Giornalismo dal carcere

 

Uomini Liberi, numero di settembre 2005

(Mensile dalla Casa Circondariale di Lodi)

 

Un giusto appello alla direzione del carcere

In carcere si vive pensando alle famiglie rimaste fuori

Don Mario e i volontari che regalano il loro amore

Lo sport moderno tra passione e affari

Nell’etere viaggiano soltanto le brutte notizie

Ora che sono tornato dietro le sbarre rimpiango la comunità

Denaro e piccolo schermo: cresce l’idolatria del vuoto

"Profondo rosso" nei bilanci delle famiglie italiane

Ma pensate se tutto ciò fosse vero...

L’importanza delle nostre donne, serene nell’attesa di tempi migliori

Convivere in una camera con 6 persone 24 ore su 24

Il profondo legame con mia moglie mi aiuta a superare tutti gli ostacoli

Il ricordo di emozioni che fanno davvero male

Un giusto appello alla direzione del carcere

 

Oggi "Uomini liberi" esce ridotto nel numero degli articoli e delle pagine perché, ci è stato detto, la nuova direzione del carcere ha optato per una ferma censura. Sono anni ormai "Il Cittadino" ospita nelle proprie pagine gli scritti, traboccanti di umanità, dei reclusi nella Casa circondariale di Lodi. Tanti giornalini e pubblicazioni sono nati in anni recenti nelle carceri della penisola, ma in Italia solo gli scritti dei detenuti di Lodi finiscono sul principale quotidiano del territorio. Questo ha acceso sulla struttura di via Cagnola i fari della stampa nazionale e internazionale, e ancora in questi giorni "L’Eco della stampa" ci ha fatto pervenire gli articoli di lode apparsi su rotocalchi e periodici prestigiosi, nei quali si descrive come "esemplare l’iniziativa di Lodi". Il rapporto di collaborazione instaurato tra "Uomini liberi" e "Il Cittadino" è stato meraviglioso. Ha dato frutti positivi e ha finito per trasformarsi in un rapporto propositivo tra il carcere, la città e l’intero territorio. È stato un rapporto costruito nel tempo, con difficoltà e in salita, ma oggi esiste, è bello e ricco di contenuti. È sufficiente un attimo per distruggere una creatura realizzata nel corso di anni. Noi ci auguriamo che la direzione della Casa circondariale prima di assumere decisioni come quelle della pesante censura su "Uomini liberi" soppesi al meglio cosa significa, per il territorio del Lodigiano, un’iniziativa come questa. Ferruccio Pallavera

 

In carcere si vive pensando alle famiglie rimaste fuori

 

La vita continua, anche qui dentro "Ci aiuta il ricordo del passato e delle nostre famiglie" n Sto vivendo la mia vita in un altro mondo: quello del carcere. Anche qui io sto cercando di creare una situazione ottimale per non cambiare la mia personalità e mantenere il più possibile una alimentazione corretta per non pregiudicare il mio benessere dal punto di vista fisico. Sono in attesa da cinque mesi di una risposta per quanto riguarda i miei problemi giudiziari e il mio pensiero si riempie di disperazione quando penso alla mia famiglia e agli affetti che ho lasciato fuori e che mi mancheranno tantissimo per il tempo che devo passare questo qui un carcere. Per fortuna le nostre sofferenze vengono condivise, perché nel sentire le ansie e le preoccupazioni degli altri detenuti, trovi come un punto di riferimento, si crea un senso di amicizia che diventa come un punto di appoggio reciproco tra noi amici e la mia storia si mescola alle storie degli altri, nella ricerca di un sollievo che ci permetta di sopravvivere. Ci aiuta moltissimo il ricordo del passato, il ricordo delle nostre famiglie, i collegamenti con gli amici, il nostro lavoro e non solo: ciascuno di noi si aggrappa anche ai progetti che aveva fatto per il futuro e li sente ancora validi, ancora realizzabili, quando finirà questa parentesi della vita. L’angoscia più assillante è la paura di perdere i nostri legami con gli affetti più cari e il nostro esistere si aggrappa alla speranza di mantenerli intatti anche dopo, perché senza di loro l’esistenza diventerebbe vuota anche nella libertà. Qui in carcere siamo alla ricerca di queste piccole soddisfazioni che troviamo tra di noi, improvvisando degli incontri di socializzazione e creando così nuovi collegamenti nel rispetto più assoluto delle persone, delle loro culture, anche se diverse, in un ambiente dove inizialmente tutti sono estranei e ciascuno vive la propria realtà, con i propri problemi e le proprie difficoltà. Anche io in questi giorni compio gli anni e vorrei festeggiare questa ricorrenza anche qui, in carcere, con i miei amici e non mancare di fare festa per il mio compleanno. Sento forte la preoccupazione di riuscire ad organizzare tutto quello che è possibile per quel giorno ed è già una settimana che ho invitato i miei amici. Non pensavo che anche in un ambiente come il carcere, ognuno di noi potesse provare soddisfazioni personali così intense in una festa di questo genere. È molto bello avvertire un sentimento di gioia profondo, intenso e trovarsi insieme con amici che ti danno quello che ti manca in questo momento di solitudine. Nella gioia anche solo di un giorno ti porti dietro i ricordi di tutta la vita. La cosa che mi ha colpito di più è la felicità che tutti hanno provato nel festeggiare insieme il mio compleanno anche se eravamo non certo in una situazione ottimale, lontano dai nostri cari e dalle persone che ci vogliono bene. Questi momenti sono indispensabili per ricaricarci e trovare la forza di continuare a pensare al nostro futuro. Y. XH

