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La rappresentazione giornalistica dell’intolleranza
La ricerca sulla "rappresentazione giornalistica", offerta dalla stampa quotidiana, delle violenze contro gli immigrati è stata svolta per la prima volta nel 1996, promossa da Luigi Manconi, allo scopo di censire le manifestazioni di aggressività razzista (o, comunque, a sfondo razziale) contro stranieri presenti nel nostro Paese; è stata reiterata, poi, per gli anni 1997 e 1998, su incarico della Presidenza del Consiglio - Dipartimento Affari Sociali. Nel gennaio del 2001, il Centro Ricerche Studi Culturali ha presentato una nuova ricerca, che ha evidenziato i rapidi movimenti di trasformazione in atto nella società italiana e il loro riflesso nella "mediatizzazione" di alcuni fenomeni sociali: tra essi, appunto, quello della violenza con motivazioni ascrivibili all’intolleranza razziale. La ricerca che qui si presenta è, dunque, la quinta ed è frutto della collaborazione fra "A buon diritto. Associazione per le libertà", presieduta da Luigi Manconi, e la Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Roma "La Sapienza": e, in particolare, le cattedre di Storia della radio e della televisione e di Sociologia delle comunicazioni di massa, l’Osservatorio Comunicazione Politica (Ocp) e il Centro Ricerche Studi Culturali (diretto da Michele Sorice), che ha materialmente curato la rilevazione e l’interpretazione dei risultati. Come negli anni passati, è stato utilizzato uno strumento idoneo a una rilevazione efficace del fenomeno, nella sua "narrazione" giornalistica: una scheda completa, ma di facile fruibilità per gli analisti e per chi ha realizzato il trattamento dati. La ricerca prende in considerazione tutte le notizie apparse sui giornali oggetto d’esame nel 2001 e nel 2002: e gli atti di violenza registrati, come già nelle edizioni precedenti, sono stati suddivisi per aree geografiche e per tipologia di aggressione e, successivamente, sono stati riaggregati per eventi. Una particolare attenzione è stata rivolta all’area metropolitana di Roma, quella, cioè, in cui si verifica il maggior numero di atti di violenza (in valore assoluto); va notato, tuttavia, che la sovraesposizione di Roma è dovuta, tra l’altro, alla migliore "copertura", offerta dagli organi di stampa pubblicati sul suo territorio. Una novità dell’edizione 2003 della ricerca è la particolare attenzione rivolta alle notizie che riguardano atti di violenza riconducibili ad atteggiamenti di intolleranza razziale su minori. Com’è immediatamente intuibile, si tratta di un indicatore importante della rilevanza del fenomeno: e, al tempo stesso, la maggiore attenzione dei media dimostra un’evoluzione di mentalità: non più "variabili" della società degli adulti, i minori diventano titolari di diritti e, talvolta, vittime delle forme di violenza e sopraffazione che attraversano la società.
Nel corso dell’anno 1996 erano stati rilevati dalla stampa 374 casi di violenza ai danni di immigrati: più di un episodio al giorno. In 68 casi, pari al 18,2% del totale, l’aggressione aveva avuto conseguenze mortali. In quell’occasione scrivevamo: "Va precisato, comunque, che non tutte le aggressioni hanno una matrice razzista e, talvolta, vanno collocate nell’alveo della delinquenza tradizionale". Questa affermazione valeva anche per le ricerche successive: la percentuale di violenze attribuibili a motivazioni razziste (più o meno consapevoli) o a sfondo razzista, infatti, fu del 34,4% nel 1997 e del 31,2% nel 1998, mentre nel 2000 la violenza imputabile a forme di intolleranza razziale si attestò sugli stessi valori del ‘97: 34,7%. La situazione per gli anni 2001 e 2002 non sembra molto cambiata, anche se si rileva un leggero incremento del fenomeno nel corso del 2002, talvolta in correlazione con l’enfatizzazione dei presunti pericoli di terrorismo derivanti dall’immigrazione. Il 2001 ha visto una percentuale di violenze a sfondo razzista del 32,9%, mentre nel 2002 il valore si è attestato sul 34,8%. Va comunque precisato che i casi, in valore assoluto, diminuiscono per entrambi gli anni di riferimento, attestandosi molto al di sotto dei 300 episodi. Avevamo già notato, nel Rapporto del 2001, che i casi diminuiscono anche per una diversa attenzione via via maturata dal sistema dell’informazione italiano. Per quanto riguarda il decremento dei casi registrati negli anni 2001 e 2002, pensiamo di poter indicare, con sufficiente approssimazione, almeno tre motivi principali:
