Asilo politico ed espulsione

 

Asilo politico ed espulsione

di Mario Pavone (Avvocato)

 

Premessa

La legislazione vigente in materia di asilo politico

Le modifiche apportate dalla Legge Bossi-Fini

Le nuove procedure introdotte per il riconoscimento di status di rifugiato

L’espulsione dello straniero

I divieti di espulsione

L’espulsione del richiedente asilo politico

Le decisioni dei Tribunali

Conclusioni

Premessa

 

La Costituzione italiana afferma, all’art. 10, che "lo straniero, al quale venga impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica".

Le norme in materia di asilo si rifanno alla Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati (più conosciuta come Convenzione di Ginevra) secondo la quale è considerato rifugiato chi nel proprio paese è perseguitato per motivi politici, religiosi, etnici, di razza, o ha comunque ragionevoli motivi per temere della propria vita o di subire violazioni dei diritti umani.

Normalmente lo status di rifugiato viene determinato su base individuale; più rari sono i casi di riconoscimenti collettivi. Viene considerata infatti la situazione personale del richiedente più che la situazione esistente nel paese di origine.

L’Italia ha sempre riservato una particolare attenzione alle tematiche relative ai rifugiati ed al riconoscimento del diritto di asilo,come testimoniano gli eccellenti rapporti con l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati improntati ad uno spirito di collaborazione tanto sul piano politico che operativo.

L’Italia è, infatti, membro del Comitato esecutivo dell’UNHCR fin dalla sua creazione nel 1958. Il nostro Paese, anche per la sua posizione geografica, ponte naturale nel Mediterraneo verso l’Africa, i Balcani e lo stesso Oriente è divenuto negli ultimi anni meta finale oltre che luogo di transito per i profughi ed ha conosciuto un rilevante aumento delle domande individuali di riconoscimento dello status di rifugiato (pari a 1.860 nel 1997, 11.120 nel 1998, 33.360 nel 1999 - crisi nel Kossovo -, 15.560 nel 2000 e 9.620 nel 2001).

 

La legislazione vigente in materia di asilo politico

 

La legislazione italiana vigente regola in modo completo la materia di rifugiati ed asilo anche se in atti normativi diversi:

l’articolo 10 della Costituzione, che riconosce espressamente il diritto di asilo;

la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951, alla cui elaborazione l’Italia partecipa con altri 26 Stati e che è parte integrante del nostro diritto interno, a differenza di quanto accade per altri Paesi. La Convenzione definisce i diritti di cui gode il rifugiato residente in Italia;

l’articolo 1 della legge n. 39 del 1990 (cosiddetta Legge Martelli) ed il suo regolamento di attuazione, che contengono le norme sulla procedura di esame delle domande, sul trattamento dei richiedenti in pendenza della decisione ed istituiscono la Commissione Nazionale per il riconoscimento dello status di rifugiato;

l’articolo 20 della legge 286 (cosiddetta Turco-Napolitano) che dispone in merito all’asilo umanitario (o protezione temporanea) per afflussi straordinari di persone provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione europea e legati a conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità;

la convenzione europea di Dublino del 15 giugno 1990, che determina lo Stato membro responsabile dell’esame della domanda di asilo. Tale Convenzione, vigente tra gli Stati membri dell’Unione Europea, è finalizzata a determinare lo Stato competente per l’esame delle domande d’asilo, allo scopo di ridurre i casi di domande multiple, presentate dalla stessa persona in più di un Paese;

va sottolineato inoltre che l’Italia partecipa attivamente al dibattito in corso in ambito europeo in tema di diritto di asilo.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam la materia concernente l’asilo è divenuta infatti di competenza comunitaria. Al riguardo, il processo di armonizzazione europea ha ricevuto un nuovo impulso dal recente Consiglio europeo di Siviglia che ha fissato scadenze precise per l’adozione di una normativa comune minima in tema di criteri di determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo (trasformazione in regolamento della Convenzione di Dublino, dicembre 2002); procedure minime di riconoscimento e revoca dello status di rifugiato (direttiva, dicembre 2003); attribuzione della qualifica di rifugiato e contenuto dello status di protezione (direttiva, giugno 2003); accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (direttiva, accordo politico già raggiunto).

