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Uomini Liberi, numero di marzo 2005 (Mensile dalla Casa Circondariale di Lodi)
Luciano Violante a colloquio con i carcerati di Lodi
Luciano Violante, classe 1941, è nato in un campo di concentramento, dov’è rimasto fino all’età di due anni. Magistrato, parlamentare, presidente della Camera dei deputati per la XIII legislatura, non ha perso il buon vizio di stare in mezzo alla gente, a chi l’ha eletto ma anche a chi non la pensa come lui. È abituato a guardare negli occhi le persone. È il suo sguardo, penetrante e intelligente, a parlare. Lo sguardo di chi va oltre un tour elettorale tra comizi e bandiere. L’intelligenza di chi ha scelto di fare della politica uno stile di vita. Sono pochi i politici che hanno scelto di "perdere" il loro tempo per venire in carcere a parlare con chi non porta voti. Violante ha accettato la nostra proposta: farsi intervistare da "Uomini Liberi". Per due ore ha abbandonato la piazza. Arrivato a Lodi per sostenere la campagna elettorale del centrosinistra ha scelto di venire al due di via Cagnola. E non si è trattato certo di una visita ma di un incontro. Lasciati gli agenti di scorta fuori, abbandonata l’agenda elettorale, Violante si è "fermato" nella nostra redazione per parlare di riforma del Codice di procedura penale, di amnistia, di grazia ma anche delle sue scelte, della sua esperienza dietro le sbarre. "Da giovane ho fatto l’assistente volontario. Facevo l’università a Bari e frequentavo il carcere come volontario. Un giorno un detenuto compì gli anni e mi invitò in cella a festeggiare. Non mi accorsi del tempo che passava e improvvisamente la guardia chiuse la porta blindata della cella senza accorgersi che ero dentro. Terminata la cena bussai alla porta e dissi "Voglio uscire!". L’agente mi rispose: "Qui tutti vogliono uscire!". Ribussai e gridai: "Ma io qui non c’entro". E l’agente mi rispose: "Qui tutti non c’entrano". Allora un po’ scocciato gli dissi: "Voglio parlare col direttore". E lui: "Tutti vogliono parlare col direttore". Richiuse la porta blindata e solo l’indomani mattina alla conta si accorsero che c’era una persona in più". Violante rompe il ghiaccio. Non è facile intervistare un’ex presidente della Camera. Soprattutto se si è schietti come lo sono le nostre domande: onorevole cosa fareste voi del centrosinistra per il carcere se foste al governo? "Io non voglio promettere nulla. Anzi. Voglio essere sincero: non faremo alcuna amnistia. Ci impegneremo prima per la riforma del Codice penale e del Codice di procedura penale. La proposta Grosso era valida. Dobbiamo ripartire da lì. Crediamo in un sistema ordinato di garanzie uguali per tutti". Cosa ne pensa della proposta Cirielli in modo particolare sull’aumento dei termini di prescrizione? "Tutto dipenderà dal tipo di difesa che un imputato ha". Ma ci spieghi perché le parole del Papa pronunciate a Camere unite sono rimaste un vano appello? Perché l’appello del Pontefice ad un’amnistia non ha avuto frutti? "Io sono una persona abituata a dire la verità anche se faccio il politico. Per l’amnistia non c’è spazio. Solo se si mette mano al Codice penale e al Codice di procedura penale si può aprire qualche possibilità. Il Papa fa un altro mestiere. Il Papa ha posto una questione etica ma va ricordato che Giovanni Paolo II non ha la responsabilità del governo di un Paese. Quello che voi oggi dite andrebbe ricordato a coloro che si sono commossi per le sue parole. Coloro che si sono genuflessi non hanno fatto nulla". Il capo dello Stato ha più volte fatto uso della grazia? "Certo servirebbe molto di più la grazia che l’amnistia. L’uso della grazia è uno strumento che deve diventare ordinario non straordinario. Forse serve un’azione affinché la grazia diventi uno strumento di politica giudiziaria".Ma la sinistra è disposta a far battaglia su questo? "Certo! Potremmo lavorare perché la grazia possa essere ordinaria: c’è il mio e nostro impegno". Spaziamo al di là dell’Italia. Cosa sta facendo l’Unione europea sul tema carcere? "Nulla. L’Unione europea sta lavorando affinché in alcuni Paesi, che dovranno entrare a far parte dell’Europa, gli standard, anche del sistema carcere, siano adeguati. La materia dell’amministrazione carceraria è poi lasciata ai singoli Paesi". Torniamo a noi, ad un tema che ci sta molto a cuore: il lavoro. "Ci sono due ordini di problemi. Il primo: la disponibilità da parte dell’esterno. Il secondo: la stabilizzazione dei detenuti. In qualche realtà carceraria, anche recentemente, sono in atto alcune sperimentazioni che hanno permesso di dare una formazione ai detenuti e di permettere loro di guadagnare qualcosa. Non solo. La cittadinanza che vede i soggetti detenuti operare per la società impara a sgomberare alcuni pregiudizi. Ci dev’essere un processo d’integrazione." Servono i lavori socialmente utili, quindi? "Purchè siano veri. Il problema è fare un lavoro che abbia un senso e non una qualsiasi attività. Se il lavoro è inutile al soggetto che lo fa allora è peggio. Ho trovato seria l’operazione fatta in alcune realtà in cui i detenuti sono stati chiamati a lavorare per la società, andando a ripulire le rive delle rogge o altro. Si tratta di attività che sono utili alla società. Tutto questo serve ad educare anche la società". Certo è che a volte lo sbaglio di uno pesa su tutti. "Purtroppo a volte la questione legata al carcere è utilizzata a fine propagandistico sia da una parte che dall’altra. È un compito della classe politica dirigente educare la società". Onorevole si rende conto che spesso capita che ci troviamo a pagare reati che abbiamo compiuto un decennio prima in altri momenti della nostra vita, in altri contesti anagrafici? "Il decorso del tempo del reato, se si è compiuto effettivamente un percorso, deve essere tenuto in considerazione. Nel momento in cui è trascorso un certo periodo dal reato e la persona ha seriamente cambiato i suoi comportamenti, francamente non ha senso applicare nello stesso modo la legge. Dobbiamo sensibilizzare la società". Onorevole lei insiste nel dire che serve lavorare sulla