a
scioglimento della riserva espressa all’udienza del 18.12.2003,
visti ed esaminati gli atti relativi all’impugnazione avverso il decreto di
espulsione a titolo di sanzione alternativa ai sensi dell’art. 16 D.Lvo n.
286/1998 modificato dall’art. 15 legge n. 189/2002, emesso in data 8.10.03 dal
Magistrato di Sorveglianza di Nuoro proposto da ***** ***** n. ** il **, già in
detenzione domiciliare in Sassari via Baldedda 12 int. H, in forza di
ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari del 2.10.03 in relazione
alla pena di anni 3 mesi 3 di reclusione di cui al provvedimento di cumulo della
Procura Tribunale Sassari in data 18.4.02 n. 395/01, inizio pena 23/02/01, fine
pena 2/3/04; attualmente detenuto Casa Circondariale di Sassari;
Il
tribunale
rilevato
che l’impugnazione risulta proposta nel termine previsto dall’art. 16 D.Lvo
n. 286/1998;
Osserva
in fatto
-
Il
detenuto espia la condanna indicata in epigrafe per reati contro il
patrimonio non rientranti nella previsione di cui all’art. 407 c. 2 lett.
a) e la pena residua da espiare non è superiore a due anni.
La Questura di Milano con nota del 23.7.03 ha riferito che il detenuto è
identificato in modo certo e che si trova in taluna delle situazioni
indicate nell’art. 13 c. 2 D.Lvo n. 286/1998 (espulsione amministrativa),
in quanto si è trattenuto nel territorio nazionale nonostante il permesso
di
soggiorno sia scaduto da più di 60 giorni e che non risultano dagli atti
situazioni inquadrabili nei divieti di espulsione e di respingimento
indicati nell’art. 19 D.Lvo n. 286/1998, in particolare egli non risulta
essere oggetto di persecuzione nel Paese di origine né che egli possa
essere inviato presso altro Stato ove non sia protetto da persecuzione.
Il
Magistrato di Sorveglianza di Nuoro l’8.10.03 ha disposto l’espulsione del
soggetto dal territorio dello Stato.
Il difensore del detenuto, nel domandare l’annullamento del provvedimento di
espulsione, nei motivi d’impugnazione ha riferito che il soggetto si trovava
in detenzione domiciliare presso la madre, che i suoi congiunti di cittadinanza
marocchina sono tutti regolarmente soggiornanti in Italia fin dal 1987, che il
padre separato dalla moglie vive a Cinisello Balsamo ed esercita un’impresa di
trasporti, ove lavora anche il fratello, che il genitore è disponibile ad
assumerlo anche al fine di fargli concedere il permesso di soggiorno, che la
madre gestisce a Sassari un circolo ricreativo con regolare licenza, che egli
non ha nessun parente nel paese d’origine, né conosce l’arabo, né ha
alcuna possibilità di integrarsi in quel paese da dove è stato sradicato
all’età di 5 anni e che, infine, non ha potuto chiedere il rinnovo del
permesso di soggiorno a causa della carcerazione. Il difensore ha, altresì,
allegato copia dei documenti amministrativi comprovanti le attività lavorative
e la situazione di soggiorno in Italia dei congiunti del detenuto.
Per motivi non conosciuti al Tribunale il ***** ed i suoi familiari non hanno
acquistato la cittadinanza italiana.
Questo
Tribunale con ordinanza in data 18.12.03 ha revocato la misura della detenzione
domiciliare in quanto, a seguito di un episodio di evasione, il soggetto è
stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere, titolo giuridico
incompatibile con la prosecuzione della misura alternativa.
In
diritto
-
In
relazione alla dichiarazione del detenuto di essere stato impossibilitato a
chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno trovandosi in carcere, il
Collegio osserva che l’art. 13 del D.lvo 286/1998, con riferimento alla
ipotesi di espulsione amministrativa, al comma 2 lett. b) prevede che sia
espulso lo straniero che si sia trattenuto nel territorio dello Stato senza
aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il
ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di
soggiorno sia stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da oltre 60
giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo.
