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Breve storia del lavoro penitenziario (tratta dal sito internet www.circondarialetorino.it)
In Italia la lenta evoluzione verso la società industriale fa sì che ancora alla fine dell’800 l’impiego prioritario dei condannati sia nel settore agricolo. In questo periodo, i servizi domestici sono affidati a pochi detenuti particolarmente meritevoli e l’occupazione del lavoro all’aperto rimane ampiamente diffusa e, addirittura, ritenuta particolarmente rieducativa e “piacevole” per il contatto costante con la natura. La manodopera carceraria in altri settori produttivi è oggetto di una vivace polemica –come si evidenzia nelle relazioni pubblicate nella Rivista di Disciplina Carceraria di fine 800 e inizio secolo- che vede contrapposti l’Amministrazione penitenziaria e il mondo produttivo libero che non accetta i prezzi dei manufatti carcerari impraticabili per l’industria. D’altro canto, le lavorazioni carcerarie costituiscono per l’Amministrazione penitenziaria esperienza rieducativa ed obbligo moralizzatore, nonché un modo per rimborsare le spese sostenute dallo Stato (anche perché la “gratificazione” data ai detenuti per il loro lavoro rimane a questi ultimi solo nella misura dai 3 ai 6 decimi, a seconda della loro posizione giuridica). Su questi punti l’Amministrazione Penitenziaria non indietreggerà mai, salvo,tuttavia, mediare in merito alla quantificazione del salario,modalità di gestione e, per molto tempo, propensione al lavoro agricolo rispetto a quello artigiano o industriale. E’ nel testo dell’art. 131 del Regolamento Penitenziario del 1931 che si comincia a parlare di “laboratori” e di celle con elenchi delle dotazioni di utensili e di macchine: è il primo segno del diffondersi di lavorazioni industriali. Nelle relazioni pubblicate in questi anni, si articolano sempre più i temi, innestati sull’obbligatorietà del lavoro, di attività qualificanti a livello di formazione professionale che aiuti il reinserimento nella società. Il
diffondersi di macchine nelle lavorazioni intramurarie agevola
l’occupazione dei detenuti che devono scontare pene brevi e che, quindi,
sarebbero impossibilitati a ricevere una lunga formazione. In questo periodo, il
concetto di “gratificazione” è sostituito da “remunerazione”
che può essere anche oggetto di reclamo davanti alla magistratura. Il riconoscimento di una “funzione sociale” per il lavoro dei
detenuti
fa sì che questi siano assicurati contro gli infortuni e la tubercolosi (art. 123). Per quanto riguarda i criteri di assegnazione al lavoro, nei testi normativi del 1891, pur considerando auspicabile per un migliore rendimento valutare le abitudini del soggetto,gli eventuali impieghi precedenti e durata della pena, si lascia alla Direzione un assoluto potere di scelta. I detenuti non possono ricevere commissioni di lavoro dall’esterno, per salvaguardare le finalità dell’emenda sotto la costante direzione e vigilanza di chi dirige lo stabilimento. Ciò
viene riconfermato nel 1931, quando il legislatore afferma il
potere del Direttore che assegnando il detenuto al lavoro, estrinseca il
carattere penale di tale obbligo e lo vincola ai limiti dell’organizzazione
dell’Istituto. Il ponte gettato tra realtà carceraria e l’esterno trova nuovi pilastri anche nel collegamento tra carcere e realtà imprenditoriale nel duplice senso di ingresso dei detenuti nelle imprese esterne (vedi il testo dell’art. 21) e delle imprese nelle carceri senza tentazioni di sfruttamento. Tale tendenza trova conferma nel Nuovo Regolamento del 2000 che evidenzia la possibilità di una gestione “diretta” in quanto le lavorazioni possono essere organizzate e gestite da imprese pubbliche e private (art. 47) nonché tramite convenzioni con cooperative sociali. Nel Luglio 2000, la legge n° 193 cosiddetta Smuraglia tenderà a facilitarne l’applicazione.
I soldi dei detenuti
Attualmente i detenuti possono spendere il denaro, depositato in appositi conti correnti interni, entro i limiti dettati dalla vigente normativa che indica i seguenti importi:
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