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Troppi delitti compiuti da minorenni, il Guardasigilli vuole riformare il codice Imputabili
anche i dodicenni: «Punire i sedicenni come adulti»
Il Messaggero, 14 ottobre 2001
Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori: "ALTRI RAGAZZI RESTANO IN CELLA PER UN FURTO"
L’unione Sarda, 5 ottobre 2001
«Erika
e Omar devono restare in carcere. Non si vuole la forca per questi due assassini
ma la condanna è sacrosanta. Il solo pensare che possano uscire per un’ora
provoca un disgusto di massa». A dichiararlo è Antonio Marziale, presidente
dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori che si dice «indignato» della
sentenza della Cassazione. «L’unico strumento che può ospitare questo tipo
di reati è il carcere. Ci si appiglia al cavillo tecnico ma non ci sono
scusanti per questi crimini. Il pianto di un criminale non cancella tremendi
delitti. Occorre rendere esecutiva la pena - sostiene - anche se il cavillo
giuridico è legittimo va a cozzare contro la morale di ognuno di noi». «Due minori, rei confessi, tutelati da un sia pur legittimo garantismo, e un piccino ancora più minorenne di loro barbaramente e gratuitamente trucidato. Diffido chiunque a pensare a una mera provocazione se - afferma Antonio Marziale - a questo punto chiedo formalmente al capo dello Stato la grazia per tutti quei minorenni detenuti per qualche furtarello». Marziale, in una nota, definisce la sentenza della Cassazione che ha legato all’incidente probatorio la scadenza dei termini di custodia cautelare dei due fidanzatini accusato dell’omicidio di Novi Ligure «impeccabile tecnicamente» . «La sentenza - aggiunge - collude con la domanda di sicurezza pubblica della società civile e dimostra che la vita degli individui non ha prezzo».
Il
racconto di un padre: nessun recupero
La Stampa, 5 ottobre
«Il carcere non recupera, non rieduca, non serve a niente. Se si tratta di ragazzini, va evitato a ogni costo. A chi si indigna per Erika e Omar, dico che ho vissuto sulla mia pelle quel che significa avere una figlia minorenne in cella». Parla
il padre di Antonella Milletarì: Giuseppe ha 53 anni, trent’anni di lavoro
come operaio, altri due figli grandi. «L’hanno punita duramente - dice - lo
meritava ed è stata sempre detenuta. Otto anni e otto mesi in cui non ho potuto
crescerla, in cui è passata da un carcere all’altro. Il risultato di tutta
quella galera? Me l’hanno restituita rovinata. Era una bambina, quando è
entrata. Poche settimane dopo essere tornata a casa è stata di nuovo arrestata.
Le hanno dato 5 anni». «Ma bisogna andarci piano - sostiene Giuseppe Milletarì - a invocare le punizioni esemplari, a condannare, a dare anni di carcere come fossero mesi di ferie. Otto anni ho aspettato che tornasse a casa la mia bambina. Otto anni a guardare il suo letto vuoto, a pensare a quando le davo il bacio della buona notte. E’ tornata dopo anni in cui non ho potuto starle vicino, passando dal carcere dei ragazzi a quello degli adulti. Ha frequentato solo delinquenti. Il risultato è quello che è. Sarei comprensivo se sapessi che quei due ragazzini hanno una possibilità che Antonella non ha avuto. Non sono geloso, non dico che i giudici dovrebbero comportarsi con loro come con Antonella. Dico che anche mia figlia avrebbe avuto il diritto di essere recuperata alla società. Capisco il papà di Erika, so che cosa passa. So che un figlio è sempre un figlio, sangue del tuo sangue, che non potrai mai mollare, ripudiare, voler vedere in galera a vita». «Solo una volta, hanno provato a inserirla nel lavoro. Appena l’hanno fatta uscire dal carcere, e l’hanno messa in una comunità, è scappata. Per quanto ne so, quando l’hanno ripresa, non hanno più provato a toglierla dalla prigione. Sono andato a trovarla al Ferrante Aporti, al Beccaria di Milano, a Firenze. La galera rende gli adulti più cattivi, più delinquenti di prima. I ragazzini li rovina per sempre. Quando Antonella è tornata a casa, alla fine del ‘98, ripeteva quel che diceva sempre: che era innocente, che non aveva ucciso nessuno, che il suo solo torto era di essersi innamorata dell’uomo sbagliato. Al processo anche il fidanzato giurò che non aveva partecipato, e la difese in ogni modo. Era più grande, lei era una bambina. Non bastò a toglierle il concorso in omicidio. Uscita di galera, quando le parlavo, mi pareva che le fosse rimasta la stessa testa di quando aveva 15 anni. Non era cresciuta, non era maturata, aveva addosso solo tanta rabbia».
L'opinione di Nicola Sansonna, detenuto e redattore di "Ristretti Orizzonti" Chi uccide la madre, il padre, non può essere trattato alla stregua di chi ruba un motorino
Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha parlato del "troppo lassismo" che c’è nei confronti dei ragazzi che commettono gravissimi delitti: un tema peraltro sentito da larga parte dell’opinione pubblica. Ho anch’io dei dubbi e la voglia di capire di più su questo argomento. Chi uccide la madre, il padre, chi, pur nella sua immaturità, commette delitti atroci, non può essere trattato alla stregua di chi ruba un motorino. Deve capire di aver fatto qualcosa di tremendamente grave! La netta spaccatura che c’è tra maggiore e minore inoltre è troppo rigida. È di pochi giorni fa il caso di due coimputati, uno di 17 anni e l’altro di 18, accusati di omicidio: il minorenne esce dal carcere, mentre l’altro, di pochi mesi più grande di lui, ha una vita di galera davanti a sé. A diciotto anni meno un giorno si è meno pericolosi che a 18 anni ed un giorno? A mio parere poi, anche se so che molti la pensano in modo del tutto opposto, la "minore età" dovrebbe essere innalzata a 21 anni, fermo restando che chi uccide deve essere messo in grado di maturare un profondo senso di colpa per ciò che ha fatto, ed in pochi mesi di detenzione non matura proprio niente.
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