Si tratta, quindi, di un impianto normativo completo che è stato peraltro integrato dalla legge n. 189 del 30 luglio 2002 (cosiddetta Bossi-Fini, articoli 18, 19).

In attesa dell’entrata in vigore del regolamento relativo agli articoli 18-19 della legge n. 189 del 2000, le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato politico presentate in Italia seguono la procedura ordinaria prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1990, n. 136 e dalla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990.

Da ultimo va ricordato che il Consiglio dell’Unione Europea Affari generali e relazioni esterne del 27 gennaio 2003 ha formalmente approvato la proposta di direttiva recante norme minime per l’accoglienza dei richiedenti asilo dell’aprile 2001, dopo che nel Consiglio del 28 novembre 2002, era stato raggiunto l’accordo politico.

La direttiva prevede che ai richiedenti asilo in attesa della conclusione dell’esame della propria richiesta sia garantito un alloggio, cibo, vestiario e un sostegno economico per le spese giornaliere oltre a cure mediche, informazioni e accesso alla scuola.

Gli aspetti della direttiva più deboli sono quelli relativi all’accesso al lavoro ed al trattamento dei familiari. In altre parole continua ad essere impedito, durante tutto il tempo di attesa, l’accesso al lavoro regolare. Questo significa che, nel tempo medio statistico di oltre un anno di attesa in Italia, queste persone non hanno la possibilità di lavorare in regola ma sono di fatto costrette al lavoro nero.

Altra questione non risolta è la possibilità di farsi raggiungere dai propri cari, poiché si prevede che la procedura di ricongiunzione familiare non possa avere luogo per tutto il tempo di perfezionamento della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. Questa direttiva europea sull’asilo dovrà essere trasposta negli ordinamenti nazionali entro gennaio 2005.

 

Le modifiche apportate dalla Legge Bossi-Fini

 

In Dottrina è stato sostenuto come "il tentativo della nuova legge c.d. Bossi-Fini sulla immigrazione è certamente quello di conciliare innegabili esigenze di ordine pubblico con il riconoscimento dei diritti costituzionalmente garantiti ai richiedenti asilo nel nostro Paese".

E ancora, sebbene da una parte resta fermo il diritto garantito dall’art. 10 della Costituzione, dall’altra pesa l’esperienza pratica derivante dalla applicazione in concreto della normativa in materia che ha fatto registrare non pochi casi di strumentalizzazione delle procedure di accertamento del richiesto status di rifugiato politico al fine di evitare l’allontanamento dal territorio nazionale da parte di soggetti irregolari.

Il Legislatore nella riforma ha stabilito che a regolare il riconoscimento dello status di rifugiato sopravvivesse l’art. 1 della Legge 28/2/1990 n. 39 (Legge Martelli) al quale si sono aggiunti nella Legge Bossi Fini gli artt. 1 bis, 1 ter, 1 quater, 1 quinques, 1 sexies e 1 septies.

Va ricordato che l’’art. 1 della Legge Martelli aveva previsto la realizzazione, a cura delle Regioni e dei Comuni più rilevanti, la creazione di centri di prima accoglienza e di servizi per gli stranieri immigrati, esuli e loro familiari nonché la concessione da parte del Ministero dell’Interno, ai richiedenti, di un contributo economico pure modesto e per un tempo limitato.

Occorre quindi evidenziare come, modificando il vecchio assetto normativo, il Legislatore con l’art. 89 della Legge 189/2002 ha espressamente abrogato il comma 7 dell’art. 1 della Legge Martelli che stabiliva tale contributo.

Inoltre, anche in base alla nuova Legge, resta fermo il disposto dell’art. 1, comma 4 della Legge Martelli nella parte in cui fa divieto di chiedere il riconoscimento dello statuto di rifugiato allo straniero che:

sia stato riconosciuto rifugiato in un altro Stato

provenga da uno Stato,diverso da quello di provenienza, che abbia aderito alla Convenzione di Ginevra

si trovi nelle condizioni previste dall’art. 1, paragrafo F della Convenzione di Ginevra;

sia stato condannato in Italia per un delitto per il quale sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380, commi 1 e 2 CPP) o risulti pericoloso per la sicurezza dello Stato.

