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La Rondine, una voce dal carcere rivista della Casa di Reclusione di Fossano (numero 12, aprile 2004)
Quando i fatti consentono le parole
Nell’augurare un buon anno, La Rondine ringrazia Fossano che con la sua solidarietà ci ha garantito la sopravvivenza
La redazione
La copertina di questo primo numero del 2004 descrive molto bene la gratitudine che tutta la comunità del carcere S. Caterina, detenuti, volontari, operatori e direzione esprime nei confronti di importanti realtà del territorio per la concreta disponibilità dimostrata. Per il nostro giornale, infatti, si è trattato di un fine anno pieno d’incognite sul proprio futuro: La Rondine ha seriamente rischiato di essere soppressa quando, nel mese di ottobre, ci veniva comunicato che l’Amministrazione del carcere aveva esaurito i fondi destinati alla realizzazione e alla stampa del periodico. "Il vespaio" non ha tardato a sollevarsi (ci sia concessa la licenza giornalistica). I settimanali locali hanno dato spazio alle nostre difficoltà ed in particolare La Fedeltà è subito intervenuta con pressanti iniziative editoriali e ampia disponibilità; La Stampa, nella pagina di Cuneo ha pubblicato due interventi di un nostro redattore, una sorta di appello per evitare il soffocamento delle voci dal carcere; i nostri volontari e alcuni familiari di detenuti si sono mobilitati alla ricerca di finanziamenti. Si è sviluppata una gara di solidarietà che ci ha sinceramente commossi e che ha dato i suoi frutti. La Fondazione della Cassa di Risparmio di Fossano, grazie all’interessamento del suo Presidente dott. Miglio e la Banca di Credito Cooperativo di Bene Vagienna hanno devoluto importanti risorse, sufficienti a coprire tutte le spese vive per editare La Rondine fino a fine 2004. In ultimo anche il Comune di Fossano, grazie alla sensibilità del dott. Milanesio, ha messo a disposizione gratuitamente la stamperia comunale. La fattiva disponibilità che il fossanese ha manifestato nei nostri riguardi è stato accolta con rinnovato entusiasmo da parte di tutti noi a proseguire in questa importante iniziativa, ripristinando una redazione che, di fatto, non era mai morta, anzi, mai era stata così agguerrita. Siamo sinceramente grati per la fiducia che ci fa sentire parte della cittadinanza e guardare con ottimismo al desiderato ritorno nella libera società. Grazie Fossano! Con questa nota positiva si è chiuso il terzo anno del terzo millennio per tutti, anche per il nostro giornale. E’ quindi tempo di bilanci. Proprio nel gennaio 2001 uscì timidamente il primo numero de La Rondine grazie alla sensibilità della direzione che mise a disposizione i fondi necessari. L’idea, nata da un gruppo di detenuti e volontari, è stata quella di creare uno spazio di comunicazione e di dialogo tra gli stessi detenuti e gli operatori e tra questi e il territorio esterno. Nonostante il continuo variare della popolazione interna rendesse impossibile una redazione stabile, non è mai mancato l’impegno per assicurare l’uscita trimestrale. Spesso si è trattato, infatti, di raccogliere riflessioni, poesie, disegni che, spontaneamente, venivano prodotti come lavori d’introspezione e di sfogo. La loro pubblicazione conferisce dignità ai vissuti personali degli autori, rinforza l’autostima e il percorso di revisione avviato; insieme agli articoli d’opinione, consente al libero cittadino che voglia "vedere" al di là del muro dei pregiudizi, di conoscere e capire persone e ambienti che comunque fanno parte della società, quella più emarginata. Aggiungere, come è nel sistema carcerario generale, dolore, isolamento, coercizione, ozio alle persone che già hanno subito sofferenze familiari e violenze ambientali, che hanno sviluppato difficoltà e diffidenza nel rapportarsi con gli altri, che credono in sistemi sbrigativi e facili confidando nella buona sorte per raggiungere i loro fini, non fa che rinforzare, anziché scardinare, la costruzione di un mondo a parte, individuale o di gruppo, in contrapposizione a quello cosiddetto "normale". Il nostro giornale vuole cercare di dare voce e dignità di pensiero, di parola, d’espressione alle persone private della libertà per sollevare un velo sul loro atteggiamento omertoso ben raffigurato dalle tre scimmiette della prima pagina. Gli articoli che in questo numero commentano la proposta di legge Fini sulla tossicodipendenza, la legge Fini-Bossi sugli extracomunitari e quelli riguardanti, uno l’espletamento di un concorso regionale per educatori carcerari, l’altro relativo al senso di colpa offrono spunti di riflessione per pensare ad un sistema penale che recepisca soluzioni alternative alla sola pena detentiva mediante sanzioni di varia natura e maggiormente individualizzate. A livello nazionale e anche a livello locale, come testimoniato in tutti i numeri di quest’anno de La Rondine, il tema che ha più logorato i detenuti è stato quello della definizione e successiva applicazione della legge cosiddetta Indultino. Una misura di cui ormai siamo tutti espertissimi. I dati diramati dal Dap sono imperfetti e incompleti; è quindi difficile fare ora dei bilanci. Al 30 novembre 2003 (fonte Speciale Tg1), le istanze mirate all’applicazione del beneficio accettate sono state 2.700, pari al 4,7 per cento dei detenuti reclusi, mentre 6.000, pari all’11 percento sono state quelle rigettate o ritenute inammissibili. Dal carcere di Fossano sono usciti finora circa 40 detenuti che, con il 25 percento, rappresenta una percentuale molto alta rispetto alla media nazionale. L’essere una casa di reclusione per definitivi con pene residue inferiori ai tre anni può spiegare il dato locale. Non ci sono dati aggiornati sulle persone che sono tornate in carcere per non aver rispettato gli obblighi imposti dal beneficio. Ricordiamo che la legge battezzata "indultino", approvata il 1 agosto scorso, non cancella, ma sospende il residuo della pena a condizione che non si commettano reati e che vengano rispettate deteminate limitazioni. Ha, in ogni caso, consentito l’accesso ad una misura alternativa a tutti coloro che, pur avendo scontato metà della pena, non avevano i requisiti per accedere alle attuali misure alternative. Bisognerà attendere ancora qualche tempo per una verifica della legge che stabilisca se, realmente, come nelle intenzioni, è stato un provvedimento "sfollacarceri". Vi terremo informati. Possiamo continuare a farlo grazie alla fiducia e alla generosità delle istituzioni fossanesi. La Rondine continua a volare sperando d’incontrare sempre più l’interesse dei cittadini, liberi e non, che invitiamo a scrivere alla nostra redazione. Auguri per un nuovo anno sereno e di pace per tutti! Cambio di gestione non adagiamoci mai
E’ ormai effettivo il nuovo Direttore del S. Caterina. Saluti, ringraziamenti e un impegno solenne: non tesaurizzare, ma sviluppare