 

Don Mario e i volontari che regalano il loro amore

 

Un giorno Gesù camminando incontrò sul suo sentiero un mendicante che chiedeva l’elemosina. Gesù si chinò verso l’uomo e gli diede dei denari e una carezza e continuò il suo cammino,ma dopo pochi passi il mendicante si mise a ridere e disse: "Hai fatto l’elemosina al diavolo!". Gesù tornò indietro e disse: "Non importa a chi ho fatto l’elemosina, l’importante è che io l’abbia fatta". La morale? Dico questo perché io ho una profonda ammirazione e stima per i volontari che entrano in questa struttura senza chiedere niente in cambio, solo per la gioia di dispensare e diffondere amore, sicurezza e speranza in tutti noi. Vedo don Mario che cammina lento nella nostra sezione, con addosso il peso di un’esperienza di solidarietà di una vita intera: è bellissimo vederlo quando apre la sua agenda, prende appunti per noi, cerca di risolvere quei piccoli problemi che dietro le sbarre si trasformano in grossi guai se non ci fosse lui; ci rassicura sempre che tutto andrà bene.Quando lui è in sezione viene sovrastato da richieste e io non l’ho mai sentito dire: non posso farlo. Non conosco la sua età, lo vedo stanco, ma lui non manca mai e quando vado a messa, dopo il suo sermone,mi fa sentire bene e in pace con me stesso perché mi fa sentire in pace con Dio. Sono entrato in questo carcere il 17 dicembre 2004 e il Natale che ho passato qui non lo dimenticherò mai, è impresso indelebilmente nella mia mente e di questo devo dire un grazie a lui, a Grazia e agli altri volontari che sono passati per ogni cella ad offrirci buste piene di doni. Ma la cosa più bella è stata la sua stretta di mano forte e ad ognuno di noi diceva: "Ragazzi non mollate mai, forza, tanti auguri". Sono passati nove mesi e io ancora ricordo le sue parole, ricordo i suoi occhi pieni di solidarietà. Grazie a lei a giugno qui in carcere siamo riusciti ad organizzare la Festa dell’Affettività e dopo sei mesi ho potuto abbracciare mia figlia e mia moglie senza un bancone. Ho giocato con loro. Questo è nato da una donna che ha dato tutto se stessa solo per la gioia di vederci felici e senza avere niente in cambio. Lei è appagata dalla nostra soddisfazione ed io sarò soddisfatto solo quando tutti sapranno la bontà d’animo che c’è in Grazia. Cara Grazia, quello che tu ci hai insegnato nessuno al di fuori di queste mura ce lo potrà mai dare. Spero che nella mia vita potrò fare il volontariato come te e per ora posso solo dirti: "Grazie per avermi aperto gli occhi". Giuseppe Romano

 

Lo sport moderno tra passione e affari

 