In tali casi la domanda deve essere ritenuta inammissibile. Analogamente inammissibile deve ritenersi la domanda avanzata dallo straniero colpito da provvedimento di espulsione sebbene l’art. 1 bis della Legge Martelli preveda la possibilità, in tali casi, di ricorrere alla procedura semplificata per i richiedenti asilo. Avverso la decisione di respingimento assunta in base ai comma 4 e 5 dell’art. 1 della Legge Martelli è ammesso ricorso giurisdizionale.

L’art. 31 della Convenzione di Ginevra fa divieto di applicare sanzioni penali allo straniero che, per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, sia entrato clandestinamente nel territorio dello Stato ma prevede l’obbligo per le autorità competenti di consentirne provvisoriamente la presenza onde avviare la procedura di riconoscimento dello status. Il procedimento di riconoscimento viene attivato su istanza motivata e documentata e presentata dall’interessato alla polizia di Frontiera.

In attesa della regolamentazione delle procedure introdotte, si ritiene che tale istanza vada avanzata entro gli otto giorni previsti dall’art. 5 comma 2 del TU per regolarizzare la posizione di soggiorno. Trascorso detto termine deve ritenersi che l’istanza sia da considerarsi tardiva.

 

Le nuove procedure introdotte per il riconoscimento di status di rifugiato

 

La nuova legge definisce una procedura semplificata per l’esame delle domande di asilo, che si applica nei casi stabiliti dalla legge, con termini ristretti per l’esame delle domande di asilo, che si applica nei casi stabiliti dalla legge, asilo, che si applica nei casi stabiliti dalla legge, con termini ristretti per l’esame e l’eventuale riesame delle decisioni, competenti ad esaminare le domande oggetto della procedura semplificata sono le Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato, di nuova istituzione;

Il funzionamento delle commissioni territoriali e della Commissione Nazionale per il diritto di asilo, che prenderà il posto della commissione centrale è oggetto di uno specifico regolamento di attuazione previsto dalla legge n. 189 attualmente in corso di elaborazione;

A fronte delle lungaggini derivanti dall’accertamento di competenza della Commissione Centrale di cui al DPR 136/1990 a causa dell’elevato numero delle richieste avanzate dagli "asilanter" dopo i vari conflitti bellici che hanno mutato il quadro istituzionale nei Balcani,in Medio Oriente e nei Paesi dell’Est, il Legislatore ha ritenuto di introdurre alcune importati modifiche all’impianto normativo precedente.

La competenza in materia è stata quindi parcellizzata in varie commissioni territoriali che, tuttavia, sono vincolate alle direttive ed ai provvedimenti di coordinamento dell’unica Commissione Nazionale (già Commissione Centrale) introdotta dall’art. 1 quinques della Legge Martelli. L’istituzione delle commissioni locali è stata introdotta con l’art. 1 quater della Legge 39/1990. Esse sono nominate con decreto del Ministero dell’Interno e presiedute da un funzionario di Prefettura. La Commissione nazionale mantiene compiti di indirizzo e coordinamento delle commissioni territoriali, di formazione ed aggiornamento dei componenti,di raccolta dei dati statistici oltre che un potere di revoca e cessazione dei provvedimenti di status concessi.

Ai sensi dell’art. 1 bis, comma 1, il richiedente asilo non può essere trattenuto al solo fine di esaminare l’istanza inoltrata. Tuttavia la norma concerne lo straniero che giunga alla frontiera con i documenti in regola. In caso contrario, lo straniero può essere trattenuto per il tempo strettamente necessario alla definizione delle autorizzazioni. Il trattenimento diviene obbligatorio,ai sensi del comma 2,se il richiedente sia già stato segnalato per provvedimenti a suo carico.

Per quanto riguarda il trattenimento di coloro che presentano domanda di asilo pur essendo destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento,si osservano le norme di cui all’art. 14 del TU.