di Edoardo Torchi.o Direttore della C.R. di Fossano
In qualità di nuovo Direttore della Casa di Reclusione di Fossano, incarico assunto alla fine dello scorso mese di ottobre, rivolgo un cordiale saluto a tutti, operatori e detenuti e, approfittando dell’occasione fornita dalle imminenti Festività di fine anno, auguro a voi tutti ed alle vostre famiglie un Felice Anno Nuovo. Normalmente gli ultimi giorni dell’anno costituiscono una buona occasione per bilanci e consuntivi, vale a dire per svolgere considerazioni sull’attività svolta nell’arco dell’anno che sta volgendo al termine. Non è certamente questo il mio caso, giacché sono giunto qui da poco tempo e mi trovo ancora nella fase per così dire iniziale della mia attività e della conoscenza dell’ambiente. Sono tuttavia in grado, questo sì, di svolgere qualche semplice riflessione sulla situazione che ho trovato in istituto. Quando ho assunto la Direzione di questa struttura penitenziaria sapevo naturalmente come, per le sue caratteristiche e per la sua tipologia, certo più di ogni altro istituto da me conosciuto, questa Casa di Reclusione recasse nel proprio DNA la predisposizione a realizzare per i suoi ospiti reali ed effettivi percorsi di reinserimento sociale, al di là delle vuote parole. Ma quanto ho avuto modo di constatare, giorno dopo giorno, nell’arco di questi primi due mesi di attività, va oltre le mie aspettative. Non soltanto infatti le opportunità trattamentali, l’offerta di corsi scolastici e professionali e le disponibilità lavorative sono presenti qui in modo massiccio, sconosciuto in altri istituti del Piemonte, per qualità e quantità, ma ciò che fa di Fossano un istituto veramente particolare è il non comune livello di integrazione raggiunto con la città che lo ospita, come viene regolarmente riconosciuto da tutti coloro i quali hanno occasione di visitarlo (autorità amministrative, politiche, delegazioni in visita, operatori di tutti i ruoli). Questa felice condizione di assiduità della presenza della città e della sua amministrazione "dentro" l’istituto e della sinergia tra questo e il territorio, di cui fanno fede le manifestazioni pubbliche che molto spesso si svolgono entro le mura di questo edificio e gli interventi dell’amministrazione comunale, la quale offre concrete opportunità lavorative ai detenuti in misura alternativa alla detenzione, si riscontra piuttosto di rado in altre realtà penitenziarie. Io almeno non ne ho conosciuta alcuna a questo livello. E’ mia opinione che questa ricchezza e proficuità di relazioni tra l’istituto ed il territorio in cui sorge, che tanti buoni risultati ha già dato sinora, debba essere tutelata e conservata come un bene prezioso, ma lungi dall’essere tesaurizzata, per così dire, e congelata in forma statica, debba invece ulteriormente svilupparsi ed intensificarsi, moltiplicando le offerte trattamentali e le forme di collaborazione con le autorità esterne, in modo da continuare a costituire, anche per l’avvenire, l’ "arma vincente" della Casa di Reclusione di Fossano. Tale sviluppo costituirà dunque anche l’obiettivo della mia attività di direttore di questo istituto, il quale, per essere messo in condizione di svolgere con maggior efficacia e in piena sicurezza gli impegnativi compiti affidatigli, dovrà anche affrontare, a partire dal prossimo anno, estesi interventi di ristrutturazione. In tale modo la Casa di Reclusione di Fossano continuerà a costituire, anche nel secolo da poco iniziato, una positiva realtà del sistema penitenziario. Auguri a tutti, ancora una volta! La detenzione… tempo favorevole per ritrovare me stesso
Don Bruno, esempio di umiltà e semplicità al S. Caterina, si fa carico delle angosce dei detenuti
di Padre Bruno, cappellano della C.R. di Fossano
In un antico libro della bibbia intitolato Qoelet troviamo scritte queste espressioni:
"Nella vita dell’uomo, per ogni cosa c’è il suo momento, per tutto c’è un’occasione opportuna. Tempo di nascere, tempo di morire, tempo di piantare, tempo di sradicare, tempo di demolire, tempo di costruire, tempo di piangere, tempo di ridere, tempo di abbracciare, tempo di staccarsi, tempo di conservare, tempo di buttare via, tempo di amare, tempo di odiare. Tutto passa, ma a Dio non sfugge niente".
Per coloro che stanno leggendo queste righe all’interno di un carcere è il tempo della pena, della detenzione. Un tempo stabilito dalla legge, dalla sentenza di un giudice terreno. Un tempo trascorso in spazi limitati da condividere con altre persone che arrivano da altre storie, un intreccio di situazioni che a volte portano ad una rispettosa condivisione e altre volte suscitano spiacevoli conflitti. Un tempo fatto di lavoro, di televisione, di noia, di ricordi proiettati sul muro o sullo schermo degli occhi chiusi. E poi c’è il tempo che verrà, quello che inizierà varcata la soglia che immette fuori del carcere… Intanto c’è il tempo della pena da trascorrere il meglio possibile. Lo chiamerei il tempo interiore, della riflessione. Anche il carcere può essere un tempo favorevole. Qualcuno ci ha fermato, messi qui… ammettiamo di aver sbagliato qualcosa; certo tante vicende ci hanno condizionato, abbiamo avuto anche sfortuna… ma ammettiamo anche delle responsabilità. Sono stato fermato, ho del tempo a disposizione per rimettere insieme tanti pezzi sparsi, rimettere in un ordine nuovo la mia persona, la mia vita. Non è inutile il tempo trascorso qui, ha un senso, è un’occasione per pensare, per ricostruire, per prepararsi al futuro. Per chi crede in Dio è il tempo per parlare con Lui, ascoltare il suo perdono, accettare il suo abbraccio. L’Unico Dio non aspetta altro che restituirci dignità, forza e nuovo futuro. Ci chiede di ascoltarlo e di fare verità dentro di noi. Non ci eviterà i disagi materiali o della burocrazia e non ci risparmierà la fatica. Nella Bibbia, ovvero nel racconto della storia di Israele ci sono dei periodi in cui il popolo cammina nel deserto per passare da una situazione di schiavitù alla Terra Promessa cioè alla libertà. E’ un tempo difficile il "deserto", ma chi ha fiducia in Dio arriva alla meta. Concludo con una frase ancora del libro del Qoelet: "Che senso hanno tutte le fatiche alle quali Dio ha sottoposto l’uomo? Dio ha dato senso a tutto, ha messo ogni cosa al suo posto". La detenzione…occasione per ritrovare il senso della mia vita. E’ dura ma ci provo. Chi ha scritto queste righe non è un detenuto, è il cappellano del carcere. Non so cosa si prova ad essere reclusi, ma come ogni uomo provo la fatica di vivere e la mia fede mi dice che ogni tempo della vita ha un senso, un valore.
Recensione del libro del Cardinale Martini "Non è giustizia", da maggio nelle librerie
Una lucida e toccante analisi sul concetto di colpa ed espiazione e sull’umanizzazione del carcere.