È una domanda che oggi più che mai ha senso, visto il tormentone che hanno rappresentato questa estate che si chiude le varie squadre di calcio che, si dice, siano le protagoniste del più bel campionato del mondo. Non conosco molto l’ambiente dello sport di altri paesi, per la verità conosco poco anche quello italiano: lo conosco per quanto ci ammannisce la televisione, e la carta stampata e questo basta e avanza a farmi un’idea di un mondo "malato"; malato a qualsiasi livello: malato nella proprietà, a volte poco chiara; nella dirigenza, non sempre ad un livello di alta professionalità; negli atleti dai comportamenti non sempre virtuosi; malato persino nel pubblico - spettatore che non sa più assistere ad uno spettacolo di sport con la passione giusta, non sa più contenere entro limiti accettabili la "rabbia" provocata da atteggiamenti dei giocatori o delle società. Assistiamo così ogni domenica, adesso anche al sabato, a scene e ad atti indegni di un paese civile, col risultato che la gente si allontana sempre più dagli stadi.Non parliamo poi degli illeciti, delle conseguenti azioni legali sia a livello di giustizia sportiva, sia a livello della giustizia ordinaria. Questa estate è stato un vero e proprio tormentone: il campionato scorso sembrava non finire mai; le classifiche finali non erano mai definitive, è stato un balletto di notizie che certamente non ha giovato all’immagine del calcio. Finalmente, a fine agosto, pareva tutto definito e si dava il via al campionato. Non era così: scoppia la grana sindaci-Lega per il campionato della serie cadetta e ancora non si intravede una soluzione.Penso sia lecito chiedersi il perché di tutto questo. Stupisce il fatto che più si va avanti e più questi fenomeni aumentano. Un tempo le società erano solide, i dirigenti persone serie, i giocatori erano veri e propri professionisti, gli arbitri galantuomini e il pubblico era fatto di gente che, avendo lavorato sodo tutta la settimana, alla domenica scaricava la tensione della fatica del vivere quotidiano, liberando allo stadio una passione autentica, sincera, leale, chiassosa e colorita, ma mai intemperante e trasgressiva. Eppure anche allora lo sport era agonismo, era folclore, passione, campanilismo; raramente sregolatezza, mai violenza. Di fronte al più forte si cedevano armi, si combatteva fino all’ultimo con lealtà, con generosità e alla fine c’era onore per vincitori e vinti. Tutto finiva sul campo, I giornali, pochi allora per la verità, commentavano i fatti domenicali nella edizione del lunedì o al massimo del martedì. La radio ti faceva vivere la partita come se fossi lì, allo stadio, grazie a commentatori sportivi come Carosio, Martellini e pochi altri che ormai sono nella leggenda del giornalismo sportivo. Continuavano solo le discussioni nei bar, nelle pause del lavoro, in piazza: erano tutti grandi esperti, tutti capivano di calcio più di qualsiasi allenatore. Il tutto però avveniva in un contesto di assoluta compostezza e civiltà. Oggi ci si accoltella prima e dopo le partite, fuori e dentro gli stadi. Tra poco, avanti di questo passo, alla domenica pomeriggio, nelle città in cui si gioca, bisognerà proclamare il coprifuoco o la legge marziale. Quanta fatica e quante risorse sprecate! Ma perché? Certo io la risposta a tutto questo non la conosco, anche perché non vi è una sola risposta e se fosse anche una sola sarebbe comunque assai complessa ed articolata. Io però ho una certezza: lo sport in generale, il calcio in particolare, non è più quello genuino di un tempo, leale ricco di passione ed entusiasmo. Prima di tutto questo oggi nello sport vengono gli interessi economici che sono enormi. I giocatori hanno remunerazioni stratosferiche, il loro stesso valore, in alcuni casi, è inestimabile. Le società vanno dall’orlo del fallimento fino alla quotazione in borsa. Gli sponsor pagano cifre enormi pur di assicurarsi il massimo della visibilità. Infine vi sono i diritti televisivi che per un’esclusiva muovono cifre da capogiro. Insomma lo sport è diventato prima di tutto un affare, a muoverlo sono più gli interessi economici che i valori di un tempo. Non c’è più amore, non vi è più passione, insomma manca l’anima ed allora il fallimento non può che essere dietro l’angolo. Ermanno Capatti

 

Nell’etere viaggiano soltanto le brutte notizie

 