In tal caso, il Questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo necessario presso il Centro di permanenza temporanea più vicino e con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Vanno quindi assicurati il riconoscimento dei diritti civili,la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’estero e l’esercizio del diritto di difesa oltre ai contatti con i rappresentanti dell’ACNUR e degli organismi autorizzati dal Ministero dell’Interno.

Il Questore ha l’obbligo di trasmettere copia del provvedimento di espulsione al Giudice del luogo entro le 48 ore. Il Giudice, sentito l’interessato, ove ritenga la sussistenza dei presupposti per la espulsione,convalida il provvedimento. Il provvedimento cessa di avere efficacia ove non venga convalidato dal Giudice nelle 48 ore successive.

La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Detto termine può essere prorogato dal Giudice di altri trenta giorni laddove insorgano problemi di identificazione dello straniero. I decreti di convalida o di proroga sono ricorribili per Cassazione ma il ricorso non sospende la esecuzione della misura. Un permesso di soggiorno temporaneo può essere concesso allo straniero dal Questore fino al termine della procedura semplificata per l’ottenimento dell’asilo politico. Tornando alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato, va sottolineato come la nuova Legge abbia introdotto la competenza delle Commissioni territoriali in luogo della Commissione nazionale. Queste hanno la competenza, sia per la procedura ordinaria ai sensi dell’art. 1 quater della legge 39/1990, oppure lo straniero potrà avvalersi della procedura semplificata introdotta dall’art. 1 ter.

 

La procedura ordinaria

 

Dopo l’assunzione delle dichiarazioni e di un sommario primo esame degli elementi allegati alla istanza, il Questore, entro due giorni dal ricevimento della istanza, la trasmette alla Commissione territoriale che entro trenta giorni provvede all’audizione dello straniero. La decisione è adottata entro i successivi tre giorni. Le decisioni della commissione vengono adottate con atto scritto e motivato e le dichiarazioni dello straniero vanno verbalizzate.

Il provvedimento assunto dalla Commissione deve quindi avere una motivazione congrua e logica e tenere conto della istruttoria esperita. Nel caso di riconoscimento viene rilasciato al richiedente un apposito certificato che costituisce presupposto per il rilascio del permesso di soggiorno da parte della Questura competente per territorio.

Con il riconoscimento, lo straniero acquista i diritti stabiliti dagli artt. 1 e 18 della Convenzione di Ginevra, e può svolgere attività lavorativa sia subordinata che autonoma oltreché acquisire la cittadinanza dello stato ospitante ai sensi della Legge 91/1992. In caso di rigetto della istanza,lo straniero deve lasciare il territorio nazionale. La decisione finale va notificata all’interessato unitamente ad una informazione, nella lingua da lui conosciuta, sulle modalità di impugnazione. La decisione è impugnabile dinanzi a al Tribunale Ordinario territorialmente competente.

Il ricorso va inoltrato entro 15 giorni ma non sospende la esecuzione del provvedimento tranne che il Prefetto, su istanza del richiedente, lo autorizzi a rimanere sul territorio dello Stato sino all’esito del ricorso,con ciò sottraendo al Giudice ogni decisione sulla sospensione.

 

La procedura semplificata

 

L’art. 1 ter della l. 39/1990 ha introdotto una procedura ancora più snella laddove ricorrano due ipotesi:

nel caso i cui l’istanza di asilo pervenga da uno straniero fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera

nel caso in cui la domanda pervenga da uno straniero già destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento.

L’istruttoria e l’audizione dell’interessato resta invariata come pure i tempi di trasmissione della istanza da parte del Questore. L’esame ella domanda segue un iter accelerato di 15 giorni e la decisione viene adottata dalla Commissione territoriale entro i successivi tre giorni.

Lo straniero viene trattenuto nei Centri di permanenza temporanea e assistenza istituiti dall’art. 14 del TU. Nel caso in cui lo straniero si trovi già presso uno di detti centri,il Questore chiede al Tribunale la proroga della misura per ulteriori trenta giorni per consentire il completamento della procedura semplificata.

