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Stragi pianificate di Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo) Come le misure di contrasto della clandestinità si trasformano in strumenti di morte
Melting Pot, 13 settembre 2005
La strage che si è verificata nella notte tra il 10 e l’11 settembre 2005 davanti alle coste siciliane in prossimità di Gela, le decine di migranti annegati nel Canale di Sicilia, provenienti dal Corno d’Africa, quindi tutti potenziali richiedenti asilo costretti ad affidarsi agli scafisti da leggi disumane e da prassi amministrative arbitrarie, ripropongono il fallimento delle politiche di contrasto dell’immigrazione clandestina, politiche che si caratterizzano sempre più per la continua violazione dei diritti fondamentali della persona umana. Le migliaia di migranti che perdono la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa sono vittime del sistema dei controlli dei "flussi migratori" come se le vite delle persone fossero gocce insignificanti che colano da un rubinetto chiuso male. Le stragi di migranti vengono utilizzate come "deterrente" nei confronti dei disperati in fuga dalle regioni più povere e martoriate del mondo, esattamente come l’annuncio di misure sempre più rigorose nei confronti dell’immigrazione clandestina dovrebbe tranquillizzare l’opinione pubblica. Tutto, ancora una volta, sulla pelle di uomini, donne, sempre più spesso minori, in fuga da quelle guerre e da quei conflitti etnici che i paesi più ricchi sfruttano per acquisire al prezzo più basso le risorse naturali di cui hanno bisogno per le proprie economie. Le stragi di "clandestini" - ormai eventi periodici largamente prevedibili soprattutto all’arrivo delle perturbazioni autunnali - non sono dunque effetto di disgrazie o del cinismo dei trafficanti di esseri umani, ma una conseguenza diretta delle politiche dei governi europei che stanno chiudendo ogni possibilità effettiva di ingresso legale in Europa, sia per i cd. migranti economici che per i richiedenti asilo. Le normative comunitarie e nazionali sul diritto di asilo sono sempre più restrittive ed animate dall’unica preoccupazione che tra gli asilanti si nascondano i terroristi. Persino le richieste della Corte Europea dei diritti dell’uomo sono ignorate da governi preoccupati solo di mostrare il pugno di ferro nei confronti dei "clandestini". La Gran Bretagna è giunta a richiedere la modifica della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo perché sarebbe troppo garantista nei confronti dei migranti, altri paesi sono già arrivati alla sua sostanziale disapplicazione. Il governo italiano, tra questi, malgrado gli ordini di sospensione giunti da Strasburgo, ha continuato a deportare impunemente migranti verso paesi come la Libia e l’Egitto dove non sono garantiti i diritti fondamentali. Non appena i centri di detenzione sono sovraffollati (assai spesso) si continua a fare ricorso alla pratica illegale delle espulsioni collettive.
Uno dei dati più preoccupanti delle attuali politiche migratorie è il clima di crescente sospetto nei confronti dei richiedenti asilo ed il tentativo di limitare il loro ingresso nei paesi di destinazione, applicando nei loro confronti respingimenti immediati, deportazioni verso i paesi di transito, misure prolungate e discrezionali di detenzione amministrativa. A questo scopo si riducono al minimo i controlli dei giudici sul "trattenimento nei centri di permanenza temporanea (CPT), o nei nuovi centri di identificazione (CDI). I respingimenti e le espulsioni avvengono nella massima segretezza, nessuno deve conoscere la destinazione dei voli che decollano da Lampedusa, da Catania o da Crotone, come se nascondere la illegalità servisse ad evitare il discredito e le proteste. Dopo il diniego, anche i richiedenti asilo considerati immediatamente come migranti irregolari rischiano il respingimento senza alcuna possibilità di ricorso effettivo. In questo senso l’Italia ha anticipato il peggio delle nuove direttive comunitarie in materia di status e di procedure di asilo. Direttive comunitarie fortemente volute non solo dalla Lega e dai partiti di destra, ma, in prima linea, dal ministro degli interni e dai suoi colleghi francesi e inglesi (riuniti nel cd. GAI- gruppo di ministri dei paesi comunitari che trattano di Giustizia e affari interni). Anche se il Parlamento europeo ha condannato le espulsioni collettive verso la Libia, gli esperti della sicurezza e dell’ordine pubblico continuano a pianificare forme sempre più raffinate e violente di allontanamento forzato dei migranti giunti irregolarmente in Europa. Negli ultimi mesi un contributo decisivo per favorire le deportazioni verso la Libia viene fornito dall’OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni) che interviene direttamente in quel paese, collaborando nel successivo rimpatrio dei migranti respinti in Libia dall’Italia. La violazione dei diritti fondamentali dei migranti e, in particolare, dei richiedenti asilo, è assai frequente anche a causa delle definizioni legislative sempre più generiche che affidano al potere esecutivo ed alla autorità di polizia il potere di incidere sullo status delle persone senza rispettare le garanzie dello stato di diritto e riducendo al minimo, spesso ad una mera formalità, i controlli giurisdizionali. I centri di detenzione amministrativa vengono chiamati "centri di accoglienza", i potenziali richiedenti asilo sono definiti come "clandestini", anche se provengono da paesi come la Somalia e l’Eritrea dai quali è evidente provengono persone bisognose di protezione internazionale. Le questure italiane, piuttosto che informare sulla possibilità di chiedere asilo procedono alla adozione dei provvedimenti di espulsione, notificandoli sempre all’ultimo momento in modo da impedire il diritto di difesa ed il diritto di chiedere asilo. Molti richiedenti asilo sono considerati come "clandestini", e come "clandestini" trattati, anche quando è chiara la loro provenienza, anche dopo le stragi più tragiche, come è successo in diverse occasioni in provincia di Agrigento.
