Minori

 

Troppi delitti compiuti da minorenni, il Guardasigilli vuole riformare il codice

Imputabili anche i dodicenni: «Punire i sedicenni come adulti»
Il progetto di Castelli. Il sottosegretario Santelli: lo zingarello non va mai in cella

 

Il Messaggero, 14 ottobre 2001


Per il Guardasigilli Roberto Castelli la giustizia minorile è un chiodo fisso. «Così com’è non va. Non è possibile che reati anche gravissimi, commessi da minori, restino impuniti», ripete da settimane il ministro ai suoi più stretti collaboratori. E, dopo le nuove polemiche sulla possibile scarcerazione di Erika e Omar, che hanno ucciso mamma e fratellino di lei, Castelli ha incaricato il capo dell’ufficio legislativo di via Arenula, Gianni Verucci, di studiare una riforma che si annuncia come una vera rivoluzione. Innanzi tutto si pensa di abbassare dagli attuali 14 anni ai 12 la soglia di imputabilità, aprendo le porte del carcere anche a chi ha più di 12 anni appunto. Inoltre si sta ipotizzando di far passare la piena imputabilità dai 18 ai 16 anni, con la conseguenza che dai 16 anni in su gli imputati verrebbero processati dai tribunali ordinari, anziché da quelli minorili, senza quindi più usufruire degli sconti di pena previsti.
Ma la riforma toccherà soprattutto le basi di istituti sostanziali e processuali. Si sta infatti studiando l'introduzione di due diversi gradi di imputabilità, legati ad esempio ai limiti di pena. «Oggi - spiega il sottosegretario alla Giustizia Jole Santelli - c’è una maggiore maturità dei ragazzi rispetto al passato. E se si può sostenere che a 14, 15 anni uno non è in grado di comprendere che la pirateria informatica o la bancarotta fraudolenta sono reati, certo a quell’età capisce benissimo cosa significa uccidere mamma e papà a coltellate, o svaligiare un appartamento. Il problema non può essere risolto in termini riduttivi, con il semplice abbassamento della soglia dell’imputabilità. Si deve cambiare ottica, ribadendo comunque un principio di responsabilità, sebbene attenuata, in quanto minori».
Proprio il riconoscimento dell’immaturità fa spalancare oggi le porte della galera ai minorenni. «Nella maggior parte dei casi - commenta Santelli - le assoluzioni per incapacità di intendere e di volere sono legate non alla pazzia, ma all’immaturità. E in questi casi, contrariamente a quel che accade ai maggiorenni socialmente pericolosi, non viene previsto neanche il manicomio giudiziario, che esiste solo per gli adulti. Bisogna invece creare strutture di recupero e cura cui affidare i minori, non limitandosi a rimandarli a casa. Anche perché sono spesso proprio le famiglie ad avviarli alla delinquenza. L’impunità riconosciuta oggi ai minori si tramuta anche nella creazione di sacche di manovalanza per la criminalità. Non è un caso se la camorra usa i ragazzini come killer».
A via Arenula sono quindi allo studio molte misure, oltre a quelle sulla soglia di imputabilità, già indicata in 12 anni nel disegno di legge presentato al Senato da Giuseppe Consolo, AN, e combattuta dai giudici minorili. Per il presidente del Tribunale dei minori di Roma, Magda Brienza, è un’ipotesi «sconcertante», in quanto, «pur essendo più maturi di come erano anni fa, i ragazzi non sanno controllarsi e agiscono senza pensare». E il giudice dei minori di Salerno Pasquale Andria lancia una provocazione: «Ci sarebbe da riconsiderare la posizione dei diciottenni assolutamente non maturi, che andrebbero puniti in base al codice minorile».
«Ma la tutela del minore - aggiunge il sottosegretario Santelli - deve per forza essere coniugata con la tutela della società. Anche i tribunali dei minori dovrebbero funzionare in modo diverso e sulla base di leggi nuove. Faccio un esempio. Oggi uno zingarello di 15 anni, con alle spalle 50 precedenti specifici per furti, non subisce alcuna pena. Quando è stato varato il pacchetto sicurezza si sono dimenticati di coordinarlo con la legislazione sui reati minorili. E il risultato è che per il furto aggravato o per gli scippi non è possibile l’arresto dei ragazzi».
E la settimana prossima si insedierà al Dipartimento per la giustizia minorile Rosario Priore, il giudice istruttore di Ustica, del rapimento Moro e dell’attentato al Papa, che Castelli ha voluto a capo dell’ufficio.

