IdeeLibere n° 2

 

IdeeLibere

Periodico d’informazione della Casa di Reclusione “Ranza” di San Gimignano - Siena

Anno II n° 2        dicembre 2002 - gennaio 2003

 

 

 

Senio Sensi

 

Come, perché e cosa rappresenta dirigere un foglio così particolare

 

Fu il neo Capo Redattore di IdeeLibere, Enzo Falorni, con il quale intrattenevo un rapporto epistolare nato dopo la pubblicazione di un articolo su IL CARROCCIO circa una mostra di oggetti di ceramica, fatti dai detenuti, ad invitarmi a dare vita ad un giornale a stampa… in partenza da Ranza. La prima esperienza dell’ "INFORMATUTTO" era stata positiva, ma ora si voleva fare qualcosa di più. Aprire le porte almeno alle parole e entrare in comunicazione con l’ esterno. Il "sì" fu spontaneo, suggerito dalla voglia di rendersi utile ad una popolazione in difficoltà. Il primo approccio con una redazione attenta, motivata e disponibile ad imparare l’arte antica del giornalismo – forse recentemente… un po’ decaduta – fu stimolante. E l’incontro con una dozzina di detenuti mi suggerì immediatamente una parola "umanità". In enciclopedia viene così spiegata: "sentimento di solidarietà umana, di comprensione e di indulgenza verso gli uomini" Il carcere potrebbe sembrare il luogo meno adatto per tutto questo. E invece non solo lì prospera ma vuol dire anche percepire rispetto, attenzione, voglia di crescita e di riscatto. E, da parte mia, la traduco in necessità di valutare " l’uomo" che avevo di fronte solo per come era in quel momento, per il bisogno che aveva di relazionare con l’esterno, per la tensione che manifestava verso un verbo un po’ in disuso: "dare". Dal primo momento mi sono imposto di non chiedere, né a lui né a me stesso, come e perché Ranza è la sua casa. Man mano che il progetto cresceva e che mi venivano presentati i primi scritti, mi appassionavo a questo "lavoro" e scoprivo talenti giornalistici insospettabili, ma anche capacità di autoanalisi, bisogno di – pudicamente – raccontarsi e riflettere sui propri errori. E con tutto questo la sensazione, stavolta più meditata, che si stava dando vita ad un foglio piccolo nella forma e nei contenuti, ma con qualche speranza di farsi promotore di istanze giuste e con capacità comunicativa non indifferente.

Il "gruppo" era affiatato e si capiva che lavorare insieme ad un progetto comune rappresentava un bel momento di incontro di uomini con età, esperienze e capacità diverse ma che stavano usando un’altra parola superata: " servizio". La strada è appena incominciata e non sappiamo fin dove arriveremo.

Gli aiuti esterni di chi ha capito l’importanza di questo foglio (in primis la Fondazione Monte Paschi e il Circolo Culturale Federigo Tozzi di Siena) ci spronano a fare sempre meglio. La linea del giornale è ormai tracciata e cercheremo di non derogare. Il futuro non è ipotizzabile, specie in un luogo come il carcere dove, al di là delle sbarre, è già difficile vedere l’oggi… figuriamoci il domani!

Mi sia permessa infine una nota personale: le due/tre ore che ogni martedì passo a Ranza, oltre a rappresentare per me un momento di riflessione sui veri valori della vita, mi hanno fatto cambiare qualche idea sui reclusi e sui metodi di detenzione. E sulla necessità che espiare le proprie colpe non vuol dire svuotare il corpo, la mente, il cuore e l’anima di ogni stimolo, di ogni energia e di ogni speranza. Ecco perché pensare, scrivere e divulgare acquista, qui più che altrove, un alto significato. E allora grazie a Enzo, Francesco, Antonio, Lino, Alì (la zanzara del gruppo), ma anche Alfonso, Mimmo, Andrea ed altri che, trasferiti, hanno lasciato i loro scritti, e quindi i loro sentimenti, che diverranno patrimonio di chi vorrà leggerci.

Antonio Morabito

 

Temi a Confronto: AIDS e HIV

 

Il problema dell'HIV e dell'AIDS sono sempre all'ordine del giorno specie se si vive in una comunità dove la promiscuità è la regola come in carcere. A parere degli esperti, dopo una prima grande attenzione verso il problema, che portava i soggetti contagiati da questi virus ad un isolamento per paura del contagio, adesso si è passati ad avere una diversa visione verso questo tipo di malattie.

Volendo conoscere il perché l'atteggiamento sia mutato nel giro di pochi anni, ci si è chiesti se il cambiamento sia dovuto: ad una maggiore conoscenza sui reali rischi di contagio, oppure ad un abbassamento della guardia della popolazione verso la malattia o, infine, perché l'AIDS non fa più paura, visti i risultati scientifici sempre più confortanti. A tal proposito, il gruppo Abele, di concerto con il Ministero della Sanità, ha pensato di avviare un indagine, per comprendere appieno il reale stato in cui versa la popolazione detenuta.

Si è pensato, di formulare un questionario diviso in quattro parti: la prima, riguardante i dati socio-anagrafici, la seconda per rilevare la posizione giuridica, la terza sulla percezione del rischio, la quarta sull'eventuale possibilità di contagio e di verifica dell'attuazione delle norme igieniche. Il centro studi, che ha ideato il questionario, cercando di avere il più alto numero di campioni da esaminare, con un buon indice di fedeltà, rispetto alle domande indicate, ha pensato di attivare le redazioni dei giornali operanti negli istituti di pena.

A questo scopo, ha organizzato un convegno a Torino, invitando direttori di giornali, redattori, educatori, direttori degli istituti penitenziari, chiunque operasse a contatto con persone contagiate e soprattutto i detenuti delle redazioni dei giornali, che grazie ai benefici di legge vi avrebbero potuto partecipare.

Durante lo svolgimento del convegno, si è cercato di formulare al meglio le domande, ma soprattutto di trovare la condizione ideale, per la consegna e la compilazione del formulario. Si è cercato di ideare un modo di somministrazione del questionario, che rispetti al 100% la tutela della propria privacy e allo stesso momento, far capire a chi dovrà compilarlo, come questi dati saranno usati esclusivamente per fini di ricerca. Avendo avuto modo di parteciparvi, in quanto redattore di questo giornale, mi sono potuto fare un'idea sul programma di ricerca, che avrà luogo all'interno delle nostre carceri.

La mia impressione è stata positiva, visto che l’indagine si è prefissa di comprendere il pericolo di contagio, attraverso una analisi del comportamento del soggetto detenuto, cercando di capire le reali conoscenze che si hanno verso questo tipo di patologie. Si potrà, una volta esaminato un vasto numero di campioni su scala nazionale, cercare di correggere determinati atteggiamenti non appropriati, per una corretta prevenzione di queste malattie. L'innovazione dell'indagine statistica, che avrà luogo nelle carceri, si configura nella distribuzione e ritiro del questionario, che avverrà ad opera di persone detenute. Contribuiremo da protagonisti, a far conoscere al Ministero della Sanità e al D.A.P., i reali rischi a cui siamo soggetti dentro gli istituti di pena, verso determinati tipi di patologie. Un mondo in movimento e, con l’aiuto di tutti i risultati non potranno mancare.