L’ipotesi
di forza maggiore letteralmente è contemplata dalla norma solo nell’ipotesi
di mancata richiesta del permesso di soggiorno e non anche nel caso di mancata
richiesta del rinnovo dello stesso. Tuttavia, anche superando il dato letterale
ed estendendo la validità della causa di forza maggiore alla ipotesi del
mancato rinnovo, non è possibile applicare tale causa di giustificazione
all’inadempimento dell’obbligo giuridico di chiedere il rinnovo del permesso
di soggiorno nel caso concreto.
Infatti, la causa di forza maggiore nell’ordinamento giuridico presuppone
l’impossibilità oggettiva della condotta prevista come obbligatoria e che
tale impossibilità non sia dipesa da una causa imputabile al soggetto. Tale
causa (forza maggiore a cui è assimilato il caso fortuito) deve essere
imprevedibile ed inevitabile (cfr. art. 1218 e seg. c.c.) e deve escludersi che
tale sia lo stato di detenzione.
In realtà lo stato di detenzione, sebbene determini in capo al detenuto una
difficoltà di fatto all’esercizio di attività giuridiche, non impedisce
l’esercizio dei diritti e delle facoltà, salvo i casi di interdizione legale
di cui all’art. 32 c.p. per i quali è necessario l’intervento del tutore.
L’art. 18 della legge 354/1975 espressamente prevede che il detenuto sia
ammesso a colloqui e corrispondenza con congiunti ed altre persone, anche al
fine di compiere atti giuridici.
Inoltre, lo stato detentivo non può ritenersi quale causa non imputabile al
soggetto essendo dipesa dalla sua condotta delittuosa. Pertanto,
lo stato detentivo non può considerarsi di per sé una causa impeditiva
all’esercizio dei diritti e delle facoltà inerenti alla normativa sul
soggiorno degli stranieri in Italia.
-
1.
Tutto ciò premesso si rileva che ricorrono, nel caso di specie, tutte le
condizioni di legge per l’applicazione dell’espulsione prevista dalla
normativa in esame. Tuttavia, l’applicazione al caso concreto della
normativa richiamata, in particolare dell’art. 19 D.lvo 286/1998,
determina – secondo il Collegio – degli effetti irragionevoli ed iniqui
in danno del *****. Infatti, il
detenuto se espulso dall’Italia e rimpatriato in Marocco verrebbe a
trovarsi in condizioni di vita tali da non garantirgli i diritti inviolabili
dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione. Egli non ha nessun
parente nel paese d’origine, non conosce l’arabo, non ha possibilità
lavorativa, né dispone di mezzi di sostentamento in quel paese, da dove è
stato sradicato all’età di 5 anni. Egli, invece, è vissuto in Italia da
tale età fino alla data odierna, ha frequentato le scuole italiane e parla
la nostra lingua. Questa situazione, del tutto peculiare, impone un esame
della norma suddetta alla luce dei principi costituzionali, al fine di
verificarne la compatibilità.
-
Il
detenuto nell’impugnazione ha affermato di voler rimanere nel suo nucleo
familiare, di cittadinanza marocchina, regolarmente soggiornante in Italia.
A tale situazione non è applicabile il divieto di espulsione contemplato
dall’art. 19 c. 2 lett. c) citato, in quanto esso è limitato agli
stranieri conviventi con parenti entro il 4° grado o con il coniuge, di
nazionalità italiana.
L’art. 19 citato prevede da un lato che lo straniero sia protetto da
rischi di persecuzione di varia natura (1° comma) e dall’altro che egli
non sia espulso in particolari evenienze (2° comma).
In particolare, con il secondo comma alle lettere a), c) e d), il
legislatore ha voluto garantire situazioni specifiche, in osservanza delle
norme costituzionali (art. 29 e 30) e della convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 8 legge 4/8/1955
n. 848) che tutelano la famiglia ed i minori.
L’elenco
di queste situazioni deve ritenersi tassativo ed è stato ampliato dalla Corte
costituzionale, con sentenza n. 376 del 27 luglio 2000, che ha esteso il divieto
di espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei
mesi successivi alla nascita del figlio. In questa sede il Tribunale di
Sorveglianza non può compiere una interpretazione estensiva allargando il
novero dei casi di divieto di espulsione e di respingimento.
-
3.
Sul punto è già intervenuta la Corte Costituzionale con l’ordinanza n.
232 del 2001 che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 19 del D.lvo 286/1998, nella parte
in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero coniugato e
convivente con altro cittadino straniero in possesso di permesso di
soggiorno.
