Divieto d’espulsione

 

Gazzetta Ufficiale - 1ª Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 20 del 19 maggio 2004

 

Atti di promovimento del giudizio della Corte Costituzionale

Ordinanza n° 409 (Atto di promovimento) - 24 dicembre 2003

 

Ordinanza emessa il 24 dicembre 2003 dal tribunale di sorveglianza di Sassari sull’istanza proposta da Kabbab Khalid Straniero - Divieto d’espulsione - Estensione allo straniero pur non in regola con le norme disciplinanti il soggiorno, che abbia tutti i familiari regolarmente soggiornanti in Italia e non abbia più alcun legame familiare, sociale, culturale o linguistico con il paese d’origine - Mancata previsione - Violazione di diritto fondamentale della persona, del principio d’uguaglianza, delle norme sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo.

 

Il Tribunale di Sorveglianza

 

A scioglimento della riserva espressa all’udienza del 18 dicembre 2003, visti ed esaminati lì atti relativi all’impugnazione avverso il decreto d’espulsione a titolo di sanzione alternativa ai sensi dell’art. 16 d.lgs. n. 286/1998 modificato dall’art. 15 legge n. 189/2002, emesso in data 8 ottobre 2003 dal magistrato di sorveglianza di Nuoro proposto da Kabbab Khalid n. in Casablanca (Marocco) il 26 agosto 1982, già in detenzione domiciliare in Sassari Via Baldedda 12 int. H, in forza d’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Cagliari del 2 ottobre 2003 in relazione alla pena d’anni tre mesi tre di reclusione di cui al provvedimento di cumulo della Procura Tribunale Sassari in data 18 aprile 2002 n. 395/01, inizio pena 23 febbraio 2001, fine pena 2 marzo 2004; attualmente detenuto casa circondariale di Sassari;

Rilevato che l’impugnazione risulta proposta nel termine previsto dall’art. 16 d.lgs. n. 286/1998;

 

Osserva in fatto

 

Il detenuto espia la condanna indicata in epigrafe per reati contro il patrimonio non rientranti nella previsione di cui all’art. 407 comma 2 lett. a) e la pena residua da espiare non è superiore a due anni. La questura di Milano con nota del 23 luglio 2003 ha riferito che il detenuto è identificato in modo certo e che si trova in taluna delle situazioni indicate nell’art. 13 comma 2 d.lgs. n. 286/1998 (espulsione amministrativa), in quanto si è trattenuto nel territorio nazionale nonostante il permesso di soggiorno sia scaduto da più di sessanta giorni e che non risultano dagli atti situazioni inquadrabili nei divieti d’espulsione e di respingimento indicati nell’art. 19, d.lgs. n. 286/1998, in particolare egli non risulta essere oggetto di persecuzione nel Paese d’origine né che egli possa essere inviato presso altro Stato ove non sia protetto da persecuzione.

Il magistrato di sorveglianza di Nuoro l’8 ottobre 2003 ha disposto l’espulsione del soggetto dal territorio dello Stato. Il difensore del detenuto, nel domandare l’annullamento del provvedimento d’espulsione, nei motivi d’impugnazione ha riferito che il soggetto si trovava in detenzione domiciliare presso la madre, che i suoi congiunti - di cittadinanza marocchina - sono tutti regolarmente soggiornanti in Italia fin dal 1987, che il padre - separato dalla moglie - vive a Cinisello Balsamo ed esercita un’impresa di trasporti, ove lavora anche il fratello, che il genitore è disponibile ad assumerlo anche al fine di fargli concedere il permesso di soggiorno, che la madre gestisce a Sassari un circolo ricreativo con regolare licenza, che egli non ha nessun parente nel paese d’origine, non conosce l’arabo, né ha alcuna possibilità di integrarsi in quel paese da dove è stato sradicato all’età di cinque anni e che, infine, non ha potuto chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno a causa della carcerazione. Il difensore ha, altresì, allegato copia dei documenti amministrativi comprovanti le attività lavorative e la situazione di soggiorno in Italia dei congiunti del detenuto. Per motivi non conosciuti al tribunale il Kabbab ed i suoi familiari non hanno acquistato la cittadinanza italiana.

