Newsletter n° 3 di Antigone

 

Newsletter numero 3 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

L’editoriale: la Riforma che non vuole nessuno, di Vincenzo Scalia

Osservatorio parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

Recensione, di Tilde Napoleone

Brevi

L’editoriale: la Riforma che non vuole nessuno, di Vincenzo Scalia

 

Come il Governo stravolge la Giustizia Minorile

 

Le politiche di tolleranza zero degli ultimi anni hanno avuto nella giustizia minorile uno dei noccioli duri. Nel Regno Unito il governo laburista di Tony Blair ha puntato sulle nuove disposizioni in materia di giustizia minorile previste dal Crime and Disorder Act per accattivarsi le simpatie di quella porzione di opinione pubblica che invocava a gran voce misure di legge ed ordine. La Francia non è stata da meno, coi nuovi provvedimenti che abbassano l’imputabilità a 13 anni e coinvolgono la polizia nella gestione delle scuole, in particolare quelle dei quartieri a rischio.

L’Italia sembrava immune da questa ondata di panico morale. È vero, il nostro sistema giudiziario minorile non è immune da pecche. Basti pensare alla sovra rappresentazione di migranti e nomadi all’interno degli IPM (Istituti Penali Minorili), che si aggira attorno al 57%, circa il doppio rispetto alla percentuale relativa agli istituti penitenziari per adulti. Eppure, neanche se aggiungiamo a questo dato i problemi relativi alle carenze di risorse, il sistema giudiziario minorile italiano può essere dipinto a tinte fosche. La carcerazione costituisce una risorsa utilizzata come extrema ratio, il numero di minori denunciati e condannati è tra i più bassi nei paesi occidentali, al punto che studiosi stranieri, una volta tanto, propongono il nostro sistema come modello di riferimento.

Gli ultimi due anni sembrano tuttavia segnare un’inversione di tendenza, per svariate ragioni. In primo luogo, il governo insediatosi dopo le elezioni del 2001 vede endemicamente come fumo negli occhi l’esistenza di una magistratura indipendente, per cui non perde occasioni per realizzare, a più riprese, quegli interventi che ne modifichino la natura da corpo preposto a giudicare i cittadini secondo le leggi dello stato del diritto a mero registratore di cassa degli umori politici del momento, veicolati dal governo e dai suoi interessi di bottega. Dalle rogatorie al lodo Maccanico, gli esempi di questo tipo abbondano. In secondo luogo, a fornire il destro al governo, nel caso della giustizia minorile, intervengono alcuni fatti eclatanti degli ultimi anni. L’omicidio di Erika ed Omar, quello di Desirèe, il delitto di Como, amplificati ad arte dagli imprenditori morali mediatici, solleticano gli umori più reazionari di certe forze politiche. In questo caso è la Lega ad avere bisogno di tutelare i propri interessi di bottega. I delitti sopraccitati sono avvenuti tutti nella cosiddetta Padania, retroterra elettorale di Bossi e compagni. Non è perciò casuale che sia intervenuto l’ingegnere Ministro della Giustizia in persona ad apporre la firma al progetto di legge di riforma della giustizia minorile.