La
Corte ha ritenuto che sia legittimo limitare il diritto al ricongiungimento, al
fine di bilanciare l’interesse dello straniero alla ricostituzione del nucleo
familiare, con gli altri valori costituzionali tutelati dalle norme in tema di
ingresso e soggiorno degli stranieri ed ha escluso la necessità di consentire
sempre e comunque il ricongiungimento allo straniero coniugato e convivente con
altro straniero. Diversamente opinando, si aggirerebbero le norme in materia di
ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio degli altri valori costituzionali
considerati da tali norme.
La
Corte si è espressa in modo analogo sui limiti al diritto al ricongiungimento
familiare anche con le sentenze n. 28/1995, 203/1997 e 353/1997. Con la sentenza
n. 28/1995, però, la Corte ha anche affermato che il diritto e il dovere di
mantenere, istruire ed educare i figli, e quindi tenerli con sé e il diritto
dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della
famiglia, sono diritti fondamentali della persona, che perciò spettano in via
di principio anche agli stranieri.
Solo recentemente ed in una ipotesi del tutto specifica ed eccezionale, come già
accennato, l’Alto Consesso con sentenza n. 376/00 ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 17, comma 2, lettera d) della legge
6/3/98, n. 40, ora sostituito dall’art. 19, comma 2, lettera d) del
D.lvo. 286/1998, nella parte in cui non estende il divieto di espulsione al
marito straniero convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi
successivi alla nascita del figlio. La norma, a giudizio della Corte, non ha
apprestato una tutela adeguata nei riguardi del marito della donna incinta e di
colei che ha partorito da non oltre sei mesi, omettendo, inoltre, di considerare
il diritto del minore ad essere educato, ove possibile, da entrambi i genitori e
ponendo la donna di fronte alla drammatica alternativa di seguire il marito o
affrontare da sola la maternità. Tale situazione contrasta con il principio di
paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione
della prole.
Anche
la Corte di Cassazione sez. 1 civ. con sentenza 9088 del 21.06.2002 in materia
di condizione giuridica dello straniero, ha affermato che l’autorizzazione
all’ingresso o alla permanenza, per un periodo di tempo determinato, del
familiare del minore straniero che si trova nel territorio italiano, potendo
essere rilasciata dal Tribunale per i minorenni – ai sensi dell’art. 31,
comma terzo, del D.Lvo citato - solo per gravi motivi connessi con lo
sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del
minore, è correlata esclusivamente alla sussistenza di situazioni eccezionali,
le quali non possono assumere carattere di normalità e stabilità.
-
4.
Questo Tribunale ha finora adottato una giurisprudenza che ha ritenuto non
in contrasto con l’art. 3 della Costituzione la disparità di trattamento
tra stranieri ed italiani operata dalla norma in esame. Si è detto, in
precedenti decisioni ed in sintonia con la giurisprudenza costituzionale e
di legittimità, che la situazione giuridica dei parenti italiani dello
straniero – in relazione al diritto di soggiorno in Italia previsto
dall’art. 16 della Costituzione solo per il cittadino- non è uguale a
quella di parenti stranieri e non è violato il principio di uguaglianza,
che opererebbe solo in presenza di disparità di trattamento in condizioni
uguali. Pertanto, si è escluso che la richiesta di ricongiungimento
familiare ad un parente straniero, regolarmente soggiornante in Italia,
avanzata da uno straniero, che invece ha eluso o violato le norme
sull’ingresso e soggiorno nel nostro Paese, sia tutelabile
dall’ordinamento e che rappresenti una situazione eccezionale meritevole
di un diverso e più favorevole trattamento.
-
5.
Il caso in esame, tuttavia, presenta delle connotazioni diverse ed
eccezionali rispetto a quelli già esaminati e decisi secondo i principi
sinteticamente riportati nel paragrafo precedente.
Infatti,
in tutte le altre situazioni esaminate si è trattato di stranieri che, avendo
regolarmente vissuto nel loro paese per lungo tempo, l’abbiano abbandonato per
i motivi più vari, lasciando comunque in patria parte dei familiari, la casa e
la loro naturale collocazione socio-ambientale. Per tali soggetti
l’espulsione, ancorché costituente una retrocessione dalla condizione di
relativo benessere conquistata nel nostro paese a situazioni di maggiore povertà
ed emarginazione nel paese di origine, rappresenta semplicemente un ritorno alla
situazione immediatamente antecedente all’ingresso o alla permanenza illegale
in Italia.