"Misericordia, che mondaccio!"… e si avviava, brontolando, disgustata verso la camera da letto. Protagonista di questo quadretto famigliare una vecchietta, negli anni ‘70, quando sentiva le notizie del telegiornale davanti al televisore acquistato dal figlio con i facili proventi del contrabbando. Nata agli inizi del secolo, aveva lavorato duramente una vita intera nei campi e sui maggenghi montani, abituata a levarsi prima dell’alba e a coricarsi al calare delle prime ombre della sera. Il televisore rappresentava per lei una novità assoluta; anzi, sul principio era convinta che dallo schermo potessero vederla ed osservarla: "Ma vederan fora?", esclamava dubbiosa e subito si riassettava, assumendo un atteggiamento serio e composto. Nonostante le rassicurazioni e i vari tentativi di dissuaderla, il dubbio del tutto non l’abbandonò mai. Purtroppo allora come oggi i telegiornali recavano per lo più notizie negative e la povera vecchietta ne era sconvolta al punto di non voler più vedere la televisione per non turbare la sua consolidata illusione di un mondo, il suo, quello che lei conosceva direttamente, che non era poi così "brutto e cattivo" come dicevano loro, quelli della televisione.Oggi la situazione non è molto diversa, anzi non è mutata affatto. Radio, televisione e giornali non fanno altro che riferire di guerre, atti terroristici, disastri e calamità naturali, furti, rapine, omicidi e sequestri. È difficile che trovino lo spazio per una buona notizia, per riferire, almeno una volta, di un fatto positivo, per parlare anche della gente per bene. E non solo: pare si voglia dare di tutto il sistema un’immagine assolutamente negativa: la politica non funziona per niente; l’economia è in continuo declino; la povertà avanza; la macchina della giustizia è in disfacimento; persino il mondo dello svago, del divertimento e dello sport, pervaso da intrighi e imbrogli, sembra non essere tanto lontano dal caos. Speriamo che questa non sia la realtà! Se così fosse dovremmo prepararci a vivere momenti difficili, momenti di sacrificio ai quali non siamo più abituati da tempo. Io sono convinto che non è così; nella nostra società c’è ancora chi sa stringere i denti, sa rinunciare alle ferie, sa rimboccarsi le maniche ed affrontare in piedi questa situazione che è innegabilmente difficile, che a volte pare insormontabile, ma che le forze sane, che sono ancora la maggioranza, sono pronte ad affrontare e risolvere. La gente comune sa che, a volte, bisogna accettare anche qualche sacrificio, ma, come ci insegna l’esperienza, sempre dopo il brutto viene il bello, superate le difficoltà, torna il sereno così per il tempo meteorologico come per la vita e per la storia. Alla soluzione dei problemi certo "non sempre supplet bona voluntas", ci vuole anche un risanamento profondo non solo politico, non solo economico, ma che investa trasversalmente tutta la società: deve tornare nella nostra mentalità il culto di alcuni valori fondanti della società stessa: nella cultura contemporanea, in particolare nei giovani, deve tornare forte il gusto e la passione per la verità, per l’onestà, per la giustizia, per la pace, per la solidarietà. Bisogna riscoprire il senso del dovere, il desiderio e la gioia di fare scelte impegnative, nella convinzione che solo il sacrificio e la fatica ci porteranno in alto.Alla famiglia deve essere riconosciuto palesemente il giusto ruolo di centralità nella società, va difesa dalla precarietà economica, aiutata nelle difficoltà e messa in condizione di procreare figli ed allevarli nel decoro e nella tranquillità non solo economica, ma anche sociale. Gli incontri dei giovani con il Papa fanno ben sperare: essi sono l’espressione più autentica di entusiasmo e di ottimismo per la società del domani. Sarebbe ora che anche i media, senza abdicare al loro insostituibile ruolo di informazione, dedicassero più spazio anche alle cose buone, offrissero anche qualche esperienza positiva: ciò varrebbe a gratificare e sostenere coloro, e non sono pochi, che operano per il bene nel nostro paese e nel mondo. Così forse la vecchierella sarebbe tornata volentieri a vedere la televisione, perché avrebbe avuto la soddisfazione di aver vissuto una vita di sacrificio per costruire un mondo migliore e non per vedere quello che lei, non a torto, definiva e continuerebbe a definire "un mondaccio". Er.Ca.

 

Ora che sono tornato dietro le sbarre rimpiango la comunità

 

Mi chiamo Giuseppe, ho 28 anni e sono detenuto nel carcere di Lodi dal 28 agosto 2005; mi si sono riaperte le porte del carcere perché ho rotto il beneficio dell’affidamento in comunità: non è bello aver rotto un affidamento; il perché può avere cento motivazioni. Sono sempre stato dell’idea che chi riesce ad ottenere un beneficio deve saperselo giocare bene e sfruttarlo in modo costruttivo. In caso contrario si dovrebbe fare una riflessione soprattutto se sono tanti i detenuti che non riescono a ottenerlo. Fino al momento del mio arresto ero una persona che non condivideva e soprattutto non accettava che qualcuno potesse sbagliare. Ora per errore mio e dei miei pregiudizi sugli altri devo abbassare la guardia e chiedere scusa. Adesso che sono di nuovo in carcere, rimpiango tutto della comunità, per tutto quello che non sono riuscito a portar via. Ho passato un lungo periodo in queste strutture: forse è proprio questo che mi rende triste, ho perso una grande opportunità e ne sono consapevole. La comunità mi ha dato la possibilità di capire chi è Giuseppe veramente, mi ha messo in luce tutte le mie problematiche e tutte le conseguenze della mia vita. Tutto ciò di positivo che può darti la comunità io non l’ho utilizzato. Tante indicazioni degli operatori le ho sottovalutate sia per la fretta di tutto e subito sia per la mia incoerenza, sia per la presunzione di essere già cambiato e di spaccare il mondo. Oggi posso dire che quando l’equipe mi diceva di volare basso è perché con la loro esperienza sapevano dove sarei approdato: continuare a commettere errori. Devo essere sincero, sapevo che mi stavano sbattendo la realtà in faccia e dunque su determinate cose da affrontare e elaborare per capire, io scappavo per paura di affrontarle: certe cose fanno male e tanto. Certi argomenti li ho affrontati e sono stato male a lungo, ho anche pianto, ma proprio queste cose se non vengono elaborate nel modo giusto e lasci le porte aperte, il futuro non ha molto da darti. Così è stato per me. Vorrei aggiungere una cosa importante, la scrivo perché per me è stato il lavoro più difficile che non ho fatto non per non voglia ma proprio per le mie difficoltà di gestire le emozioni: "le relazioni". Oggi che sono chiuso qui ho la conferma di quanto sono importanti e posso dire che è la cosa più complicata che esista. Io che non sono stato in grado di affrontare questo argomento mi ritrovo in galera, se avessi fatto un buon lavoro su quello che la comunità insisteva, probabilmente non sarei qui. Relazioni vogliono dire anche i rapporti con le donne, sottolineo questa cosa perché più volte a causa della mia sensibilità e fragilità mi sono ritrovato nei guai. B.G.