Nicola Vitale

 

L’amico Computer

 

L’importanza di un dialogo virtuale, e quella di voler imparare e crescere

 

All’età di trentadue anni pensavo che determinate emozioni mi fossero precluse. Le giornate trascorrevano con la solita monotonia, fin quando non accadde un fatto nuovo che doveva cambiare il mio stato di vita e le mie abitudini giornaliere.

Tutto ebbe inizio con il regalo fattomi dalla mia ragazza, per permettermi una migliore applicazione agli studi: il computer. Non conoscendo questo strumento ho cercato di colmare la mia ignoranza sull’argomento leggendo trattati e facendomi aiutare da professori e compagni d’avventura, che avevano già compiuto dei corsi d’informatica o che conoscevano per altre ragioni l’elaboratore. All’inizio, quando leggevo di file, byte, cartelle, ecc. credevo di essere in un altro pianeta, con altri strumenti a disposizione. Poi, pian piano, ho iniziato a capirci qualcosa ed ora eccomi a raccontare questa mia piccola esperienza di vita.

Pensavo, sbagliando, che non sarei stato mai capace di compilare correttamente una lettera o inserire un’immagine su un foglio, ma la caparbietà mi ha fatto ricredere, facendomi capire, ancor di più, come la volontà possa il più delle volte far dei miracoli.

Certo, le prime giornate erano state disastrose, tutto andava al contrario di quello che io programmavo e solo la mia sete di conoscere mi faceva continuare a scontrarmi con quello che al momento definivo il mio antagonista. Potevo considerarlo diversamente, visto che sul monitor continuavo a leggere, file aperto in modo errato, oppure attenzione, si rischia di perdere i dati inseriti nel file?

Tutto sembrava essere contro il mio operato, ma soprattutto io non apparivo in nessun modo compatibile con il computer. La mia prima rivincita la presi quando a forza di prove riuscii a personalizzare una lettera giustificando il contenuto ed evidenziando in grassetto o in corsivo le parti che più m’interessavano. Mi sembrava di aver vinto una sfida, non consideravo più il mio PC come un affare infernale con il quale non avrei mai avuto un certo feeling. Tutt’altro; ormai grazie al raggiungimento del mio primo traguardo mi prefiggevo obiettivi sempre più ardui e man mano che li eseguivo mi inorgoglivo per il risultato conseguito.

Adesso, pur rimanendo informaticamente parlando poco più che ignorante, posso affermare che non riesco più a considerare una giornata senza il computer.

Nel silenzio della notte il mio amico mi fa compagnia, racchiude dentro di lui le mie emozioni e le mie sensazioni, con lui mi posso sfogare scrivendo una lettera per comunicare i miei stati d’animo, posso disegnare o scrivere un’istanza che mi riguarda e grazie al controllo ortografico avere in tempo reale una rapida verifica degli eventuali errori commessi.

Credo che questo strumento sia molto utile se usato in maniera corretta e può essere d’aiuto a persone che, come me, non hanno avuto la possibilità - in gioventù - di frequentare il percorso scolastico.

Alì Doçi

 

L’immigrato

 

Finalmente, dopo tante polemiche, un po’ di certezza, regole, leggi. L’approvazione della legge sull’immigrazione, nonostante le polemiche sorte in seno agli schieramenti politici di maggioranza e di opposizione, è stata portata a compimento.

Non spetta a noi criticare od elogiare. Lasciamo che sia il tempo a giudicare in merito alla validità di questa legge. Si deve però precisare che, come tutte le leggi, anche questa ha i suoi lati positivi e non. Se per l’immigrato che si trova in Italia e ha un lavoro non in regola, o che un lavoro non c’è l’ha, ma é alla ricerca di esso, finalmente ci sono regole ben precise per chi è recluso non c’è stata alcuna precisazione.

Tutto resta all’ombra dell’incertezza. Nessuno sa. Non ci sono regole certe, chiare. Durante l’estate, da diverse parti politiche, si sono levate una molteplicità di voci, ognuna proponendo una diversa soluzione. Sta di fatto che, nonostante le molte dichiarazioni fatte da voci più o meno autorevoli, niente è cambiato; tutto è rimasto all’incertezza di sempre.

Molti degli stranieri reclusi hanno come misura di sicurezza l’accompagnamento alla frontiera una volta espiata la condanna. Non ci addentriamo in processi sommari sulla costituzionalità o meno di questa misura. Limitiamoci ad osservare come questa norma fa si, che l’immigrato si senta solamente punito e perseguitato, che non percepisca la reclusione come momento di riflessione, di ricerca di se stessi, come momento di crescita e riabilitazione. Con quest’assenza di leggi, o per meglio dire incertezza di leggi, ci sono anche più difficoltà per lo straniero nell’usufruire di pene alternative o semplicemente dei benefici previsti per buona condotta, e, perciò, chi lavora nel settore avrà senz’altro notato che c’è una sostanziale indifferenza da parte dei detenuti stranieri nei confronti dei percorsi trattamentali all’interno degli Istituti Penali.

Quest’indifferenza viene scambiata, spesso, per arroganza, per espressione della non volontà dello straniero di reinserirsi nel tessuto sociale, omettendo, però, che lo straniero di fatto è già escluso, in conseguenza delle norme poco chiare. L’Italia è il paese che ci ha accolti, il paese dove l’immigrato approda con la speranza di rifarsi una vita nuova, il paese dove cercherà di realizzare i suoi piccoli sogni, il paese dove spera di trovare un ambiente sociale meno ostile di quello dov’è nato. L’immigrato cerca di farsi adottare, spera d’essere adottato dall’Italia. Come tutti i figli, anche questo figlio adottivo, può sbagliare. Ci sono sempre delle defezioni in una grande famiglia, però a tutti viene data la possibilità del riscatto.

Di solito ad errare sono i figli più deboli! Sono loro quelli che hanno più bisogno di una linea guida. E dove collocare gli immigrati se non con i deboli! Invece di scegliere, come cura, dei mezzi drastici come il rimpatrio verso i nostri paesi (se tale può considerarsi un paese che costringe i suoi giovani a lasciare le proprie radici per poter sopravvivere ai margini della società occidentale, per fare una vita, non di rado, ai limiti della decenza)?

Dovremo avere la possibilità, come lo hanno i figli legittimi. Mi viene in mente un passo della Bibbia che dice più o meno queste parole: "Come puoi tu, non accogliere il forestiero e continuare a pregare il Dio che tratta tutti con imparzialità."

Lino Lupone

 

Una partita fra amici

 

È un bel ricordo: un sabato autunnale a Ranza si giocò lo sport più bello del mondo. Non si affrontarono le ricche e grandi squadre del campionato, ma i gruppi delle redazioni di "IdeeLibere" e del periodico di Siena "Il Carroccio". L'atmosfera era ideale per effettuare questo in-contro di calcio : nessun precedente, nessuna rincorsa a sogni di gloria o di denaro, solo un momento per divertirsi e conoscersi, un occasione per riassaporare l'esperienza dei campetti di periferia, che ancora conservano lo spirito genuino di questo sport.