Questo tribunale con ordinanza in data 18 dicembre 2003 ha revocato la misura della detenzione domiciliare in quanto, a seguito di un episodio d’evasione, il soggetto è stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere, titolo giuridico incompatibile con la prosecuzione della misura alternativa.

 

In diritto

 

In relazione alla dichiarazione del detenuto di essere stato impossibilitato a chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno trovandosi in carcere, il collegio osserva che l’art. 13 del d.lgs. n. 286/1998, con riferimento alla ipotesi d’espulsione amministrativa, al comma 2, lett. b) prevede che sia espulso lo straniero che si sia trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, in altre parole quando il permesso di soggiorno sia stato revocato o annullato, in altre parole è scaduto da oltre sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo.

L’ipotesi di forza maggiore letteralmente è contemplata dalla norma solo nell’ipotesi di mancata richiesta del permesso di soggiorno e non anche nel caso di mancata richiesta del rinnovo dello stesso. Tuttavia, anche superando il dato letterale ed estendendo la validità della causa di forza maggiore alla ipotesi del mancato rinnovo, non è possibile applicare tale causa di giustificazione all’inadempimento dell’obbligo giuridico di chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno nel caso concreto.

Infatti, la causa di forza maggiore nell’ordinamento giuridico presuppone l’impossibilità oggettiva della condotta prevista come obbligatoria e che tale impossibilità non sia dipesa da una causa imputabile al soggetto. Tale causa (forza maggiore cui è assimilato il caso fortuito) deve essere imprevedibile ed inevitabile (cfr. art. 1218 e seg. c.c.) e deve escludersi che tale sia lo stato di detenzione.

In realtà lo stato di detenzione, sebbene determini in capo al detenuto una difficoltà di fatto all’esercizio d’attività giuridiche, non impedisce l’esercizio dei diritti e delle facoltà, salvo i casi d’interdizione legale di cui all’art. 32 c.p. per i quali è necessario l’intervento del tutore. L’art. 18 della legge 354/1975 espressamente prevede che il detenuto sia ammesso a colloqui e corrispondenza con congiunti ed altre persone, anche al fine di compiere atti giuridici.

Inoltre, lo stato detentivo non può ritenersi quale causa non imputabile al soggetto essendo dipesa dalla sua condotta delittuosa. Pertanto, lo stato detentivo non può considerarsi di per sé una causa impeditiva all’esercizio dei diritti e delle facoltà inerenti alla normativa sul soggiorno degli stranieri in Italia.

Tutto ciò premesso si rileva che ricorrono, nel caso di specie, tutte le condizioni di legge per l’applicazione dell’espulsione prevista dalla normativa in esame. Tuttavia, l’applicazione al caso concreto della normativa richiamata, in particolare dell’art. 19, d.lgs. n. 286/1998, determina - secondo il collegio - degli effetti irragionevoli ed iniqui in danno del Kabbab.

Infatti, il detenuto se espulso dall’Italia e rimpatriato in Marocco verrebbe a trovarsi in condizioni di vita tali da non garantirgli i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione. Egli non ha nessun parente nel paese d’origine, non conosce l’arabo, non ha possibilità lavorativa, né dispone di mezzi di sostentamento in quel paese, da dove è stato sradicato all’età di cinque anni. Egli, invece, è vissuto in Italia da tal età fino alla data odierna, ha frequentato le scuole italiane e parla la nostra lingua. Questa situazione, del tutto peculiare, impone un esame della norma suddetta alla luce dei principi costituzionali, al fine di verificarne la compatibilità.

Il detenuto nell’impugnazione ha affermato di voler rimanere nel suo nucleo familiare, di cittadinanza marocchina, regolarmente soggiornante in Italia. A tale situazione non è applicabile il divieto d’espulsione contemplato dall’art. 19, comma 2, lett. c) citato, in quanto esso è limitato agli stranieri conviventi con parenti entro il 4° grado o con il coniuge, di nazionalità italiana.

L’art. 19 citato prevede da un lato che lo straniero sia protetto da rischi di persecuzione di varia natura (primo comma) e dall’altro che egli non sia espulso in particolari evenienze (secondo comma). In particolare, con il secondo comma alle lettere a), c) e d), il legislatore ha voluto garantire situazioni specifiche, in osservanza delle norme costituzionali (art. 29 e 30) e della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 8, legge 4 agosto 1955, n. 848) che tutelano la famiglia ed i minori.

