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Io lavoro: Veronica, Annalisa, Liri
Almanacco di "Carta", 29 maggio 2003
Veronica è rumena, mantiene quattro figli che vivono in Romania mentre lei è alla Giudecca, nell’istituto di pena femminile, da un paio d’anni lavora con Barbara, Carla e Isabella nel laboratorio di sartoria gestito dalla cooperativa sociale Il Cerchio. "È bravissima, taglia e cuce con incredibile facilità e precisione - racconta Annalisa, coordinatrice del gruppo di lavoro – con lei, siamo riuscite a realizzare nientemeno che abiti del settecento veneziano. Con scampoli di stoffa e tanta fantasia - raso, velluto broccato, impreziositi da perle e pizzo abbiamo dato vita ai manichini fatti dai detenuti della casa circondariale di Padova che lavorano con la cooperativa Giotto vestendoli con splenditi abiti d’epoca". Adesso, le sartine della Giudecca hanno anche un negozio, "Banco numero 10", a campo Sant’Antonin di Venezia, dove verranno venduti capi d’abbigliamento, borse, foulard e tutto quello che riusciranno a creare. "Le ragazze fanno un lavoro di grande qualità e dignità professionale - dice Annalisa, che sceglie le stoffe tra i campionari di Rubelli, Vianello e dei setifici comaschi - acquistiamo a prezzi contenuti e realizziamo capi e oggetti unici, perché la stoffa magari basta per un solo capo". L’ambizione è riuscire a diventare punto vendita anche delle altre produzioni nelle tante carceri italiane. Alle Fondamenta delle Convertite, sempre alla Giudecca, il giovedì mattina c’è il "banco ortaggi" (da metà marzo a fine novembre), dove sette detenute vendono frutta e verdura coltivate nell’orto dell’edificio, una clientela non numerosa ma puntuale si trova lì tutte le settimane, racconta Liri, operatrice volontaria, E, con le piante aromatiche dello stesso orto, la cooperativa Rio Terà dei Pensieri, ha realizzato un laboratorio cosmetico che produce bagno schiuma, crema idratante, latte detergente, sapone, shampoo e profumi di diverse essenze. La sfida è fare un lavoro di qualità e pagare stipendi "veri" alle due detenute che lavorano a fianco del chimico responsabile del laboratorio. Centomila flaconcini di sette diversi prodotti per il bagno e cinquantamila saponette alla glicerina, è l’ordine arrivato dall’hotel Bauer, che ha scelto la cosmesi naturale del carcere femminile per i suoi clienti di lusso. "La cooperativa è nata nel ‘94 - racconta Raffaele - e da allora ci siamo occupati di corsi di formazione e di laboratori di editoria informatica, serigrafia e pelletteria, soprattutto nella sezione maschile, dove è molto più difficile poter lavorare. È un carcere sovraffollato, e ogni sei, sette mesi cambiano le persone". "Siamo ancora disorganizzati e non abbiamo una sede - confessa Raffaele ma, anziché occuparci delle misure alternative al carcere, abbiamo scelto di occuparci di una misura alternativa alla cella, anche perché molti ci restano a lungo, in cella". Non lavorare stanca. Non avere accesso al lavoro è ancora più frustrante. In Italia, sono circa 14 mila i detenuti e le detenute che lavorano, pari al 25 per cento del totale delle persone recluse. È molto difficile però proseguire il lavoro una volta fuori, perché la legge Bossi - Fini aspetta al varco i migranti e i pregiudizi aggrediscono tutti gli altri. Cooperative sociali e associazioni di volontariato non si perdono d’animo, e hanno dedicato un’intera giornata di studi a metà maggio sul lavoro in carcere e il reinserimento lavorativo a fine pena. Gli atti della giornata sono stati curati dalla redazione di Ristretti Orizzonti, il giornale della casa circondariale di Padova. Li trovate su www.ristretti.it.
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