Le premesse sono ottimali. L'incontro ebbe inizio e la superiorità territoriale della squadra di casa apparve subito evidente. Attraverso trame di gioco più fluide e una maggiore predisposizione alla corsa, gli aspiranti redattori passavano in vantaggio. Gli ospiti si difendevano con qualche affanno e appena possibile facevano partire delle timide azioni di rimessa attraverso l'acume tattico del dott. Sensi. Alla fine del primo tempo la squadra di IdeeLibere era in vantaggio per quattro a uno. Si ricominciava a giocare, con la squadra del Carroccio, che in virtù dei cambi effettuati, cercava con molto impegno di attenuare il divario tecnico e atletico, riuscendo a limitare le folate offensive degli avversari. L'arbitro dell'incontro, che aveva diretto in maniera perfetta, fischiava la fine della gara sul risultato di sei a due per i padroni di casa. Era il momento che tutti aspettavano: l'occasione per una pacca sulle spalle, una stretta di mano, per chiacchierare e scambiarsi i complimenti tra un pasticcino e un bicchiere di coca cola. Soprattutto per noi, il dopo partita, è stato qualcosa da assaporare in tutti i suoi contenuti grazie ad una grande armoniosità di emozioni che raramente ci capita di vivere qui dentro. Queste persone che ci hanno offerto la loro amicizia e che ci hanno circondavano con i loro completini scuri, con le loro facce simpatiche e affaticate, in un inedita stretta affettiva, meritano da parte nostra un attenzione particolare, che può farci riflettere sul valore e il rispetto dell'uomo. Lo stesso Dr. D'Onofrio, direttore di Ranza, piuttosto coinvolto nel corso della gara, ha apprezzato lo spirito amichevole di questo incontro e grazie alla sua disponibilità crediamo di poter aprire le porte di Ranza a nuove iniziative, che ci permettano di rompere l'isolamento. Quel giorno, solo pochi fortunati hanno potuto godere l'emozione di sentirsi protagonisti, non tanto di una partita di calcio, quanto piuttosto di un atto d'amicizia, concepito dalla "banda" del Carroccio. Il carcere non è un luogo che si "concede" facilmente, ma possiamo sperare che in futuro, un occasione simile, si possa offrire a quei ragazzi che hanno assistito all'incontro attraverso le finestre delle loro celle.

Simonetta Losi

 

Ho imparato qualcosa

 

Un pesantissimo cancello di ferro si è chiuso alle mie spalle con un canglore metallico. È il terzo che incontro, in una serie di corridoi lunghi, dal soffitto basso, illuminati da luci al neon, che ricordano un parcheggio. Il senso di oppressione è quasi palpabile e non potrebbe essere che così: lo trasmette l’ambiente, con le sue caratteristiche e le sue vibrazioni. Mi trovo all’interno di un braccio del carcere di Ranza, dove c’è una redazione che fa un giornale: un giornale che si chiama " IdeeLibere" e proietta oltre le sbarre le parole di un gruppo di ragazzi che non hanno rinunciato a pensare: penso, dunque sono.

Ho imparato qualcosa sul verbo "pensare".

La prima riflessione – peraltro abbastanza banale – che viene da fare è che, dove esiste una costruzione fisica, sia indispensabile usare il pensiero per abbattere le barriere spaziali. E si immaginano le parole che come folletti scavalcano i cancelli e testimoniano dell’esistenza di una realtà. Le parole producono pensieri ed emozioni, che producono altre parole e altri pensieri ed emozioni. È come un fuoco buono che si propaga, si attizza, si appicca. E anche quelli che non sono vicini lo vedono e possono immaginare il suo calore.

Ho imparato qualcosa sul dominio del tempo.

I ragazzi di Ranza non sono padroni del proprio tempo, come lo sono, in forme diverse ma non sono pesanti, molte persone che vivono nella cosiddetta "società civile". Si ha la sensazione che il tempo cambi passo oltrepassando quei cancelli, che tutto si amplifichi e si dilati. Tutto questo forma un contrasto stridente con la fretta convulsa del "fuori", che non è altro che un annullamento del tempo: in forma opposta.

Ho imparato qualcosa sul valore delle parole.

Si ha la sensazione che le parole abbiano un peso e una pienezza di senso molto maggiori che altrove. Che siano concentrate, compresse, come frutto di una lunga e complessa distillazione. Così il "dentro" diventa una specie di interiorità collettiva, dove l’interiorità individuale si sviluppa, in presenza di certi presupposti personali, con la stessa pervicacia di una pianta che cerca la luce.

Ho imparato qualcosa sull’essere e sul fare.

Alcuni uomini, trovandosi prigionieri nel fare si scoprono liberi nell’essere. Anche se questo comporta, al momento, soltanto un essere per sè stessi e per pochissimi altri. Si avverte un grande senso di autenticità, di essenzialità. Perché lì scopri che la cosa più importante è chi sei davvero. Cioè una persona unica, ma uguale agli altri nella tua irripetibile umanità.

Ho imparato qualcosa sul gioco.

Nel gioco ognuno esprime sé stesso nella sua parte più autentica. Il gioco annulla tutte quelle differenze che non sono funzionali allo svolgimento stesso del gioco: ha la preziosa caratteristica di rendere liberi di essere, di esprimere le proprie capacità personali, atletiche e non.

Ho imparato qualcosa e anche se non trovo tutte le parole per esprimerlo pienamente, compiutamente, sento che è qualcosa di importante.

Per questo vi voglio dire: grazie.

Don Luigi Terzi

 

Aria di Natale

 

Dappertutto c'è l'aria di Natale. Non è l'aria dei monti o dei mari. Che sia aria di pioggia, di neve o di sole tutti sentono e riconoscono che è un'aria diversa; è "aria di Natale". E' un'aria che non entra nei polmoni ma nel cuore. Quella inspirata nei polmoni ci fa sentire forti espandendo il nostro corpo; quella respirata nel cuore ci fa sentire deboli dilatando l'anima.

E' un'aria che ci induce a piegare spontaneamente le ginocchia davanti ad un Bambino che, col suo sorriso, ci fa dimenticare la nostra presuntuosa grandezza e ci spiega, con le ragioni del suo cuore divino, che senza di Lui non possiamo fare niente. Curvati sulla sua culla ci vergogniamo di ciò che facciamo con il nostro modo egoistico di ragionare, con il desiderio ossessionante del potere e del successo, con le nostre guerre, troppe guerre. E’ la sensazione che provo ogni anno a Natale davanti a tanta gente celebrando la messa di Mezzanotte.

Non è gente assonnata, è sveglia attonita e attenta; sul volto traspare come un senso diffuso di sconfitta e di umiliazione e, allo stesso tempo, di ripensamento e di rinascita. In quel momento sacro in cui si rivive, nella celebrazione eucaristica, l'evento storico della nascita di Gesù, è come se la vita di tutti i giorni si fermasse, mentre affiora amaramente la percezione di un vuoto nel cuore.

Un vuoto che fa paura perché ci si interroga sul senso della vita, sul perché di tanti avvenimenti umani sconcertanti, del perché di tante guerre, di troppe ingiustizie sociali, di crudeli sofferenze. Perché tutto questo? A chi serve ? Dove andremo a finire di questo passo?

Ma è proprio quel Bambino divino che vuole e sa come colmare un così grande vuoto. Proprio perché così piccolo attira e suscita attenzione, ci fa pensare e ci sentiamo umiliati dalla nostra grandezza. Guardando i suoi occhi ci accorgiamo di essere ciechi; nei suoi occhi vediamo la Luce, quella Luce solare che traccia il nostro cammino e rianima il cuore, ci fa riconoscere tutti quanti luminosi figli di Dio. E' la Luce vera che inonda la terra di quel qualcosa, che spesso cerchiamo disordinatamente, che non viene da noi ma solamente dal Cielo. E' la Luce del Natale che diffonde raggiante l'amore del "Dio con noi" sul volto dei poveri, dei rifiutati, degli sfruttati, di tutti coloro che facciamo finta di non vedere perché ci sentiamo migliori e più grandi di loro.