di Walter Volante. Giornalista - Autore di Dentro San Vittore (ed. Rotary)
Adamo ed Eva furono i primi esseri umani ad essere creati da Dio. Furono anche i primi a delinquere; così recita la Bibbia. La loro condanna determinò ripercussioni sul genere umano fino alla sua estinzione. Secondo la giustizia terrena, il primo si macchiò di appropriazione indebita, la seconda di istigazione al reato. Ciò che la giustizia divina definisce "peccato", spesso, secondo le regole della società civile, è ritenuto "reato". Proprio sulle origini, le conseguenze e le opportunità della riabilitazione, Carlo Maria Martini pubblica "Non è Giustizia" (edizioni Saggi-Mondadori), un collage di saggi e interventi a convegni svoltisi presso l’Università Cattolica di Milano, a Vienna, in occasione del Giubileo delle Carceri, a Roma e a Lecco. I detenuti transitati per il carcere di San Vittore, lo ricordano per l’assidua presenza in occasione delle festività, dei matrimoni tra ristretti e per la sua collaborazione con Magazine 2, rivista redatta alla sezione penale. Il libro, colmo di citazioni bibliche, affronta con estrema lucidità le problematiche del carcere, esaltando insistentemente il rispetto della dignità umana. Non mancano le critiche al sistema penale, carente di educatori, assistenti sociali, personale specializzato e quindi logisticamente impossibilitato a definire, in tempi ragionevoli, programmi rieducativi. Fanno eccezione pochi carceri, non sovraffollati, in cui la convivenza tra detenuti, personale di Polizia Penitenziaria e operatori è più armoniosa. Il Cardinale Martini ha visitato carceri sull’orlo del collasso come San Vittore, situato nel centro di Milano e ne descrive le contraddizioni e le sofferenze che regnano sovrane anche fuori dalle sue mura di cinta, nella società cosiddetta "civile", essendo il carcere un microcosmo sociale che rispecchia, coi suoi eccessi e i suoi paradossi, la realtà del macrocosmo che lo circonda. Coinvolgenti sono le riflessioni sul rapporto colpa-pena e delitto-castigo, tematiche affrontate da luminari del diritto, ma l’autore si distingue da questi per il grande rispetto per la persona umana e la sua inalienabile dignità, a prescindere dal delitto commesso. Il carcere come extrema ratio è già previsto dalla legge Simeoni e sostenuto dai politici garantisti, e il Cardinale insiste sui danni provocati dalla detenzione la quale incide sull’intera sfera dei diritti individuali e rappresenta plasticamente l’estromissione del condannato dall’individualità dei rapporti interpersonali, con pesanti effetti di desocializzazione quali inevitabile conseguenza, danno spesso irreversibile. L’autore si pone dei quesiti: "E’ il carcere luogo di tortura psicologica e scuola del crimine? Che rapporto intercorre tra etica e punizione?". Le risposte sono tutte dettate, ovviamente, da una visione cristiana, ma inconfutabili da ogni religione, etica o morale. Le Sacre Scritture parlano di "conversione", "ravvedimento", la cultura laica che sostiene gli stessi principi li apostrofa differentemente: "riabilitazione", "reinserimento sociale", ma il senso non cambia. Martini non dimentica di dedicare un dovuto spazio alla prevenzione, attraverso l’impegno educativo serio e capillare dei giovani. La cronaca ci è giornalmente testimone del fatto che la deterrenza della pena è una ideologia fallimentare e deresponsabilizzante. Nei Paesi in cui vige la pena di morte la criminalità è vertiginosamente in crescita. Ogni colpa ha un’origine individuale, da uomo a uomo, ed è luogo comune attribuire le responsabilità alla società e alle sue strutture, all’eredità genetica o all’educazione, stigmatizzando i colpevoli. Le dinamiche interne al carcere, se ben strutturate, ripongono nelle mani degli educatori, figure con ruoli importanti, spesso sottovalutati, gli strumenti per comprendere le motivazioni scatenanti che hanno determinato comportamenti trasgressivi. Individuata la causa, riesce più facile programmare un percorso riabilitativo e rieducativo. Applicando questi elementari, ma impegnativi meccanismi pedagogici, svanirebbe l’attuale inutilità del carcere. Obiettivi, sostiene il Cardinale Martini, sono "la dissociazione dal male, dalla malavita, dai comportamenti malvagi". E non risparmia critiche verso il peggiore dei sentimenti: l’indifferenza. Si chiede se istituzioni, cittadini e cristiani "credono veramente che nell’uomo carcerato c’è una persona da rispettare, salvare, educare, liberare, amare", principi sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dalla Costituzione. Il carcere deve divenire un luogo di forte e austera risocializzazione, non di emarginazione, cimitero dei vivi. Il reato è sintomo di profondo disagio interiore che produce violenza, ingiustizia e criminalità, comportamenti delinquenziali e malavitosi configurabili come una patologia, una deformazione morale che possono e devono essere curate e guarite. La carcerazione dovrebbe essere un intervento estremo riservato a colui che, invasato da istinto egoistico e distruttivo, calpesta i valori sacri della vita e delle persone, infliggendo dolore e disperazione nel prossimo. Costui necessiterà, più di altri, di essere educato alla socialità, alla solidarietà, alla convivenza civile. Venti ore chiusi in cella, l’isolamento, le celle a rischio, le sezioni ad alta sorveglianza, favoriscono l’ozio, risaputamente "padre dei vizi". Stimolati dagli insegnamenti del Cardinale Martini, rivolgiamo un appello ai Magistrati di Sorveglianza, affinché applichino con maggiore sollecitudine gli articoli della legge vigente riguardanti il lavoro in carcere, all’esterno e da semilibero, perché anche chi ha sbagliato una o più volte, deve avere il diritto e l’opportunità di modificare i suoi comportamenti, e il lavoro è, inconfutabilmente, lo strumento più adeguato; fintanto che, considerato l’indiscusso fallimento della carcerazione nei confronti della personalità dell’uomo, le ricerche psicosociologiche non concepiranno un’alternativa al carcere, intervento, attualmente, esclusivamente punitivo. Cito Padre David Maria Turoldo: "La vendetta umilia la giustizia". Contro la droga e… il drogato Un disegno di legge che vieta e punisce
Il Consiglio dei Ministri stravolge la normativa sugli stupefacenti. E gli operatori impegnati in prima linea protestano
La premessa Un tossicodipendente costa, giornalmente, alla collettività, 200 euro in stato di detenzione, 60 in comunità e 23 se appoggiato presso un Ser.T. (il servizio pubblico Asl per le Tossicodipendenze, ex NOT, ex Cmast, ex Cnd). Nel Bel Paese, il 28 per cento dei detenuti sono tossicodipendenti dichiarati e ben il 39 per cento hanno violato l’articolo 73 (reati di piccolo e grande spaccio) della legge sugli stupefacenti. Solo il dieci per cento, quindi, non si è dichiarato consumatore. C’è da sottolineare che tra questi, almeno la metà non si dichiara consumatore per evitare segnalazioni o per problemi di ubicazione in carcere. Si evince chiaramente che solo un approssimativo 5 per cento dei condannati o degli imputati per reati di droga sono "spacciatori puri". Attualmente sono 1100 i minorenni ristretti per problemi di droga, il 77,6 per cento per il reato di detenzione o spaccio di derivati della Cannabis. L’Osservatorio Europeo sulle droghe e le tossicodipendenze di Lisbona ha da poco reso pubblica la sua relazione annuale, una metodica lettura del fenomeno. Risulta che un terzo della popolazione detenuta nell’Unione Europea è tossicodipendente. Il vice Premier, Gianfranco Fini, il 13 novembre, mentre tutta l’Italia era ancora sbigottita dal massacro di Nassiriya, in assenza del ministro De Martino, al tempo in Iraq, presenta un disegno di legge concepito dal Consiglio dei Ministri per una nuova normativa in fatto di droga. "Una svolta di 180 gradi" annuncia. Ma prima di commentare i contenuti, è forse meglio rinfrescare un po’ la memoria.