Ove la procedura non sia conclusa nei termini previsti, l’art. 1 bis della Legge Martelli prevede infatti la possibilità per lo straniero di ottenere un permesso di soggiorno temporaneo siano alla emanazione del provvedimento. Valgono le stesse norme sulla presentazione dei ricorsi avverso le decisioni di rigetto assunte dalla Commissione territoriale. Anche in questo caso la decisione di rigetto è immediatamente esecutiva, salvo ad ottenere dal Prefetto lai sospensione del provvedimento.

 

L’espulsione dello straniero

 

Una volta divenuta esecutiva la decisione, la espulsione dello straniero segue regole ben precise. Nella disciplina previgente alla legge 30 luglio 2002, n. 189, l’espulsione consisteva in un’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro 15 giorni, salvo specifici casi di accompagnamento alla frontiera ricollegabili, per la stragrande maggioranza, a casi di mancata ottemperanza all’intimazione già disposta. La legge 189/2002 afferma, invece, il principio generale della immediata esecutività del decreto di espulsione "l’espulsione è disposta con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato".

Il metodo ordinario di esecuzione dei provvedimenti di espulsione è rappresentato quindi dall’accompagnamento dello straniero alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Quando non sia possibile l’accompagnamento alla frontiera, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio nazionale entro il termine di cinque giorni.

Il comma 5 bis della legge 189/2002 prevede che nei casi in cui è necessario l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, il questore comunica immediatamente, e comunque non oltre le quarantotto ore, il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento, al tribunale in composizione monocratica territorialmente competente, che lo convalida nelle successive quarantotto ore. L’espulsione dello straniero è disposta dal Prefetto nei casi previsti dall’articolo 13, comma 2, ed in quelli previsti dall’articolo 5, comma 7, e dall’articolo 9, comma 5, T.U. immigrazione, mentre la residua ipotesi dell’espulsione per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale è disposta dal Ministro dell’Interno. L’esecuzione dell’espulsione è curata dal Questore.

Il secondo comma dell’articolo 13 T.U. immigrazione disciplina l’espulsione disposta dal Prefetto ed individua nelle lettere a), b) e c) i presupposti per l’adozione del decreto di espulsione.

Il primo presupposto riguarda l’ipotesi che uno straniero sia entrato nel territorio nazionale sottraendosi ai controlli di frontiera e non sia stato respinto ai sensi dell’articolo 10 T.U.

Il secondo presupposto è costituito dalla mancata richiesta del permesso di soggiorno entro otto giorni lavorativi nonché dalla permanenza sul territorio nazionale quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o è scaduto da oltre sessanta giorni.

Il terzo presupposto concerne l’appartenenza ad una delle categorie di persone contro le quali può essere richiesta l’applicazione di misure di prevenzione; si tratta di ipotesi di sospetto molto generiche che devono essere corroborate da elementi di riscontro gravi precisi e concordanti e cioè devono riguardare:

coloro per i quali debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;

coloro per i quali per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto che vivono abitualmente, anche in parte, con proventi di attività delittuose

Può essere espulso lo straniero che sia indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre organizzazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.

In due casi di espulsione è tuttora prevista l’intimazione a lasciare il territorio nazionale entro quindici giorni:

per lo straniero il cui permesso di soggiorno è scaduto da oltre sessanta giorni e non è stato richiesto il rinnovo, e sempre che non sussista pericolo che lo straniero si sottragga all’esecuzione dell’intimazione, nel qual caso è disposto l’accompagnamento;

quando non è possibile trattenere lo straniero nei centri di permanenza, ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza che sia stata eseguita l’espulsione o il respingimento.

Nel caso di persona sottoposta a procedimento penale occorre il nulla osta del Giudice competente (in relazione allo stato del procedimento) che è rilasciato salvo inderogabili esigenze processuali.

Costituiscono impedimenti al rilascio del nulla osta:

la sussistenza di inderogabili esigenze processuali;

lo stato di custodia cautelare dello straniero;

il procedimento penale è relativo a reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del cpp e a reati previsti dall’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione.

Lo straniero espulso è rinviato allo Stato di appartenenza ovvero di provenienza. Lo straniero non può rientrare in Italia senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’Interno. Il divieto di rientro operi a per un periodo di dieci anni (in luogo dei cinque anni in precedenza previsti.