Il pacchetto Castelli è una mostruosità giuridica, ma per dirlo con più forza dobbiamo leggerci dentro. In primo luogo, perché prevede l’abolizione del Tribunale per i Minori, trasferendo la competenza di giudizio degli imputati minorenni alla giustizia ordinaria. Oltre a costituire un caso unico in Europa, avrebbe l’effetto di produrre un intasamento ulteriore del lavoro dei Tribunali ordinari, e di abolire quelle garanzie che l’attuale legislazione minorile prevede per i minori imputati. In secondo luogo, incentivando l’uso della risorsa penale e l’applicazione di pene più lunghe, finirebbe per minare i già delicati equilibri che regolano il funzionamento del sistema penale e minorile. In terzo luogo, i minori condannati a lunghe pene detentive o inseriti precocemente nel circuito penale, privati di ogni contatto con la società o marginalizzati nel periodo più delicato della crescita, sarebbero più facilmente suscettibili di intraprendere una carriera criminale. In quarto luogo, la separazione tra penale e civile ridurrebbe sensibilmente la possibilità di realizzare interventi più articolati nei confronti dei minori a rischio. In altre parole, ci troveremmo di fronte alla definitiva affermazione della sfera penale come strumento di regolamentazione di problematiche sociali che necessitano di altri tipi di risorse. Educatori e assistenti sociali diventerebbero figure residuali e il cerchio della tolleranza zero si chiuderebbe definitivamente. Gli operatori di giustizia minorile sottolineano da tempo i rischi insiti nel pacchetto Castelli, in parte perché mossi dalla preoccupazione per le loro sorti, in parte perché consapevoli, coi loro saperi specialistici, dei rischi insiti in questi cambiamenti. Non bisogna lasciarli soli. Una battaglia per lo stato di diritto, per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, contro gli abusi del potere, non può trascurare la questione minorile. Dopo i migranti, un’altra categoria debole politicamente rischia di diventare, attraverso un provvedimento tanto inopportuno quanto liberticida, il cavallo di Troia per la riduzione delle già precarie libertà civili dei cittadini di questo paese. La società, la politica, debbono muoversi, prima che sia troppo tardi.

 

Osservatorio parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

 

Giustizia minorile

 

L’Aula di Montecitorio, dopo aver avviato l’esame della proposta di legge di iniziativa governativa recante "Delega al Governo per l’istituzione delle sezioni specializzate per la famiglia e per i minori, nonché per la disciplina dei procedimenti in materia di separazione dei coniugi e di divorzio" (Atto Camera 2517/A), ha rinviato l’esame della stessa a data da destinarsi, a causa di un nuovo contrasto apertosi nella maggioranza. La riforma punta (o puntava, per chi si dice convinto dell’affossamento del provvedimento - Ds e Margherita -) principalmente ad un’unificazione delle competenze in materia di minori e all’attribuzione delle stesse ad un’unica istituzione giudiziaria specializzata.

In particolare, l’articolo 1 del provvedimento in esame, dispone l’istituzione delle sezioni specializzate presso i tribunali e le corti di appello, alle quali sono attribuite tutte le controversie di competenza dei tribunali per i minorenni (soppressi dal comma 3 dello stesso articolo) in materia civile, penale e amministrativa, nonché quelle attualmente devolute alla competenza del giudice tutelare e del tribunale ordinario in materia di rapporti di famiglia e di minori e quelle relative allo stato e alla capacità delle persone. La ratio della riforma proposta sarebbe quella di razionalizzare gli interventi giurisdizionali e di definire un nuovo ruolo del giudice della famiglia. Il provvedimento in oggetto attribuisce ad un unico organo giudiziario la cognizione su tutte le tematiche riguardanti la famiglia e i minori, eliminando la ripartizione della competenza a conoscere delle cause aventi ad oggetto il diritto di famiglia dei minori che attualmente interessa tre diversi organi giurisdizionali: il tribunale ordinario, il tribunale per i minorenni e il giudice tutelare. L’originaria proposta governativa intendeva unificare solamente le competenze in ambito civile e amministrativo; l’ampia discussione in Commissione giustizia, (protrattasi per oltre un anno e mezzo) ha invece portato il Governo all’accoglimento della proposta emendativa orientata all’unificazione della giurisdizione non solo in materia civile, ma anche in ambito penale.