Solamente prostrando le ginocchia ma soprattutto il cuore davanti a quel Piccolo, come i pastori a Betlemme, sapremo riconoscere che Lui solo è Grande. L'aveva ben compreso Maria, la madre del Dio-Bambino, che nel cuore esultava cantando:" L'anima mia magnifica il Signore perché ha guardato l'umiltà della sua serva… Grandi cose ha fatto in me Colui che è l'Onnipotente… ha rovesciato i grandi dai loro troni, ha innalzato gli umili…."(Lc./ss). Chissà se anche il nostro cuore capirà che questa è …"aria di Natale"!

Enzo Falorni

 

L’oratorio

 

Un punto d’incontro che è ancora scuola di vita

 

Personalmente, nell’oratorio del mio paese, nella valle dell’Arno Fiorentina, ho vissuto dei momenti di gioventù bellissimi. Ricordo l’impegno del Parroco e degli educatori - persone comuni del paese - che volontariamente si adoperavano, ognuna nel suo ambito, ad insegnarci qualcosa di costruttivo. Così da ragazzi, crescevamo in un ambiente lontano da pericoli e tentazioni. L’oratorio, però, della mia gioventù è andato via, via, disgregandosi. Non ne esistono più e perciò non si comunica più, le conseguenze nella gioventù d’oggi sono ben visibili in negativo.

Oggi ci sono le nuove povertà giovanili: "C’è un virus che intacca la vita di molti ragazzi e adolescenti e diffonde l’epidemia del vivere".

Ecco, se tante volte ci fermassimo un istante nel nostro ritmo forsennato, cui siamo ormai abituati nella vita quotidiana, ed imparassimo a comunicare con chi ci sta accanto, tante problematiche verrebbero a galla prima che queste si trasformino in qualcosa di più grave. La mente va triste, in quest’istante, alle tante tragedie familiari e non, che ogni giorno accadono. Ad iniziare dal delitto di Cogne (oggi sempre più uno show televisivo ripugnante), quella di Monjouet, dove una giovane madre, in un giorno di festa di fine giugno, ha deciso di farla finita assieme ai due figlioletti gettandosi nelle acque gelide di un laghetto. Lei, poi, si è salvata, i piccolini NO. E poi: gli anziani abbandonati, spesso, a se stessi, dove un gesto, una parola gentile, un po’ di sincera solidarietà ridarebbe loro linfa nel cammino che avvicina alla fine del tutto. Oppure i carcerati, sottoposti ogni giorno a parole ad azioni vessatorie da chi si sente superiore o più intelligente, quando troppo spesso, invece, tutta questa superiorità o intelligenza non esiste proprio, sovrastata e cancellata dalla superbia e dall’arroganza. "L’uomo superbo e arrogante è l’opposto dell’uomo intelligente!".

Ecco i tanti casi d’autolesionismo, i suicidi, che si potrebbero tranquillamente diminuire, nel loro numero, se solo si potesse comunicare da comuni esseri umani e non, come detto, da arroganti a considerare l’altro un inferiore. Far capire che in ogni momento della vita si può rialzare la testa, anche dopo aver commesso errori che, all’apparenza sembravano irrimediabili. Ma si sa, a tutto c’è rimedio quando troviamo qualcuno disposto ad ascoltarci, a comunicare …

Questa parola così in auge solo pochi decenni fa, è ora troppo dimenticata; eppure il comunicare è una dimensione umana particolarmente importante e irrinunciabile. Sappiamo che, oggi, tutti comunicano ma, forse, comunichiamo in modo sbagliato; vogliamo e dobbiamo imparare a capirci, ad esprimerci con autenticità, a dialogare rispettando le diversità. Il comunicare è quindi un vero stile che dobbiamo riscoprire. "E da qui si spiega anche l’immensa nostalgia che, ciascuno di noi ha, per poter comunicare a fondo e autenticamente" scriveva il Cardinale Carlo Maria Martini. Riscopriamo, perciò, una comunicazione semplice, autentica ed efficace, capace di parlare a tutti; si sconfiggerebbe la superbia, l’arroganza, l’egoismo, la solitudine. Usiamo la parola chiave: comunicare. Contribuiremo, forse, alla costruzione di una società della pace.

Lino Lupone

 

Il tempo libero

 

Dimensioni, distrazioni, distruzioni

 

In circostanze normali l’idea di tempo libero riporta alla mente sensazioni piacevoli, capaci di rivitalizzare le nostre energie logorate dai ritmi frenetici della quotidianità. Usato con saggezza, questo tempo è davvero un toccasana e non bisognerebbe mai commettere la sciocchezza di privarcene in nome degli impegni ritenuti più importanti.

Anche per noi detenuti, questo tempo, dovrebbe essere prezioso, salvo poi accorgerci che, paradossalmente, noi abbiamo solo "tempo" libero.

Certo, la nostra giornata è scandita da incontri e momenti come l’aria, il campo, la palestra, la sala hobby e la sala musica (per i molti che non hanno impegni lavorativi o scolastici), ma come si può apprezzare nella sua pienezza il tempo libero se non si possiedono degli impegni sacrificanti? Naturalmente se per impegni sacrificanti intendiamo la pesantezza di 18 ore chiusi in 3 metri x 2 ecco che quelle sei ore al giorno, fuori della cella, possono assomigliare ad uno svago.

Allora passeggiare sotto il cielo in uno spazio più ampio, chiacchierare con qualcuno che non sia il tua compagno di cella, farsi una corsa o una partita a pallone rappresentano momenti che potrebbero davvero esaltarci. Uso il condizionale perché in realtà, poi, questo tempo libero, si trasforma in tanti momenti sempre identici, simili a centinaia e migliaia di fogli ciclostilati sempre con lo stesso carattere e le stesse parole vuote. Quella che dovrebbe essere un’attività divertente si trasforma in qualcosa che a poco a poco perde ogni significato.

Viviamo intenti a veder trascorrere un tempo sfuggevole, perché è inutile dividerlo in giorni, mesi, anni, oppure in impegni e tempo libero, se non si può far altro che combattere il vuoto e la noia. È molto più facile accettare con dignità questa triste realtà e imbrogliarla ricercando sempre nuovi trucchi per bastare a se stessi.

Allora c’improvvisiamo poeti, lettori, calciatori, attori, pittori, scrittori, culturisti e quant’altro la fantasia ci concede. Peccato che tra tanti che resistono e si inventano ogni giorno qualcosa per non "morire", ci siano anche quelli che trasformano questo vuoto in azioni autodistruttive. Sono coloro, che si chiudono in un mondo isolato, seppelliti vivi sotto il peso del vino o della terapia, che non riescono a trovare il modo di incanalare la sofferenza attraverso percorsi più positivi e rimangono in perenne attesa che il loro destino cambi senza muovere un dito.

Fabio Perrone

 

Il girostorto

 

Ogni struttura in equilibrio basa il suo funzionamento su un impianto di tipo circolare o al limite ellittico. Si pensi al moto dei pianeti intorno al sole, ai cicli della natura in genere, ai numeri o più semplicemente al percorso delle lancette di un comune orologio.