Nel decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in Italia. Il divieto di rientro dello straniero espulso decorre dalla data di esecuzione dell’espulsione; pertanto, al fine di poter verificare l’uscita dello straniero dal territorio nazionale è necessario che lo straniero inviti gli Uffici di frontiera ad apporre sul passaporto il timbro di uscita. Avverso l’espulsione è possibile per lo straniero chiedere la tutela giurisdizionale.

La tutela giurisdizionale è assicurata:

davanti al Giudice ordinario, relativamente ai provvedimenti di espulsione disposti con decreto del Prefetto. Il ricorso, che è esente da ogni tassa ed imposta e che può essere sottoscritto personalmente dallo straniero, deve essere presentato davanti al Tribunale in composizione monocratica del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione. Il ricorso può essere presentato anche attraverso la rappresentanza diplomatica o consolare italiana, presente nel paese di destinazione dello straniero. Il ricorso deve essere proposto entro il termine di sessanta giorni dalla notifica del provvedimento e il Tribunale decide entro venti giorni dal deposito del ricorso. La norma non prevede più l’obbligo di sentire l’interessato;

davanti al Giudice amministrativo, relativamente al decreto di espulsione emanato dal Ministro dell’Interno.

Infine, l’articolo 15 e l’articolo 16 del Testo unico sull’immigrazione prevedono l’espulsione a titolo di misura di sicurezza e l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione con i mezzi di tutela ivi previsti.

 

I divieti di espulsione

 

L’articolo 19 T.U. immigrazione stabilisce il divieto di espulsione per particolari categorie di stranieri, rimanendo pur sempre adottabile nei loro confronti l’espulsione disposta dal Ministro dell’Interno per ordine pubblico e sicurezza dello Stato, e cioè:

degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell’articolo 9 T.U. immigrazione;

degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulso. È previsto il rilascio di un permesso di soggiorno per minore età. Tale soggiorno viene rilasciato solo in via residuale e qualora non si verifichino situazioni non riconducibili ad altre tipologie di soggiorno già previste dalla normativa in vigore (ad esempio: per motivi familiari, adozione, affidamento);

degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o con il coniuge di nazionalità italiana. Nel caso in cui non possono beneficiare di un autonomo titolo di soggiorno (ad esempio lavoro, studio, eccetera) viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi familiari. Lo straniero deve documentare oltre al rapporto di parentela, ma non di affinità, anche lo stato di convivenza. La parentela è il vincolo di sangue che unisce due persone. È in linea retta allorché l’una è generata dall’altra; è in linea collaterale allorché, pur non essendo generata l’una dall’altra, vi è discendenza di un capostipite comune. Nella varie linee si calcolano i gradi di parentela che indicano la prossimità o meno del vincolo. I gradi si computano tenendo conto delle generazioni che intercorrano tra le persone stesse;

delle donne straniere in stato di gravidanza, e nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono. In tal caso è rilasciato un permesso di soggiorno per salute/cure mediche. Il Ministero dell’Interno, con circolare 12 settembre 2000, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 376/2000, ha previsto il rilascio del suddetto permesso di soggiorno anche a favore del padre sempre che venga dimostrato lo stato di coniugio e lo stato di convivenza. Trattandosi di stranieri irregolari sarà sufficiente un’autocertificazione.

 

L’espulsione del richiedente asilo politico

 

Dopo avere esaminato le varie ipotesi di espulsione in via amministrativa e giudiziaria introdotte dalla Legge Bossi Fini,occorre soffermarsi sulla fattispecie della espulsione dello straniero richiedente asilo. Come si è visto in precedenza, la espulsione consegue al diniego della domanda inoltrata in via ordinaria o a seguito di procedura semplificata. Non è ammessa la espulsione dello straniero anteriormente alla definizione in via amministrativa della istanza di asilo avanzata dallo stesso. La espulsione inoltre non risulta ammissibile in pendenza di ricorso davanti al Giudice ordinario avverso il rigetto della decisione.