società, ma le faccio un esempio: ho fatto il volontario a Cremona distribuendo siringhe e profilattici ai tossicodipendenti ma i commercianti scendevano in piazza per distruggere e bruciare i raccoglitori e i distributori automatici. Come possiamo pensare di sensibilizzare? "C’è un atteggiamento moralistico nei confronti della riduzione del danno. Bisogna insistere. Dobbiamo continuare ad informare gli altri. Serve avere pazienza". A proposito di questo argomento, crede in iniziative come "Carcere a porte aperte" che permette ai cittadini lodigiani di entrare per un giorno dietro le sbarre e dialogare con noi? "Certamente! Bisogna dare atto a chi ha diretto e a chi dirige questo carcere di quanto fatto. Serve continuità. Serve andare avanti. Ma serve anche bruciare le tappe. Aspettiamo da troppo tempo interventi a nostro favore. "È difficile fare cose buone in poco tempo". Le domande incalzano. Sappiamo di aver di fronte un uomo che ama il confronto. E se il sistema carcere fosse privatizzato? "La privatizzazione delle carceri è da condannare in modo totale. Ci sono alcune prestazioni dello Stato che non possono essere considerate sul terreno dell’economia". Se lei fosse ministro della Giustizia cosa farebbe per prima cosa? "Un giro nelle carceri di tutt’Italia per capire qual è realmente la situazione nel Paese. Farei un giro anche nei tribunali per comprendere cosa funziona e ciò che non va. In questo Paese servono modelli organizzativi positivi. Una serie di problemi che spesso si vogliono risolvere con le leggi si potrebbero ridefinire con modelli organizzativi diversi". Le domande sarebbero ancora tante. Chi si trova dietro le sbarre non ha mai finito di porsi e porre interrogativi. Vorremmo avere la possibilità di confrontarci molto di più con chi governa questo Paese. Non è sempre facile trovare deputati disposti a capire che anche noi siamo cittadini con la stessa dignità di chi sta fuori. Potrebbero sembrare parole "pesanti" ma non lo sono. Lo conferma lo stesso onorevole Luciano Violante con una risposta veramente sincera ad un’ultima domanda prima di andarsene: quanti sono gli onorevoli che hanno visitato un carcere? "Non tutti lo fanno. Sono pochi coloro che sono entrati al di là di chi si occupa di giustizia".Arrivederci, Violante. E se incontra qualche collega lo inviti in via Cagnola.
Dal mistero della Pasqua nuovo slancio alla speranza
Durante tutta la Quaresima, il nostro cappellano don Mario, unitamente a don Luigi e ad un laico, ci hanno presentato settimanalmente alcune riflessioni riguardanti i temi propri della penitenza e preparandoci al sacramento della Conciliazione. All’ultimo di questi incontri abbiamo avuto l’onore e la fortuna della presenza del vescovo, monsignor Capuzzi, con il quale ci siamo intrattenuti in un coinvolgente dialogo sui principali misteri della fede alla luce della passione e risurrezione di Cristo.Sabato 26 marzo per la veglia Pasquale e la S. Messa ci è sembrato di essere in Cattedrale perché don Mario e don Marco hanno pensato a tutto, creando un ambiente e un clima veramente religioso e mistico. La liturgia è iniziata con la "Parola" – lettura della Bibbia – proseguendo con la benedizione dell’acqua Santa e del fuoco con l’accensione del cero pasquale e continuando con la S. Messa. È stato un momento commovente, in cui ognuno dei presenti, sorretto dalle parole dei celebranti e dall’importanza della funzione, ha potuto comprendere il significato del mistero della risurrezione per poter riprendere con rinnovato slancio il cammino della speranza.Nel ringraziare tutti per questa celebrazione ci sia consentito trascrivere l’omelia di don Marco Bottoni tenuta durante la S. Messa pasquale, fonte di meditazione per migliorare la propria condizione non solo religiosa. G.S.
Carissimi fratelli oggi celebriamo la risurrezione di Gesù cioè il ritorno in vita di Gesù morto sulla croce. Come si sia svolta la vicenda la sappiamo, Gesù è stato tradito da un amico, Giuda, condannato in un processo attraverso varie bugie, frustato e deriso e infine crocefisso. (...)La speranza è la virtù, cioè la forza, la capacità, la possibilità che ci insegna la Pasqua. (...)La speranza non riguarda solo la vita oltre la morte ma anche la nostra vita perché anche nella nostra vita si trovano tante cose che assomigliano alla morte.Penso alle delusioni, alle sofferenze, le ingiustizie subite, il luogo stesso in cui ora siete: il carcere che spesso assomiglia ad un sepolcro. Nei nostri incontri mi avete spesso detto la difficoltà di vivere qui! Anche per voi dentro questo sepolcro in cui vi ha chiusi la cattiveria dell’uomo, risuona la parola dell’angelo: non abbiate paura.Ho detto che qui vi ha chiuso la cattiveria umana. Avete sentito le letture che voi avete letto: l’uomo creato buono sceglie il male e il suo male è male per gli altri. (...) Riprendere il cammino è l’invito di Dio di fronte al male. Non importa ora dire se il male è stato scelto o subito, se e quanto il male scelto è stato provocato da un male subito da altri. Di fronte al male che ci ha chiuso qui noi dobbiamo riprendere il cammino, il cammino della speranza che ci indica la tomba vuota di Gesù: non abbiate paura.Qualcuno chiederà: qual è il cammino? (...)Si deve vedere in noi la volontà di diventare persone nuove, persone che vogliono e cercano il bene per se e per gli altri. Vediamo alcuni atteggiamenti, alcuni comportamenti per fare questo: chiedete perdono a Dio per il male fatto in passato, forse vi siete già confessati, la confessione deve diventare abitudine, proprio per chiedere a Dio di togliere il male.(...)Vedete, spesso alcuni di voi mi hanno detto che stando fuori non si capisce il carcere, e in parte è vero. Tuttavia il carcere più rigido e anche quello da cui è più difficile uscire è il peccato cioè il fare il male per abitudine (vizio) e non volerlo abbandonare. (...)Pasqua vuol dire passaggio (...) Questo passaggio sarà vero se sapremo accettare l’invito di Gesù che è il rifiuto del male! (...) Proprio se sapremo cambiare la nostra vita potremmo pretendere il bene la giustizia, il rispetto. (...)