 

Denaro e piccolo schermo: cresce l’idolatria del vuoto

 

Paolo Bonolis ha lasciato la Rai ed è tornato a Mediaset a suon di miliardi: 50 miliardi "del vecchio conio" garantiti per i primi tre anni, poi il resto verrà. Scandalo, sconcerto, invidia: un po’ di tutto, ben miscelato. La notizia pur essendo una di quelle che fa clamore, in sé stessa non dice nulla, ma ci può insegnare molto se andiamo in profondità.Procediamo per ordine. La grancassa non merita nessuna considerazione: ognuno è libero di fare dei soldi quello che vuole. Bonolis a fare il suo mestiere è bravo, se qualcuno per averlo lo paga profumatamente, sapendo che è un buon investimento, "affari suoi". Ma è ciò che sta sotto questa operazione che deve mettere in movimento il nostro cervello perché ci interessa più dei soldi di Bonolis. Innanzitutto, la tirannia dell’idolatria del mercato e del denaro diventa forte e deduttiva, insensata e perversa. Mercifica e rende depravata le relazioni fra uomo e uomo, fra uomo e donna, fra padri e figli, fra cittadini e Stato, fra individui e collettività, fra ricchi e poveri. La legge del mercato può predisporre i meccanismi e i processi che regolano la produzione e la distribuzione delle merci, ma non può pretendere di influire sulla natura e qualità della vita umana. Pensare di avere e ridurre tutto a suon di moneta è vivere sotto la tirannia dell’idolatria.Seconda cosa: il potere della televisione agisce soprattutto sul nostro vuoto. Non sappiamo che cosa fare e l’accendiamo, siamo soli, non abbiamo voglia di fare niente di impegnativo, la televisione diventa un modo di cacciare noia o tristezza. La televisione riesce a impadronirsi del nostro tempo non perché sia bella, intelligente, astuta (quasi mai!), ma perché trova il nostro vuoto esistenziale disponibile ad accoglierla. E così affidiamo a quattro "eroi" di cartapesta, vuoti come noi o peggio di noi, il compito arduo di riempire il nostro vuoto esistenziale.Paradossalmente la luce del teleschermo appare un intrattenimento migliore di quello che potremmo inventarci standocene soli, in compagnia di un buon libro, chiacchierando con semplicità con i familiari. È un’illusione perché un po’ di silenzio o qualche semplice parola con chi ci sta vicino possono essere un intrattenimento migliori di ciò che trasmette la televisione.Mettiamo insieme il potere ingombrante dell’idolatria e il vuoto televisivo e ci rendiamo conto a chi stiamo affidando il meglio delle nostre energie e il nostro tempo. Cerchiamo allora di colmare il nostro vuoto esistenziale dandoci agli altri, a chi ci sta vicino, ai più deboli che meritano tutta la nostra considerazione ed attenzione. Sorriso

 

"Profondo rosso" nei bilanci delle famiglie italiane

 

Il nostro paese, a dispetto di una tiepida ripresa della crescita economica, rimane, ormai da diversi anni, il grande malato delle economie europee. Da nessun’altra parte del mondo industriale e del capitalismo e in nessun altro stato europeo, si scoprono previsioni così poco lusinghiere. Inoltre, ogni giorno di più, stiamo perdendo terreno nelle classifiche mondiali in tutte le voci: dalla produzione alla competitività, dalla ricchezza pro capite alla fiducia dei consumatori. Oltre a tutto ciò si sommano l’incremento del costo del petrolio e la sempre determinante concorrenza dei paesi asiatici che piano piano ci spinge ai margini del mercato mondiale.Questi squilibri inevitabilmente ricadono sul comune cittadino, quello che da sempre e in qualsiasi caso, paga il conto sempre più salato. Ed è così altro che recentemente i nostri governanti stanno pensando ad un blocco dei prezzi nella grande distribuzione e questa operazione non è altro che il sigillo della recessione, della non crescita produttiva. A fronte di tutto ciò, un fenomeno che si credeva in via di estinzione come le grandi malattie cosiddette sociali, ci viene oggi riproposto in tutta la sua drammaticità. Questo fenomeno sono i Monti di pietà, i Banchi di pegno, dove migliaia di italiani vanno a chiedere prestiti per tamponare ogni fine mese i bilanci familiari costantemente in rosso. Al Banco dei pegni si portano oggetti di un qualche valore per ottenere in cambio, e subito, denaro fresco come una boccata di ossigeno.Un fenomeno in crescita che si sta sviluppando a Milano come a Roma, Torino, Napoli, Venezia e con un fatturato annuo superiore ai 600/milioni di euro. Ed è un dato da prendere in dovuta considerazione se nello scorso passato prossimo si pensava di chiudere definitivamente queste istituzioni, mentre oggi proliferano in ogni città.Ma come si può spiegare tutto questo? Non occorrono né grandi economisti né sociologi di fama: si corre al Monte dei pegni perché il denaro eroso dagli aumenti non basta. Infatti sono gli ultimi giorni del mese, l’ultima settimana, dove lo stipendio è già esaurito ma le spese vive si devono comunque affrontare. E le persone che ricorrono sempre in maggiore misura costituiscono l’identikit della nuova povertà italiana. Chi si rivolge al Monte dei pegni generalmente non lo fa per finanziare spese voluttuarie, spese in più, ma per coprire i buchi del proprio bilancio familiare. E lo testimonia il taglio medio dei prestiti non superiori al 1.000 euro, con un minimo anche di 250 euro. Con questi pochi soldi non si va in vacanza né tantomeno si acquistano beni di consumo tecnologici , ma piuttosto si pagano le bollette delle luce e del metano, i libri scolastici per i figli e qualche visita medica specialistica.Inoltre è risaputo che una buona percentuale di chi impegna i propri beni sa in anticipo che non potrà riscattarli. Come chiamare questa realtà se non con il termine appropriato di neopovertà? Sorriso