Gli avvenimenti catastrofici e le storie di disumana follia che si rincorrono sul quotidiano, dimostrano con tutta evidenza la mancanza di equilibrio nella struttura della società umana.

La verità è che il sistema sociale si regge su sfruttamento e corruzione, protezionismo e privilegi, corporativismi e clientelismo. Una condizione questa che spinge l'umanità ad un bivio e ad un terribile brivido: o l'arte di arrangiarsi sempre a ridosso dell'illegalità, quale può essere anche corruzione, privilegio e corporativismo, o alle più diverse e spesso inquietanti forme di ribellione e disubbidienza sociale. Quale il rimedio allora!

Semplice: rispettare gli altri come se stessi. Di più significherebbe accordare un privilegio, quindi, ricadere nelle sabbie mobili della corruzione.

Prima di impantanarsi in situazioni di questo tipo, in coscienza, ognuno dovrebbe interrogarsi sulle possibili ricadute dannose del proprio comportamento e chiedersi come ci si sentirebbe al posto di chi ne è stato danneggiato.

Qualunque comportamento, anche essere serviti dal macellaio prima e meglio di altri e questione di mentalità distorta. L'attuale sistema dei valori morali deriva da intere epoche di convivenza sociale, il grado di civiltà dal loro rapporto (oltre che dalle condizioni delle carceri).

E dopo migliaia di anni si deve ancora assistere all'esistenza di enormi differenze di classe alloggiate rispettivamente nei numerosissimi bassi, tipici di alcuni quartieri disadattati, e sui pochi satelliti attorno al pianeta, con tappa intermedia nella capanna sull'albero in serio pericolo di estinzione.

Ovviamente è sempre sulle categorie più deboli che piombano col peso del disastro i lanci in orbita delle classi dirigenti. Eccessivo. Si è del tutto incapaci di trovare un punto di equilibrio.

O forse non si ha nemmeno voglia di cercarlo, presi come siamo dalla sindrome dell'arrampicatore sociale (già diagnosticata e mirabilmente descritta da G. Maupassant).

Anche la natura nelle sue manifestazioni sembra voler imitare il comportamento privo d'equilibrio dell'uomo, andando da un eccesso all'altro: o troppo caldo o troppo freddo, siccità, terremoti e nubifragi. Che avessero ragione i greci classici sull'esistenza dell'Olimpo abitato da figure divine penalizzate da debolezze tipicamente umane? Aiuto, teniamoci forte per mano!

 

Riflessioni sulla condizione umana

 

Le curve di Ranza sembravano non finire mi ed essere già insidiose fin da quella mattina di settembre. C’erano stati poi i controlli all’ingresso e l’indecisione per capire la direzione giusta da prendere. L’incertezza era forte; del resto solo pochi minuti prima dell’assegnazione delle supplenze avevo saputo del carcere. Sentivo nuovamente la voce che, mentre guardavo il foglio da firmare, mi diceva: "presto, si decida!" o Piancastagnaio o il carcere? Avevo ripensato alla montagna, al giaccio, ai pranzi fatti quasi all’ora della merenda e avevo fatto la mia scelta. Ma San Gimignano non è il Santo Spirito a Siena e, quindi, la mia precedente breve esperienza di lavoro era praticamente inutile. Ricordo…Era Marzo e facevamo lezione di pomeriggio. Rivedevo i vecchi allievi provenienti dalle varie città d’Italia. Logicamente non potevano uscire dalla classe e mi dispiaceva impedire loro di fumare ma, dopo un po’ l’aria risultava irrespirabile. L’agente di guardia aveva una "cattedra" immediatamente fuori porta e, mentre facevamo lezione, leggeva il giornale. Poi, dopo un breve tragitto fra le vecchie mura e i fatidici nove cancelli, io ero di nuovo nel brusio della città. Adesso, qui a Ranza, era tutto diverso…Percorrendo il lungo corridoio ripensavo ai consigli delle amiche. Attenzione, non ti fidare! Non devi dire chi sei; insegnando l’Italiano mi sembrava un po’ difficile. Era chiaro che gli allievi nei temi avrebbero raccontato di loro ed io, nelle correzioni, avrei esposto le mie idee. Intanto, camminando, il corridoio mi sembrava sempre più grigio e comprendevo come mai molti detenuti avevano l’hobby della pittura. Ricordai di aver visto alcuni loro quadri a una mostra di pittura e decisi, lì per lì, di dare come testi di ingresso un commento breve sul colore preferito. E così cominciò il nostro lavoro. Ciò che differenzia i corso scolastici carcerari da quelli di un qualsiasi istituto superiore è l’aula chiusa a chiave. Quella pesante porta di ferro, inutile negarlo, provoca un certo smarrimento (imbarazzo); per le insegnanti donne il problema è, a mio avviso, doppio. Ci sono poi le domande di qualche collega o la curiosità di altra gente che viene a sapere dove lavoriamo.

Una bellissima esperienza, certo non facile all’inizio, ma altamente stimolante e coinvolgente in un mondo a parte, sospeso, filtrato da portoni e cancelli. Un mondo che ho appena intaccato con la mia presenza, che ho conosciuto solo superficialmente ma tanto mi è bastato per impegnarmi con entusiasmo in questa avventura, cercando di coinvolgere i miei "ragazzi" nella mia grande passione: la storia dell’arte. Materia di facile approccio, la mia, che ho cercato di rendere il più interessante possibile tempestando di immagini, foto, video disegni, dispense e fotocopie il gruppo de temerari che si cimentano nell’ardua impresa di imparare il mestiere di ceramista.

Lo studio della storia dell’arte permette di conoscere quello che è stato realizzato in passato così da ottenere spunti e idee per realizzazioni future. Contemporaneamente si affina la sensibilità al Bello, utile a sviluppare la propria creatività.

È importante scoprire e valorizzare le capacità latenti di ogni corsista e per fare questo è necessario, secondo me, entrare in sintonia con le persone, destare interesse e motivazione. Nelle mie lezioni si parla, si ride e si LAVORA. Si confrontano esperienze, si scambiano informazioni, si commenta e si consiglia in una libera circolazione di idee, perché sono convinta che sia il metodo migliore per insegnare e apprendere.

Questo lavoro mi ha richiesto tante energie e tanto impegno, ma quando ho cominciato a vedere i primi risultati mi ha restituito nuova carica…ho insegnato e imparato; ho dato è ho ricevuto molto. Insegnare a Ranza? Una bellissima esperienza; sono contenta di averla vissuta.

Alessandra Cencini e Elena Barbieri

 

Insegnare al Ranza

 

La scuola; l’insegnamento; la crescita culturale; ecco uno dei temi cardine del nostro tempo. Fuori, e maggiormente, dentro il carcere. La Redazione ha pensato di dedicare spazio all’argomento trattandolo … a più voci. Il dibattito può continuare; aspettiamo contributi

 

Da qualche anno, dentro gli istituti di pena si sono avviati molti corsi scolastici, elementari, medie e superiori, e finanche corsi universitari. Si è compreso, che la mancanza di istruzione è una delle cause che possono portare ad atteggiamenti difformi da quanto previsto dall’ordinamen-to giuridico. Frequentare un corso scolastico in età post-adolescenziale potrebbe sembrare fuori luogo. Eppure, la consapevolezza di partecipare ad un percorso di studio fa sì che ci sia un buon risultato nella maggior parte dei soggetti interessati.