Uno sportello giuridico per il carcere: l’esperienza di Bollate
Ho letto con interesse un articolo apparso sul "Corriere" di questa settimana che parla dell’ex presidente della Corte costituzionale Onida che da poche settimane in pensione varca ogni settimana come volontario il cancello del carcere di Bollate per aiutare i detenuti nel redigere domandine e istanze ai magistrati di sorveglianza.Il carcere di Bollate è il primo ed unico in Italia ad aver organizzato lo "sportello giuridico".Si tratta di un ufficio di consulenza gratuita per i detenuti dove prestano la loro opera un ex giudice del lavoro, un avvocato civilista ed ora il professor Onida, aiutati da tre detenuti.Lo sportello è stato organizzato dalla direttrice Lucia Castellano, come "sperimentazione di cogestione tra operatori del volontariato e detenuti".Il carcere di Bollate è tra i migliori d’Italia, inaugurato nel 2000, con 970 posti di cui solo 820 occupati, al contrario degli altri istituti dove la situazione è drammaticamente diversa, a volte inaccettabile per un paese civile. L’ufficio in realtà "è l’istituzionalizzazione del vecchio scrivano", ancora oggi in molte carceri è il detenuto più acculturato che si occupa di redigere istanze e richieste da inoltrare ai magistrati di sorveglianza.La grande quantità di richieste, non di rado assurde e inammissibili, finisce per intasare gli uffici dei giudici di sorveglianza, i quali spesso non riescono a evaderle tutte in tempi brevi, con il risultato che non vengono rispettati i diritti dei detenuti. La dottoressa Castellano ha delegato i tre giuristi a "fare da trait d’union, da legame tra le istanze degli utenti (i reclusi) e i magistrati di sorveglianza". Per il futuro progetta perfino di riuscire a ottenere che i tre detenuti che collaborano attivamente con lo sportello si rechino personalmente in tribunale per evadere le pratiche.Ma perché un giurista di così alta levatura, stimato da politici e accademici che ha trattato argomenti decisivi per la vita del paese decide di fare il volontariato in carcere?"Perché il volontariato - riflette Onida - è uno dei modi con cui la società cerca di rispondere alle necessità ed è, purtroppo, una forma di supplenza alle istituzioni, anche quando le strutture sono buone come a Bollate". Il professor Onida è entrato la prima volta nella casa di reclusione la settimana scorsa. Dovrà fare, per così dire un breve tirocinio affiancando uno degli altri giuristi."Bisogna imparare tutto, anche perché la popolazione carceraria è varia ed a volte è difficile capire le richieste dei detenuti".Dietro le sbarre, riflette, si vede "l’applicazione pratica del diritto, quando diventa carne e sangue".Credo che una profonda riflessione si imponga per tutti ma soprattutto per i responsabili di questo istituto penale e la popolazione detenuta di questo carcere, perché anche noi nel nostro piccolo potremo cercare di seguire questo esempio, un progetto che sono sicuro potrebbe portare a degli ottimi risultati per tutto il sistema. Livio Celotti
Il cinismo viaggia in metropolitana
Milano. Linea rossa della Metro che da "Sesto" va a "Bisceglie". È un mattino come tanti ed è appena passata l’ora di punta. Le carrozze ora sono meno affollate ed è più facile trovare un posto a sedere. Nonostante sia una bella giornata di sole e siano passati i "giorni della Merla", la gente non ha ancora abbandonato cappotti, giacconi di piuma e sciarpe avvinghiate al collo. A "Palestro" salgono un giovane sotto i trent’anni ed una ragazza più giovane. Lui è un ragazzone alto e robusto, lei più minuta, carina, con due grandi occhi scuri e porta al collo un bimbo di pochi mesi che dorme infagottato in una tutina termica. I loro abiti non sono firmati ma accostati con un certo gusto. Il ragazzo tiene a tracolla una vecchia fisarmonica tenuta assieme da nastro adesivo per pacchi. I tasti consumati indicano che ad usarli è stata più di una generazione. Sono una giovane copia di extracomunitari, probabilmente dei Paesi dell’est. Lasciano passare la fermata "Duomo"dove di solito scende parecchia gente, poi lui inizia ad articolare sui tasti una vecchia canzone: il tema del film "Il Padrino". Una nota dopo l’altra e lei incomincia a cantare. È una voce dolce, intonata. Ha un’impostazione desueta con qualche gorgheggio, ma piacevole. Il bimbo continua a dormire. La gente, ormai abituata a queste cose, guarda con sufficienza, annoiata e distratta. A guardarli in faccia si può leggere quello che pensano: "Oh, siamo alle solite… Ma perché non vanno a lavorare… Povero bambino dov’è capitato… Ma perché non se ne stanno a casa loro… Poveretti, fanno proprio pena… Uffa! Che lagna…".La canzone continua, ancora un paio di strofe e termina. Lei dalla tasca estrae un bicchiere della Coca-Cola di carta piegato, lo apre e incomincia il giro della carrozza per chiedere qualche spicciolo. Non è insistente, non chiede, ammicca con il capo con lo sguardo dignitoso di chi è costretta dalle circostanze. La gente a questo punto fa di tutto per trovare la scusa di non dare qualcosa: chi s’immerge nella lettura, chi cerca un indirizzo sul telefonino, chi finge di dormire e chi si gira dall’altra parte a guardare il muro del tunnel che scorre veloce. Solo un paio lasciano cadere nel bicchiere una monetina e lei ringrazia con un sorriso dallo sguardo triste. È passato solo il tempo di tre fermate, poi scendono e salgono sulla carrozza successiva. Io non ho dato la monetina. Sono di Milano ed il cuore in mano c’è l’ho sempre, ma in queste occasioni sono fortemente combattuto. Da una parte la pietà per chi sta peggio di me ed ha veramente bisogno, dall’altra la rabbia di chi questo ormai lo fa per mestiere. Forse sono stato influenzato trent’anni fa da alcuni cartelli che troneggiavano sulle strade spagnole che ammonivano: "Se fai la carità ad un bambino, crei un adulto che chiederà la carità". Lo so, è un monito spietato ma terribilmente reale. Stringo forte i denti fino a farmi dolere i muscoli della mascella. Non mi piace questo mio atteggiamento, ma rimango con i pugni affondati nelle tasche e non faccio niente. E mi chiedo perché questa società ti porta a questi ragionamenti cinici e contorti, dove le cose più semplici ed istintive si sbriciolano di fronte a dei se o a dei ma. È arrivata la mia fermata. Ero distratto e riesco a scendere quando le porte si stanno richiudendo. Domani ci sarà un altro treno e si ripeteranno le stesse cose, tutti i giorni, tutte le settimane e non cambierà niente… Franco