Nei dodici mesi del 2001, le testate prese in considerazione registrano 253 casi di violenza; in 19 casi sono state riscontrate lesioni permanenti, mentre 48 sono stati i morti, pari a circa il 19% di tutti i casi monitorati: un dato sicuramente più allarmante di quello del 2000. Non si tratta di morti derivanti solo da aggressioni dichiaratamente razziste, ma - in un numero rilevante di casi - dell’esito di azioni criminali prive di motivazioni razziste (o con motivazioni non chiarite): e, tuttavia, il dato - pur considerando il fisiologico sovradimensionamento giornalistico dell’evento tragico - è estremamente allarmante. Ancora più allarmante è il dato del 2002: a fronte di "soli" 236 casi registrati, quelli in cui si sono avute vittime con lesioni permanenti sono 16, mentre il numero di morti cresce ancora (anche in valore assoluto) giungendo alla soglia di 50 vittime (oltre il 21% di tutti i casi registrati dalla nostra rilevazione). Ancora una volta, come già nel 2000, le donne sono fra i soggetti più colpiti: alle violenze a sfondo razzista, si aggiungono quelle a scopo di rapina e quelle a fini sessuali. La violenza che ha per obiettivo le donne supera ormai ampiamente il 20%, ponendosi decisamente al primo posto fra gli atti registrati dalla stampa. Elevato anche il dato percentuale delle violenze sui minori: va rilevato, tuttavia, che tali violenze sono state rilevate per la prima volta in questa edizione della ricerca e, pertanto, non è possibile confrontarne i dati con una serie storica. A questo va aggiunta la maggiore sensibilizzazione dei media sui temi riguardanti i minori in generale (educazione, pedofilia, abbandono scolastico, violenze domestiche), che sembra essere uno dei tratti caratterizzanti gli attuali orientamenti dell’opinione pubblica.
Rispetto agli anni precedenti, continua a decrescere la tipologia di aggressione "gruppo contro gruppo", sebbene con un dato percentuale sostanzialmente stabile, che conferma quanto rilevavamo nel Rapporto del 2001: il fenomeno, seppure in calo, resta un’emergenza sociale di tipo sistemico (ovvero non congiunturale). Come avevamo già rilevato nella ricerca pubblicata due anni fa, la nazionalità continua ad essere il mezzo più semplice per identificare la vittima dell’aggressione; diminuisce l’uso dell’espressione "immigrato extracomunitario" (tuttavia ancora usata), mentre continua a crescere l’uso di termini quali "irregolare" e "clandestino". Quest’ultimo termine, in particolare, è associato a vicende riguardanti l’immigrazione albanese e, più genericamente, est-europea. Possiamo registrare, allo stesso tempo, la definitiva scomparsa del termine "vu cumprà": se due anni fa esso sopravviveva in settori marginali del giornalismo italiano, oggi sembra definitivamente accantonato, tranne che per rare eccezioni in giornali che, peraltro, non appartengono al nostro universo d’analisi. Fra le città, Roma è quella nella quale, nel corso dei diversi anni, si sono verificate più violenze (se si eccettua il 1997, quando fu superata da Milano). Abbiamo segnalato in più occasioni, ma vale la pena ripeterlo, che il dato romano si deve anche al maggiore coverage giornalistico di cui gode la capitale. Negli anni 2001 e 2002, Roma continua a occupare la prima posizione in questa graduatoria, anche se sono evidenti i segni di una diminuzione delle violenze; sostanzialmente stazionari i dati di Milano e di Torino (mentre continua lo "spostamento" della violenza verso la provincia); Napoli si conferma, fra le grandi città, la "più tollerante" (almeno per quanto riguarda la sua rappresentazione mediatica), anche se il processo di decremento si arresta nel corso degli ultimi due anni. Non è stata sviluppata un’analisi approfondita sui capoluoghi di provincia con meno di centomila abitanti. Una prima e parziale ricostruzione ci permette di notare, comunque, l’alto grado di "tolleranza" (a giudicare dai casi riportati dalle testate analizzate) di città come Ancona, Pesaro (e, in genere, di gran parte della costa adriatica) e Avellino.
