuttosto un tertium comparationis.
LA CORTE
COSTITUZIONALE
a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 222 del
codice penale (Ricovero in un ospedale psichiatrico
giudiziario), nella parte in cui non consente al giudice, nei
casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista
dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell'infermo di
mente e a far fronte alla sua pericolosità
sociale;
b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
219, primo e terzo comma, del codice penale (Assegnazione a una
casa di cura e di custodia), sollevata, in riferimento
all'articolo 3 della Costituzione, dal Giudice dell'udienza
preliminare del Tribunale di Genova con l'ordinanza in
epigrafe.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 2 luglio 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Valerio ONIDA,
Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 18 luglio 2003.
Il Direttore
della Cancelleria F.to: DI PAOLA
Piazza del Quirinale, 41 - 00187 Roma tel. 0646981 - fax. 064698916 - c.costit@cortecostituzionale.it
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