Poter contare sull’educatrice lungo la strada verso la libertà
Spesso abbiamo sfruttato il nostro giornale per parlare delle problematiche che quotidianamente incontriamo, quindi, non voglio ripercorrere tutte le tappe a rimarcare la drammaticità complessiva, ci tengo però a sottolineare l’importanza di avere figure fisse all’interno dell’istituto che fungono da riferimento per la concretizzazione di progetti interni, ma soprattutto di quelli proiettati al rientro a pieno titolo nella società. Il 22 dicembre 2004 è stata assegnata al carcere di Lodi l’educatrice dottoressa Michela de Celia, che è entrata a far parte dell’equipe carceraria. Un ruolo che purtroppo prima vedeva sdoppiarsi l’operato di un solo educatore per due carceri, Vigevano e Lodi, il dottor Walter Gentile, che si doveva organizzare in modo da occuparsi almeno dell’emergenza. Questo per noi ristretti è un passo di un certo spessore che l’istituto carcere ha fatto, perché l’importanza che ricopre questa figura, e mi ripeto, è fondamentale per agevolare, se meritevoli, sia la permanenza all’interno dell’istituto che la strada verso la libertà.Sicuramente un grazie al dottor Morsello, che con tenacia si è sempre battuto per la realizzazione di svariati progetti, alcuni che personalmente ha visto concretizzarsi, altri lasciati in eredità, che con l’approvazione del direttore sostituto, il supporto dell’educatrice, del comandante, che a livello organizzativo a fatto i salti mortali per far sì che orari e disponibilità coincidessero, dei volontari, hanno preso il via. Sto parlando di corsi interni che da circa due mesi si svolgono regolarmente, dall’informatica, alla musica, dalla lettura, al pieno funzionamento della biblioteca. Momenti di fondamentale importanza anche solamente per rompere la routine quotidiana. Durante lo svolgimento di questi incontri, si ha l’occasione di confrontarsi circa le problematiche individuali e mi sento di citare e ringraziare la signora Grazia Grena che propone settimanalmente un momento di auto aiuto per genitori e non, dandoci l’opportunità di portare avanti discorsi riguardanti la vivibilità del carcere, proponendosi in prima persona a fare. Ecco che tutta una serie di attività ora funzionano e vedono la costante presenza dell’educatrice che con la sua semplicità, discrezione e disponibilità, svolge quel ruolo di osservatrice indispensabile per stilare poi relazioni, compilare sintesi e fare da tramite fra le varie istituzioni. Noi ristretti ci sentiamo meno soli, quindi incoraggiati verso un futuro sicuramente difficile ma senz’altro più consapevole. Quindi un grazie a chi porta un po’ di umanità fra queste mura, indipendentemente dal ruolo che ricopre. Carlo Bernardi Pirini
Scoprire il piacere di leggere per dimenticare la televisione
Ho sempre pensato che i libri fossero dei mattoni pesanti e noiosi, infatti ho sempre impiegato la maggior parte del tempo libero a guardare la televisione, o andavo in giro e ogni tanto leggevo dei fumetti. Ora trovandomi in carcere e avendo tutto il tempo per guardare la televisione, mi sono reso conto, essendo sei persone in cella, che ad ognuno piace vedere programmi diversi, di quante trasmissioni stupide e noiose trasmettono nell’arco della giornata, mi son detto "proviamo a cambiare passatempo" e così ho chiesto di poter ricevere un libro dalla biblioteca del carcere, però essendo per me un mondo nuovo ho chiesto al bibliotecario cosa mi consigliava, e lui mi ha proposto un romanzo d’avventura. Me ne feci consegnare uno, ma dopo aver letto la trama, anche se interessante, trovandomi questo mattone fra le mani pensavo che non l’avrei mai finito. Iniziando a leggere però, cominciò a piacermi sempre di più, pagina dopo pagina.Si trattava di un romanzo di Wilbur Smith, dal titolo "La notte del leopardo". Dopo di questo ho letto "Il Dio del fiume": il primo è ambientato nell’Africa contemporanea e il secondo nell’antico Egitto, in entrambi lo scrittore è riuscito a proporzionare giochi di potere, azione, dramma e sentimento.Ho anche letto libri di altri scrittori e vi consiglio di mettervi a leggere un buon libro che stimola la memoria e la fantasia, invece di stare tutto il giorno davanti alla televisione o a letto. Sasha D’Angela
Grazie a chi è arrivato fin qui per conoscere il nostro mondo
Ci sono luoghi dove le mani non servono, perché non devi abbracciare nessuno.Ci sono posti dove i piedi non servono, perché non sai dove andare, né da chi.Ci sono posti dove la bocca non serve, perché non ci sono parole da dire ed anche gridare è inutile, perché nessuno ti ascolta.Qualcosa è cambiato, forse qualcosa cambierà.Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di entrare in questo luogo di espiazione da uomo libero, ha visto con i suoi occhi, ha sentito con le proprie orecchie e qualcosa o qualcuno ha toccato loro il cuore e segnato la mente. Quel giorno che aspettavo da tempo è arrivato ed è stato indimenticabile.Avete parlato, chiesto e qualcuno di voi signori, si è lasciato andare commuovendosi. Chissà se ritornerete, chissà se continuerete a leggerci, chissà se ci scriverete.So soltanto d’aver ricevuto tanto da voi. Una cascata d’emozioni, tanto che quella sera non sono riuscito a dormire, coccolato dai pensieri pieni di speranza, che tutto ciò, un giorno possa cambiare. L’amore è condivisione e armonia, è gioire nel donare gioia all’altro, è gioire della gioia dell’altro, è volere a tutti i costi che l’altro viva e sia felice in una reciprocità perfetta. È un alimentare la vita dell’altro, perché, in una corrente d’amore, l’altro alimenti la gioia di colui che gliel’ha donata. È utopia?Signori, queste sono alcune delle emozioni, profonde emozioni che mi avete donato e porterò nel cuore.Stante palmare evidenza del mio stato d’animo, esprimo il desiderio di poter avere una corrispondenza epistolare. Giuseppe Sciacca