Attraverso l’incrocio tra i risultati relativi alla tipologia delle aggressioni e la definizione degli aggressori, emergono alcuni tratti interessanti:
Altro dato di notevole interesse riguarda l’incrocio della tipologia di aggressione con la forma di violenza. La violenza di gruppo contro donna singola è connotata dalla cifra dell’aggressione fisica (32,3% nel 2001, 32,9% nel 2002), ma non mancano casi di rapina (18,4% nel 2001, 17,9% nel 2002) e di atti di discriminazione (15,6% nel 2001, 16,0% nel 2002): microcriminalità e razzismo sembrano avere un peso pressoché pari - pur se non è sempre agevole distinguere tra motivazioni e fini dei due diversi tipi di comportamento. La violenza individuale contro donna singola è marcata, ancora una volta, dal carattere distintivo della violenza fisica, della rapina, dello stupro. Le aggressioni di ispirazione chiaramente razzista sono caratterizzate sempre dalla violenza fisica, sebbene già dal 1998 avevamo notato l’insorgenza di fenomeni come la discriminazione e il mobbing: questo dato, confermato nel 2000, appare in rilevante crescita anche nel biennio 2001 - 2002, insieme alla crescita della violenza verbale. Si tratta di un indicatore significativo dell’incremento di una forma di intolleranza che, per quanto meno "cruenta", non risparmia le vittime, connotandosi comunque come vero atto di "violenza". La violenza sui minori assume connotati simili a quelli propri della violenza sulle donne. In particolare, va notato che, in un numero elevato di casi, la motivazione razzista è ancora più evidente. Dei 38 casi del 2001 (pari al 15,02% del totale dei casi di violenza), ben 10 rivelano motivazioni razziste (ovvero il 26,31% di tutti i casi di violenza su minori). Nel 2002 la situazione è simile: dei 41 casi (pari al 17,37% dei casi di violenza registrati), 12 sono a sfondo razzista (29,27% dei casi di violenza su minori). Le altre categorie comprendono la pedofilia (su cui si è esercitata una maggiore tematizzazione giornalistica nel corso degli ultimi anni) e le violenze familiari. È opportuno notare che queste ultime sono nettamente superiori a quelle correlate ad episodi di pedofilia (che pure, in molti casi, è esercitata nell’ambito familiare o dei parenti prossimi). È ancora opportuno notare che un certo numero di violenze è opera di coetanei (solitamente in gruppo).
Come già rilevato nelle precedenti edizioni di questa ricerca, risulta chiaro che gli eventi più frequenti, localizzati nell’Italia settentrionale, riguardano vere e proprie "emergenze sociali". Non solo e non tanto, dunque, episodi isolati di violenza, quanto l’espressione di un’insofferenza di settori della popolazione locale nei confronti della presenza di immigrati, spesso trasformati in capri espiatori, cui attribuire la responsabilità di tensioni e di allarmi sociali. La tendenza, rilevata dal 1998 ad oggi, appare sostanzialmente confermata, anche se va considerata la netta diminuzione di casi registrati dalla stampa (in valore assoluto) e l’estensione ad alcune aree dell’Italia meridionale di forme di razzismo sistematico e non casuale. Nel complesso, si possono evidenziare le seguenti tendenze:
Non è un caso che nella ricerca del 2000 scrivessimo: " Il sistema dell’informazione sembra percorso da due correnti distinte: da una parte, una maggiore freddezza (se non indifferenza) - rispetto al 1996 - nei confronti dei fenomeni di violenza razzista; dall’altra, un equilibrio più evidente di fronte alla complessità del fenomeno. In sostanza, i giornali sembrano avere acquisito una maggiore capacità di analisi, adottando un atteggiamento più articolato di fronte ai complessi problemi legati alle dinamiche di integrazione/rifiuto. Il "distacco" sembra derivare, cioè, da una maggiore accuratezza informativa, anche se non mancano (e possono talvolta risultare prevalenti) la sciatteria o la deformazione, se non il vero e proprio stravolgimento della realtà dei fatti". I dati della presente ricerca confermano la tendenziale correttezza di quell’analisi.