Si punta alla creazione di un giudice fortemente specializzato: punto saliente della riforma, infatti, è la specializzazione, la quale, è garantita in primis per le modalità dell’assegnazione (effettuata direttamente dal Consiglio superiore della magistratura, sottraendo così i magistrati alle modifiche tabellari da parte del presidente del tribunale), ed inoltre per i requisiti di professionalità richiesti per l’assegnazione dei magistrati alle sezioni istituende, (indicativi di una seria e stabile competenza nelle materie del diritto di famiglia e dei minori). La proposta di legge, inoltre, reca un articolo che prevede espressamente, oltre all’iniziale formazione di base, la necessità di attivare un percorso permanente di formazione, per cui è previsto che il Consiglio superiore della magistratura debba organizzare corsi annuali di aggiornamento per i magistrati che andranno a comporre le sezioni specializzate presso le corti di appello ed i tribunali. Nella materia civile, la sezione specializzata deciderà in composizione monocratica in tutte le materie che attualmente sono di competenza del giudice tutelare e in alcuni casi specifici (ad es. sulle capacità dell’emancipato, del tutore, sull’impugnazione del riconoscimento, etc.); deciderà invece in composizione collegiale (con tre magistrati togati) in ogni altra materia civile. In materia penale, invece, la sezione giudicherà con tre magistrati, di cui due togati ed uno onorario. La riforma proposta ha anche l’obiettivo di razionalizzare le procedure in materia di separazione e divorzio, sia tramite modifiche volte ad una più rapida definizione dei procedimenti, sia attraverso l’omologazione dei riti in materia. Nei prossimi giorni capiremo se, quello che è stato disposto, è realmente un rinvio "sine die".

 

Ultimi dati sull’applicazione dell’indultino: circa 1811 gli attuali beneficiari

 

In data 7 ottobre, l’Ufficio Informatico e Statistico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) ha diffuso gli ultimi dati sull’applicazione dell’indultino: dall’entrata in vigore della legge (dunque, a poco più di un mese dall’approvazione), circa 1.811 detenuti avrebbero già beneficiato della misura. La previsione dei 5.000/6.000 beneficiari (stima effettuata nel corso dell’iter del provvedimento) non trova per il momento riscontro nei fatti; ciò soprattutto per le modifiche restrittive approvate nel corso dell’esame del testo da parte del Senato.

 

Ultime sulla proposta di legge concernente il "difensore civico delle persone private della libertà personale"

 

Continua l’esame delle proposte di legge sul "difensore civico delle persone private della libertà personale". Allo stato, i lavori della commissione Affari Costituzionali della Camera (nel corso dei quali sono intervenuti anche i primi firmatari delle proposte- Finocchiaro, Mazzoni e Pisapia), rivelano un orientamento abbastanza favorevole sui testi, ma ci sono delle riserve (avanzate dalla Lega, nella persona dell’on. Dussin, e da Forza Italia, in quella dell’on. Saponara) rispetto all’attività del difensore civico nei centri di permanenza temporanea per gli stranieri, nei commissariati di pubblica sicurezza, nonché nelle caserme dei carabinieri (luoghi dove, nel tempo, si sono verificati episodi di violenza)., Il difensore civico, dunque, troverebbe un consenso allargato qualora la sua "competenza" fosse limitata ai soli istituti di pena, ipotesi restrittiva contro la quale si è espresso, in particolar modo, l’On. Pisapia nella seduta del 7 ottobre. Considerate le riserve espresse da Lega e Fi, non solo sul punto illustrato, ma anche sull’eventuale sovrapposizione dell’attività del difensore civico delle persone private della libertà personale a quella della magistratura di Sorveglianza, il relatore (l’On. Francesco Nitto Palma), nella seduta della I Commissione del 14 ottobre, ha affermato che riterrebbe opportuno -prima di arrivare a testo unificato- svolgere alcune audizioni (tra le quali, esponenti del Ministero della Giustizia, del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, magistrati di Sorveglianza e associazioni che svolgono attività in carcere) e ha proposto la visita di una delegazione della Commissione in una struttura carceraria per verificare "con la garanzia di ampi margini di riservatezza" le condizioni di vita dei detenuti.