La storia
L’ultimo quarto di secolo è stato accompagnato da pochi stravolgimenti legislativi in materia di stupefacenti. L’anno 1975 è stato particolarmente determinante. E’ l’anno in cui entra in vigore l’attuale Ordinamento Penitenziario, rivoluzionario e lungimirante nei suoi contenuti, fedele nello spirito alla legge Gozzini. Peccato che la sua applicazione sia sempre stata ostacolata da problemi logistici. Nello stesso anno, è concepita la normativa sugli stupefacenti, che resterà in vigore fino al 1990, e che sancisce l’impunibilità del consumatore; stabilisce una "dose media giornaliera" che segna il confine tra consumatore e spacciatore. Segue da lì a poco il Decreto Aniasi, che dà il via ai centri autorizzati alla somministrazione controllata del Metadone. Questo periodo è caratterizzato da sentenze tutt’altro che uniformi. Nelle metropoli, vengono assolti tossicodipendenti in possesso di 25 grammi di eroina, mentre, nelle piccole province, condannati studenti con pochi grammi di hashish. L’anno seguente l’allora Ministro della Sanità, Altissimo, propone addirittura la liberalizzazione dell’eroina, il tutto in aria di grandi riforme. Si chiude con un nulla di fatto. La legge del 1975 rimane tale fino al 1990, anno in cui viene sostituita dalla cosiddetta "Jervolino-Vassalli": uno dei più catastrofici provvedimenti legislativi in materia. Lo spirito è fortemente proibizionista; viene abolita la "dose media", viene punito il consumo e, inevitabilmente, le carceri e le comunità raggiungono il collasso. I suicidi in carcere relativi a quel periodo sono i più alti mai registrati (fonte www.ristretti.it). Tre anni dopo, per volontà del popolo italiano, attraverso un Referendum, viene ridimensionato il contenuto della normativa e il consumatore smette di essere criminalizzato. Il mix ottenuto dalla Jervolino-Vassalli e l’esito del Referendum è la vigente legge 309/90, secondo la quale lo spaccio è punito per le lievi entità e per le droghe della tabella I (hashish) con condanne da 2 a 6 anni, e il grosso spaccio (tabella II) da 8 a 20. L’aspetto positivo della legge è il ritocco del limite massimo della condanna per poter accedere ad un programma terapeutico che viene innalzato da tre a quattro anni. Obiettivo difficile comunque per i tossicodipendenti, spesso condannati per il comma 1 dell’art. 73 (tabella I). L’affidamento in prova ai servizi sociali per tossicodipendenti previsto dall’art. 90 e 94 si rivela di difficile applicazione a causa dei tempi dei Tribunali di Sorveglianza e dei requisiti richiesti che spesso penalizzano proprio le fasce più deboli, come stranieri e senza dimora, trasferendoli dal disagio sociale alla criminalizzazione del carcere. Il disegno di legge di Fini prevede, all’art. 72, il divieto d’uso e il carcere per la detenzione di qualsiasi tipo di sostanza, con pene da 1 a 6 anni (tab.II) e da 6 a 20 (tab.I). Le pene sono commutabili in un periodo uguale di comunità. Torna a far capolino la "dose media" al di sopra della quale, sono da considerarsi tutti spacciatori. In particolare, i limiti sono stabiliti in 250 mg per l’hashish, 500 per la cocaina, 200 per l’eroina. La comunità terapeutica, in questa ottica, diviene un elemento quasi coatto, l’unica alternativa alla detenzione. Il decreto prevede, inoltre, che i Ser.T somministrino il metadone solo a metodo scalare, abolendo così il principio della riduzione del danno determinata dalle terapie a mantenimento per i cronici.
La controproposta
Un gruppo trasversale di deputati, settanta, dopo pochi giorni dalla presentazione del disegno, ha divulgato una proposta di legge alternativa, di cultura opposta , battenzandola "Dal penale al sociale". Propone l’abbassamento delle pene per la tab I, contenendole tra 3 mesi e 1 anno, e per la tabella II tra 6 mesi e 3 anni, ritenendole così più proporzionate agli altri reati (rapina, violenza sessuale, ecc.). La proposta vuole che sia prevista anche la sentenza di "non luogo a procedere" per i consumatori tossicodipendenti in possesso di modiche quantità. Propone l’allestimento di Injecting Rooms dove i tossicomani potrebbero ritirare il materiale necessario (siringa, cucchiaio) sterilizzato e potrebbero iniettarsi le sostanze sempre sotto controllo medico. Svizzera, Regno Unito, Olanda, Germania e Belgio hanno già istituito da anni questi siti registrando un impressionante calo della diffusione dell’Aids e della microcriminalità. La proposta prevede anche Pill Testing (analisi per verificare il livello di nocività delle sostanze di taglio) effettuati in strada, dalle unità di lavoro a bassa soglia.
Le reazioni
Il mondo degli operatori, per la maggior parte si è dichiarato pubblicamente contrario al disegno di legge per motivi di carattere diverso, ma uniforme nel messaggio di non punire, ma educare il drogato. Le esternazioni di Don Luigi Ciotti, uno dei più determinati sostenitori della politica della riduzione del danno, sono state pubblicate da svariate testate. Don Gino Rigoldi di Comunità Nuova dice che "Prevede solo una punizioni e che manca il personale qualificato, nelle Prefetture, nelle carceri e nelle Questure, per accogliere un numero così alto di persone in difficoltà", chiedendosi se "(...) ci sono i posti in carcere?". Sottolinea, inoltre, che le comunità terapeutiche, per lo più, sono predisposte per assistere i tossicodipendenti da eroina e non sono luoghi adeguati per assistere i cocainomani e gli assuntori di estasi. "Le comunità sarebbero presto sovraffollate e l’esperienza ci insegna che le terapie coatte non hanno mai funzionato" conclude. Don Vinicio Albanesi, della Comunità di Capodarco, ha scritto una lettera aperta al vice Premier Fini in cui scrive che "(...) la repressione è già stata fino ad oggi abbondantemente sperimentata da tutti i tossicodipendenti con il ritiro della patente di guida, col Metadone, la comunità, il carcere e l’ospedale". L’Osapp è il sindacato del Corpo Civile di Polizia Penitenziaria. Anche questo si è pronunciato negativamente rispetto alla proposta di legge Fini sottolineando "gli effetti negativi sui già sovraffollati carceri". Il dottor Claudio Leonardi, direttore a Roma del Ser.T. Appia Antica, il più grande d’Italia, con 550 utenti, dichiara che la tipologia de suoi "clienti" è estremamente eterogenea, assiste: agenti di borsa, dirigenti, impiegati e anche un pilota dell’Alitalia. Sarebbero tutti potenziali detenuti se il ddl venisse approvato. Gli assuntori di cocaina, sono triplicati in 8 anni (fonte CorSera 21/11/2003) e riesce sempre più difficile stigmatizzare la figura del "tossico", soprattutto alla luce dei recenti episodi di cronaca che vedono sbattuti in prima pagina attori, finanzieri e senatori a vita. Come sarebbe vissuta da questi l’esperienza carceraria?
Il prologo
L’ultimo mese dell’anno appena passato, a San Vittore, nel reparto Coc (Centro di Osservazione Criminale), dove vengono ubicati i detenuti con problemi di droga, è morto un giovane di vent’anni, inalando gas da una bomboletta. La sua famiglia non ha certamente festeggiato l’avvento del nuovo anno. Al Coc si è liberato un posto. Avanti il prossimo. Una delle tante storie di tossicodipendenza in carcere
Valerio Latente
Sono un libero professionista con alle spalle problemi di tossicodipendenza. Svolgo un lavoro gratificante sotto il profilo umano e professionale. La primavera scorsa ebbi una ricaduta che mi causò un profondo stato depressivo; rallentai i ritmi di lavoro e mi rivolsi al Ser.T. di zona (abito in una grande città del Nord) col quale concordai una terapia metadonica a scalare che dopo tre settimane diede i suoi primi frutti: ripresi la vita sociale e lavorativa con regolarità. Mi recavo al Ser.T. alle 7 del mattino giornalmente per evitare angosciose attese e per non insospettire i colleghi con misteriose assenze. Dopo circa quaranta giorni dall’inizio della terapia fui arrestato per una condanna passata in definitivo relativa ad un reato commesso sette anni prima. Al mio ingresso in carcere chiesi di poter essere RI-affidato al mio Ser.T. per non interrompere il programma, ma mi fu detto che questo doveva essere RI-concordato col Ser.T. del carcere. Effettuai quattro o cinque colloqui, dopo di che, al secondo mese di detenzione venni trasferito a Fossano dove contattai il Ser.T. di competenza territoriale. Dopo una serie di incontri settimanali (al S. Caterina l’assistente del Ser.T. è presente solo per poche ore, il lunedì) vengo messo a conoscenza del fatto che per riprendere il programma interrotto, o meglio, per stilarne uno nuovo, il Ser.T. della mia città aveva delegato il Ser.T. del carcere che a sua volta aveva delegato il Ser.T. di Fossano. Mi prestai al gioco. Nel frattempo i mesi di detenzione erano saliti a quattro e la terapia scalare si era arenata a venti milligrammi perché le condizioni ambientali e fisiche non erano ottimali (si chiama mantenimento). Mi sottoposi a tre sedute con lo psicologo e l’assistente sociale con remissione, spirito collaborativo e consolidata pazienza, sempre per riprendere il programma interrotto nella mia città. Lo psicologo scava nel mio passato e rimuove angosce adolescenziali, traumi infantili, lutti recenti scatenando in me uno stato confusionale e depressivo. Mi sentivo tanto Alex, il protagonista di Arancia meccanica, film di Stanley Kubrik. Scocca il quinto mese di detenzione e decido di sospendere (non interrompere) la seduta perché nel frattempo ho maturato molte perplessità sui meccanismi dell’affidamento in prova. Al S. Caterina, intanto, è arrivato Michele, un ex tossicodipendente batterista dal talento innato. Io riprendo in mano la chitarra che da anni avevo abbandonato e trascorriamo interi pomeriggi a ritmo di rock. Mi diverto, la mia seconda depressione dell’anno è ora solo un ricordo e, cosa importante, sto azzerando il metadone. Qualcuno la chiama Musicoterapia!
