Opg: formazione e futuro

 

Opg: il futuro è nella formazione, di Adolfo Ferraro

(Direttore Ospedale psichiatrico "Filippo Saporito" di Aversa)

 

Giustizia.it, 15 dicembre 2004

 

L’attenzione che negli ultimi anni è stata rivolta agli ospedali psichiatrici giudiziari, mira a realizzare un diverso modello che, pur tenendo conto dell’aspetto carcerario, riconosce un diverso ruolo degli operatori che popolano tali strutture. L’Istituto Superiore di Studi penitenziari del ministero, raccogliendo tale esigenza, ha da tempo aperto uno spazio di ricerca e sperimentazione e ha coinvolto responsabili delle sei strutture esistenti sul territorio nazionale, cinque delle quali gestite direttamente dal ministero della giustizia, con i quali sono stati concordati gli obiettivi del progetto e la metodologia di lavoro. Nell’editoriale, Adolfo Ferraro, direttore dell’Istituto aversano, illustra alcuni dei nuovi modelli operativi attuati all’interno degli ex manicomi giudiziari.

L’attenzione che negli ultimi anni è stata rivolta agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in genere ha presentato finalmente una variazione rispetto al pregresso, soprattutto dopo le vicissitudini degli ultimi trenta anni, distaccandosi da posizioni ideologiche o riferibili a modelli culturali o di contestazione, e valutando quello che obiettivamente rappresenta una simile istituzione: un luogo di ricovero di soggetti sottoposti a misura di sicurezza e socialmente pericolosi, in cui la valenza di difesa sociale si è coniugata alla necessità di comprendere le dinamiche dei delitti e la loro possibilità di cura.

Tale variazione, o se si preferisce allargamento del concetto da istituto di semplice contenzione ad istituto di cura e studio e riabilitazione, rappresenta attualmente la potenzialità di un superamento concreto dell’attuale stato e di individuare nuove possibilità in cui il vecchio Manicomio Criminale possa trasformarsi in una istituzione psichiatrica a tutti gli effetti, ridimensionando l’aspetto carcerario, e ricostruendo quello di cura e di diagnosi. L’Istituto Aversano rappresenta forse un po’ tutti gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari d’Italia, non fosse altro perché è il più antico del genere (fu istituito con un semplice decreto legislativo nel 1876), e che la sua storia si è spesso intrecciata con la storia della psichiatria italiana del secolo scorso, dal positivismo alle contestazioni basagliane, rappresentando in maniera alternata sia polo di interesse scientifico e culturale, sia a volte divenendo simbolo di luogo di orrore e rifiuto.

Nel progetto di reingegnerizzazione non può inoltre essere escluso un valore che l’istituzione aversana, nello specifico, possiede. E cioè la sua storia, che rappresenta, nel bene e nel male, una testimonianza indicativa per molti. La idea di aprire quello che chiamiamo museo criminologico raccogliendo i vecchi oggetti manicomiali, i manufatti ingenui,i terrorizzanti reperti, che spuntavano fuori ad ogni pulizia di magazzino, è stata attuata nel 1997, e da allora ha visto, con gradualità, crescere l’interesse delle scolaresche locali, che hanno usufruito dell’unico museo aperto ad Aversa, a quello di studiosi di criminologia o di scuole universitarie. E’ inoltre in progetto la catalogazione delle duemila cartelle cliniche conservate negli archivi dell’istituto, risalenti alla fine dell’ottocento; tale operazione richiede costi elevati, e per essere realizzabile si sta studiando la possibilità di sponsorizzazioni di enti locali o privati. Una operazione del genere produrrebbe di ritorno il riconoscimento di luogo di studio dell’istituzione, e quindi (magari) la possibilità di fruire di finanziamenti a progetti di vario tipo.

Dalle premesse esposte, nel corso degli ultimi sette anni, si è proceduto ad una ridistribuzione di ruoli, compiti e necessità che hanno teso a dare identità agli ospiti, agli operatori e quindi al luogo, tentando una trasformazione, che è ancora in corso, agevolata dalle aperture e dalle interazioni, e valutando i risultati ottenuti.Il lavoro di formazione sul personale che si sta effettuando negli istituti ha permesso una maggiore professionalità degli operatori dalle varie divise che, per legge o per necessità o per scelta, popolano l’opg.

Il Ministero della Giustizia, nella figura dell’Istituto Studi Superiori Penitenziari, ha sostenuto ad Aversa la formazione di medici infermieri e poliziotti penitenziari in un progetto chiamato "Le Ali ai Letti" e finalizzato all’eliminazione dei letti di contenzione nell’istituto; costringendo gli operatori ad un approccio diverso con il malato di mente e le sue manifestazioni aggressive, fornendo strumenti culturali e tecnici diversi.

Così come si stanno organizzando, sostenuti dallo stesso istituto ministeriale, progetti in sede in ogni opg, come il più recente progetto "Revan" che tenderanno a formare gli operatori tutti, che lavorano negli istituti psichiatrici giudiziari.

Nello stesso tempo, grazie alle attività di studio rappresentate anche da un convegno annuale che si tiene nell’opg di Aversa con la partecipazione di noti ed importanti relatori nazionali ed internazionali, le università ritornano per studiare il luogo e il suo significato; e il rapporto con alcuni centri universitari specialistici permette la presenza in istituto di tirocinanti specializzandi in psichiatria e criminologia interessati alla materia, e quindi una migliore possibilità di approfondire l’argomento e produrre tesi ed altro materiale di studio.

Il diverso approccio e l’avvicinamento alle strutture psichiatriche esterne sta producendo negli istituti psichiatrico giudiziari tutti una diversa valutazione del malato psichiatrico in essi internato e quindi un diverso ruolo degli operatori, parte attiva in un processo di recupero e dimissione che inevitabilmente e nel tempo produrrà una ulteriore riduzione della popolazione degente.

Questo obiettivo, oltre a permettere una più equa distribuzione e dei compiti con i servizi territoriali nel momento in cui saranno investiti nella cura dei pazienti di loro competenza che non manifestano le condizioni per rimanere in opg, permetterà quindi di selezionare in modo più concreto i soggetti che presentano manifestazioni psichiche di gravità tale da consentire un programma di diagnosi e cura più adeguato alle loro esigenze, e quindi facilitare il passaggio degli opg da luogo di "deposito" di soggetti ingestibili all’esterno a luogo di salvaguardia sociale.

E’ evidente che in questo tragitto le difficoltà sono molte: dalle diffidenze delle strutture esterne psichiatriche, a quelle dell’Amministrazione Penitenziaria, tesa e preoccupata a non venire meno ad un ruolo che nei decenni scorsi ha rappresentato un compito che, con la confusione prodotta dall’ambiguità di cui si è detto, si è sentita in dovere di sostenere a tutti i costi, pur se con mezzi inadeguati. Una più equa divisione dei compiti data dall’allontanamento da tale ambiguità, permetterebbe di sfruttare meglio le attualmente carenti risorse che l’Amministrazione Penitenziaria è in grado di riservare agli opg, e quindi proporre e realizzare un diverso modello nell’ambito della psichiatria giudiziaria e forense.

 

 

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