 

Indagine conoscitiva sulla Sanità penitenziaria

 

Nella riunione del 30 luglio 2003 dell’Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi delle Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari Sociali) della Camera, era stata convenuta l’opportunità di procedere ad un’indagine conoscitiva sulla sanità penitenziaria.

Il 7 ottobre le Commissioni riunite hanno quindi deciso per l’avvio dell’indagine in oggetto (che dovrebbe concludersi entro il 31 marzo 2004) che nasce dall’esigenza di approfondire la conoscenza della situazione sanitaria all’interno degli Istituti penitenziari, soprattutto alla luce dello stato di attuazione della riforma introdotta dal decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230 recante "Riordino della medicina penitenziaria a norma dell’articolo 5 della legge 30 novembre 1998, n. 419", che ha previsto il progressivo trasferimento alle Regioni delle funzioni sanitarie in ambito penitenziario, al fine di migliorare un servizio fino ad allora gestito dal Ministero della Giustizia.

La sperimentazione è stata avviata, in una prima fase, nelle Regioni Toscana, Lazio e Puglia e, successivamente, nelle Regioni Emilia-Romagna, Campania e Molise. Al fine di valutare l’esito di questa fase sperimentale era stata anche costituita, in data 16 maggio 2002, con decreto del Ministro della Giustizia, d’intesa con il Ministro della Salute, una commissione di studio.

Ci fa piacere che, nel programma dell’indagine conoscitiva, oltre ad essere contemplate una serie di verifiche in loco dello stato della sanità penitenziaria (prendendo a campione alcuni istituti penitenziari delle diverse aree territoriali), siano state opportunamente previste una serie di audizioni dei soggetti coinvolti dalla riforma in questione, tra i quali figura anche l’associazione Antigone.

 

Recensione, di Tilde Napoleone

 

Scarcerare la società, di Alain Brosset

 

Scarcerare la società racconta e spiega alcune favole contemporanee e lo fa attraverso una ricerca e una riflessione sul carcere, sul suo ruolo e sulla sua inutilità. Portati fino ad ora a considerare il carcere come il punto più alto della nostra crescita umana e democratica, a parere del nostro autore, invece, il carcere e non è e non sarà mai in regola con gli obblighi umanitari. Si, è vero, in carcere non scorre più il sangue, non si assiste più, se non in casi sporadici, alle torture, grazie al carcere non si uccidono più i corpi. Ma in carcere però i corpi sono conservati, abbandonati, reclusi ed esclusi, interiormente distrutti. Il paradosso è tutto qui. Il carcere non fa vedere, per questo tranquillizza, ma non è per questo più umano. L’invisibilità non consente le repliche, le proteste, se non quando qualche avvenimento raccapricciante viene posto sotto i riflettori mediatici. Prima, la gente poteva vedere il sangue scorrere e poteva crescere nel rifiutare pratiche via via considerate troppo disumane. E vedendo, sono nate le proteste, le lotte, il rifiuto di chi non tollerava più tanta violenza. Invece la segregazione, l’istituzionalizzazione nasconde e pacifica le coscienze di chi pensa di avere raggiunto la migliore soluzione possibile. Ma Brossat ci ricorda che questo modo di pensare è solo l’interiorizzazione dello sguardo del poliziotto e di quello dello stato. È lo Stato, è il poliziotto che sentono il bisogno di difendere l’ordine costituito, di difendere quella scala di valori che ha voluto darsi. Ma quest’ordine, noi, tutti non l’abbiamo votato. La divisione che il carcere rende eterna e che ormai viene data per scontata tra chi è giusto e chi non lo è, tra chi è asociale e chi non è, tra il ladro e chi non ruba, non deve essere data per scontata. È relativa, è frutto di scelte su cui discutere. La discussione da iniziare non è "Esiste una soluzione migliore del carcere?", ma "Chi incarceriamo e perché lo facciamo?", "A quali valori diamo priorità?". Il carcere decide chi è il "rifiuto", secolarizza una verità che tale non è e in questo senso è un’istituzione politica.