Salute e assistenza nelle celle: serve una maggiore attenzione
È quasi un anno che vedo la libertà attraverso una finestra, non è più come una volta che mi bastava uscire per star bene, sia fisicamente che mentalmente.Ora che mi ritrovo rinchiuso in una cella, sento la mancanza di poter posare le mie ginocchia e le mani su un ciuffo d’erba. Per una stupidata che potevo benissimo evitare, ho perso la mia medicina… la libertà. A volte mi sento depresso e alla mattina quando entra la conta mi segno dal dottore, perché qui funziona così, ti devi mettere in lista per essere curato, perché se no è un grosso problema richiedere il dottore al di fuori dalle sue ore lavorative.Io in questo periodo sto prendendo una terapia perché ho troppi problemi per la testa, mi danno degli psicofarmaci, che servono per rintronarti, ma soprattutto ti aiutano (per modo di dire) a superare alcune difficoltà, problemi ma soprattutto i pensieri, non sei più te stesso e appena appoggi la testa sul cuscino ti addormenti e ti risvegli il giorno dopo come se non fosse successo nulla. Io sono un ragazzo molto impulsivo, forse anche troppo, a volte mi lascio andare e me la prendo sempre con le persone sbagliate, ed è per questo che volevo porgere le mie scuse agli agenti che aggredivo insultandoli con delle parole molto "raffinate". Li capisco, in questo momento che la mia mente è lucida, tutti gli errori che ho commesso sotto l’effetto di quello psicofarmaco; mi trasformavo in un mostro, perché in quei momenti radunavo tutti i miei problemi e mi sfogavo creando un baccano allucinante.Tutta la sezione mi sentiva, mi prendevano per pazzo, infatti il giorno dopo quando andavo all’aria mi richiamavano sempre per chiedermi che cosa era successo e di abbassare la voce, perché qui non ci sei solo tu, tutti abbiamo dei problemi, ma mai nessuno ha fatto come stai facendo tu… scusate tutti, amici miei. Ora però vorrei porgermi una domanda, perché non riuscirò mai a capire il motivo di questo comportamento, perché quando chiediamo aiuto o abbiamo un problema di tipo: mal di denti, mal di testa, e tantissime altre cose, non c’è qualcuno che ci aiuti veramente? Saremo dei detenuti e molte persone ci paragonano come animali rinchiusi in gabbia, perché è cosi che viviamo, ma siamo anche noi persone cristiane, lo abbiamo anche noi un cuore… dei sentimenti, il sangue scorre anche a noi nelle vene, perché non possiamo avere un po’ più di attenzione nella "sanità carceraria"? Sapete quante persone ci sono che stanno veramente male e chissà quando verranno curate? Dovreste sapere che tra le maggior malattie che si affrontano ogni giorno nei carceri ci sono la scabbia e la tubercolosi, che si credevano debellate ma invece esistono ancora.Pensate che ho letto un pezzo di articolo dove parlavano del famosissimo San Vittore, dove una persona su 5 è risultata positiva alla Tbc, dove trovi anche persone oramai terminali che affrontano ogni giorno la loro malattia definita Aids, ci sono persone ammalate di epatite di tipo A,B,C,ci sono persone che hanno il fegato spappolato e che non riescono nemmeno a mangiare perché non fanno altro che sputare sangue, non v’immaginate nemmeno quanti problemi esistono nelle carceri italiane. Alla fine della fiera veniamo tutti mescolati come un sacchetto di biglie, gente ammalata con persone sane. Una paura che affrontiamo ogni giorno è delle persone che ti vengono messe in cella perché puoi sapere del reato che ha commesso, ma non puoi sapere se potrebbe avere delle malattie; tutti hanno il coraggio di ammettere degli errori, ma nessuno è così uomo di venirti a dire di essere ammalato, per paura di essere messi in disparte.Sapete quanta gente è entrata sana ed è uscita ammalata, se tutto andava bene? Perché molte persone sono entrate e, o per la vergogna o per la loro innocenza, si sono suicidate perché non avevano più niente da perdere? Perché succedono i suicidi in carcere? Perché basterebbe un po’ più di attenzione, un po’ più di affetto… ma quando ci si sente soli e non si ha più niente da perdere sia dentro che fuori è un attimo tirare la corda.Ma la mia paura, come penso per tutti, se durante la notte qualcuno sta veramente male, un infarto, una frattura, un’ustione e tantissime altre cose chi ci aiuterebbe? Ora che suoni la campanella e l’appuntato apre il blindo e chiede cosa è successo, uno fa in tempo a morire. In questo carcere non esiste un pronto soccorso e il nostro medico dopo le 20 smonta e rimane l’infermiere che porta le terapie ai detenuti alle ore 21, e poi? Domina il silenzio. E se la notte uno ne ha bisogno cosa deve fare? Deve aspettare la mattina, quando arriva la conta per iscriversi dal dottore e farsi curare… un modo di dire: perché qui per ogni eventuale dolore che hai ti danno la solita pillola magica, una capsula bianca e rossa, ma il contenuto non si sa… e se qualcuno è allergico a questo farmaco cosa fa? Io non voglio accusare coloro che compiono il loro lavoro, cioè i dottori, ma ci vorrebbe un po’ più di attenzione, collaborazione ma soprattutto bisogna essere coerenti nelle scelte che si prendono. Jamaica
Se "apparire" conta più di tutto il resto
È difficile dare una spiegazione del perché viviamo in un mondo dove l’apparire è alla lunga più importante dell’essere.Certo sul tema, generazione dopo generazione, in corrispondenza dell’evoluzione umana e tecnologica, abbiamo visto studiosi, filosofi e non solo, discutere, cercando di attribuire colpe e meriti, tormentati dal senso dell’uomo, da questioni antiche e rimaste nuove, angosciosamente nuove, quindi il mio è solo un umile contributo basato esclusivamente sulla mia esperienza di vita e su alcuni libri che trattano l’argomento, dai quali ho tratto spunto. Purtroppo l’immagine che vogliamo dare è più importante delle nostre reali capacità, così sapendo di essere giudicati in base a ciò che possediamo siamo costretti a vestirci di teatralità facendo del nostro corpo una rappresentanza di tutta una serie di suppellettili create da una società basata sul consumismo. Ecco che ciò che vale per la merce di