Espulsione e trattenimento

 

Espulsione, reato di trattenimento e successione di leggi penali

Tribunale di Rovereto, ordinanza 27.11.2004

 

Pubblichiamo una interessante pronuncia del Tribunale di Rovereto, il quale ha emesso provvedimento ex art 129 c.p.p. sul rilievo che il T.U. Immigrazione, abbia configurato la fattispecie di cui all’art 2/2 cp e non 2/3 c.p.

Nell’interpretazione operata dal valente Magistrato, il TU Immigrazione, come modificato dall’art.1, comma 5 bis legge 12 novembre 2004, n. 271, le modifiche intervenute in sede di conversione del decreto legge sul reato di cui all’art. 14-ter d.lvon. 286 del 1998 hanno integrato non una semplice successione di leggi penali nel tempo ma il binomio abrogazione – nuova incriminazione, con la conseguenza che tutte le violazione degli ordini dei Questori emessi prima dell’entrata in vigore della legge di conversione sono da considerarsi depenalizzati.

 

Ordinanza di diniego di convalida dell’arresto in flagranza di reato e di proscioglimento (art. 129 c.p.p.)

 

Nato in Nigeria il 06.10.1965 veniva tratto in arresto in data 24.11.2004 perché si tratteneva nel territorio nazionale in violazione degli ordini a lasciare il territorio nazionale entro il termine di 5 giorni, emessi dal Questore di Trento in data 22.05.2003, 06.11.2003 e 03.02.2004, sulla base di altrettanti provvedimenti di espulsione con immediato accompagnamento alla frontiera. In sede di interrogatorio di garanzia l’interessato, assistito da interprete in lingua inglese, dichiarava di non aver ottemperato agli ordini per assoluta indigenza.

Va premesso che l’arresto obbligatorio in flagranza di reato è stato disposto in applicazione dell’art. 14, commi 5 ter e quinques d.lvo n. 286 del 1998, così come modificati dall’art.1, comma 5 bis legge 12 novembre 2004, n. 271 che, da un lato, ha trasformato il reato da contravvenzione a delitto punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e, dall’altro, ha confermato l’arresto obbligatorio e il rito direttissimo, così superando l’illegittimità costituzionale dichiarata da Corte Cost. n. 223 del 2004 dell’art. 14, comma 5 quinques, nella precedente versione, nella parte in cui prevedeva l’arresto obbligatorio per un reato che non consentiva l’applicazione di alcuna misura cautelare. Il reato contestato é, da un lato, un reato permanente, come è reso evidente dal fatto che la condotta punita è descritta col termine "si trattiene nel territorio dello Stato", ossia una condotta che si perpetua nel tempo di momento in momento in virtù della volontà del soggetto e, dall’altro, è un reato omissivo. Infatti, l’espressione "si trattiene" solo in apparenza descrive una condotta attiva, perché in realtà non viene punita la semplice permanenza illegale nel territorio dello Stato bensì la permanenza "in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5 bis".

Ad essere qualificato illecito è cioè l’inottemperanza al comando dell’autorità di lasciare il territorio dello Stato nel termine di 5 giorni, tanto è vero che la sussistenza di "un giustificato motivo" esclude il reato nonostante una permanenza illegale, sotto il profilo amministrativo, nel territorio dello Stato.

Al riguardo va sottolineato come il fatto tipico risulti fortemente condizionato dall’intimo legame tra condotta omissiva di violazione e natura e caratteristiche dell’ordine impartito dal Questore di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni.

Ciò è tanto vero che il reato dipendente dagli ampi spazi di discrezionalità attribuiti all’autorità amministrativa in materia. In particolare presupposti dell’ordine del Questore sono: 1) un provvedimento di espulsione da eseguirsi con accompagnamento alla frontiera; 2) l’impossibilità di eseguire l’espulsione mediante l’accompagnamento alla frontiera per i motivi precisati dal comma 1 dell’art. 14, che legittimano la misura del trattenimento nei centri di permanenza temporanea; 3) l’impossibilità di disporre il trattenimento dello straniero presso un centro di permanenza temporanea ovvero scadenza senza esito dei termini di permanenza.

Inoltre va altresì sottolineato come il comma 5 bis preveda che l’ordine del questore debba recare "l’indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione".

Poste queste premesse, il caso in esame si caratterizza per il fatto che gli ordini la cui violazione è contestata sono stati emessi prima della modifica normativa sopra indicata e, pertanto, quando il reato era ancora di natura contravvenzionale ed era punito con la pena da 6 mesi ad un anno di arresto.

Sotto il profilo del tempo del commesso reato il caso che ci occupa è pertanto caratterizzato dalla seguente peculiarità: gli ordini del questore (presupposto amministrativo del reato) sono intervenuti sotto la previgente disciplina e, pertanto, recano l’indicazione secondo la quale la loro inosservanza è punita con la pena da mesi 6 ad un anno di arresto; d’altra parte la condotta tipica, il trattenersi in violazione di quegli ordini, è stata commessa in parte sotto la previgente disciplina e in parte sotto la disciplina oggi vigente.

Questa peculiarità rende inapplicabile il tradizionale principio secondo il quale in caso di reato permanente iniziato prima di una riforma normativa ma proseguito dopo, si applica la nuova disciplina anche se meno favorevole all’imputato, perché il reato deve ritenersi commesso sotto la nuova disciplina e non viene in considerazione un vero e proprio problema di successione di leggi penali nel tempo.

Infatti, nel caso in esame, la condotta integrata non risponde pienamente al modello tipico oggi delineato perché la condotta di trattenimento nel territorio dello Stato è in violazione di ordini del questore che non recano l’indicazione che in caso di violazione si applica la pena da uno a quattro anni di reclusione ma la pena da sei mesi ad un anno di arresto che, in virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004, non consente l’arresto in flagranza. Già sotto questo profilo, pertanto, al più potrebbe applicarsi la disciplina previgente più favorevole, con conseguente necessità di negare la convalida dell’arresto eseguito.