Per chi non è italiano uscire dal carcere può significare nuovi problemi
di Abdel Ilah Khalid
Per molti di noi, in questo posto, il fine pena è un sogno che facciamo ogni notte, pensando a tutto ciò che potremmo realizzare se fossimo liberi. Ma, purtroppo, molti degli stranieri che si trovano in stato di clandestinità, il momento della libertà è un incubo perché sanno che, quando verrà quel giorno, troveranno fuori dai cancelli per il benvenuto alla libertà, non i familiari a festeggiare il gioioso ritorno a casa, ma una pattuglia della Polizia. I più fortunati se la sbrigano alla Questura con un decreto di allontanamento dal territorio italiano. Invece ai più sfortunati spetta l’accompagnamento e la permanenza ad un centro d’accoglienza fino al rimpatrio. In questa carcerazione ho visto che molti di noi, detenuti stranieri, è privo di permesso di soggiorno per cui il loro fine-pena è un incubo
Sul tema riportiamo una nota commentata dell’avv. M.Pavone tratta da www.ristretti.it
L’espulsione come sanzione sostitutiva della pena
L’espulsione come sanzione sostitutiva può essere disposta dal giudice penale, che sostituisce la pena detentiva con l'espulsione, accompagnata dal divieto di rientro per un periodo non inferiore a 5 anni. La misura è immediata e viene adottata anche con la sentenza non definitiva. È disposta in occasione di una condanna per un reato non colposo oppure in occasione di una sentenza patteggiata, quando il giudice ritiene di applicare una pena detentiva entro il limite di due anni e non ci sono le condizioni per applicare la sospensione cautelare della pena. La sanzione sostitutiva della pena non può essere disposta se non è possibile eseguire immediatamente l'espulsione (per prestazioni di soccorso allo straniero, accertamenti supplementari sulla sua identità o nazionalità, mancanza dei documenti per il viaggio o mancanza di un vettore o altro mezzo di trasporto idoneo).
L’espulsione come misura alternativa alla detenzione
La Legge Bossi-Fini stabilisce che l’espulsione come sanzione alternativa venga disposta nei confronti dello straniero, identificato e detenuto, che si trovi in taluna delle situazioni indicate nell’articolo 13, comma 2 (espulsione amministrativa) che deve scontare una pena detentiva, anche residua, non superiore a due anni. Essa non può essere disposta nei casi in cui la condanna riguarda uno o più delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale (si tratta di delitti di particolare gravità), ovvero i delitti previsti dal Testo Unico. Competente a disporre l’espulsione è il magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, senza formalità, acquisite le informazioni degli organi di polizia sull’identità e sulla nazionalità dello straniero. Il decreto di espulsione è comunicato allo straniero che, entro il termine di dieci giorni, può proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Il tribunale decide nel termine di venti giorni. L’esecuzione del decreto di espulsione è sospesa fino alla decorrenza dei termini di impugnazione o della decisione del tribunale di sorveglianza e, comunque, lo stato di detenzione permane fino a quando non siano stati acquisiti i necessari documenti di viaggio. L’espulsione è eseguita dal Questore competente per il luogo di detenzione dello straniero con la modalità dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. In conseguenza va sottolineato come il neo art. 3 della Legge sul c.d. indultino risulta introdotto in aperto contrasto con la norma dell’art. 16 del TU generando una evidente disparità di trattamento che non avrebbe ragion d’essere tanto meno con riferimento alla ratio legislativa della Legge Bossi-Fini di deflazionare il pianeta carcere consentendo la espulsione del detenuto straniero come misura alternativa alla detenzione e nei limiti dei due anni di pena anche residua da scontare. In ogni caso la norma contrasterebbe, con l’art. 3 della Costituzione introducendo una disparità di trattamento con altri detenuti non cittadini stranieri condannati per il medesimo reato.
Non essere come gli altri, spesso determina emarginazione e disagio. L’esperienza tra detenuti e disabili nata al S. Caterina
Tommaso Lodato
Qualche anno fa, alle paraolimpiadi di Seattle, nove atleti, tutti mentalmente e fisicamente disabili erano pronti sulla linea di partenza dei cento metri. Allo sparo della pistola iniziarono la gara non tutti correndo ma con la voglia di arrivare e vincere. Un giovane atleta cadde, fece un paio di capriole e cominciò a piangere. Gli altri otto lo sentirono, rallentarono e si guardarono indietro; ciascuno di loro, spontaneamente, senza nessuna intesa si fermò e tornò indietro. Una ragazza con la sindrome di Down si sedette accanto a lui e cominciò a baciarlo e a dire: "Adesso stai meglio?". Allora, tutti e nove si abbracciarono e andarono insieme verso la linea del traguardo. Tutti gli spettatori si alzarono e gli applausi proseguirono per parecchi minuti. Persone che erano presenti raccontano ancora oggi l’avvenimento. Perché? Perché dentro di noi sappiamo che la cosa importante nella vita è andare oltre il vincere per se stessi, è aiutare gli altri a vincere anche se questo comporta rallentare o cambiare la nostra corsa. "Una candela non perde niente ad accendere un’altra candela!" Questa premessa è tratta da un vecchio giornale trovato tra le sbarre della mia cella e mi ha fornito uno spunto di riflessione per introdurre quanto sta accadendo ultimamente fra le mura di questo carcere. Tutto è nato da un progetto, proposto dall’Associazione Papa Giovanni e ben accolto dalla direzione del carcere, che intende realizzare un pannello dipinto dai detenuti in collaborazione con i ragazzi disabili, sia psichici che fisici, ospiti della casa-famiglia. Un giorno ci trovammo tutti insieme: detenuti, il cappellano padre Bruno, suor Rachele, il volontario Alessandro, i responsabili della comunità con i loro "ragazzi" per discutere e accordarci sul tema del dipinto, le modalità e le tecniche dell’opera. Negli incontri successivi, ognuno di noi, in collaborazione con i ragazzi cominciò a disegnare le cose proposte da loro: una farfalla, un albero, una casa, una palma, un pesce e altro. Venne fuori una meravigliosa esplosione di colore, una radiosità suggestiva e surreale. Quando poi tutti i disegni vennero riportati sul pannello di legno, vicini tra loro si ebbe una visione d’insieme stupenda che lasciava trasparire i loro pensieri, il loro modo di vedere le cose, esprimendo logica, genialità, senso artistico. In questo periodo di tempo, per cause di forza maggiore, non è più stato possibile continuare l’opera, ma speriamo possa finire presto. Intanto, tutto questo mi ha dato il tempo e l’occasione di rendermi conto di quanta normalità è fatta questa presunta diversità, diversità basata su preconcetti che ci hanno fatto compagnia durante il nostro vissuto. Io sono cresciuto con la paura della diversità perché "diverso" significava un segno negativo, una punizione di Dio, secondo la concezione che tutto quello che non è perfetto è un cattivo compimento di quell’opera divina, frutto dell’infallibilità di Dio, che è l’uomo. Ricordo che nel mio paese d’origine – sono nato nel profondo Sud, in Sicilia – vivevano due sorelle mute che non uscivano mai di casa perché molta gente le sbeffeggiava. Tutte le volte che passavo sotto la loro finestra allungavo il passo fino a mettermi a correre con i brividi addosso per la paura. Finché, una mattina, sempre facendo finta di niente, mentre passavo nei pressi della loro casa trovai una di loro sull’uscio, con un sacchetto di tela in mano come se mi aspettasse. Il suo viso era sorridente, i suoi occhi buoni come quelli di una mamma; esitai e poi mi fermai. Lei si avvicinò a me offrendomi dei dolci fatti in casa, li accettai volentieri e lei mi accarezzò i capelli, poi si ritrasse in casa. Divenne per me il mio angelo custode e da quel giorno, quando ho voglia di pensare a qualcosa di bello ricordo il suo viso pieno di affettuosa tenerezza… la stessa affettuosa tenerezza dei miei compagni di pittura. CAR.TE.S.I.O. arriva a Fossano da Bruxelles