La scuola viene vista da molti suoi partecipanti come uno strumento essenziale per l’arric-chimento culturale della propria persona, prescindendo dal fatto, che una volta fuori dal contesto carcere il titolo di studio conseguito possa essere sfruttato per ottenere una occupazione.

L’incontro con i docenti, persone diverse dalle abituali, rende meno duro l’approccio alla scuola dopo molti anni (per alcuni) o l’ingresso al primo giorno di scuola. Si notano in persone, non più giovanissime, quelle emozioni che di solito sono abituali negli studenti.

Vi è molta attenzione e timore ad affrontare un compito o un’interrogazione come se da quella dovesse cambiare la propria vita. Il percorso scolastico viene vissuto con gioia e si cerca di migliorare per riscattare quegli anni che non si è potuto o voluto studiare. Personalmente, pur essendo riuscito in gioventù ad ottenere un diploma, ho frequentato il Corso Igea di quest’istituto rendendomi conto come adesso grazie ad un impegno maggiore riesca ad esprimere al meglio le mie potenzialità. Vedo tantissime persone, che a fatica riuscivano a scrivere il proprio nome, prendere carta e penna per scrivere una lettera ai propri cari o un’istanza che lo riguarda e noto in questi soggetti la soddisfazione per essere riusciti in questo miracolo.

In pochi anni il grado medio d’istruzione all’interno degli istituti di pena si è alzato, anche grazie a queste innovazioni. Parlare d’università in carcere pochi anni fa era un’utopia, adesso per fortuna è una bellissima realtà che può essere vissuta.

La parola scuola: evoca ricordi e questi mi riportano alla mia infanzia, in quegli anni, forse i politici di turno erano impegnati a dissanguare l'Italia ed a farla progredire per portarla ad essere la quinta potenza economica mondiale. Tra le certezze di quel periodo, vi era la continua periodicità con cui iniziavano e finivano i corsi scolastici, da ottobre a giugno. Capisco, che le Regioni a fronte dei nuovi poteri concessogli dal legislatore, possano decidere come meglio credono su quando far tornare gli alunni nelle loro scuole, ma credo che non sia vantaggioso annualmente mutare il rientro dalle vacanze per motivi, che rimangono oscuri alla maggior parte degli utenti.

Una volta l'alunno sapeva con certezza quando si doveva rientrare a scuola, cosa gli capitava se in una materia non avesse raggiunto la sufficienza, e quando si svolgevano gli esami di riparazione.

Adesso tra crediti e debiti formativi più che una pagella scolastica sembra avere un libro mastro, sul quale annotare ora in dare ora in avere le rispettive operazioni. Gli alunni non possono essere bocciati, se non dopo due anni o se non riescono a colmare i debiti formativi, che gli vengono affibbiati nelle rispettive materie.

I professori hanno perso quella personalità, che la società gli aveva prima attribuito, per poi inconsapevolmente togliergli, visto il lavoro così delicato per cui sono preposti; la formazione della futura classe dirigente. Basti pensare come si è passati nel corso degli anni, dalle tirate di orecchie e dalle piccole punizioni erogate al fine di scolarizzare al meglio l'alunno, al divieto assoluto di ogni forma di prevaricazione. Il telefonino in classe ormai è la regola contro la quale nulla può l'intero corpo insegnanti che è costretto a subire le varie melodie scaricate da internet, per personalizzare al meglio questo strumento infernale, che però consente una rapida comunicazione con il proprio genitore, allora come si fa a vietarlo?

Forse è una mia impressione ma al fine di estendere la cultura e l'istruzione alla maggior parte della popolazione si tende a facilitare l'ingresso al successivo anno scolastico e finanche ai corsi di laurea, che sono diventati quasi tutti triennali. Ormai gli istituti e le accademie, pur di accogliere un maggior numero di studenti, offrono una qualità di servizi che fino a poco tempo fa erano impensabili. Leggiamo in continuazione pubblicità di questa o quella università, che pur di averti come iscritto è disposta a tenere per buoni degli esami dati molti anni prima.

Forse era meglio la rigidità con la quale venivano selezionati gli studenti in passato, che il lassismo con il quale si continua a far continuare gli studi a degli studenti poco preparati. Non possiamo lamentarci poi, se qualche medico, sbagliando diagnosi, indica un cattivo rimedio o se un avvocato non conoscendo una norma non riesce a far assolvere il proprio assistito.

Caro Ministro dell'istruzione, fra le tante novità che sta apportando al sistema scolastico, si rifaccia un po’ alla vecchia e cara tradizione, nella quale soltanto quelli veramente preparati andavano avanti. Meglio pochi laureati in grado di esercitare la propria professione, che molti giovani impreparati in grado di ostentare come unico pregio il loro pezzo di carta" la laurea".

Francesco Cascone

 

Ciò che può favorire il reinserimento del detenuto

 

La questione del lavoro in carcere diventa sempre più difficile per la politica, posta in essere dall’attuale maggioranza, riguardo il sistema penitenziario Italiano, che si sta avviando ad essere (spero che i fatti mi smentiscano) un ulteriore business per le casse dello Stato. Nel frattempo la società continua ad esigere una maggiore sicurezza per le città che, a causa degli scarsi risultati ottenuti con la cosiddetta rieducazione, sono sempre più violente.

Ma siamo proprio sicuri che il problema è l’alta propensione al crimine di migliaia di persone? Io penso proprio di no! Sono dell’idea che a molti basterebbe l’occasione giusta, cosa che in questo momento viene concessa a pochissime persone, proprio per la mancata formazione professionale. Che nel Paese vi sia, dal mondo imprenditoriale, una richiesta di manodopera specializzata è innegabile, come è altrettanto innegabile che l’impren-ditore preferisce affidarsi all’extracomu-nitario e non ad un detenuto o ex-detenuto, perché quest’ultimo, oltre a non avere una formazione professionale, è anche un soggetto a rischio. Ma se avesse tale formazione, l’imprenditore valuterebbe sotto tutt’altra prospettiva la possibilità di assumerlo. Ovviamente la formazione di queste persone deve coincidere con la richiesta del mercato del lavoro.

Occorre, quindi, allestire dei laboratori per i detenuti che hanno da espiare pene medio – alte, perché sono loro che, una volta rimessi in libertà avranno maggiori difficoltà ad inserirsi nel tessuto produttivo, anche per un’età che non gli consente più di avere quelle agevolazioni oggi previste per i più giovani. Sembra che a questo Esecutivo non interessi affatto la grave situazione che si è creata con il sovraffollamento che c’è nelle carceri italiane, e visto che, si è scartata l’ipotesi di un’amnistia (cosa che fra l’altro non risolverebbe definitivamente il problema), allora perché non investire in un settore che, oltre che favorire l’attenuarsi dell’alta percentuale di "recidività", aiuterebbe i detenuti a guadagnare favorendo così il recupero del detenuto?

Finché il lavoro (cosa che restituirebbe dignità al detenuto) non avrà la giusta collocazione all’interno del trattamento rieducativo, lo Stato difficilmente riuscirà ad avere la meglio sul fenomeno della criminalità.