L’elenco di queste situazioni deve ritenersi tassativo ed è stato ampliato dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 376 del 27 luglio 2000, che ha esteso il divieto d’espulsione al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. In questa sede il tribunale di sorveglianza non può compiere un’interpretazione estensiva allargando il novero dei casi di divieto d’espulsione e di respingimento.

Sul punto è già intervenuta la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 232 del 2001 che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 del d.lgs. n. 286/1998, nella parte in cui non prevede il divieto d’espulsione dello straniero coniugato e convivente con altro cittadino straniero in possesso di permesso di soggiorno.

La Corte ha ritenuto che sia legittimo limitare il diritto ai ricongiungimenti, al fine di bilanciare l’interesse dello straniero alla ricostituzione del nucleo familiare, con gli altri valori costituzionali tutelati dalle norme in tema d’ingresso e soggiorno degli stranieri ed ha escluso la necessità di consentire sempre e comunque il ricongiungimento allo straniero coniugato e convivente con altro straniero. Diversamente opinando, si aggirerebbero le norme in materia d’ingresso e soggiorno, con evidente sacrificio degli altri valori costituzionali considerati da tali norme.

La Corte si è espressa in modo analogo sui limiti al diritto al ricongiungimento familiare anche con le sentenze n. 28/1995, 203/1997 e 353/1997. Con la sentenza n. 28/1995, però, la Corte ha anche affermato che il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e quindi tenerli con sé e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della famiglia, sono diritti fondamentali della persona, che perciò spettano in via di principio anche agli stranieri.

Solo recentemente ed in un’ipotesi della tutta specifica ed eccezionale, come già accennato, l’Alto Consesso con sentenza n. 376/00 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 17, comma due, lettera d) della legge 6 marzo 1998, n. 40, ora sostituito dall’art. 19, comma due, lettera d) del d.lgs. n. 286/1998, nella parte in cui non estende il divieto d’espulsione al marito straniero convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. La norma, a giudizio della Corte, non ha apprestato una tutela adeguata nei riguardi del marito della donna incinta e di colei che ha partorito da non oltre sei mesi, omettendo, inoltre, di considerare il diritto del minore ad essere educato, ove possibile, da entrambi i genitori e ponendo la donna di fronte alla drammatica alternativa di seguire il marito o affrontare da sola la maternità. Tale situazione contrasta con il principio di paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione della prole.

Anche la Corte di cassazione, sez. 1 civ., con sentenza 9088 del 21 giugno 2002 in materia di condizione giuridica dello straniero, ha affermato che l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza, per un periodo determinato, del familiare del minore straniero che si trova nel territorio italiano, potendo essere rilasciata dal Tribunale per i minorenni - ai sensi dell’art. 31, terzo comma, del d.lgs. citato - solo per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore, è correlata esclusivamente alla sussistenza di situazioni eccezionali, le quali non possono assumere carattere di normalità e stabilità.

Questo Tribunale ha finora adottato una giurisprudenza che ha ritenuto non in contrasto con l’art. 3 della Costituzione la disparità di trattamento tra stranieri ed italiani operata dalla norma in esame. Si è detto, in precedenti decisioni ed in sintonia con la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, che la situazione giuridica dei parenti italiani dello straniero - in relazione al diritto di soggiorno in Italia previsto dall’art. 16 della Costituzione solo per il cittadino - non è uguale a quella di parenti stranieri e non è violato il principio di uguaglianza, che opererebbe solo in presenza di disparità di trattamento in condizioni uguali. Pertanto, si è escluso che la richiesta di ricongiungimento familiare ad un parente straniero, regolarmente soggiornante in Italia, avanzata da uno straniero, che invece ha eluso o violato le norme sull’ingresso e soggiorno nel nostro Paese, sia tutelabile dall’ordinamento e che rappresenti una situazione eccezionale meritevole di un diverso e più favorevole trattamento.