In
tali casi, appare ragionevole l’orientamento giurisprudenziale sopra
menzionato perché nega il diritto al ricongiungimento dello straniero alla
ricostituzione del nucleo familiare a fronte del bilanciamento di tale interesse
con gli altri valori costituzionali tutelati dalle norme in tema di ingresso e
soggiorno degli stranieri, laddove lo straniero viene ad essere restituito al
suo ambiente sociale, etnico e culturale. Il *****, invece, ha il nostro Paese
quale sua naturale collocazione sociale - culturale, in quanto in esso ha
vissuto ed è stato educato. Egli non ha nessun parente nel paese d’origine, né
conosce l’arabo, né ha alcuna possibilità di integrarsi in quel paese da
dove è stato sradicato all’età di 5 anni, né dispone in tale luogo di mezzi
di sostentamento. Nella situazione in esame, il bilanciamento degli interessi
costituzionali attuato dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 232 del
2001, dovrebbe essere integrato valutando, oltre al diritto al ricongiungimento
(o al mantenimento
dell’unità) familiare, anche il diritto del ***** di svolgere – secondo le
previsioni dell’articolo 2 Cost. – la sua personalità, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali alle quali appartiene e dove egli ha vissuto per la
gran parte della sua esistenza.
Al
contrario, il forzato rientro del detenuto nel paese di origine lo
costringerebbe ad una vita di emarginazione, povertà, incomprensione dei valori
e della cultura locale e difficoltà nei rapporti sociali. Questa condizione
sarebbe del tutto analoga a quella di un soggetto che fosse costretto ad una
vita di emarginazione, povertà, incomprensione dei valori e della cultura
locale e difficoltà nei rapporti sociali determinata da persecuzione. Il
Legislatore, con il primo comma dell’art. 19 citato ha voluto evitare una
siffatta situazione ed altre anche più gravi se causata da persecuzione.
Sarebbe del tutto irragionevole un sistema giuridico che, invece, consentisse la
medesima situazione non determinata da persecuzione ma da altra causa.
Il
Collegio reputa che nel caso in esame si realizza tale irragionevolezza della
norma richiamata e, nel contempo, una violazione del principio di eguaglianza,
perché il Legislatore non contempla tra i divieti di espulsione e di
respingimento il caso degli stranieri che, pur non in regola con le norme di
soggiorno, abbiano tutti i loro familiari regolarmente soggiornati in Italia e
non abbiano più alcun legame familiare, sociale, linguistico e culturale con il
loro paese d’origine.
-
Il
Tribunale, sulla base delle considerazioni sopra evidenziate, ritiene che
non sia manifestamente infondata la questione di illegittimità
costituzionale dell’art. 19, comma 2, del D.lvo 25 luglio 1998 n. 286
nella parte in cui non estende il divieto di espulsione allo straniero che,
pur non in regola con le norme di soggiorno, abbia tutti i familiari
regolarmente soggiornati in Italia e non abbia più alcun legame familiare,
sociale, linguistico e culturale con il suo paese d’origine. La norma, a
parere del Collegio, viola in particolare gli articoli 2, 3, 10 in relazione
all’art. 8 della legge 4 agosto 1955 n. 848 di ratifica ed esecuzione
della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, 29 e 30 della Costituzione.
Il Collegio ritiene, altresì, di non poter definire il giudizio
indipendentemente dalla risoluzione della suddetta questione di illegittimità
costituzionale.
PQM
visti
gli artt. 2, 3, 10 in relazione all’art. 8 della legge 4 agosto 1955 n. 848,
29 e 30 della Costituzione, 19, comma 2, del D.lvo 25 luglio 1998 n. 286 e 23
legge 11 marzo 1953 n. 87,
Dispone
l’immediata
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale,
Sospende
il
giudizio in corso.
Manda alla Cancelleria per quanto di competenza e per la notifica al Pubblico
Ministero, all’interessato ed al suo difensore, al Presidente del Consiglio
dei Ministri, nonché per la comunicazione ai Presidenti del Senato e della
Camera dei Deputati.
Così deciso nella Camera di consiglio del giorno 18.12.03.
Il Magistrato estensore
Il
Presidente