Insomma: che l’ozio sia la madre di tutti i mali si sa, come si sa che il lavoro è la panacea di questo male. Quindi, perché non si fa in modo che l’autostima che ognuno di noi ha di se stesso cresca attraverso la cultura del lavoro? È importante far apprendere una professione al detenuto, perché lavoro è uguale a dignità, che è uguale a reinserimento.

Franco Russo

 

Il glossario del carcere

 

Un po’ per scherzo e un po’ sul serio…

 

Attività trattamentale:

Termine linguistico vasto, complesso e articolato. Praticamente inesistente per i più svariati motivi.

 

Buono porta:

Non si tratta di una piccola tessera per ritirare una grande porta ma più semplicemente il non indifferente sacrificio che i familiari, recandosi a trovare i propri cari, affrontano per depositare oggetti, denaro e quant’altro è concesso dal "capo - villaggio".

 

Battitura:

azione che l’Angelo compie, fracassando una spranga di ferro simile ad un manganello contro le inferiate delle finestre degli alloggi. Tale azione può anche essere considerata una sorta di "sport estremo", se si considera il rischio che si corre a trovarsi nei dintorni, viste le schegge che possono saltare nel caso in cui l’angelo di turno si trovasse in uno stato di "particolare eccitazione" di fronte a tale sport!

 

Braccio:

viene denominato "braccio" quella parte di padiglioni in cui sono ubicati gli alloggi; ogni "albergo" può contenere due, tre o più bracci. Questi sono anche detti "sezioni".

 

Branda:

Comodo letto ad una piazza, rivestito completamente in ferro, maneggevole e leggero come la testa di un elefante adulto. Di colore arancio, è parte integrante della vita di tutti i giorni; molti inquilini infatti non si staccherebbero dai loro "amici letti" per nessuna ragione al mondo.

 

Blindo:

Porta d’ingresso o entrata dell’alloggio.

Anch’esso in ferro, di colore accuratamente scuro per mantenere quel senso di spensieratezza e gioia, ha il peso di quel povero elefante adulto a cui abbiamo già "tagliato" la testa nella voce precedente!

 

Blindato:

Comodissimo fuoristrada, sotto forma anche di pulmino, corriera e quant’altro possa spostarsi su quattro o più ruote. Anch’esso ovviamente di colore scuro e contenente all’interno delle piccole (molto piccole) gabbiette per cocorite in cui "depositare" i malcapitati e trasportarli così senza il rischio di "sbatacchiarli" da una parte all’altra del mezzo. Avere cura della merce trasportata è una dote che dovrebbero possedere tutti i corrieri!

 

Corda:

Ne è vivamente sconsigliato l’uso, soprattutto su se stessi; tuttavia c’è chi nel corso degli anni, decidendo di non farne il classico uso "improprio", ha finalizzato il suo utilizzo per costruirne uno stendi - panni.

 

Casellario:

Ufficio a forma di alveare, in cui vengono registrati tutti gli inquilini, i loro oggetti personali e quant’altro viene loro consegnato sotto forma di fornitura (vedi indice).

 

Direttore:

capo villaggio esecutivo ed amministrativo. Ultima spiaggia per le domande di sfratti o altri problemi inerenti al complesso residenziale.

 

Ergastolano:

inquilino permanente del villaggio, che usufruisce di tutti i servizi, compresi quelli funerari, e che, a differenza dei poveri "comuni mortali", gode del raro beneficio di non incappare mai in alcuna forma di sfratto.

 

Eremita:

inquilini di villaggi felici (Porto Azzurro - Gorgona - ecc...).

 

Fantasma:

individui alieni che si aggirano nel villaggio e sono stati chiamati condono, indulto e amnistia.

 

Giochi:

in alcuni Hotel, il capo villaggio concede gentilmente l’uso di una scacchiera ogni 300 inquilini. Nei migliori Hotel, i più attrezzati, le scacchiere hanno persino tutti i pezzi.

 

Matricola:

cuore e cervello del villaggio, in cui vengono svolte tutte le funzioni relative all’Amministra-zione del villaggio.

 

Pranzo:

ripetizione per numero infinito di giorni festivi compresi, di un menù rigoroso, dietetico, super calorico.

 

Permesso:

generalmente s’intende come una richiesta di entrata. Nel nostro caso solo d’uscita!

 

Partente:

inquilino bruscamente sfrattato. Il malcapitato viene letteralmente impacchettato e tradotto, non in un’altra lingua ma in un altro Hotel.

 

Sbarre:

ovvero la nostra sicurezza come inquilini casalinghi, affinché non entrino malintenzionati dall’esterno.

 

Villaggio:

grande edificio, contenente tanti piccoli e comodissimi alloggi. Funzionale di ogni confort, attrezzato per ogni necessità.

 

OPS, ci siamo un momento fatti prendere la mano. Dopo tanti discorsi e tante spiegazioni si spera divertenti ed utili, ci siamo ricordati e ci dobbiamo sempre ricordare che stiamo in .....Carcere!

Mario Marzocchi, Provveditore della Misericordia di Siena

 

Il ruolo dei fratelli dell’Arciconfraternita di Misericordia nelle due case di reclusione senesi

 

I festeggiamenti del 750° svoltisi nell’anno 2000 ci hanno permesso di vivere l’Arcicon-fraternita nella sua globalità, infatti, accanto alla facile verifica della realtà attuale ci sono stati presentati con ammirevole dovizia di particolari da parte di storici e studiosi i quadri di azione che i volontari di allora avevano programmato e attuato anticipando le basi per questo Gruppo di Volontariato, che è tra i più giovani dell’attuale nostro assetto. Si racconta infatti che "persone di buon cuore" si recassero nelle galere a portare cibo e sollievo alla sofferenza dei carcerati. Non una tradizione, ma la semplice ottemperanza ad un’opera di Misericordia, che l’apparte-nenza a Cristo impone. Amore quindi; quell’amore disinteressato verso il prossimo e che supera pregiudizi e qualunquismo, quell’amore in virtù del quale Gesù ci riconduce a Lui. "Non amate soltanto coloro che vi amano. Amate piuttosto i vostri nemici o comunque coloro che non vi mostrano riconoscenza, né simpatia. Insomma amate, soprattutto chi vi comprende o non comprendete: là c’è più bisogno d’amore". Il Gruppo di Volontariato Penitenziario si colloca quindi a buona ragione nell’ambito delle attività che l’Arciconfraternita annovera tra i servizi di soccorso ed aiuto per il prossimo: trasporto in ambulanza, assistenza domiciliare e ospedaliera per anziani ed ammalati, servizio civile, mensa dei poveri, bancarella della solidarietà, prevenzione dell’usura, protezione civile, ecc. Possiamo dire di abbracciare a largo raggio tutte le necessità dei cittadini bisognosi, soprattutto le fasce più deboli. "Quelli del carcere" (come qualcuno dice) lavorano in silenzio pur avendo dovuto superare difficoltà varie, trovando anche resistenze oggettive legate talvolta ai pregiudizi ancora radicati nella società. Ma oggi possiamo affermare che è un gruppo compatto e solido che da tempo ormai non limita il suo operato soltanto ad esaurire le esigenze materiali dei detenuti più bisognosi, che francamente non sono certo diminuiti, data la sempre più alta presenza di extracomunitari. L’Amore abbraccia anche il conforto ed il consiglio, tramite i numerosi colloqui di sostegno morale e personale, eseguiti soltanto da una certa tipologia di volontari, che vivono come primo compito quello di prestare attenzione all’ascolto. Nel carcere senese di Santo Spirito gioca un ruolo primario il colloquio con il consiglio. Qui si vive l’impatto dell’ingresso in carcere c’è un continuo turn-over di detenuti di varia estrazione sociale e culturale. Le problematiche iniziali sono grandi: dalla mancanza di biancheria ed abiti, al vuoto interiore, allo smarrimento, al disagio psicologico che sopravviene in seguito alla chiusura dietro le sbarre, alla perdita della libertà. Ed allora ognuno ha bisogno del proprio spazio per comunicare, per sfogarsi, per mantenere un piccolo legame con l’esterno grazie al volontario che fa da tramite con gli avvocati e i familiari. Piccoli e grandi drammi da affrontare sia con severità che con comprensione, guidati dalla forza "unica" che solo la carità "vera" può infondere. La massima parte dei volontari accede in gruppi ben strutturati a seconda delle funzioni e delle attività concordate con le due direzioni (Ranza e Santo Spirito); attività che basano la loro esistenza sulla cultura non propinata, ma vissuta mediante incontri e lezioni in cui i detenuti sono parte attiva e non semplici spettatori. Tant’è che ogni corso sfocia quasi sempre, alla fine, nella presentazione che ne è quindi la sintesi, di saggi, spettacoli, mostre, convegni, ecc. La collaborazione tra individui diversi per nazionalità, religione cultura ecc. fa così riconoscere il valore della relazione con la differenza, dato che tutti vengono coinvolti in un orizzonte di armonia di intenti, di sentimenti di opere. Con questa grande unità ed armonia il 9 novembre scorso tutti i volontari dell’Arciconfraternita hanno vissuto l’annuale festa della Fratellanza, ritrovandosi dal più giovane al più vecchio, a partecipare insieme del grande dono dell’appartenenza ad essere tutti fratelli nella condivisione del dolore umano, fratelli nella gioia di donarsi.