 

Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori:

"ALTRI RAGAZZI RESTANO IN CELLA PER UN FURTO"

 

L’unione Sarda, 5 ottobre 2001

 

«Erika e Omar devono restare in carcere. Non si vuole la forca per questi due assassini ma la condanna è sacrosanta. Il solo pensare che possano uscire per un’ora provoca un disgusto di massa». A dichiararlo è Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori che si dice «indignato» della sentenza della Cassazione. «L’unico strumento che può ospitare questo tipo di reati è il carcere. Ci si appiglia al cavillo tecnico ma non ci sono scusanti per questi crimini. Il pianto di un criminale non cancella tremendi delitti. Occorre rendere esecutiva la pena - sostiene - anche se il cavillo giuridico è legittimo va a cozzare contro la morale di ognuno di noi».
«Ieri - dice Marziale che si è recato al carcere Ferrante Aporti di Torino dove ha incontrato il cappellano - ho incontrato madri che piangevano perché i loro figli sono ancora in carcere per un furtarello. Come si sentiranno ora queste madri? Le istituzioni devono collaborare. Bisogna mantenere ordine nella cultura giuridica del paese - osserva ancora -. Abbiamo un Csm che su questioni politiche si indigna e prende posizione, ma su ingiustizie ai cittadini non promuovono azioni. Di fronte all’elasticità delle scarcerazioni intervenga il Csm».

«Due minori, rei confessi, tutelati da un sia pur legittimo garantismo, e un piccino ancora più minorenne di loro barbaramente e gratuitamente trucidato. Diffido chiunque a pensare a una mera provocazione se - afferma Antonio Marziale - a questo punto chiedo formalmente al capo dello Stato la grazia per tutti quei minorenni detenuti per qualche furtarello».

Marziale, in una nota, definisce la sentenza della Cassazione che ha legato all’incidente probatorio la scadenza dei termini di custodia cautelare dei due fidanzatini accusato dell’omicidio di Novi Ligure «impeccabile tecnicamente» . «La sentenza - aggiunge - collude con la domanda di sicurezza pubblica della società civile e dimostra che la vita degli individui non ha prezzo».

 

 

Il racconto di un padre: nessun recupero
«Mia figlia in carcere ha imparato il crimine»

 

La Stampa, 5 ottobre

 

«Il carcere non recupera, non rieduca, non serve a niente. Se si tratta di ragazzini, va evitato a ogni costo. A chi si indigna per Erika e Omar, dico che ho vissuto sulla mia pelle quel che significa avere una figlia minorenne in cella».

Parla il padre di Antonella Milletarì: Giuseppe ha 53 anni, trent’anni di lavoro come operaio, altri due figli grandi. «L’hanno punita duramente - dice - lo meritava ed è stata sempre detenuta. Otto anni e otto mesi in cui non ho potuto crescerla, in cui è passata da un carcere all’altro. Il risultato di tutta quella galera? Me l’hanno restituita rovinata. Era una bambina, quando è entrata. Poche settimane dopo essere tornata a casa è stata di nuovo arrestata. Le hanno dato 5 anni».
La storia giudiziaria di Antonella è iniziata nel 1990. «Aveva 16 anni, era innamorata di un ragazzo di 23 anni, una storia di cui non sapevo niente. Per me era in collegio, a studiare. Nel mese di luglio lui ha ammazzato a bastonate gli zii, perché non volevano dargli i soldi che chiedeva. Lei non ha partecipato materialmente al delitto, non ha colpito nessuno. E’ rimasta a guardare». Un delitto agghiacciante: le vittime, 82 e 61 anni, vennero uccise e sepolte in un bosco, nell’Alessandrino. Lui fu condannato a 30 anni, divenuti 20 in appello quando cadde l’aggravante della premeditazione. Lei a 8 anni e 8 mesi. Nel ‘99 Antonella è tornata in carcere per tentato omicidio a scopo di rapina: insieme con un uomo aggredì un pensionato di Vercelli, nella sua casa. I due fuggirono con 12 milioni, dopo aver colpito l’anziano alla schiena con un paio di forbici.