Se si utilizza come indicatore la presenza in prima pagina di notizie di violenze ai danni di stranieri, si ricava la sensazione di una sostanziale sottostima del fenomeno. Bisogna osservare, tuttavia, che la tendenza è positiva (se si eccettua il 2001, che è l’anno del G8 di Genova e dell’attentato alle Twin Towers di New York). Lo spostamento non indifferente che emerge dal confronto fra i diversi risultati ottenuti nelle varie edizioni della ricerca è significativo: la percentuale di poco superiore al 2% delle collocazioni in prima pagina fra il 1997 e il 1998 raggiunge il 5,1% nel 2000, per giungere al 5,6% nel 2002. Nel Rapporto del 2001 attribuivamo questa variazione all’accadere di eventi che, nel corso dell’anno, avevano assunto una maggiore evidenza (o drammaticità), anche per il coinvolgimento di soggetti non prevedibili e non appartenenti ad aree marginali: o, ancora, per una maggiore sensibilità degli organi di informazione. Ci sembra di poter affermare che la conferma del dato dimostra una maggiore attenzione verso una dimensione "sociale" dell’informazione, da parte delle testate in oggetto. Analizzando più in dettaglio le tabelle relative alla collocazione di pagina, notiamo la conferma di un dato già rilevato negli anni precedenti: la maggioranza degli articoli riferiti al nostro oggetto di indagine viene ospitata nelle pagine interne della cronaca locale, anche se emerge una più significativa redistribuzione nelle pagine interne nazionali. Il fenomeno, sembra uscire, cioè, dai ristretti confini della provincia o della città per diventare "fatto sociale": fatto nazionale, quindi, anche se si verifica in un piccolo centro della provincia italiana. Nel 4° Rapporto di questa ricerca scrivevamo: "Se, poi, esaminiamo l’atteggiamento dei giornali nei confronti della violenza, vediamo che i due punteggi negativi maggiori, assommati, pur mantenendosi elevati, scendono di quasi 10 punti. È naturale che questi eventi abbiano occupato le prime pagine dei giornali per molte settimane, generando un sottodimensionamento delle altre notizie tra il 1997 e il 1998, passando dal 70,6% al 60,9% e raggiungendo il 58,1% nei primi nove mesi del 2000. Si potrebbe desumere che diventa meno netta la condanna della violenza oppure - ed è probabilmente la lettura più corretta - che emerge una rappresentazione più prudente e precisa, in sostanza più problematica e meno manichea". Il dato relativo al biennio 2001-2002 sembra confermare questa linea di tendenza. Il tratto distintivo del giornalismo - almeno per quanto riguarda gli atti di violenza rilevati dalle testate analizzate - sembra essere quello della "neutralità". Il che non impedisce di mostrare "sensibilità". Insomma, possiamo dire che il sistema dell’informazione italiano - almeno quella parte qui considerata - sembra voler convivere con la diversificazione dei reati e con l’esigenza della neutralità, senza perdere il senso civico della denuncia e dell’attenzione verso le vittime. Anche rispetto alla rappresentazione delle istituzioni, il valore di gran lunga privilegiato è quello intermedio (dal 45,9% registrato nel ‘98 si giunge al 71,2% del 2002). Questo dato conferma, da una parte, l’assenza delle istituzioni all’interno delle notizie riguardanti i fatti di violenza: ed evidenzia, dall’altra, l’atteggiamento sostanzialmente "neutrale" del giornalista. La stessa situazione si ripete a proposito dell’atteggiamento verso le forze dell’ordine, in cui è sempre il valore intermedio quello maggioritario: 47,4% e 40,7% nel 1997 e nel 1998, con un incremento notevole - oltre il 56% - nel 2000 e con il superamento del 60% nel 2001. Il calo del 2002 non ci sembra significativo e si inserisce in una dinamica di