L’Europa Unita anche nei progetti per i detenuti, sbarca a Fossano
La redazione
Car.te.s.i.o. (Carcere territorio sistemi operativi integrati) è un progetto finanziato dall’Unione Europea (Fondo Sociale Europeo, sull’asse "Occupabilità",) finalizzato al miglioramento dell’occupabilità dei beneficiari dell’intervento. E’ un progetto regionale, che riguarda quindi il Piemonte, che vede promotori e in partenariato: il Centro di Formazione Professionale Piemontese – Casa di Carità di Torino (Cfpp, ente capofila), Confcooperative Piemonte e il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap). Il progetto è stato approvato dal Ministero del Lavoro nel maggio 2002 e da quel momento sono state programmate le attività in funzione di quanto ottenuto in termini di finanziamento europeo. Nella provincia di Cuneo tutte le Case di reclusione sono state coinvolte nel progetto; quindi a Fossano, Alba, Cuneo, e Saluzzo sono attualmente in corso degli inserimenti lavorativi promossi nell’ambito del progetto Cartesio. Il compito della segnalazione dei beneficiari (detenuti o ex detenuti) all’operatore di Confcooperative che ha il mandato della ricerca aziende per l’inserimento lavorativo, è a cura degli operatori di riferimento del Carcere, CSSA, Servizi Sociali attraverso il Gol (Gruppo operativo locale del Comune). Come è noto, il GOL comprende al proprio interno oltre ai rappresentanti della struttura penitenziaria, tutti i servizi, le associazioni, i volontari che a vario titolo si occupano della popolazione detenuta ed ex detenuta, pertanto il Gol di Fossano aveva a suo tempo programmato e richiesto alla Partnership di Cartesio finanziamenti finalizzati a sostenere l’inserimento sociale e lavorativo di soggetti aventi problemi con la giustizia. Nello specifico, su Fossano l’inserimento lavorativo si realizza attraverso lo strumento della borsa lavoro che può durare da 3 a 6 mesi. La borsa lavoro viene attivata col proposito di poterla trasformare, in caso di soddisfazione sia dell’azienda sia del lavoratore, in assunzione. Inoltre, e nel caso in cui il servizio inviante lo ritenga opportuno, può essere riconosciuto ed erogato un fondo per il supporto logistico abitativo, vale a dire una copertura di 10 euro al giorno circa per spese relative alla casa. Tale intervento specifico può essere erogato indipendentemente dall’inserimento del beneficiario in borsa lavoro. Ad oggi a Fossano nell’ambito del progetto Cartesio sono state avviate 3 borse lavoro, di cui: una interrotta dopo un mese dall’inizio, una in corso da luglio e prossima alla conclusione e la terza avviata ad inizio dicembre. Il termine ultimo per l’attivazione delle risorse ancora disponibili è il 30 maggio 2004.
a cura di Maurizio Fabbris
Il giorno 6 novembre, nella sala cinema dell’Istituto si è tenuto un incontro tra detenuti e il gruppo degli assistenti volontari per mettere a conoscenza di tutti le iniziative del volontariato locale in favore della popolazione detenuta. Dopo il discorso introduttivo del Direttore, dott. Torchio e del Comandante Isp. Sup. Maglione ha parlato l’educatrice, Antonella Aragno, che ha spiegato che tutte le attività sono finalizzate a stimolare una crescita umana. Ogni volontario ha poi presentato se stesso e la propria specifica attività:
Suor Rachele (responsabile gruppo volontari): colloqui, necessità varie Suor Marcellina: cura della cappella Domenica: colloqui Alessandro: disegno e pittura, creatività espressiva, tecniche di rilassamento, colloqui; Franca: biblioteca, giornale interno, colloqui; Silvia: supporto psicologico e dialogo; Marco: animazione teatrale; Matteo: tastiera, canto; Paolo e Walter: cineforum; Paolo e Andrea: biblioteca. Alcune tra le attività succitate "sforano" l’orario di rientro alle sezioni, stabilito alle ore 15,50. Per le altre, sono in corso trattative con la Direzione. Ricordiamo che, dopo la pausa estiva sono ripresi i corsi professionali con rilascio di qualifica a fine anno, organizzati dal C.F.P.P., così articolati: cablatura quadri industriali; carpenteria metallica leggera; computer: corso Autocad. Inoltre l’Amministrazione ha potuto riattivare, con fondi ministeriali, il corso di falegnameria.
Il giorno 13 novembre si è svolta una nuova sfida calcistica tra detenuti e seminaristi salesiani, scherzosamente battezzata "diavoli contro angeli". Sono emersi grande correttezza e agonismo. Inizialmente si sono scontrare le due squadre, interna ed esterna, ma nonostante l’agguerrita tifoseria locale in favore degli "angeli", l’esperienza, la velocità, la tattica di gioco hanno premiato i "diavoli". Per chiudere la giornata in amicizia, senza rancori, si è poi svolta una partita mista, scambiando i calciatori delle due squadre e rendendo così più equilibrato il gioco. Inevitabile il risultato di pareggio, che ha così accontentato sia i giocatori che i tifosi esterni intervenuti numerosi. E’ stata un’occasione per divertirsi in modo sano e stare assieme senza barriere e discriminazioni. Gesù disse: "Ero carcerato e voi mi avete fatto visita". Questi ragazzi hanno trasformato in realtà queste parole.
La Regione Piemonte, su pressioni dei radicali piemontesi, ha espletato un concorso per l’assunzione di diciotto educatori per un anno mediante un contratto stipulato con i consorzi socio-assistenziali territoriali. Nel carcere di Fossano ne sono state assegnate ben due, Francesca e Michela alle quali diamo il benvenuto con l’augurio di un proficuo lavoro a beneficio di tutti noi. Questa iniziativa, pur limitata nel numero e nel tempo è in controtendenza rispetto all’impostazione generale, sicuramente più facile, ma anche più costosa, di cercare la soluzione dei problemi legati alla criminalità solamente con la costruzione di nuovi carceri. Più difficile é investire il denaro pubblico in un congruo impiego di un numero adeguato di figure professionali competenti: psicologi, educatori, assistenti sociali messi in grado di poter realmente lavorare con le persone in difficoltà, soprattutto giovani, sia per prevenire azioni devianti che per recuperare la loro socialità.
Domenica 12 ottobre si è inaugurato a Centallo, in via Crispi, un monumento nato dalla collaborazione tra il Comune di Centallo, l’Accademia delle Belle Arti di Cuneo e i detenuti del carcere di Fossano che hanno fatto bella mostra delle proprie abilità alla Fiera Commerciale del giugno scorso. Fu proprio in quell’occasione che il Sindaco Dalmasso e il signor Pettiti presero contatto con gli istruttori dei corsi di formazione professionali interni al carcere per verificare la fattibilità della realizzazione di un opera artistica che ricordasse a tutta la città i lavoratori deportati nei campi di concentramento e di lavoro nazisti. Inserito in un arredo urbano che lo rende ricordo, panchina, centro di ritrovo e anche gioco per i bambini, questo monumento – dice Enrico Borello, insegnante del corso di carpenteria - "è vivo, non è statico per via dei pendenti con placche di rame che, scontrandosi, creano suoni evocativi e riflessi con il sole. E’ stata un’esperienza entusiasmante – prosegue Enrico – sia per me che per Milos, Giorgio e Drago, i tre detenuti che hanno seguito il corso lo scorso anno. Certo non con questo viene risolto il problema di chi esce dal carcere, ma solo così si pongono piccoli tasselli per migliorare il passaggio tra carcere e vita sociale". Speriamo nella possibilità di altre future collaborazioni.
