Storia di Vito

 

Storia di Vito e di altri come lui. Quei "matti" dimenticati nel buio

 

Avvenire, 19 agosto 2003

 

Passano una vita allo psichiatrico: alla fine hanno paura a uscire Liberi? E di andar dove, e da chi? Quella porta aperta, dopo tanto tempo, potrebbe essere l’ultima condanna.

C’è un uomo nel manicomio criminale di Napoli che ha settant’anni, ed è dentro da quando ne aveva diciassette - da tutta la vita. A quell’età Vito D.R. uccise, probabilmente per pazzia, visto che lo spedirono al carcere dei folli. Da allora, per sempre dentro quelle celle. Incapace di intendere e volere, pericoloso, forse, a sé e agli altri, la presumibile motivazione. Di certo, fuori, nessuno lo voleva. Né lui aveva di che pagarsi un avvocato. Burocrazia inceppata, fascicoli polverosi dimenticati in fondo agli scaffali, mentre fuori la legge Basaglia cancellava i manicomi "normali". Là dentro, invece, cinquant’anni per il delitto commesso da un adolescente, dimenticato per sempre nel buio. Ora i medici dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli chiedono per Vito D.R. la grazia.

Ma occorre sapere che negli ospedali pschiatrici giudiziari italiani storie simili, anche se non così estreme, non sono rare. Il 60 per cento degli oltre 600 detenuti è dentro per reati non gravi: minacce, oltraggi, molestie. Sono malati di mente non curati che hanno insultato un vicino, schiaffeggiato un poliziotto, si sono spogliati per strada. Secondo la legge 180 dovrebbero essere avviati al Tso, il trattamento sanitario obbligatorio, e quindi ricoverati in ospedale. Succede invece, soprattutto se il malato è un poveraccio senza famiglia nè avvocato, che l’episodio prenda la strada della denuncia penale. Un giudice stabilisce allora la pericolosità del soggetto e dispone una misura di custodia cautelare. Il proscioglimento per incapacità di intendere e di volere blocca il procedimento penale, ma non questa custodia cautelare, che si rinnova ogni due anni. Sempre che nessuno voglia accogliere in casa o in comunità terapeutica il malato. Quelli che nessuno vuole, e non sono pochi, restano dentro. Anni e anni. Anche dieci an ni per un pugno a un vigile.

Sono storie ignorate di un’umanità talmente emarginata, da non riuscire a farsi raccontare dai giornali. A Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina, c’è un prete che combatte per questi ultimi, fra i quali c’è chi è dentro da anni per avere sradicato il fico del vicino. Come Nicodemo, 20 anni, pastore della Locride, figlio di una psicotica, analfabeta. Oltre al fico, ha anche rubato una borsa di broccoli a una vicina. Appena arrivato piangeva, voleva sua madre. Poi s’è rassegnato. Tutti, dopo un po’, si rassegnano. Come Giuseppe, che in un lontano agosto a Niscemi non seppe controllarsi - era sempre, del resto stato "strano" - e si buttò dentro una fontana, nudo. "Pertanto- recita il rapporto dei carabinieri - veniva tratto in arresto. Il predetto non adduceva alcuna giustificazione. Il predetto non ha inteso nominarsi alcun difensore di fiducia".

Difensore? Quelli come Giuseppe e Nicodemo non sanno neanche cosa siano. E’ per questo che in certi casi invece che in ospedale finiscono in manicomio criminale e ci restano per anni. Ogni due anni gli rinnovano la misura cautelare. Loro la chiamano "stecca". "Mi hanno dato un’altra stecca", dicono.

E alla fine, dunque, ci saranno i pazzi in libertà che sgomentano la gente, ma ci sono anche i poveri diavoli, i Vito D.R., i disgraziati buttati dentro e dimenticati. Tanto che alla fine hanno paura, a uscire. Liberi? E di andar dove, e da chi? Quella porta aperta, dopo tanto tempo, potrebbe essere l’ultima condanna.

 

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