consumo, vale anche per l’uomo, che avendo rinunciato alla propria specificità per esigenze conformiste, sostituisce l’individualità con la pubblicità dell’immagine. Di conseguenza ci riconosciamo solo nella nostra immagine e nella pubblicità che ne facciamo, la nostra identità è esposta, fuori di noi, è laggiù in ciò che si dice di noi. Costretti a inseguire un andamento di cambiamenti frenetico per poter abitare in questo mondo, abbiamo tralasciato, anzi forse non abbiamo neppure conosciuto tutta una serie di valori e sentimenti che dovrebbero essere alla base di ogni uomo a fondamenta durevoli e immutabili, direi indispensabili per consolidare dentro di noi una vera identità. È talmente perversa questa società che persino il pensiero è divenuto violento e rinnega qualunque concezione che si fondi sulla cooperazione invece che sulla lotta, sull’amicizia, l’amore invece che sul nemico e la guerra.Lo sbaglio che abbiamo fatto è di aver reso necessario soddisfare bisogni inesistenti, rendendoli primari invece che incentrarsi sulle vere necessità. Usando una strategia differente, forse saremmo riusciti ad estendere il benessere in tutti i paesi oggi ancora in condizioni disumane.Purtroppo per la cultura del consumismo, dove nulla è durevole, l’usa e getta non vale solo per i prodotti di consumo, ma anche nei rapporti affettivi e umani: così, incentrati su questa rotta, abbiamo la libertà di scegliere di indossare e scartare a piacimento identità diverse, quindi non esiste una realtà solida, durevole e palpabile, ma una vita psichica vissuta senza un senso costante di sé, destinato a naufragare in una serie di riflessi fugaci che si rispecchiano nell’ambiente circostante.Ma in questa libertà non possiamo fingere, con i sentimenti non possiamo scherzare indossando un vestito che non ci appartiene, saremmo ridicoli e ce ne accorgeremmo, se perdiamo il coraggio di essere e di seguire ciò che sentiamo e scopriamo, rischiamo di restare veramente ancorati a questo abito confezionato da una società che ci rende marionette. Dobbiamo fare molta attenzione perché corriamo veramente il rischio di vivere una vita che non ci appartiene e a lungo andare subentra una sorta di abitudine che ci incolla su questo palcoscenico artificiale fatto di effimere emozioni, insignificanti sentimenti e inutili credo. Carlo Bernardo Pirini
Il giorno della grande sfida: ansia tra i detenuti per una partita
È il momento, mi sento ansioso oggi è un grande giorno, il giorno della grande sfida. Inizio a prepararmi, m’infilo le scarpe e mi metto sempre la mia maglietta porta fortuna, nel frattempo lungo la sezione si sente gridare a squarciagola… uno dei tre foggiani, si chiama Sergio, ed è sempre lui a prendere iniziative per queste sfide, lo senti gridare in tutta la sezione finché non trova tutti i componenti delle squadre, nel frattempo le 2 arrivano, è il momento, scendo le scale che mi portano verso il cortile, ecco ci siamo vedo lo spiraglio di luce che in una frazione di un secondo si trasforma in uno stadio, vedo i foggiani già nella metà campo e capisco che sarà contro di loro che dovrò battermi… C’è in palio una stecca di sigarette, chi vincerà avrà diritto a questo premio e chi perderà sarà quello più sfortunato perché dovrà pagare. Siamo pronti, cinque di qua e altri cinque di là e tutti gli altri fanno parte della tifoseria, ma più che altro sono testimoni di quello che accadrà durante la partita, se sarà gol o sarà fallo. Via, s’inizia, la palla comincia a girare… un’azione, e poi un’altra, successivamente un’altra ed è gol, siamo in vantaggio e i foggiani cominciano a innervosirsi ed è sempre lui Sergio che comincia a farsi sentire e a prendere iniziative per mettere ordine nella squadra. Si riparte. Attenzione, pareggio, e un gol e poi un altro gol e poi un altro ed è come se 100 tori fossero passati sulla mia testa, man mano i palloni tendono a scomparire oltre quelle mura e chissà se torneranno in dietro. Ultimo pallone, guai a chi sbaglia. Ma anche l’ultimo pallone se ne va ed è finita… Abbiamo perso, ecco gli avversari avvicinarsi contenti per aver vinto e invece di consolarci ci ricordano che abbiamo perso. Indietro non si può più tornare, bisogna solo trovare la soluzione giusta per batterli, non potranno sempre vincere… Jamaica
Lettera aperta a mio padre: ti prego, non abbandonarmi
È la sera di un giorno da ricordare Lacrime così grandi non le si vedono neanche in mezzo al mare. Gli uccelli riposano tra i rami. Ma io ho bisogno di sentirmi dire che mi stai ascoltando da lassù. A volte mi sforzo di non pensarti, di non sognarti. Ma non ci riesco, ti ho sempre nella mia mente, nei miei sogni,non riesco a rassegnarmi di averti perduto per sempre,e il mio cuore soffre immensamente.Caro papà ho passato dei bellissimi momenti in tua compagnia,e sono stati momenti che io porterò sempre nel mio cuore al tuo fianco mi sentivo il più sicuro dei ragazzi e il più felice di tutte le persone di questo mondo ma con la tua scomparsa, tu lasciasti un ricordo indelebile in me un ricordo che non potrò mai dimenticare,tu che con le tue ultime forze ti recasti nella mia stanza e come per abbracciarmi ti lasciasti andare distendendoti sul mio letto.Ogni giorno guardando il cielo, ringrazio il Signore Dio per avermi donato un Padre come il mio,buono, sempre pronto in ogni momento a consigliarmi sempre il meglio, e a risolvere i miei più svariati problemi, ma io purtroppo dopo la tua morte la mia vita ha intrapreso una brutta piega,cominciai con il frequentare cattive compagnie,che ben presto mi accorsi che ero solo usato non solo per amicizia, ma il mio carattere più debole del loro mi portò presto a commettere errori e poi sempre più in basso e alla fine mi ritrovai in un vicolo senza uscita. Ero talmente abbattuto ed infelice in quel periodo che per me la vita non aveva più senso Senza pensare che qualcuno poteva essere in pena per me e che continuava a tenere la sua mano sopra di me. Ma ora pensandoci bene se in quei momenti tu fossi stato presente la mia vita non avrebbe preso nessuna devianza perché il tuo appoggio mi dava coraggio, speranza in un futuro migliore di questo. Tu di me ti sarai fatto una brutta opinione eppure le persone che noi all’epoca frequentavamo non potevano dire male di me anzi potevano dire che io ero un ragazzo dolce ed affettuoso in tutti i sensi, come lo eri tu in fondo; buono, gentile e ancora di più.Scrivendo questa mia, oggi e nel percorso della mia vita voglio dire basta a tutto questo, e chiudere con il passato, ma ho bisogno che tu, papà, da lassù vegli su di me indicandomi la strada da percorrere, perché nel mio cuore scorre anche il tuo sangue. C’eri, ci sei, ci sarai, Ti prego non abbandonarmi in questa valle di lacrime e di paura. Riposa in pace. Massimo Leopardi