Sull’ultimo numero de La Rondine erano stati lanciati appelli per due detenuti in serie difficoltà. Carmelo, in cagionevoli condizioni di salute, sarebbe uscito dal carcere senza sapere dove andare. Grazie alla disponibilità dell’Associazione Papa Giovanni è ora ospite di una casa-famiglia a Savigliano. Carmelo ringrazia tutti coloro che lo hanno assistito, volontari, assistenti sociali e, in particolare, Ben Saida che lo ha curato con disinteressato ed encomiabile spirito di umanità. Il giovane papà con il figlio gravemente malato ha avuto prima un lavoro interno e poi ha usufruito della liberazione anticipata concessa con rapidità dal Magistrato di Sorveglianza. In questo modo potrà riprendere a lavorare e sostenere la propria famiglia, così provata.
Esiste una circolare del DAP che autorizza l’uso di strumenti tecnologici e informatici, quali lettore CD e il PC portatile per l’esercizio di attività ricreative e culturali. Molti carceri italiani l’hanno recepita e attuata, non così l’istituto di Fossano. Si auspica che anche qui il regolamento interno venga presto adeguato in tal senso.
Sono le 20.10 di una tranquilla serata in carcere. Sdraiato sul mio letto, vedo Maurizio, lo "spesino" (lavorante interno addetto ai conti correnti) passare davanti alla mia cella. E’ un evento insolito poiché siamo abituati a non vedere i compagni detenuti oltre le 19.30, quando vengono chiuse le celle. Passa anche Mauro, uno dei coristi del gruppo che anima la Messa tutte le domeniche. Caspita! Ma cosa succede? Una rivolta, un’aggressione… sì è proprio un’aggressione ma pacifica, in perfetta sintonia con il clima natalizio: tutto lo staff degli operatori volontari, guidati dal cappellano, padre Bruno e accompagnati dal Comandante Maglione "irrompe" nella nostra stanza a portare una nota gioiosa di solidarietà e un panettone. Grazie suor Rachele, la nostra mamma adottiva che, come un caldo raggio di sole, dona gioia e umanità ai nostri, a volte, aridi cuori. Un uguale grazie a tutta l’allegra compagnia degli altri volontari.
Tommaso Lodato
Come consuetudine il giorno di Natale, in occasione della Santa Messa, molte autorità si sono sedute nei banchi della nostra cappella. Accolti dal Comandante Maglione, alcuni hanno sfruttato questa occasione per inviarci messaggi di solidarietà e di interessamento. L’eurodeputato Raffaele Costa ha esortato gli operatori ad utilizzare il lavoro come rimedio al disagio. Hanno pure parlato il Presidente della Provincia, Quaglia, il Sindaco di Fossano, Manfredi, il Presidente della Fondazione della Cassa di Risparmio di Fossano, Miglio, grazie al quale il nostro giornale può sussistere. Erano presenti anche consiglieri provinciali e comunali e giornalisti della televisione Telegranda e dei settimanali cittadini. Toccante la funzione e commovente l’omelia di padre Ghi, riferimento spirituale paterno per tutti i detenuti di Fossano.
Caro Massimo, (…) spero dentro di me che stai bene. Sai, caro fratello, io e mamma ti pensiamo ogni ora, minuto, secondo, cioè tutti i momenti della giornata, ricordatelo sempre e prova, quando sei giù di corda, a guardare dentro di te e ci sentirai vicino. Tra due giorni è Natale e io e mamma vorremmo tanto tra i nostri desideri (come lo vorresti tu) essere vicini e scambiarci gli auguri e i regali, ma non è così! Però dentro di me sono sicuro, perché me lo sento e io non mi sbaglio mai, che un altr’anno sarà così perché questa brutta storia sarà finita e così il sogno mio, di mamma e anche tuo si potrà realizzare. Sai Massimo voglio dirti una cosa che non ti ho mai detto: sono molto orgoglioso che tu sia mio fratello, anche se qualche volta abbiamo litigato o non siamo stati della stessa veduta. Però ricordatelo che io ti voglio molto bene come te ne vuole mamma. In questi giorni mi sono scritto una poesia che dedico a te e a tutti gli altri tuoi compagni e mi farebbe piacere se tu potessi leggerla, mi faresti un grosso regalo, grazie! Caro Gesù, tu che aiuti tutti in questi giorni di Natale in cui tu sei nato ti chiedo con grande umiltà di aiutare mio fratello e tutti i suoi compagni che in questo momento stanno passando una brutta avventura e aiutali a combattere e a vincere questa battaglia. Grazie!
Luca
Mi chiamo Filippo! Credetemi non faccio dell’ironia sono convinto che chi vive nel nostro pianeta, il pianeta carcere, certamente molto spesso ha avuto un passato difficile, un’infanzia per così dire negata. Tuttavia, pur avendo avuto anch’io le mie difficoltà nel periodo dell’infanzia non credo sia affatto producente, né gratificante e dignitoso nascondersi sempre dietro all’attenuante di un passato difficile. Non si è certo né santi né eroi. La mia esperienza mi ha portato, dopo aver scontato più di venti anni di carcere, non sono impazzito e certo avrei preferito restare fuori da questo mondo ma se questo fosse accaduto che ne sarebbe stato di me? Penso che sia una domanda che ognuno di noi ristretti dovrebbe porsi ogni giorno. Io ritengo di avere materiale interessante quindi vi scrivo volentieri. Oggi sono un uomo che ha vissuto più della metà della sua vita nelle patrie galere italiane. Ho 49 anni ed ho conosciuto quasi tutti i riformatori d’Italia. Negli ultimi anni ho fatto uso di droga (cocaina, eroina, ma in questo mio arresto mi è successo qualcosa di veramente grandioso, finalmente dopo un lunghissimo sonno profondo mi sono svegliato… sì sono sveglio e guardo la realtà con gli occhi aperti. Ho avuto la fortuna di intraprendere un progetto uomo in una comunità all’interno del carcere delle Vallette a Torino dove mi hanno fatto crescere nei valori che avevo perso strada facendo. Mi hanno aiutato a conoscermi e a manifestare sentimenti positivi. Sono qui nel carcere di Fossano e frequento il gruppo di auto-aiuto dove ricevo molto affetto. La mia vita sta cambiando interiormente ed esteriormente. Tante mie idee e atteggiamenti sono riuscito a modificarli, l’immagine da bullo si è spezzata anche perché era frutto solo delle mie paure. Oggi sento di essere una persona molto più disponibile, umile e consapevole di sé. Consapevolezza significa osservare quel che si svolge dentro e intorno a te, svegliarsi è l’espressione giusta. Io non voglio perdere questo treno perché è per me l’unica occasione. Oggi con il mio Ser.T si sta progettando un mio rientro nel progetto Ulisse e questo vi assicuro è gratificante.
Filippo La Marca
Cara mamma, ho pregato Dio di aiutarmi, trovandomi un lavoro e guadagnare con il sudore dell’onestà e rendere felice la mia famiglia, ma purtroppo mi è venuto tutto contro e mi sono trovato in mezzo alla delinquenza. Madre mia benedicimi, non piangere per quello che mi è successo, tranquillizzati quando arriverà questa mia lettera. Questo è il destino che mi ha dato Dio. Nessuno mi è stato amico e nessuno mi ha detto una parola di conforto. Mi hanno fatto solo soffrire e ingannato. Basta con tutto quello che ho vissuto, tornerò al mio paese e non avrò più pretese.