Discutibile appare l’impianto normativo che demanda al Prefetto la eventuale sospensione della esecuzione del provvedimento e non già al Giudice Ordinario che,invero, dispone degli elementi di valutazione anche desumibili dal ricorso per assumere tale importante decisione. Potrebbe infatti accadere che il ricorrente sia espulso ed il ricorso sia accolto quando già lo straniero abbia lasciato il territorio dello Stato, come potrebbe accadere che lo straniero lasci il territorio dello Stato senza poter presenziare all’udienza e rendere dichiarazioni a sostegno della domanda proposta.

Né risulta efficace il disposto dell’art. 17 della Legge 189/2002 che consente allo straniero, imputato o parte offesa, di rientrare in Italia su ordine dell’Autorità giudiziaria procedente in caso di procedimento penale a carico e non già per prendere parte ed esercitare la difesa all’udienza di esame del ricorso avverso la decisione di espulsione.

La norma dell’art. 17, infatti, benché riformulata dal Legislatore, non contempla alcuna ipotesi in tal senso con la conseguenza che lo straniero espulso rimane privo di ogni tutela giudiziaria e dell’esercizio del diritto di difesa,demandato,sia pure, al difensore nominato all’atto del ricorso.

Altra questione è se il richiedente asilo possa essere espulso in presenza della violazione dell’art. 380 e 381 del CPP. La norma dell’art. 9, comma 3, del TU prevede il rilascio della carta di soggiorno anche al richiedente asilo salvo che lo stesso non sia stato rinviato a giudizio per i delitti di cui alle norme citate ovvero sia pronunciata sentenza di condanna anche non definitiva. In tali casi il Questore può disporre la revoca del permesso se è stata emessa sentenza di condanna anche non definitiva per tali reati. Avverso tale provvedimento è ammesso il ricorso al TAR competente,mentre avverso la espulsione risulterebbe competente il Tribunale Ordinario.

Si tratterebbe,quindi, di una ipotesi residuale di ricorso al TAR avverso un provvedimento di revoca del soggiorno oltre a quella prevista per la espulsione disposta dal Ministro degli Interni del tutto fuori luogo,stante la immediatezza del rito dinanzi al Giudice ordinario. Discutibile risulta l’impianto normativo che non discrimina in tale ipotesi la posizione del richiedente asilo rispetto ad altri soggetti, pure attinti da provvedimenti giudiziari, ma che rende eseguibile una sentenza non definitiva avverso la quale il soggetto è abilitato a proporre impugnazione.

Si tratterebbe, ancora una volta, di palese violazione del diritto di difesa costituzionalmente protetto. Sulla base della Costituzione, non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.

In ogni caso non è consentita l’espulsione né il respingimento alla frontiera dello straniero verso uno Stato in cui può essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione. Sulla base della Convenzione di Ginevra,sussiste il divieto assoluto di espulsione del rifugiato "verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate."

 

Le decisioni dei Tribunali

 

La Cassazione ha di recente sostenuto, in tema di espulsione che Questa S.C. ha ripetutamente affermato la necessità che sia sentito l’interessato (tra le varie, cfr. Cass. 16 luglio 2002, n. 10303; 5 dicembre 2001, n. 15413; 9 novembre 2001, n. 13865; 17 novembre 2000, n. 14902), desumibile sia dalla trascritta disposizione normativa, sia (dato il carattere indubbiamente contenzioso del procedimento) dallo stesso principio del contraddittorio che impone (art. 4 del D. Lgs. 13 aprile 1999, n. 113, che introduce l’art. 13 bis nel D. Lgs. n. 286 del 1998) la notifica, a cura della cancelleria, del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza in camera di consiglio all’autorità emittente. Decreto che, peraltro, va comunicato allo straniero per ragioni di coerenza con il modello procedimentale richiamato (gli artt. 737 e segg. c.p.c. impongono l’audizione degli interessati), nonché per fatto che l’art. 3, comma primo, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, dispone che "le comunicazioni dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria relative ai procedimenti giurisdizionali previsti dal testo unico e dal presente regolamento sono effettuate con avviso di cancelleria al difensore nominato dallo straniero o a quello incaricato di ufficio".