 

Ma pensate se tutto ciò fosse vero...

 

Ciao lettori, sono un detenuto della Casa circondariale di Lodi. Mi è stato chiesto se mi sarebbe piaciuto entrare a far parte della redazione. Ho accettato molto volentieri, ma dovrei anche scrivere un articolo. È qualche giorno che ci penso e non sapevo da che parte cominciare. Oggi mi è entrato dentro qualcosa che vi posso raccontare. È qualcosa che non ho mai raccontato a nessuno: la dimostrazione che gli scheletri nell’armadio non sono tutti negativi. Beh... forse una persona c’è, anzi due: l’unica a cui l’ho raccontato, lei lo ha raccontato all’amante… a questo punto sono due. Ma non ha importanza, perché in ogni modo era qualcosa che avrei dovuto dire tranquillamente se ci fosse stato il caso. Ora mi sembra l’occasione giusta per raccontare questa storia. Ero un bambino e non ho mai avuto malattie, anche le più semplici: la varicella, il morbillo, gli orecchioni ecc. ecc. In poche parole sano. Mi è capitato, però, di essere stato operato di tonsille. Ricordo di essere stato trasportato con il lettino in sala operatoria, ricordo la maschera sul viso e il medico che mi diceva di contare fino a 10. Arrivai a contare fino a due e mi addormentai.Non saprò mai se ci furono stati dei problemi durante l’intervento, anche perché non chiesi mai niente e soprattutto non dissi mai cosa successe. In quell’operazione ricordo che mi trovai in alto a destra, nell’angolo della sala operatoria e guardavo i medici mentre mi operavano. Intorno a me una luce calda quasi mi abbracciasse. Un angelo femmina con un sorriso dolce e rassicurante che poi sparì mentre mi perdevo a guardare il mio corpo steso sul lettino. Il tempo che passò non posso spiegarlo perché sembrava non esistere. Ricordo che non ero impaurito mentre avrei dovuto esserlo. Qualcuno o qualcosa era lì con me ed io stavo bene.Ho visto molti casi in televisione, e penso anche molti di voi li abbiate seguiti. So personalmente che moltissimi rispecchiano esattamente ciò che ricordo. Chi ha vissuto questo difficilmente userà la parola "semplice". Perché solo il pensiero è qualcosa di meraviglioso. Non vorrei prolungarmi oltre: chi sta leggendo in questo momento "o crede o non crede". La mia è solo una conferma a chi ha dei dubbi e penso a quante persone hanno avuto quest’esperienza senza mai parlarne e a quante persone hanno cercato di parlarne senza essere riconosciute, e a quelle persone che probabilmente non sono state scelte, almeno non ancora. Non ha importanza chi non crede, come non ha importanza il mio nome alla fine di quest’articolo. Nessuno potrebbe dire: "Non è vero" ma lo dicono. Vorrei dire solo una cosa a riguardo: continuate pure a non credere, se volete, ma ogni tanto quando siete soli, pensate solo per un attimo se fosse vero, tanto domani è un altro giorno. Leggete ora cosa scrisse Orestein: "I vostri sensi pongono limiti, il nostro sistema nervoso centrale pone limiti, le nostre categorie personali e culturali pongono limiti e al di là di tutte le selezioni, le leggi della scienza ci inducono a sostenere informazioni selezionate che noi consideriamo vere, e anche questo pone limiti". M.