Le questioni come l’avvicinare il carcere alla società, umanizzarlo, riempirlo di senso per il detenuto, sono "temi dell’approccio illuminato, riformatore e filantropico del XIX secolo". Il problema, sostiene Brossat, è invece come eliminarlo, in quanto una delle peggiori espressioni di disumanità, mascherata da parvenza democratica. "Non ci sono più i ferri, né la ruota, né il patibolo, né il rogo. Niente. Ciò che rimpiazza tutto è il tempo, una vita amputata del tempo. Non si uccide, si lascia morire. Il carcere separa e separa quella parte di noi, altrettanto selvaggia e potenzialmente criminale, che solo casualmente siamo riusciti a domare. Noi non siamo, ci dice Brossat, così lontani dal criminale che vogliamo respingere. Ma è proprio per questo che lo isoliamo di più, con più forza, riproponendo continuamente questo rito che ci dona la salvezza e ci racconta la favola della nostra innocenza. Brossat fa questa considerazioni partendo da avvenimenti che la Francia ha conosciuto, prendendo spunti dalla storia carceraria, facendo parlare autori come Foucault, Benjamin, Arendt, Levi Strass e infine dando voce al punto di vista di chi è solitamente muto, di chi il carcere l’ha vissuto e il cui sguardo deve essere ripreso per non accettare passivamente solo lo sguardo del poliziotto.

 

Brevi

 

Storie di casa nostra

 

Il Sindaco di Roma Walter Veltroni ha nominato Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Roma Luigi Manconi, che si insedierà agli inizi di novembre presso gli uffici preposti all’interno del XIV Dipartimento del Comune di Roma.

 

Anche il Comune di Firenze avrà un Garante a tutela delle persone private della libertà personale. Lo ha deciso il Consiglio comunale con l’approvazione all’unanimità della delibera con cui si istituiscono anche i compiti e le finalità di questo incarico che dovrà in seguito essere assegnato dal Sindaco. Dopo Roma, Firenze è il primo comune ad aver istituito il Garante.

 

Il 13 dicembre dalle ore 9.00 alle 14.00 presso l’Aula Magna della Facoltà di studi giuridici dell’Università A. Moro di Bari, si terrà il Convegno Nazionale di Antigone dal titolo "I diritti umani sono universali: per un difensore civico delle persone private della libertà personale".

 

Audizione dell’Associazione Antigone il 30 ottobre presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera in relazione alla Pdl sul difensore civico nazionale delle persone private della libertà personale.

 

Audizione dell’Associazione Antigone nei prossimi giorni presso la Commissione Giustizia della Camera in relazione alla situazione della sanità penitenziaria.

 

Patrizio Gonnella, coordinatore nazionale dell’Associazione Antigone, è stato convocato dalla Commissione Affari Sociali del Comune di Milano in relazione all’istituzione del garante delle persone private della libertà personale, l’audizione è prevista il prossimo 29 ottobre.

 

È in corso uno sciopero della fame, su iniziativa dell’associazione Papillon, da parte dei detenuti del Nuovo Complesso di Rebibbia e di Regina Coeli, insieme ai detenuti di altre 40 carceri italiane. In particolare, i detenuti affetti da Aids nel braccio G14 del carcere di Rebibbia protestano pacificamente per le loro condizioni di vita all’interno delle strutture penitenziarie, nonché per richiamare l’attenzione sulla mancata applicazione della legge sull’incompatibilità carceraria per i malati gravi. I malati di Aids reclusi nel carcere di Rebibbia sono quasi una trentina.

