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In attesa della riforma, storie di chi ce l'ha fatta
Famiglia Cristiana, 8 febbraio 2004
Giovanni, Silvio, Bouhabid: grazie all'aiuto di operatori preparati e sensibili sono stati capaci di riscattare gli errori del passato. Ma non tutti hanno questa possibilità. Storie di ragazzi che hanno sbagliato, quelli che stanno nei vari Istituti per minori. Fanno riflettere sul disegno di legge del ministro Castelli, poi bloccato a Montecitorio, che pare stia per essere riproposto. Ma anche storie positive, quelle di chi ce l'ha fatta grazie alla disponibilità di operatori qualificati e specializzati nelle prigioni di Stato, dove la proposta pedagogica e il sostegno psicologico dovrebbero essere connessi al trattamento. Stefania Ciavattini, direttrice dell'Istituto penale minorile Beccaria, ha le idee chiare in proposito, e ha in mente le persone. "È troppo semplice risolvere le questioni trattenendo e basta. Il passaggio verso l'emancipazione è graduale. Se un ragazzo viene condotto qua per la prima volta è perché deve fare i conti con la società, con i genitori, con sé stesso. I ragazzi possono cambiare: ci vuole tempo, autorevolezza e affetto. Non ci sarebbe successo se non ci fosse lavoro, impegno, empatia tra noi e il ragazzo. Il cadere delle sbarre è simbolico. Chi va via, chi esce dopo il soggiorno nel nostro istituto, si prende delle responsabilità; lavora o studia". Giovanni, per esempio. Siciliano, orfano di padre, entrato a 17 anni al Beccaria dopo essere stato, a 14 anni, in carcere in Germania per reato connesso all'uso di stupefacenti. Durante la carcerazione gli muore la madre e a Giovanni viene negato il permesso di andare al funerale. Il giudice tedesco gli concede la messa alla prova. Giovanni viene in Italia e non rispetta il progetto; è arrestato e portato nell'istituto milanese. "Era un tipo chiusissimo", dice la Ciavattini. "Finché, tra gli insegnanti una capì la sua intelligenza superiore alla media, il talento, il senso estetico. Gli venne insegnato come mettere a frutto le sue doti attraverso un progetto che riguardava l'"estetica dell'istituto", cioè rimettere a posto i locali comuni, ma non soltanto imbiancando e con lavori di muratura o falegnameria, perché Giovanni ha un talento manuale e anche artistico. Si impegna, fa cose bellissime. Cresce, cambia. Ha una grande passione per la fotografia. Va a scuola, e diventa bravissimo. Con l'aiuto di don Gino Rigoldi riesce a fare un tirocinio da un fotografo molto noto. Ora ha 22 anni, è un professionista stimato e amato da tutti, che lavora come fotografo per compagnie turistiche. La cosa bella è che ha proposto all'istituzione di poter fare delle speciali lezioni per spronare i ragazzi che sono "dentro", spiegargli che è possibile farcela, rinascere. "Il giudice che ha approvato la sua "messa alla prova" ha scritto al Beccaria perché fosse mandato al ministro il progetto che lo riguardava", dice la Ciavattini. "Siamo fieri di lui, di come è cambiato". Un altro esempio è Silvio. Entrato a 15 anni al Beccaria e poi mandato all'esterno come parquettista. Trasferito a San Gimignano, al carcere. È talmente cambiato da voler venire al Beccaria, nei permessi premio, per rivedere gli operatori. Anche Silvio, con l'amore, con la competenza, con il progetto dell'istituzione, con l'aiuto di don Gino (che gli ha trovato il lavoro, oggi fa il tecnico in una ditta di Dvd), è diventato un altro: tanto che si è proposto come volontario al Beccaria, per far costruire dagli ospiti dei giocattoli da regalare ai bambini in ospedale (è un volontario Abio). Ce l'ha fatta anche Bouhabid Dice Roberta Rossolini, educatrice: "Dare la possibilità di insegnare ad altri ragazzi, dopo aver passato tante vicissitudini, è importantissimo. Per chi ascolta e per chi testimonia". Questo si è già fatto a Milano, più volte e con successo. Per esempio, con il Progetto Rap 2002 (Ragazzo responsabile, autonomo, progettuale). Si è fatto per esempio con Bouhabid, marocchino, ora diciottenne, che dopo due anni al Beccaria è diventato, per Comunità Nuova, un educatore di strada, un "educatore tra pari", tornando proprio nel suo quartiere, con ottimi e convincenti risultati in termini di prevenzione. Il problema è individuare ogni giorno, di fronte al fenomeno della devianza, il giusto intervento, che deve però tener conto e soddisfare esigenze apparentemente contraddittorie e diverse. Un intervento che spazi dalla prevenzione attraverso la tutela e la protezione e arrivi alla repressione attraverso la responsabilizzazione, per tentare di recuperare sempre il più possibile l'autore del reato, senza mai dimenticare la vittima e la collettività. Cose che si possono fare solo con giudici che garantiscano che l'intervento finale si armonizzi alle esigenze di sviluppo e di crescita del minore, con operatori capaci e appassionati, in grado di insegnare il rispetto delle regole della giustizia e del vivere insieme.
Priore: "i dati non ci dicono tutto"
Le statistiche in materia di criminalità minore non sono pienamente attendibili, visto che probabilmente non rendono, almeno per l'Italia, le dimensioni del fenomeno. Lo ha sottolineato, nel corso di un recente convegno sui minori stranieri a rischio di devianza, organizzato a Roma nell'ambito del semestre di Presidenza europeo, Rosario Priore, capo del dipartimento minorile del ministero della Giustizia, che, insieme a Giuseppe Fera, vicedirettore generale della Pubblica Sicurezza e direttore centrale della Polizia criminale, e al colonnello dei Carabinieri Ilio Ciceri, rappresentante nazionale del Gruppo rete prevenzione crimine, ha chiuso i lavori della conferenza. "Secondo le nostre statistiche", ha detto Priore, "i reati commessi da minori sono circa il 2 per cento di quelli commessi da adulti. Bisogna però rilevare che, per esempio nei Paesi scandinavi, le percentuali sono molto più alte, fino al 100 per cento. C'è poi da considerare la differenza tra i reati denunciati e quelli invece effettivamente compiuti, molti di più naturalmente di quelli denunciati. Questo", ha aggiunto Priore, "porta a non valutare esattamente le dimensioni del fenomeno della devianza minorile".
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