Inchiesta
sull'O.P.G. "Filippo Saporito" di Aversa
Il
Manifesto, 16.11.2003
L'entrata dell'Ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito è un portoncino in vetro
e acciaio. Sali le scale in marmo, suoni il campanello
e si aprono le porte dell'inferto. La quiete ti assale. I giardini sono ben
curati, i vialetti in ordine e puliti. La polizia penitenziaria è
sorridente, le mura sono imbiancate, i gattini si leccano nelle aiuole.
L'inferno è negli occhi degli internati. Occhi profondi, smarriti, che
scrutano in cerca d'aiuto. Tutto quello che avevi immaginato fosse un Opg è
spazzato via e l'impotenza penetra nelle ossa.
La verità è più cinica: gli internati, quei soggetti considerati "pericolosi per se e per gli altri", in realtà sono persone
"piccole e
impaurite". Dita ingiallite per il troppo fumo. Rughe profonde, segnate
dalle lancette del tempo ferme all'ora dell'internamento. Denti neri o rotti
dal mondo che li ha esclusi, abbandonati, rinchiusi perché i rei folli fanno
paura. Confusi, non tanto dalla malattia, quanto da una domanda, un
tormento: "Che ci faccio io qui, non sono matto".
La prima cosa che impari a Aversa è avere paura della tua mente. Avete mai
avuto timore di non riuscire più a decifrare la realtà? Dovreste. Per chi va troppo lontano e si
rompe (espressione basagliana), infatti, non ci sono più diritti o pretese
da mendicare. In balia del buon senso altrui, il "folle" non è più creduto,
ascoltato perché non attendibile. Anche chi ha commesso il delitto più
efferato, dopo la degenza in Opg, non potrebbe fare male a una mosca. "La maggior parte degli internati, tranne un gruppo di una trentina di
persone, possono tranquillamente essere rilasciati" sbotta Adolfo Ferraro, il direttore. Perché restano rinchiusi?
Il problema è
quello solito: le comunità, le casefamiglia. i servizi territoriali che dovrebbero prenderli in carico, non funzionano. Le famiglie non li
vogliono. Intanto però in Opg, si peggiora si ci cronicizza. "Io sarò matto, ma anche voi siete tutti un po' strani" Angelo, 32 anni, è
fermo nel vialetto che porta alla mensa. Con il suo sguardo vispo, osserva
il cielo. Arrestato a 18 ami, dopo una rapina, è entrato e uscito dalle Opg
italiane, dalle comunità. Oggi ha un chiodo fisso, vuole essere trasferito a
Montelupo e morire in un manicomio giudiziario: "Lì fuori non sono libero
- dice - non posso fare quello che voglio. Allora resto qui, basta che
mi diano una cella singola".
L'area staccata è il girone dei lungo degenti. I malati cronici, quelli con
meno speranze di recupero. Questo è il reparto dei letti di contenzione,
dove quando hai una crisi rischi di essere legato a lungo. Immobilizzato
imbottito di farmaci finché non passa. Un buco dove urinare e cacare,
infermieri che ti danno da mangiare. Qui dall'84 vive Massimo, il fotografo,
il "cava occhi", il mostro che fa terrore. Internato la prima volta per il
furto di un'850, entrato nel mito dopo aver strappato l'occhio a un paziente
in una lite, è chiuso da 18 anni nella sua cella. Massimo è molto bello, un
viso espressivo, malato, è vero, ma della sua pericolosità non rimane che
un'ombra. Potrebbe fare ancora del male? Forse no, ma nell'indecisione resta
in gabbia.
Questo è l'istituto Filippo Saporito, uno dei sei Opg italiani. Metà
carcere, metà ospedale. Qui sono ricoverati gli autori di reato prosciolti
per "incapacità di intendere e di volere", ma con
perizia di "pericolosità sociale".
La detenzione va da 2, a 5 a 10 anni, revocabile in caso di "guarigione",
prorogabile fino all'ergastolo "bianco". La
popolazione 190 "detenuti",
è formata soprattutto da schizofrenici con disturbi della personalità. I
crimini commessi sono in maggioranza contro la persona, ma non mancano i
cosiddetti reati "bagatellari":
inadempienze degli arresti domiciliari, offese a pubblico ufficiale, che
puoi pagare con decine d'anni d'internamento. Il personale - solo due
psicologi di ruolo con 16 ore settimanali, psichiatri a parcella o a turni,
40 medici e infermieri - cercano di gestire "l'impossibile".
Mentre i poliziotti penitenziari (circa 150), addestrati a gestire carceri
di massima sicurezza, sono completamente impreparati a relazionarsi con
malati deliranti.
Il ministero di grazia e giustizia è latitante. Niente soldi ai malati di
mente. Per nutrirti la spesa è di un euro al giorno. I detenuti devono
provvedere alla pulizia dei propri spazi, quando in alcuni casi non riescono
a curare nemmeno l'igiene personale. Per la ristrutturazione della struttura
ormai fatiscente - due sezioni chiuse, cadevano a pezzi -l o stato non
intende sborsare una lira. L'istituto funziona grazie all'impegno dei
dipendenti, dei volontari e della direzione. Con l'autofinanziamento e il
lavoro degli stessi internati è stata messa su un'area verde di 8.000 metri
quadri, dove viene praticata l'ergoterapia. Germani reali, anatre mute, oche
del campidoglio, un piccolo stagno, l'agrumeto sono un'oasi nella vita dei
malati. La musicoterapia, il laboratorio di colore, la vivaistica, la
falegnameria, il corso d'informatica sono ciò che permette a molti di tirare
avanti. E poi c'è la Storia di Nabuc, il giornale del popolo del Filippo
Saporito. Storie, lamentele, libera espressione di pensieri, mai senza
senso.
Da tempo la direzione è impegnata nella battaglia per eliminare i letti di
contenzione. Una task force, medici e poliziotti, per seguire il paziente
durante la crisi senza legarlo, potrebbe essere attivata già dal prossimo
dicembre. Certo se il ministero decidesse di finanziare la costruzione di
stanze imbottite sarebbe tutto più facile. Ma sulle teste un'altra spada di
Damocle pende: la proposta di Maria Burani Procaccini. Il disegno di legge
di Forza Italia che intende abrogare la legge Basaglia e reintrodurre il
concetto di pericolosità per giustificare il ricovero coatto. Una nuova
legge di scudi in nome delle camicie di forza per riaprire i manicomi
dandoli in gestione anche ai privati. Un nuovo business della malattia
mentale renderebbe il Tso e il ricovero obbligatorio semplicissimo perché
convalidato da uno psichiatra anche privato e includerebbe tossicodipendenze
e alcolismo Come se le 1.300 persone ricoverate in Opg non fossero già
abbastanza. Come se Aversa, non avesse segnato niente: "In 22 anni di lavoro
in quest'istituto - afferma Ferraro - non ho mai visto entrare una persona
benestante".