 

L’importanza delle nostre donne, serene nell’attesa di tempi migliori

 

Sono in attesa, come tanti detenuti, di sentire dai nostri famigliari come sono andate le vacanze e poi discutere per il nostri figli la preparazione per iniziare il programma di un nuovo anno di scuola. I nostri figli hanno sempre bisogno di noi, del nostro affetto e dei nostri consigli per quanto riguarda le scelte che loro devono fare per essere preparati domani per la loro vita; noi, con la nostra esperienza di vita già vissuta, siamo in grado di consigliare e guidare le loro capacita. Quando siamo stati capaci di portare i nostri figli a fare le scelte giuste, sentiamo di essere felici, perché vediamo che anche loro sono rilassati e pronti per affrontare i carichi e le fatiche per l’anno scolastico che sta per incominciare. Per noi genitori è una grande soddisfazione personale e morale vedere e sentire che loro stanno andando sulla strada giusta; in particolare la soddisfazione è grande per la mamma, che deve occuparsi anche per la nostra parte, in quanto non siamo fisicamente presenti e deve altresì provvedere al sostegno economico per tenere la famiglia unita. Per questo e per altro ancora noi dobbiamo ringraziare le nostre donne. Il carcere ci fa capire ancora di più questo contesto in cui la nostra assenza da casa carica di problemi e di responsabilità chi deve provvedere a portare avanti la famiglia. Non è facile portare avanti una famiglia in mezzo ai sacrifici per non far mancare ogni giorno le risorse che servono in casa. Qui sono sempre le nostre donne a tenere sulle proprie spalle tutti questi problemi e, nonostante tutto, mantenere sempre il sorriso con nostri figli. Nella vita possono capitare anche delle situazioni interne alla famiglia che ti cambiano tutti i programmi e le valutazioni generali e qui credo che la mia famiglia si sia trovata stati davanti un’emergenza totale col rischio di perdere anche i nostri affetti più cari. Non possiamo in questa situazioni non ringraziare tutti i nostri parenti e amici che, con la loro solidarietà e vicinanza, hanno impedito la rovina e la distruzione della famiglia stessa. Qui sta la nostra forza: essere in grado di accettare, combattere, durante il tempo della reclusione, tutto quanto di strano può succedere ai nostri cari, alla nostra famiglia; saperci controllare ed avere sempre la pazienza di aspettare tempi migliori per riprendere ancora un domani la nostra vita. La nostra serenità nel seguire da lontano, con passione e nostalgia, le difficoltà della nostra famiglia darà conforto e slancio alle nostre donne per affrontare e risolvere tutti i problemi e le avversità che presenta il vivere di oggi. Y.XH

 

Convivere in una camera con 6 persone 24 ore su 24

 

Non è facile spiegare la nostra situazione. Il carcere è un posto che ognuno di noi si trova ad affrontare senza essere preparato, perché nessuno nella vita penso si prepari ad una situazione del genere. Però quando siamo davanti a questa realtà che non è facile da capire dal di fuori bisogna trovare il sistema per vivere in un modo civile, in una camera con tre, quattro, sei persone, 24 ore su 24.Ognuno ha i propri problemi personali, sia quelli che ha lasciato fuori, ma che continuano a pesare sull’animo e nei pensieri, sia quelli che deve affrontare ogni momento in questo nuovo contesto: la salute, la mancanza di risorse economiche per mantenere, almeno in parte, le proprie abitudini personali circa l’alimentazione. Qui nasce la necessità di creare in silenzio, anche soltanto con lo sguardo oppure con un sorriso, le regole comuni per tutti, che ognuno di noi, quasi per un patto d’onore, dobbiamo rispettare per assicurare una serena convivenza. D’altra parte, il carcere è un posto dove ognuno di noi porta il proprio carattere e non è facile capire dall’esterno le difficoltà di trovarsi improvvisamente a convivere con persone mai conosciute, in pochi metri quadrati. Allora diventa necessario organizzare il nostro tempo durante la giornata e cercare di diventare come una famiglia, condividere le nostre sofferenze e trovare anche le forze per stare su di morale. Ci deve aiutare in questo il ricordo e la vicinanza dei nostri affetti più cari, che noi cerchiamo di mantenere tramite i colloqui settimanali, le telefonate e anche attraversi la corrispondenza. Ciascuno di noi prova grande soddisfazione quando i nostri amici qui in carcere ricevono delle buone notizie e si vede subito sul loro viso e nei loro occhi una grande gioia e tante volte sono le stesse emozioni che fortunatamente proviamo anche noi quando ci raggiunge una buona notizia. Queste soddisfazioni che vengono da situazioni che potrebbero parere banali nella vita che ho vissuto fuori sono invece importantissime e non sono facili da capire per le persone che vivono all’esterno di questo contesto. La nostra serenità la troviamo nella solidarietà tra di noi e la cosa più importante che non può mancare secondo me è il rispetto tra le persone, da qualsiasi paese provengano, con le proprie tradizione e le proprie culture. Sembrerebbe impossibile eppure se ci si mette un po’ di buona volontà si trovano le situazioni per creare persino nuove amicizie personali. Y.XH.