Questa mistificazione terminologica corrisponde ad una scelta politica precisa, di occultamento dei fatti e di strumentalizzazione dell’egoismo sociale, una politica che si basa sul controllo dei mezzi di informazione, producendo effetti devastanti sul cd. senso comune dei cittadini. Si agita lo spauracchio delle domande di asilo "strumentali" quando non si è neppure in grado di fornire ai centri di detenzione interpreti ufficiali, e quando le identificazioni avvengono con mezzi impropri, anche attraverso sedicenti mediatori culturali, come a Lampedusa, che improvvisamente spariscono prima delle visite dei parlamentari che vogliono verificare la correttezza delle procedure di trattenimento nei centri di permanenza temporanea. Basterebbe coinvolgere associazioni indipendenti e le comunità già residenti nel nostro territorio per giungere ad identificazioni certe, ma neppure la identificazione sembra interessare veramente, l’importante e trovare un paese (adesso la Libia) che, in cambio di ingenti vantaggi economici, accetti di "riprendersi" anche migranti di altri paesi. Le vere identificazioni, con i mezzi ben noti alle polizie di tutti i paesi autoritari, avverranno nello stato di transito, dopo la deportazione dall’Italia, e manette e manganelli convinceranno anche i più riottosi a dichiarare la propria nazionalità. A quel punto sarà possibile restituirli al paese di origine, in violazione a tutte le convenzioni internazionali. In sostanza l’Italia e gli altri paesi europei che condividono le politiche di riammissione praticano una vera e propria esternalizzazione della tortura e non si curano dei trattamenti inumani e degradanti subiti dai potenziali richiedenti asilo respinti dall’Europa. Senza alcuna preoccupazione che scatti qualche denuncia alla Corte Europea dei diritti dell’uomo o al Parlamento Europeo.
In molti casi, gli accordi di riammissione hanno consentito la esecuzione di vere e proprie espulsioni collettive, vietate dalle convenzioni internazionali, in quanto le forme di riconoscimento sono state tanto sommarie da non consentire neppure una attribuzione certa della nazionalità. Malgrado la natura formalmente individuale dei provvedimenti di respingimento o di espulsione, centinaia di persone sono state deportate dall’Italia, anche da Lampedusa, verso la Libia, senza avere riconosciuto il diritto ad un esame individuale della loro posizione. La recente decisione della Corte di Cassazione italiana, secondo la quale, per escludere il respingimento collettivo sarebbero sufficienti provvedimenti individuali notificati agli interessati, costituisce l’ultimo escamotage per coprire abusi che sono all’attenzione della Corte Europea dei diritti dell’uomo che, nelle sue precedenti decisioni, ha invece ritenuto sussistere l’espulsione collettiva quando non vi è una identificazione certa della persona e quando i provvedimenti individuali hanno tutti il medesimo contenuto (esattamente come avviene ancora a Lampedusa).