«Ma bisogna andarci piano - sostiene Giuseppe Milletarì - a invocare le punizioni esemplari, a condannare, a dare anni di carcere come fossero mesi di ferie. Otto anni ho aspettato che tornasse a casa la mia bambina. Otto anni a guardare il suo letto vuoto, a pensare a quando le davo il bacio della buona notte. E’ tornata dopo anni in cui non ho potuto starle vicino, passando dal carcere dei ragazzi a quello degli adulti. Ha frequentato solo delinquenti. Il risultato è quello che è. Sarei comprensivo se sapessi che quei due ragazzini hanno una possibilità che Antonella non ha avuto. Non sono geloso, non dico che i giudici dovrebbero comportarsi con loro come con Antonella. Dico che anche mia figlia avrebbe avuto il diritto di essere recuperata alla società. Capisco il papà di Erika, so che cosa passa. So che un figlio è sempre un figlio, sangue del tuo sangue, che non potrai mai mollare, ripudiare, voler vedere in galera a vita».

«Solo una volta, hanno provato a inserirla nel lavoro. Appena l’hanno fatta uscire dal carcere, e l’hanno messa in una comunità, è scappata. Per quanto ne so, quando l’hanno ripresa, non hanno più provato a toglierla dalla prigione. Sono andato a trovarla al Ferrante Aporti, al Beccaria di Milano, a Firenze. La galera rende gli adulti più cattivi, più delinquenti di prima. I ragazzini li rovina per sempre. Quando Antonella è tornata a casa, alla fine del ‘98, ripeteva quel che diceva sempre: che era innocente, che non aveva ucciso nessuno, che il suo solo torto era di essersi innamorata dell’uomo sbagliato. Al processo anche il fidanzato giurò che non aveva partecipato, e la difese in ogni modo. Era più grande, lei era una bambina. Non bastò a toglierle il concorso in omicidio. Uscita di galera, quando le parlavo, mi pareva che le fosse rimasta la stessa testa di quando aveva 15 anni. Non era cresciuta, non era maturata, aveva addosso solo tanta rabbia».

 

L'opinione di Nicola Sansonna, detenuto e redattore di "Ristretti Orizzonti"

Chi uccide la madre, il padre, non può essere trattato 

alla stregua di chi ruba un motorino

 

Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha parlato del "troppo lassismo" che c’è nei confronti dei ragazzi che commettono gravissimi delitti: un tema peraltro sentito da larga parte dell’opinione pubblica. Ho anch’io dei dubbi e la voglia di capire di più su questo argomento. Chi uccide la madre, il padre, chi, pur nella sua immaturità, commette delitti atroci, non può essere trattato alla stregua di chi ruba un motorino. Deve capire di aver fatto qualcosa di tremendamente grave! 

La netta spaccatura che c’è tra maggiore e minore inoltre è troppo rigida. È di pochi giorni fa il caso di due coimputati, uno di 17 anni e l’altro di 18, accusati di omicidio: il minorenne esce dal carcere, mentre l’altro, di pochi mesi più grande di lui, ha una vita di galera davanti a sé. 

A diciotto anni meno un giorno si è meno pericolosi che a 18 anni ed un giorno?

A mio parere poi, anche se so che molti la pensano in modo del tutto opposto, la "minore età" dovrebbe essere innalzata a 21 anni, fermo restando che chi uccide deve essere messo in grado di maturare un profondo senso di colpa per ciò che ha fatto, ed in pochi mesi di detenzione non matura proprio niente. 

 

Precedente Home Su