La audizione prescritta nei sudescritti termini e modi di legge non può ritenersi soddisfatta da alcun altro atto equivalente, tanto meno dall’audizione avvenuta ad opera dell’autorità amministrativa presso il Centro di accoglienza. Il decreto del prefetto che respinge l’istanza di revoca del provvedimento di espulsione di uno straniero è soggetto a controllo giurisdizionale, che compete all’autorità giudiziaria investita del potere di sindacare la legittimità del provvedimento di espulsione di cui è stata chiesta la revoca.

La Cassazione ha inoltre sancito che l’art. 2 del d.lgs. 286/98 riconosce ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi, non solo i diritti fondamentali della persona umana, previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti, ma anche parità di trattamento con il cittadino, relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi nei rapporti con la pubblica amministrazione; che, alla stregua di tali premesse, appare evidente che anche le decisioni adottate sulle istanze di revoca dei provvedimenti di espulsione (e, come tali, dirette ad incidere sulla concreta operatività di tali misure) sono assoggettate a controllo giurisdizionale; controllo che, per ragioni di coerenza sul piano sistematico e di effettività della tutela delle situazioni soggettive garantite, deve ritenersi riservato all’autorità giudiziaria investita del potere di sindacare la legittimità del provvedimento di espulsione di cui è stata chiesta la revoca. La Corte Costituzionale ha,inoltre, stabilito che non sussiste alcuna discrezionalità del prefetto in materia di espulsione degli stranieri.

La Corte ha ritenuto fondate le censure del Tribunale di Vincenza, sollevate con due ordinanze di analogo contenuto in data 13 marzo 2001 (n. 656 e n. 657 del 2001), emesse nel corso di procedimenti civili promossi da stranieri che avevano proposto ricorso avverso il decreto di espulsione. Il Tribunale di Vicenza, in composizione monocratica, aveva sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non prevede che "nella pronuncia del decreto di espulsione, il prefetto debba tenere conto della sussistenza di condizioni attuali dello straniero che legittimino la concessione dei titoli autorizzativi all’ingresso e alla permanenza nel territorio dello Stato";

Quanto alla rilevanza, nelle ordinanze di rimessione si osserva che i ricorrenti hanno prospettato situazioni personali, quali la occupazione lavorativa e la disponibilità di un alloggio, che sarebbero astrattamente idonee, nell’ambito delle quote di ingresso, a legittimare la loro presenza in Italia, ma la disposizione censurata non permetterebbe di ritenere esistente un potere discrezionale del prefetto in materia di espulsione, in quanto, una volta accertata l’esistenza dei presupposti previsti, l’emanazione da parte sua del decreto di espulsione dovrebbe considerarsi automatica;
Ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione di attenuazioni della automaticità della espulsione quando lo straniero abbia dimostrato di versare in una situazione che legittimerebbe la sua permanenza in Italia, violerebbe i principi di solidarietà e di accoglienza di cui all’art. 2 della Costituzione, principî che costituirebbero "l’approccio principale" del testo unico sull’immigrazione, e sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, in quanto lo straniero in possesso dei requisiti per la concessione del permesso di soggiorno al momento della pronuncia del decreto di espulsione subirebbe un trattamento diverso e peggiore rispetto a quello riservato a colui che versi nella stessa situazione di fatto, ma abbia, a monte, il titolo di permanenza.

 

Conclusioni

 

In definitiva, anche alla luce delle decisioni delle varie magistrature investite del problema, la materia dell’asilo politico appare meritevole di numerosi chiarimenti in sede di applicazione specie con riferimento alla posizione del richiedente in attesa delle decisioni delle Commissioni investite delle numerose richieste sin qui avanzate. Tali procedure devono comunque prevedere la sospensione dei provvedimenti di espulsione sino al termine delle procedure medesime sia ordinarie che semplificate e, comunque, sino all’esito dei ricorsi giurisdizionali previsti avverso il rigetto delle istanze avanzate dai richiedenti asilo.

Vanno comunque garantiti il diritto di difesa ed il controllo giurisdizionale in tali casi e comunque il diritto alla sospensione del provvedimento di espulsione da parte del Giudice Ordinario, non potendosi ammettere alcuna discrezionalità in capo ai Prefetti in materia.

 

 

Ostuni, agosto 2003

 

 

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