I giovani non apprezzano quello che hanno
Da ragazzo ero così timido e solitario che non riuscivano neppure a trovarmi un soprannome. Pensavo di essere un tesoro sommerso e speravo che qualcuno si tuffasse nell’oscurità della mia anima per riportarmi in superficie.Ero magrissimo e nuotavo dentro i miei vestiti, perché se non stavo comodo iniziavo a sudare freddo.Portavo i pantaloni di velluto marroni e le maglie di cotone larghe e slabbrate, quasi indecenti. Erano di mio nonno, il quale amorevolmente accorciava o rattoppava per vestirmi o meglio, coprirmi. Niente camicie. Niente maglioni. Niente lana. Nessuno mi prestava attenzione e io contraccambiavo, alzando a malapena lo sguardo, la testa perennemente insaccata nei sogni. Sì, proprio così, sogni. Sognavo di essere uguale agli altri ragazzi: un padre, una madre, una famiglia. Tutta la mia famiglia erano solo i nonni, che a stento tiravano avanti il carretto con quel poco di pensione che prendevano. Non potevo chiedere, né pretendere nulla, come talvolta capita di vedere e sentire in strada durante le fiere o nei mercati: mamma voglio che mi compri quello o questo, se no non ti parlo più o capricci simili e quel genitore che mette le mani nella borsa o portafoglio per soddisfare, controvoglia, il desiderio del figlio o figlia, viziati. Spesso ricordo che, per avere ciò che desideravo, all’età di sette anni, dovevo rubarlo: in un negozio, al mercato o anche in strada. Soffrivo, ho sofferto durante la mia infanzia, anche per altre storie della mia vita che non vi sto a raccontare.Eppure sono sopravvissuto, eppure vivo e amo la mia vita, con tutto ciò che di bello o di brutto essa mi possa offrire. È molto difficile oggigiorno che un ragazzo apprezzi ciò che gli viene dato dai propri genitori, anche se frutto di molti sacrifici, quando si è stati viziati, cresciuti tra due guanciali, come se tutto ti è dovuto. Penso che per capire quanto la vita a volte possa essere difficile, che il denaro non cade dal cielo, bisognerebbe che i genitori non soccorrano i propri figli quando hanno dei problemi, nel limite del normale e far sì che si rialzino da soli. So molto bene che non tutti saranno d’accordo con il mio punto di vista, ma credo fermamente che non tutto il "male" viene per nuocere! Giuseppe Sciacca
Filo diretto con i bambini delle scuole
Venerdì 25 abbiamo avuto un incontro con il sindaco di Lodi Aurelio Ferrari, persona che mi ha colpito per la sua grande umiltà e soprattutto per il suo forte senso sociale, in particolar modo il suo intervento sulla religione e di come dovrebbe essere praticata da chi si ritiene cristiano: amare il prossimo.Il cuore non ha colore o differenza politica e culturale, ma batte forte a seconda delle emozioni che si vivono attraverso il lungo percorso della vita, e batteva a mille anche sabato 26 quando Andrea e Cristiano ci hanno consegnato delle lettere di alunni della scuola elementare di Sordio. Beh, una giornata molto intensa, soprattutto perché leggere queste lettere dettate dalla trasparenza e innocenza della fanciullezza, che per sua fortuna non conosce ancora la malizia, ci ha fatto molto riflettere e onorare di appartenere a questa redazione, in quanto abbiamo la fortuna di poter avere questi incontri e soprattutto di toccare con mano tutto l’impegno che gli esterni svolgono, seguito poi a catena da altri gruppi o singole iniziative, come ad esempio quella dell’insegnante di Sordio che sicuramente ha avuto molto coraggio proponendo ai giovani alunni di avere contatti seppure via corrispondenza con noi detenuti. Sabato 12 marzo è stata un’altra giornata piena, molto molto intensa, con la visita degli esterni. Soprattutto per me, lodigiano doc o "cùl pitigrì" è stato molto difficile decidere di mostrarmi pubblicamente, capirete il disagio, i pensieri, "mah, e se arriva qualcuno che mi conosce? Che vergogna, come posso nascondermi? Sì ma prima o poi dovrò uscire affrontare la realtà esterna, perché nascondermi a queste iniziative esterne? Se vogliamo essere aiutati dobbiamo essere i primi ad avere il coraggio d’abbattere questi tabù". Tutti pensieri che una volta risolti anche con l’aiuto dei propri compagni riesci ad abbattere, come la curiosità letta sugli occhi increduli dei visitatori accompagnata da abbondante commozione dopo aver visto in quale disumana ristrettezza fisica dobbiamo scontare la nostra giusta o ingiusta pena che solo chi è entrato da civile può rendersi conto, che a lasciato posto a mille interrogativi, tipo, ma è possibile che nelle carceri italiane si viva così? E qui cari signori provate a parlare con qualcuno di loro, sicuramente vedrete dell’umidità nei loro occhi, come purtroppo noi abbiamo visto e vi assicuro che non è stato piacevole vedere quella sofferenza seppur momentanea nei loro occhi. Sicuramente tutti dobbiamo ringraziare chi ha permesso tutto questo partendo dai collaboratori esterni, ma anche dall’organo penitenziario soprattutto, che in questo modo cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti dei detenuti e che se viviamo in questo spazio non dipende da loro ma da altri organi di competenza e che quando ci sono stati disordini, dovuti all’illusione di un imminente atto di clemenza, di amnistia, indulto cercate di capire il perché? Vivere cosi in modo disumano e in più essere illusi per convenienza politica ha portato l’esasperazione nelle nostre anime, ma disordini pacifici e non come la maledetta televisione vi ha voluto far credere.Un sentito grazie a voi gente comune. E.C.