 

Il profondo legame con mia moglie mi aiuta a superare tutti gli ostacoli

 

In un carcere quando sei da un po’ di mesi fai amicizia e di solito ci si battezza con dei soprannomi: Jamaica, il sindaco, Jack, Fulmine, il Duce, zia Pasquale, il Brigadiere, il Papa e naturalmente il mio che non è uno solo, perché oltre ai detenuti anche gli agenti in maniera scherzosa e simpatica mi chiamano l’astrologo, lo scrittore Silvio Pellico perché scrivendo sempre racconto "Le mie prigioni"e l’Eterno Innamorato. Proprio in quest’ultimo appellativo mi rispecchio moltissimo perché io sono davvero innamorato di mia moglie Debora e lei di me. Se dovessi raccontare la nostra vita d’amore e la passione che ci lega non basterebbero né i fogli né l’inchiostro di questo mondo perché più passa il tempo e più il nostro legame si rafforza. So che nel mio soprannome c’è un pizzico di ironia o forse qualcosa in più di un semplice pizzico: possono ridere di me, ma perché, poveri loro, non hanno mai avuto la fortuna di incontrare la propria anima gemella. Non c’è una parola o un aggettivo che rende giustizia al sentimento che lega me e mia moglie, va al di là di un semplice rapporto di coppia e devo dire che io mi sento un uomo fortunato, perché con una donna come Debora al proprio fianco, non esistono ostacoli e sono convinto che insieme affronteremo e supereremo questo percorso tortuoso del nostro destino. Quando esco dalla sala dei colloqui, non vedo e non sento nessuno, rimango sulla mia branda e sogno ad occhi aperti quel magico incontro e ricordo ogni particolare, i suoi sorrisi, le mie mani sulle sue, le nostre promesse per il futuro e potete anche biasimarmi ma che male c’è ad essere un eterno innamorato? Romano Giuseppe

 

Il ricordo di emozioni che fanno davvero male

 

L’ora è molto tarda. È quasi giorno. Sdraiato sulla branda, non riesco a prendere sonno, chiudo gli occhi e la mente corre alla ricerca di vecchi ricordi a me cari, quasi a voler colmare la profonda nostalgia che ho nell’animo con il dolce ricordo e l’odore dimenticato della mia vita.Rivedo i miei passi frettolosi. Sto tornando a casa, ma non riesco, non voglio immaginare da dove vengo, penso solo al mio ritorno a casa, alla mia compagna che mi abbraccia forte, come se le fossi mancato per tanti, tanti anni ed al mio cane che mi fa le feste.Lo sento così reale, che il cuore mi batte forte per l’emozione ma sono emozioni che mi fanno male, mi uccidono l’animo e mi invecchiano fuori. Come posso non cercare nella mente l’amore? Come posso far finta di nulla, non pensare a nulla, come se non avessi mai vissuto?Aprire una riflessione sulle emozioni è come consentirci di "leggere" noi stessi all’interno di un tempo e di uno spazio che appartengono alla narrazione della nostra vita. C’è un tempo per l’incontro, un tempo per la separazione, il tempo della nostalgia, il tempo dell’assenza. Esiste un tempo della crescita, il tempo della consapevolezza, il tempo della sera. C’è un tempo in avanti, che è quello delle speranze e dei progetti, e uno all’indietro, della memoria e talvolta del rimpianto.Ed è solo così che le nostre narrazioni assumono un significato particolare: quando riusciamo a tradurre in parole le emozioni e i sentimenti che un tempo ci sembravano oscuri. Chi ama prova nel tempo una vasta gamma di emozioni e sa anche fare memoria dei tempi dolci dell’innamoramento e per questo si fa tenace, attende i tempi dell’amato e riempie questa attesa di speranze, di modi ancora possibili per incontrare l’altro.Chi non ama e non conserva dentro di sé un’immagine buona, non può avere memorie, ma frammenti di vuoto da colmare,"ingurgitando cibi cattivi", solo per non sentire la fame di affetto, ma non c’è nulla e nessuno che lo possa saziare davvero. Nell’amore riconosciamo l’altro come presenza per noi insostituibile ed è rassicurante fare l’esperienza di sentirsi unici per qualcuno che ha scelto di amarci, senza tanti ragionamenti, amandoci e basta, accettando anche di apparire folli nell’attraversare le strade della sua sofferenza.Come avrete notato, parlare di emozioni e sentimenti, induce a fare un cammino tra dolore, speranza e amore.Chi sceglie la via del sentire è come se non fosse mai fermo. Ogni storia segue diversi snodi: antri ciechi e mortiferi, zone impervie e pericolose, luoghi di riposo e di ristoro, ma comunque ha sempre qualcosa da raccontare, un tempo da riempire di colorazioni e tonalità differenti. Anche di fronte al pianto ci viene spontaneo fuggire, quasi fosse un atto di crudeltà lasciare scorrere le lacrime nostre o dell’altro, ma forse già la lacrima è un probabile segno di un rinascere alla vita. Non sentire è non avere nulla di sé, è un agire senza meta, una corsa sfrenata, una danza che non si riesce a fermare, un freddo al quale ci si abitua, un tempo che non si può dispiegare, perché o è troppo passato o è troppo presente o è troppo futuro: mai un tempo buono. Giuseppe Sciacca

 

 

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