Ma il degrado del diritto di asilo si è realizzato già nel restringimento dei casi di riconoscimento effettivo di questo diritto (ormai una percentuale minima delle domande di asilo si conclude con il riconoscimento dello status), con la introduzione dei cosiddetti regimi complementari di protezione umanitaria, regimi che in realtà avrebbero dovuto riferirsi a quelle persone che pur non rientrando nella definizione di rifugiato in base alle previsioni della Convenzione di Ginevra, non possono essere rimpatriate per il principio di non refoulement affermato dall’art. 33 della stessa Convenzione. Anche a molti profughi eritrei e somali, come quelli periti nelle acque del Canale di Sicilia, non si è riconosciuto il pieno diritto di asilo, ma soltanto uno status temporaneo di protezione umanitaria. La vera svolta in materia di immigrazione e asilo a livello comunitario, con una diversa attenzione verso i paesi dell’Europa orientale e verso i paesi della sponda sud del Mediterraneo si è verificata a partire dal maggio 2004, dopo l’allargamento dell’Unione Europea, e pochi mesi gli effetti di questa svolta sono stati enfatizzati durante il caso della nave tedesca Cap Anamur. Da questo periodo ad oggi le politiche comunitarie, spesso sulla base di procedure di "cooperazione rafforzata", sono apparse sempre più concentrate sul respingimento e sulla espulsione di tutti gli immigrati entrati irregolarmente nell’area Schenghen provenendo da sud, compresi buona parte dei richiedenti asilo e verso la stipula di accordi di riammissione multilaterali (gli ultimi sono stati conclusi con l’Albania e lo Sri Lanka). Gli aspetti unificanti delle politiche comunitarie sono ormai costituiti dal "controllo comune delle frontiere esterne", e dalla " politica comune in materia di immigrazione illegale". Su questo terreno, malgrado le statistiche ufficiali, si sono registrati clamorosi fallimenti dell’Unione Europea e dei governi che ne hanno orientato le scelte, in prima linea quello italiano, perché i paesi di frontiera della nuova Europa allargata a 25 stati, soprattutto Cipro e Malta, non sono stati in grado di applicare la Convenzione di Dublino ed il regolamento che pochi anni fa ne modificava la portata sostanziale. E’ fallito il tentativo di una distribuzione dei richiedenti asilo tra i diversi paesi comunitari, con l’adozione di forme di sostegno economico e di normative uniformi. Ormai le autorità maltesi, dopo accorati appelli di sostegno economico finiscono con l’ignorare il transito dei migranti dalle loro acque, ed i traffici degli scafisti sul loro territorio. Forse, anche per questa ragione in queste ultime settimane si stanno intensificando gli sbarchi nella Sicilia meridionale, "saltando" la rotta, ormai troppo sorvegliata ed a rischio di espulsione collettiva, verso Lampedusa. E per questo il rischio di stragi come quella di Gela aumenterà sempre di più. Ancora pochi giorni fa il Parlamento Europeo ha rinviato per l’ennesima volta il voto sulla direttiva che dovrebbe stabilire procedure uniformi per i richiedenti asilo. L’Italia è ancora l’unico paese europeo a non avere una legge organica sul diritto di asilo.
La gestione delle frontiere marittime è ormai una questione demandata ai poteri del Ministro degli interni. Le modalità di intervento delle unità della Marina militare italiana nelle acque internazionali e nelle "zone contigue" alle acque territoriali, previste dal Decreto del Ministero dell’Interno del 14 luglio del 2003 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 22 settembre 2003, affida a questo il coordinamento delle attività di contrasto a mare dell’immigrazione clandestina, e contiene disposizioni che contrastano con norme di diritto internazionale generale e con i trattati internazionali sottoscritti dall’Italia, fonti di rango superiore rispetto alla potestà legislativa nazionale, ed alle dubbie prassi che ne derivano. Le previsioni e le conseguenti prassi amministrative introdotte con questo decreto violano i diritti alla libertà ed alla sicurezza previsti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed in particolare gli artt. 3, 6, 8. Le nuove forme di contrasto dell’immigrazione clandestina rendono sempre più pericolose le rotte dei migranti che dal Nord-Africa cercano di raggiungere l’Italia, ma non arrestano le partenze come non hanno fermato le vittime della strage di Gela. Questi fallimenti, le pratiche informali di respingimento delle polizie di frontiera, i controlli sempre più serrati in acque internazionali, lo sbarramento sostanziale di tutte le vie di ingresso terrestri, come si è verificato in questi giorni in Marocco, nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, hanno gettato migliaia di potenziali richiedenti asilo nelle mani degli scafisti. Adesso non basta più la pietà per le vittime, occorre costruire con determinazione un fronte sempre più ampio che denunci gli abusi ed i fallimenti delle politiche di controllo e che sia capace di tracciare una nuova politica dell’immigrazione e dell’asilo. Mentre l’Europa si sfilaccia nella cura degli interessi particolari e degli egoismi nazionali l’Italia deve darsi finalmente una legge in materia di asilo che costituisca attuazione dell’art. 10 della Costituzione. Occorre aprire canali legali di ingresso per i richiedenti asilo, senza criminalizzare quanti sono costretti all’ingresso clandestino. Vanno stabilite procedure nelle quali sia riconosciuto il diritto di ricorso con effetto sospensivo dell’espulsione e del respingimento. Devono essere istituite vere strutture di accoglienza gestite dagli enti locali e dalle associazioni indipendenti che possono aiutare i richiedenti asilo nella formulazione delle domande di asilo fornendo i servizi necessari per l’assistenza e l’integrazione sociale. Per "salvaguardare" il diritto di asilo dovranno prevedersi nuovi canali di ingresso legale per ricerca di lavoro, solo in questo modo sarà possibile ridurre le domande cd. strumentali. Bisogna porre fine allo sfruttamento del lavoro precario dei migranti irregolari, con forme di regolarizzazione permanente, anche attraverso la auto denuncia del lavoratore. Una nuova politica che non sia una mera ridefinizione terminologica dell’esistente, ma che costituisca una svolta nella direzione della dignità e dei diritti fondamentali da riconoscere a tutti gli esseri umani, anche se hanno la sfortuna di varcare una frontiera senza documenti in regola.
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