redistribuzione fisiologica dei valori. Se risultava insolita, nel 2000, la crescita di un atteggiamento "negativo" verso le forze dell’ordine (almeno per quanto riguarda le testate analizzate), essa è più facilmente spiegabile con la maggiore tensione all’approfondimento che ha animato le cronache nel corso del biennio 2001-2002. Non è casuale che, alla crescita di sentimenti "negativi" verso le forze dell’ordine, corrisponda anche un rinnovato incremento dell’atteggiamento positivo. L’apparente contraddizione è spiegata da un clima diverso, più attento ai fatti, che spinge i giornalisti ad atteggiamenti meno pregiudiziali. In conclusione, si può affermare che, pur rimanendo quantitativamente considerevoli (anzi persino in crescita) le notizie che si limitano a una secca cronaca, si fa strada una sorta di "implementazione" delle notizie: un modo di scrivere che risente della complessità dei fatti e della pluralità di soggetti coinvolti, a fronte di una minore attenzione verso un fenomeno che appare più "ordinario". Se nel 1998 emergeva una maggiore "partecipazione" (enfatizzata anche dalla rottura dell’isolamento dei soggetti vittime di violenza) e nel 2000 sembrava prevalere una sorta di disattenzione, se non di "rimozione", nell’ultimo biennio la tendenza dominante sembra essere quella ad una attenzione "cauta": forse meno "passionale", ma - anche in ragione di ciò - più competente. Come già due anni fa, possiamo affermare che, anche oggi, sono evidenti due linee in apparenza divergenti: da una parte, il ridimensionamento di un fenomeno percepito ormai come "fisiologico" e, dall’altra, la percezione di maggiore complessità che circonda gli avvenimenti e che richiede una sorta di sospensione di giudizio. "Il sistema dell’informazione italiano sembra avviarsi verso analisi e tentativi di interpretazione, limitandosi solo qualche volta a giudizi netti e semplicistici; in ogni caso, sembra trasparire una sorta di "stanchezza" a occuparsi di tali questioni. Aumentano, tuttavia, le contestualizzazioni, che collocano gli eventi in più complesse problematiche sociali". Questo giudizio finale, scritto per il Rapporto relativo all’anno 2000, è ancora attuale.
Gli analisti hanno effettuato un periodo di pretesting della scheda di rilevazione, per evidenziarne eventuali incompletezze e/o incongruenze rispetto agli scopi della ricerca. Si tratta di un’operazione che viene realizzata per ogni ricerca, anche per quelle che, come la presente, sono reiterate. La reiterazione della ricerca, anzi, obbliga a un lavoro più accurato in fase di pretesting, per garantire i ricercatori senior da una somministrazione "abitudinaria" delle schede. I dati rilevati sono stati periodicamente controllati e sottoposti a verifiche incrociate per ridurre i rischi di distorsione involontaria. Si è scelto un panel estremamente rappresentativo, composto dai 18 quotidiani diffusi nelle 20 regioni italiane e analizzati nelle precedenti ricerche: quotidiani nazionali e dotati di una buona foliazione locale, quando non essenzialmente locali. Sono stati scelti gli stessi quotidiani analizzati nelle precedenti rilevazioni, al fine di garantire una relativa uniformità del dato complessivo. D’altra parte, quei quotidiani erano già stati individuati sulla base della loro "rappresentatività regionale", nonché della loro diffusione relativa, come rilevato dai dati Audipress. Il quotidiano "Il Manifesto" è stato utilizzato come elemento di controllo e verifica; le notizie apparse su tale testata non sono state inserite nel calcolo, anche quando riportate solo da quel quotidiano. Uno studio specifico - sempre a fini di controllo del panel complessivo – è stato realizzato sui quotidiani Avvenire e l’Unità.