Il caso in esame, tuttavia, presenta delle connotazioni diverse ed eccezionali rispetto a quelli già esaminati e decisi secondo i principi sinteticamente riportati nel paragrafo precedente. Infatti, in tutte le altre situazioni esaminate si è trattato di stranieri che, avendo regolarmente vissuto nel loro paese per lungo tempo, l’abbiano abbandonato per i motivi più vari, lasciando comunque in patria parte dei familiari, la casa e la loro naturale collocazione socio-ambientale. Per tali soggetti l’espulsione, ancorché costituente una retrocessione dalla condizione di relativo benessere conquistata nel nostro paese a situazioni di maggiore povertà ed emarginazione nel paese di origine, rappresenta semplicemente un ritorno alla situazione immediatamente antecedente all’ingresso o alla permanenza illegale in Italia.

In tali casi, appare ragionevole l’orientamento giurisprudenziale sopra menzionato perché nega il diritto al ricongiungimento dello straniero alla ricostituzione del nucleo familiare a fronte del bilanciamento di tale interesse con gli altri valori costituzionali tutelati dalle norme in tema di ingresso e soggiorno degli stranieri, laddove lo straniero viene ad essere restituito al suo ambiente sociale, etnico e culturale.

Il Kabbab, invece, ha il nostro Paese quale sua naturale collocazione sociale-culturale, in quanto in esso ha vissuto ed è stato educato. Egli non ha nessun parente nel paese d’origine, né conosce l’arabo, né ha alcuna possibilità di integrarsi in quel paese da dove è stato sradicato all’età di 5 anni, né dispone in tale luogo di mezzi di sostentamento. Nella situazione in esame, il bilanciamento degli interessi costituzionali attuato dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 232 del 2001, dovrebbe essere integrato valutando, oltre al diritto al ricongiungimento (o al mantenimento dell’unita) familiare, anche il diritto del Kabbab di svolgere - secondo le previsioni dell’articolo 2 Cost. - la sua personalità, sia come singolo sia nelle formazioni sociali alle quali appartiene e dove egli ha vissuto per la gran parte della sua esistenza.

Al contrario, il forzato rientro del detenuto nel paese di origine lo costringerebbe ad una vita di emarginazione, povertà, incomprensione dei valori e della cultura locale e difficoltà nei rapporti sociali. Questa condizione sarebbe del tutto analoga a quella di un soggetto che fosse costretto ad una vita di emarginazione, povertà, incomprensione dei valori e della cultura locale e difficoltà nei rapporti sociali determinata da persecuzione. Il legislatore, con il primo comma dell’art. 19 citato ha voluto evitare una siffatta situazione - ed altre anche più gravi - se causata da persecuzione. Sarebbe del tutto irragionevole un sistema giuridico che, invece, consentisse la medesima situazione non determinata da persecuzione ma da altra causa.

Il collegio reputa che nel caso in esame si realizza tale irragionevolezza della norma richiamata e, nel contempo, una violazione del principio di eguaglianza, perché il legislatore non contempla tra i divieti di espulsione e di respingimento il caso degli stranieri che, pur non in regola con le norme di soggiorno, abbiano tutti i loro familiari regolarmente soggiornati in Italia e non abbiano più alcun legame familiare, sociale, linguistico e culturale con il loro paese d’origine.

Il tribunale, sulla base delle considerazioni sopra evidenziate, ritiene che non sia manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 2, del 25 luglio 1998 n. 286 nella parte in cui non estende il divieto di espulsione allo straniero che, pur non in regola con le norme di soggiorno, abbia tutti i familiari regolarmente soggiornati in Italia e non abbia più alcun legame familiare, sociale, linguistico e culturale con il suo paese d’origine. La norma, a parere del collegio, viola in particolare gli articoli 2, 3, 10 in relazione all’art. 8 della legge 4 agosto 1955 n. 848 di ratifica ed esecuzione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 29 e 30 della Costituzione. Il collegio ritiene, altresì, di non poter definire il giudizio indipendentemente dalla risoluzione della suddetta questione di illegittimità costituzionale.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 2, 3, 10 in relazione all’art. 8 della legge 4 agosto 1955 n. 848, 29 e 30 della Costituzione, 19, comma 2, del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale

 

Sospende il giudizio in corso. Manda alla cancelleria per quanto di competenza e per la notifica al pubblico ministero, all’interessato ed al suo difensore, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché per la comunicazione ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati.

 

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2003.

 

Il Presidente: Deiana

Il magistrato estensore: Cirielli

 

 

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