 

Prevedere reparti riservati ai detenuti negli ospedali pubblici; costruire rapidamente nuove prigioni ricorrendo al leasing; trasferire in zone periferiche le carceri oggi situate in edifici storici dei centri urbani per vendere poi gli edifici liberati dalla precedente destinazione d’uso ai privati. Questi i punti salienti toccati dal ministro della Giustizia nel corso del dibattito sulla Finanziaria 2004. Visto che per Castelli la costruzione di nuovi edifici carcerari è indispensabile per rendere civile la detenzione, il Guardasigilli non ha esitato a tirare le orecchie al ministero delle Infrastrutture, che finora si è occupato della costruzione di nuove carceri con risultati non sempre incoraggianti, visto che il tempo medio richiesto è di dieci anni. La soluzione prospettata dal ministro Castelli è stata quella del ricorso alla formula del leasing e la creazione della già nota Dike Edifica S.p.A.

 

Giovanni Tinebra, direttore del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, concorde con il ministro Castelli circa la necessità di "una seria politica di edilizia penitenziaria", sostiene che per la realizzazione delle nuove strutture bisogna sbrigarsi. Intanto l’Amministrazione penitenziaria stessa vorrebbe indietro le vecchie strutture dell’Asinara e di Pianosa, per "un carcere aperto e senza sbarre", nel rispetto dei vincoli ambientali.

 

Sebastiano Ardita, direttore generale dell’area trattamentale del Dap, invece, ha annunciato l’approvazione di un progetto pilota che interesserà quattro strutture penitenziarie dal prossimo anno, ma che presto sarà esteso a tutta Italia. Si tratta dell’acquisto delle attrezzature mediche necessarie per la telemedicina, a fibre ottiche, e della formazione del personale medico ed infermieristico della polizia penitenziaria.

 

Un detenuto della provincia di Lecco, che sta scontando una pena di 4 anni e 6 mesi per tentato omicidio, aveva finalmente ottenuto i tanto sospirati arresti domiciliari. Una volta lasciato il carcere e giunti davanti all’abitazione dell’interessato, però, gli agenti che lo scortavano a casa hanno trovato la porta chiusa: non c’era nessuno ad aspettarlo. Con un rapido dietrofront l’uomo è stato riportato in carcere.

 

Un giovane detenuto tunisino, invece, agli arresti domiciliari in attesa del processo che lo vede coinvolto per lesioni aggravate e resistenza a pubblico ufficiale, si è presentato alla vicina caserma dei carabinieri di Alzano Lombardo chiedendo di essere arrestato per il reato di evasione dagli arresti domiciliari. Processato per direttissima ha spiegato al Giudice che preferiva stare in galera, piuttosto che sopportare un giorno di più sua cognata, che viveva nell’appartamento in cui era recluso. Il giovane è stato assolto dal reato di evasione, ma è stato comunque accontentato: aspetterà il processo dietro le sbarre del carcere di Bergamo.

 

Dall’Inghilterra

 

È durata poco la libertà di Stephen Gough, 44 anni originario dell’Hampshire nel sud dell’Inghilterra, conosciuto dalla cronaca britannica come "il nudista girovago": l’uomo, appassionato sostenitore del naturismo, è stato arrestato pochi minuti dopo essere uscito di prigione in quanto passeggiava, appunto, nudo. Gough aveva pianto disperato in tribunale quando, indossando soltanto un asciugamano in vita, era stato condannato a 36 giorni di prigione, ma nonostante ciò l’accanito nudista ha rifiutato di coprirsi quando è stato rilasciato, per cui nel giro di pochi minuti è stato riportato in cella in un carcere delle Highlands scozzesi, che l’uomo sta tentando di attraversare a piedi in costume adamitico.

 

All’interno del carcere inglese di Lewes una trentina di detenuti si erano impadroniti di un’intera ala del penitenziario. L’intervento delle unità speciali di polizia ha messo fine alla rivolta, le cui ragioni sono da ascrivere alle condizioni di vita esasperanti all’interno dell’istituto. Il carcere di Lewes, del resto, è stato più volte criticato nel rapporto annuale del Board of Visitors, una commissione di sorveglianza indipendente, per l’elevato tasso di suicidi, la diffusione di droga e le condizioni di vita "umilianti, insalubri e degradanti" dei detenuti.

 

 

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