Silvano Lanzutti e Massimiliano Ruggiero

 

E venne il giorno del Grande Saggio

 

Per molti è stato "il grande evento", per altri soltanto un’irruzione che si sarebbe dovuta evitare. Ma il 14 Novembre verrà comunque ricordato come il giorno in cui parlò il Grande Saggio, il giorno in cui, per la prima volta nell’aula del Parlamento Italiano, scese il silenzio più assoluto, scandito solo dagli applausi di chi, in quell’aula, era intento ad ascoltare senza la volontà né la possibilità di proferir parola alcuna. Giovanni Paolo II, il Papa del mondo intero, prende posto sul "trono" più alto e, con mera saggezza, distribuisce amorevolmente parole ad ognuno, dispensando consigli e raggiungendo i cuori di tutti i presenti, come soltanto Lui avrebbe potuto fare. Tanti i punti da Lui toccati, tanti i punti su cui riflettere e far riflettere: la fame nel mondo, le assurde guerre che, in quanto tali, vanno comunque condannate. E poi i più deboli, i poveri, gli indifesi, i malati. Lo stesso silenzio che regnava in quell’aula di Parlamento, lo si poteva toccare con mano anche nelle celle sovraffollate delle carceri italiane; tutti con le orecchie tese, tutti con il cuore in gola, tutti in attesa di un segnale, quel segnale che da tempo era stato affidato nelle mani del Grande Saggio. E le attesa non sono state disilluse. Arriva la preghiera di un gesto di clemenza nei confronti dei detenuti e all’improvviso i cuori di coloro, che vivono al di qua del muro, si scaldano di una gioia che definire infinita sarebbe riduttivo. Lo stesso applauso elevatosi da quell’aula ha contribuito certamente a scaldare ulteriormente i cuori di tutti noi; è stata la conferma della presa di coscienza di coloro che in quell’aula erano presenti, che qualcosa occorre fare per restituire dignità a chi da tempo sta aspettando un segnale concreto, una mano tesa, un aiuto per tornare alla vita. Un indulto non sarà la soluzione definitiva ai problemi del mondo carcerario, ma potrà certamente essere il primo mattone su cui costruire, con riforme adeguate, un percorso che potrà a qual punto portare al concreto raggiungimento degli obiettivi che, il nostro Governo e la nostra società, si sono prefissati. Un gesto di volontà concreto, una dimostrazione tangibile di un’inversione di rotta della quale, tutti, hanno compreso la necessità. E venne il giorno del Grande Saggio, le cui parole colpirono le coscienze e i cuori di tutti. Ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, Lui ha saputo illuminare là dove finora vi era soltanto ombra.

Da questo "angolo del giornale" mi soffermerò su un nobile sentimento, che è da considerare la piattaforma della vita di ognuno e, che nel carcere, viene ad assumere aspetti considerevoli: l’amicizia.

Nel dizionario Devoto Oli l’amicizia è così definita: "reciproco affetto costante ed operoso tra persona e persona, nato da una scelta che tiene conto della conformità dei voleri o dei caratteri e da una prolungata consuetudine". La "scelta" sembra assumere quindi, un carattere fondamentale per dar vita all’amicizia. Come la stessa è stata vista ed interpretata nel corso della storia?

Nel corso dei tempi il tema dell’amicizia è stato trattato da illustri personaggi della letteratura, della filosofia e da altri esponenti di pensiero. Empedocle, un grande della filosofia greca, riteneva che il simile è amico del simile, attribuendo quindi all’amicizia una valenza di simbiosi, una sorta di affinità elettiva.

Il medesimo concetto sarà sviluppato successivamente da Platone in uno dei suoi famosi dialoghi, ritenendo che esiste un bene ultimo, una specie di principio primordiale, che costituisce la ragione e la causa delle varie amicizie.

L’etica epicurea la colloca su una posizione diversa, svilendola a tutto vantaggio dell’utilità, quindi ben lontana dal concetto che privilegia il rapporto disinteressato che è, invece, enfatizzato da Voltaire. Quest’ultimo, infatti, ritiene che tra gli amici possono essere annoverati solo quelli che agiscono nel rispetto della morale, in maniera del tutto disinteressata. Ma quale amicizia può instaurarsi tra persone che convivono sotto lo stesso tetto carcerario?

È indubbio che anche ove prevalga una permanenza istituzionalizzata, come avviene in ambito carcerario, la scelta è determinata dalle numerose circostanze che caratterizzano la comunità stessa, rimanendo soprattutto legata alle condizioni di vita ed all’esigenza di socializzare. Ed in un istituto, molteplici sono i presupposti per configurare un rapporto amicale e per avviarlo con quanti per affinità o condivisioni d’interessi, soprattutto legati alle attività che coinvolgono ed impegnano il detenuto, devono effettuare un percorso comune. Può definirsi amicizia in legame occasionale, condizionato dal tempo della permanenza e dello spazio limitato?

Certamente, poiché i due elementi che obbligano la scelta possono costituire una valida cartina di tornasole, ove lealtà, fiducia, disponibilità, aiuto, altruismo assumono una configurazione che esalta il rapporto interpersonale.

Nel carcere l’amicizia rischia, talvolta, di subire una supervalutazione del rapporto che s’instaura tra i detenuti, poiché essa stessa è sviluppata ed enfatizzata per l’assenza o la lontananza dagli affetti familiari, divenendo, quindi, una sorta di