Tuo figlio Ali Ben Said
Colpevole di fronte a se stesso
Quando una persona viene condannata dalla società, automaticamente esplodono stati d’animo sgradevoli
di Papillon
Secondo me non c’è assolutamente nessuna differenza tra i sensi di colpa e i rimorsi nei confronti della famiglia. Se esiste una differenza, la si trova diversa, da individuo a individuo, indifferentemente dal sesso. Ci sono uomini fatti in un modo e altri diversi, i sensi di colpa, i rimorsi e le responsabilità non si possono imporre o pretendere, arrivano quando ci si guarda dentro e questo è un percorso lento, difficile e doloroso. C’è chi arriva prima, chi dopo, chi proprio non ci arriverà mai. Analizzare noi stessi molte volte, è come entrare in un campo di battaglia, dove devi cercare di conciliare ragione, giudizio e desiderio con una visuale dei tuoi sbagli davanti a te; la vita non per tutti ha gli stessi tempi, però, la conoscenza di noi stessi è indispensabile per poterla vincere e recuperare la nostra integrità. Personalmente, i sensi di colpa che provo verso la mia famiglia non sono solo per averli delusi, per non aver seguito il loro esempio, ma li provo anche per non poterli aiutare, avendo piuttosto io bisogno di aiuto. Di questo con loro ho parlato con molta franchezza e sapere che continuano a chiedersi dove non sono riusciti a capirmi e ad aiutarmi a superare un momento di crisi senza cadere in un errore che mi ha portato in carcere, mi continua a far soffrire. Penso che vivere il presente consapevolmente, con il ricordo del passato ma attendendo il riscatto in un futuro dignitoso è un modo per superare in maniera costruttiva sensi di colpa, rimorsi e paura della responsabilità! Io sono uno di quelli con grandi sensi di colpa, ho i miei rimorsi, non riesco a perdonare me stesso, lo sbaglio che ho fatto, non perché mi trovo a scontare una condanna lunga, ma perché con i miei errori e le mie sofferenze non ho condannato solo me stesso ma anche persone innocenti: mia madre. Mi sento male ogni volta perché li ho delusi, perché non era questo che volevano per me, credo che comunque il senso di colpa ti aiuta anche a rafforzare la tua volontà, a farti riflettere, portandoti poi a seguire con sicurezza quelle idee radicate in te che in un certo momento della vita avevi dimenticato e trascurato.
Ci è sembrato opportuno allegare un estratto da un testo assai attinente all’articolo di Papillon
Giuseppe Brondino Tratto da Uomini per gli uomini – ottobre 2003
Il senso di colpa non è solo un fenomeno doloroso - e talora molto doloroso - che colpisce numerose persone della nostra società; ma è un fenomeno assurdo e perfettamente inutile. Non serve a nulla se non a soffrire. La nostra cultura attribuisce molta importanza al senso di colpa ed al rimorso. Anzi, li usa come strumento di controllo: quando una persona sbaglia o si comporta in modo scorretto, si cerca di farla sentire in colpa. In altre parole devi stare male dopo ogni tuo sbaglio. Devi sentire anche sulla tua pelle che quello che hai fatto non è giusto. Sostanzialmente è perché siamo convinti che senza dolore e senza sofferenza, non ci sia possibilità di educazione, di redenzione, di mutamenti.( … ) Se non soffri, se non stai male, se non ti senti tormentato e oppresso, vuol dire che non sei davvero pentito, per cui non puoi essere perdonato. Purtroppo, questo senso di colpa non investe solo l’aspetto più squisitamente religioso della nostra vita, quanto praticamente tutte le ramificazioni del vivere quotidiano. Con tutte le conseguenze che possiamo immaginare. I genitori, gli educatori, gli amici, i figli, i responsabili ed i gestori del governo… praticamente tutte le persone cercano di utilizzare quest’arma a loro vantaggio. Quando ti senti in colpa, non puoi competere o ribellarti contro una persona che si sente a posto e che addirittura denuncia i tuoi errori. Ad esser precisi, il "senso di colpa" è un processo inconscio: tu non te ne rendi conto, ma ti colpevolizzi e ti senti colpevole. E’ un "complesso" vero e proprio, con tutti i crismi e le caratteristiche di tutti i complessi. Lo possiamo descrivere come quella oscura ed onnipresente sensazione di essere colpevole, di avere sbagliato, di avere peccato, quindi punibile. Non sai dove, come e quando, ma prima o poi sarai raggiunto da qualche sferzata che ti colpirà.
Il sentimento di colpa
Il sentimento di colpa, invece, è una sensazione chiara e definita: è cosciente. Sai di aver sbagliato in quella specifica situazione. E’ un prendere atto di essersi comportati male. Ci si sente un po’ male, un po’ ammaccati: ma il sentimento di colpa, a condizione di essere tenuto sotto controllo e di non debordare, può perfino rivelarsi utile.
Il senso del peccato
Il senso del peccato è la chiara consapevolezza di aver peccato. Sono cosciente di essere andato contro la volontà di Dio. Ma, contrariamente a quanto si crede, il senso del peccato non prevede il rimorso, la lacerazione interiore, la sofferenza, il timore, l’ansia, quanto piuttosto il riconoscimento sincero della propria colpa e la volontà di cambiare. Il senso del peccato, quindi si rivela l’atteggiamento più sano, più equilibrato e più funzionale. Riconosci umilmente di essere andato contro l’amore di Dio e ti dispiace. E proponi di stare più attento, la prossima volta. Ma questo dispiacere è sereno, calmo, tranquillo, fiducioso. Sai che Dio è buono e comprensivo, giusto, senz’altro: ma proprio per questo buono e comprensivo. Non vorrei scandalizzare più di tanto ma personalmente ritengo che sia una bestemmia vera e propria l’affermare che Dio si offenda o che sia colpito dal male. Dio è perfettamente, infinitamente felice, infinitamente ricolmo di amore e di misericordia. Come potrebbe offendersi? Sa benissimo di che pasta siamo fatti: ci conosce molto bene. Se voi aveste un figlio down, a cui volete un bene immenso, non penso che vi sentireste offesi o sconvolti se il vostro caro sbaglia o si comporta in modo scorretto. Che cosa pretendete? Che si comporti come una persona del tutto normale? Sarebbe impossibile! I primi a compatirlo e ad aiutarlo sareste proprio voi. Voi, infatti, conoscete bene tutti i suoi limiti e la sua fragilità. E voi pensate che Dio si offenda o porti rancore più di voi? Impossibile! Il giusto senso del peccato prevede il riconoscimento umile e sincero delle nostre colpe ed una fiduciosa richiesta di perdono a Dio, padre e amico.
Paradossalmente, questo atteggiamento fiducioso si rivela il modo più funzionale per cambiare la propria vita. All’inizio, scrivevo che il senso di colpa è assurdo ed inutile: ti fa star male, ma non ti aiuta a cambiare. Subito dopo aver commesso una colpa, puoi sentirti trafitto dalle spine del rimorso. Fai il proposito di non commettere più gli stessi errori: ma alla prima occasione farai esattamente come prima. La tentazione di domani ti troverà fragile ed impreparato come quella di oggi. E così, sino alla fine, senza soluzione di continuità. Quello che davvero fa cambiare è la presa di coscienza, non il rimorso. Se riesco a rendermi conto dei meccanismi dei miei errori, è molto più facile che possa porvi rimedio. Posso davvero cambiare. E la presa di coscienza può avvenire solo in un ambiente tranquillo e sereno, non in un cuore in tempesta. Francesco di Sales scrisse in numerose lettere che dopo aver peccato non è affatto il caso di sentirsi turbati e timorosi – sarebbe segno di sfiducia nel Signore -, ma di rivolgersi a Dio chiedendoGli perdono con estrema semplicità e confidenza. E di riprendere tranquillamente il proprio cammino, sicuri di essere perdonati. Che avesse ragione lui? Anche su questo punto la religione e la psicologia si incontrano e si danno la mano, da buone sorelle come sono.
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