Tuttavia, prima di accedere alla soluzione appena indicata occorre risolvere un ulteriore grave problema interpretativo, inerente alla continuità normativa tra reati in successione nel tempo, prima e dopo la riforma. Infatti, a ben vedere, la legge n. 271 del 2004 non si è limitata a modificare la pena per il reato considerato ma ne ha profondamente modificato la struttura, trasformandolo da contravvenzione in delitto.

Già questo comporta che l’integrazione del reato presupponga l’elemento psicologico del dolo non essendo pertanto più sufficiente la semplice colpa, che invece in precedenza consentiva l’integrazione della contravvenzione prevista dall’art. 14, comma 5 ter vecchia versione. Questa modifica non può essere confinata al solo elemento psicologico ma penetra nella descrizione del fatto tipico e, in particolare, nell’elemento negativo dell’assenza del giustificato motivo, perché limita il dovere di collaborazione richiesto dallo straniero nell’ottemperare all’ordine di lasciare il territorio dello Stato. Sotto questo profilo si dovrebbe quindi concludere che perlomeno in tutti i casi in cui l’illecito trattenimento nel territorio dello Stato non sia rimproverabile allo straniero a titolo di dolo, ossia di specifica volontà, ma a semplice colpa, venga in considerazione una vera e propria abolitio criminis, con conseguente applicabilità dell’art. 2, comma 2 c.p.

In secondo luogo la nuova disciplina introduce una distinzione, prima sconosciuta, tra i casi in cui l’espulsione è stata disposta per ingresso illegale sul territorio nazionale ai sensi dell’art. 13, comma 2 lett. a) e c) ed i casi in cui, invece, sia stata disposta per non aver lo straniero richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato: solo nel primo caso il trattenimento nel territorio dello Stato è punito con la reclusione da un anno a quattro anni, mentre nel secondo la pena é quella dell’arresto da sei mesi ad un anno. Infine, il nuovo comma 5-quinquies dell’art. 14 dispone che "al fine di assicurare l’esecuzione dell’espulsione, il questore, dispone i provvedimenti di cui al comma 1", ossia il provvedimento di trattenimento nei centri di accoglienza. Si tratta di una norma di notevole importanza pratica perché stronca le prassi invalse di ordini di lasciare il territorio dello Stato nel termine di 5 giorni "a catena", così di fatto superando la cronica mancanza di spazio nei centri di assistenza ma determinando artificiosamente l’integrazione di una pluralità di reati che finiscono col gravare sui carichi di lavoro degli uffici giudiziari.

La norma ora richiamata, una volta intervenuta una prima violazione all’ordine di abbandonare il territorio nazionale, preclude infatti al Questore di disporre l’espulsione dello straniero mediante l’emissione di un nuovo ordine a lasciare il territorio nazionale nel termine di 5 giorni, perché la norma non attribuisce alcun potere discrezionale di valutazione, sicché o è possibile disporre l’immediato accompagnamento alla frontiera oppure lo straniero deve essere obbligatoriamente trattenuto in un centro di accoglienza e solo dopo lo spirare infruttuoso del termine massimo di permanenza (30 giorni + 30) potrà essere emesso un nuovo ordine a norma dell’art. 14, comma 5-bis, con la possibile integrazione di un nuovo reato in caso di sua violazione. L’innovazione è direttamente rilevante nel caso all’esame di questo giudice perché, come si è visto, l’arrestato ha violato tre distinti ordini di abbandonare il territorio nazionale entro il termine di 5 giorni e, in base alla disciplina oggi vigente, gli ultimi due ordini sarebbero illegittimi perché non preceduti dalla misura del trattenimento in un centro di accoglienza.

Sulla base delle sopra indicate innovazioni apportate alla struttura dell’illecito si deve pertanto pervenire alla conclusione che tutti i reati connessi alle condotte di trattenimento in violazione ad ordini di lasciare il territorio nazionale emessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 271 del 2004 (14.11.2004), risultano abrogati. In effetti ad esse non può applicarsi né la vecchia disciplina perché abrogata dalla nuova, caratterizzata da un fatto tipico diverso strutturalmente disomogeneo rispetto al precedente (doloso, violazione di un diverso ordine di abbandonare il territorio nazionale con diverse indicazioni, emesso sulla base di provvedimenti di espulsione per specifici casi e, infine, non possibile in casi che, in precedenza, consentivano invece l’emissione dell’ordine) né la nuova perché la condotta integrata non risponde al fatto tipico del reato, sotto lo specifico aspetto che l’ordine di abbandonare il territorio nazionale non reca l’indicazione delle conseguenze penali oggi applicabili ma quelle vecchie.

Si deve pertanto, da un lato, negare la convalida dell’arresto e, dall’altro, disporre l’assoluzione dell’arrestato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, a norma dell’art. 129 c.p.p., con conseguente immediata sua liberazione se non detenuto per altra causa e la sua messa a disposizione dell’autorità di p.s. per i provvedimenti di competenza in ordine alla sua espulsione dal territorio nazionale

 

P.Q.M.

 

Letti gli artt. 129 e 558 c.p.p.;

 

non convalida l’arresto e assolve ***** dai reati ascrittigli perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Dispone l’immediata liberazione di ****, se non detenuto per altra causa e la sua messa a disposizione dell’autorità di p.s. per i provvedimenti di competenza in ordine alla sua espulsione dal territorio nazionale.

 

Rovereto, 27 novembre 2004

Il Giudice, dr. Riccardo Dies

 

 

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