"È giusto che chi sbaglia paghi, ma a volte è tutto troppo duro"
Ciao, mi chiamo Karen ho dieci anni e frequento la quinta elementare. Con questa lettera vorrei capire come mai ti trovi in carcere. Da quanti anni sei in carcere? Cosa puoi aver fatto di così grave per trovarti lì? Come passi le tue giornate tra quelle mura? Che cosa ti manca di più?Io sono una bambina abbastanza rispettosa e trovo difficile capire perché certa gente commette cattiverie verso altre persone. La vita è bella e non è il caso di rovinarla con dei crimini. Spero che questa mia lettera ti abbia fatto piacere. Ciao. Karen
Ciao bambolina, mi chiamo Gaetano, mi fa molto piacere che una bambina della tua età si interessi a sapere il perché una persona commette dei reati e sapere come stiamo.Sono delle domande a cui si possono dare molte risposte, non si viene in carcere solo perché viene commesso un omicidio ma anche rubando un qualcosa di poco conto. Nel mio caso non ho commesso un reato grave e non ho fatto del male a nessuno, è un reato di cui parlano tutti i giorni i telegiornali, ci sono persone che lo fanno per bisogni economici e chi per farsi bello con le macchine nuove o comunque per divertirsi e magari nello stesso tempo a casa non ha i soldi per mangiare.Stare in carcere chiuso in quattro mura è la cosa più brutta che una persona possa subire, è giusto che una persona debba pagare gli sbagli che commette, ma a volte si pagano troppo duramente. È da due anni che sono qui ed è come fosse una vita, in questi anni ho capito che la libertà è la cosa più bella al mondo, anche se a volte non viene apprezzata, e come dici tu la vita è bella e la cosa più sbagliata è rovinarla in questo modo; a volte poi nei tuoi sbagli coinvolgi tutta la famiglia. Mi hai chiesto come passo le mie giornate, posso dirti che io sono fra i più fortunati, perché lavoro tutti i giorni e così riesco a distrarmi un po’ e così facendo i giorni trascorrono più velocemente. Il mio lavoro è in cucina e la mia mansione è quella di cuoco, e poi come tu sai faccio parte della redazione di "Uomini Liberi", mi occupo di gastronomia e in questo numero ti dedicherò una ricetta. Spero di essere riuscito a rispondere a tutte le tue domande, e mi farebbe piacere ricevere ancora lettere da te o dai tuoi compagni, e vi aspetto con ansia. G.C.
Da tutti voi un gesto che assicura gioia
Caro amico, mi chiamo Francesca, ho dieci anni, quasi 11, ho gli occhi marroni, i capelli castani, il naso regolare, la pelle a volte liscia, ma a volte secca per via di una noiosissima dermatite che si manifesta col freddo. Non sono magra né grassa, sono sensibile, emotiva, allegra e anche un po’ testarda. Frequento la quinta elementare di Sordio (in provincia di Lodi). Io e i miei compagni di classe siamo molto uniti, le mie amiche del cuore sono tre e si chiamano Chiara, Marianna e Karen. Le mie maestre si chiamano Marialuisa e Stefania. Io vorrei sapere il tuo nome e qualcosa di te, vorrei che mi raccontassi di come ti trovi (anche se credo male lontano dai tuoi familiari) e perché sei in carcere. Avrei tante altre domande da farti ma te le farò nella prossima lettera se tu vorrai rispondermi. Ora ti saluto e attendo le tue notizie. Ciao. Francesca
Ciao Francesca, mi chiamo Gaetano ho letto le lettere che tu e i tuoi compagni avete mandato alla Redazione di "Uomini Liberi" della quale anch’io faccio parte; mi occupo generalmente di gastronomia, ma non scrivo solamente articoli di cucina, anche di altro genere. Mi ha colpito molto questo grande gesto umano fatto da voi bambini. Tutto questo dovrebbe servire a far riflettere tante persone che in carcere non ci sono extraterrestri, ma persone che in questa condizione critica della vita hanno bisogno di affetto e di calore umano, soprattutto quelle che in carcere sono state abbandonate dalle proprie famiglie e dagli amici.Fra le tante lettere ho scelto la tua, perché leggendola mi hanno incuriosito le caratteristiche del tuo carattere perché un po’ mi rispecchio in te, ma forse io sono più testardo perché quando mi fisso su una cosa non cambio idea fino a quando non sbatto la faccia, sono molto sensibile e molto serio non mi piacciono le persone false e in giro ce ne sono parecchie; a volte le hai accanto e non te ne accorgi, ma quando lo capisci e sempre tardi. Mi chiedi che vuoi sapere qualcosa di me: amo i bambini ho due nipotini che adoro, e dei quali sento moltissimo la mancanza, il più grande si chiama Salvatore, ha 5 anni: è bellissimo ma è un terremoto, a sua madre, che è mia sorella, sta facendo diventare i capelli bianchi; la più piccola si chiama Michelle, ha quasi 2 anni e, gioia mia, non l’ho vista nascere e non so per quanto tempo della mia vita mi porterò dietro questo rammarico. Per problemi di distanza l’ho vista due volte, ma in compenso la vedo crescere tramite le fotografie che la mia famiglia mi manda quasi ogni settimana. Mi chiedi perché sono in carcere, io ti rispondo perché sono testardo. Ma alla prossima lettera te lo dirò perché se scrivo tutto adesso la prossima volta cosa ti scrivo? E poi mi piace ricevere corrispondenza, perché in carcere basta una lettera per cambiare la giornata. Mando un abbraccio a te e a tutti i tuoi compagni. Salutami anche le tue maestre Marialuisa e Stefania. Gaetano Crivello
Leggere quei fogli regala emozioni indescrivibili
Lettera aperta agli alunni delle scuole:"Descrivere le emozioni che ho provato nel leggere le vostre lettere è impossibile, vi dico però che faticosamente ho trattenuto le lacrime e sono certo che anche per i miei compagni di sventura è stato cosi.Cari bambini, anzi ragazzini, perché la vostra età oramai giustifica il termine, in più articoli ho fatto riferimento a voi, alla vostra innocenza, trasparenza, sincerità e bontà, proponendovi come esempio da seguire perché privi di malizia, egoismo e soprattutto di cattiveria, cosa che sembra andare per la maggiore in una società dove il perdono e la solidarietà sono un utopia. L’idea che avete avuto di iniziare un rapporto epistolare con noi è a dir poco grandiosa, quindi esprimere la nostra gratitudine è doveroso per tutta una serie di emozioni che grazie a voi abbiamo vissuto.Inizio a congratularmi con le vostre maestre che utilizzando coraggiosamente la nostra tragica esperienza vi hanno proposto tanti, veramente tanti spunti di riflessione con delle letture coinvolgenti ed impegnative, sfatando quel mito di insensibilità che sovente è uso, quindi mi auguro possiate veramente trarne profitto per non commettere i nostri stessi sbagli in futuro. Sapete, quando si è "liberi", non si pensa mai troppo seriamente a cosa sia giusto o sbagliato, solitamente infatti siamo talmente incentrati su noi stessi e sul nostro benessere che non vediamo altro, quindi con una specie di paraocchi che ci limita le vedute, agiamo di conseguenza senza preoccuparci troppo del nostro prossimo. Ecco l’errore più grave che si possa commettere, e quando si capisce è troppo tardi.Auguriamoci tutti che questa nostra società, come in più occasioni ha gia dimostrato, riesca a concretizzare i buoni propositi che si è prefissata per rendere a tutti quanti una vita più serena e armoniosa.Ancora una volta chiedo aiuto a voi che siete la parte migliore di questo mondo nel non cambiare mai, mai.Con stima e affetto". Carlo Bernardi Pirini
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