Rispetto alle altre edizioni, un giornale in meno (Il Centro): cosa che non inficia, in alcun modo, l’esito della ricerca e la comparabilità dei risultati. La quantità di notizie riportate da l’Unità non si discosta dalla media di quella delle altre testate. L’effetto di copertura derivante dall’uso delle agenzie di stampa è evidente anche in questo caso. Diversa la situazione per quanto riguarda le modalità di narrazione degli eventi riportati. L’Unità evidenzia, infatti, una copertura - in termini di spazio e di quantità di dettagli - sicuramente più ampia di quella di molte testate fra quelle sottoposte ad analisi. Allo stesso tempo, si nota una gerarchizzazione diversa, rispetto alla media delle altre testate, delle issues relative a tutti i "soggetti deboli" e, in particolare, di quelle riguardanti stranieri e immigrati vittime di violenza a sfondo razzista. L’atteggiamento generale degli articoli de l’Unità è più marcatamente stigmatizzante nei confronti della violenza e, di conseguenza, più solidale con le vittime. Non è pensabile, infatti, che si trovino sostanziali differenze nella quantità di notizie di cronaca riportate dai vari quotidiani: si tratta, per lo più, di notizie che giungono da corrispondenti locali di agenzia, da luoghi in cui la maggior parte delle testate non ha redazioni proprie. Se è lecito, pertanto, attendersi atteggiamenti diversi e differenti gradi di approfondimento delle news da testata a testata, non è altrettanto ovvio attendersi una differenza notevole nel grado di copertura degli eventi. Si tratta, come è noto, di una delle implicazioni della teoria dell’agenda setting, soprattutto per quanto riguarda gli effetti di agenda all’interno dello stesso sistema dell’informazione. Si noti che il dato delle pagine interne per l’Unità è accorpato, in quanto fino al gennaio del 2002 non vengono pubblicate pagine definibili come "locali", nell’accezione propria di quelle testate che hanno veri e propri inserti di cronaca cittadina. Al tempo stesso, l’Unità mostra una maggiore "sintonia" con le forze dell’ordine, di cui vengono messi in risalto i meriti e l’azione di prevenzione. Il quotidiano in questione si rivela, pertanto, un ottimo strumento di validazione dei dati rilevati. Da una parte, infatti, conferma la tendenza generale verso una sorta di "assorbimento" del fenomeno e, dall’altra, mette in luce la maggiore "sensibilità" del sistema dell’informazione, almeno nei casi rilevati. Allo scopo di effettuare un’ulteriore forma di controllo sulle testate oggetto d’analisi, è stato inserito, in questa edizione della ricerca anche il quotidiano Avvenire. Pur avendo evitato finora - per motivi di correttezza scientifica - di fornire giudizi sulle testate, è opportuno notare come il quotidiano cattolico rappresenti un esempio significativo di attenzione al problema. A un linguaggio in genere misurato, si accompagna una buona capacità informativa, rispettosa delle vittime e cauta nel fornire giudizi definitori e definitivi. Il dato generale del quotidiano si situa nella media del panel e, pertanto, ribadisce le tendenze già rilevate, e confermate dall’analisi su l’Unità. Si nota, infine, che - dal punto di vista della gerarchia delle notizie - l’Avvenire si mostra il più "attento" alle cronache di violenze a sfondo razzista. Il quotidiano, della Cei, come l’Unità, non faceva parte del nostro campione d’analisi, ma il suo uso come strumento di controllo si è rivelato utile. Avevamo già rilevato tale "sensibilità" di Avvenire in precedenti ricerche: in particolare, in quelle realizzate fra il 1997 e il 1999 per conto del Cipsi e del Cnca (Acciaio e Cristalli, Cnca edizioni, Capodarco di Fermo, 1999).
Elenco dei quotidiani sottoposti ad analisi
La rilevazione è stata effettuata su tutte le edizioni dei quotidiani sopra riportati, pubblicati fra il 2 gennaio 2001 e il 31 dicembre 2002. L’analisi del biennio 2001 - 2002 si è rivelata adeguata a delineare un quadro tendenziale del dato: i rischi di "iper-tematizzazione", derivanti da particolari contingenze, risultano sostanzialmente evitati dall’ampiezza dell’arco temporale (due anni).
Direzione della ricerca: Michele Sorice, Luigi Manconi, Alberto Abruzzese Coordinamento: Emiliana De Blasco Gruppo di ricerca: Giuseppe Araldi, Alessandra Buffa, Laura Gimmelli, Paul Lanzinger, Lucia Anna Salvemini, Séamus Patrick Stenson
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