Il
Perdono, di Alfredo
Candela
Sono
un detenuto del carcere di Pagliarelli (Pa) e frequento l'Istituto Alberghiero
qui in carcere. Avrei preferito fare una presentazione diversa della mia
persona, ma questa è la realtà e certo per me non è un vanto dichiarare di
essere un recluso, ma come scrivevo sopra questa è la realtà e gli eventi non
si possono cambiare.
Nella realtà carceraria in cui vivo, in questi giorni sta succedendo qualche
cosa di singolare, ci viene offerta la possibilità di discutere in classe con i
nostri professori di svariati argomenti e di metterli per iscritto e inserirli
in una rubrica su un sito internet. Voglio ringraziare la Direttrice e i
professori per questa iniziativa che per tutti noi assume un gran significato,
anche per sopportare meglio la quotidianità. Personalmente ritengo questa
iniziativa una manna caduta dal cielo, poter scrivere è stata sempre la mia
passione anche se non so scrivere correttamente, ma cerco di impegnarmi al
massimo. Scrivere da dietro le sbarre per me assume un forte significato morale,
significa poter evadere con la mente, sognare ad occhi aperti, giocare con la
fantasia, escludersi per un attimo da questa realtà che è il carcere. Scrivere
mi fa guardare al futuro con serenità. In queste sere sto leggendo un libricino
della Selezione Reader's Digest e sto leggendo un articolo di uno scrittore,
Doris Donnelly, che ha per titolo "il perdono". Questo testo mi sta
facendo riflettere tantissimo perché è una cosa a cui prima non avevo mai
pensato. Questo signore che ha scritto questo articolo che più avanti
sintetizzerò, mi sta facendo cambiare profondamente. Io sconoscevo la parola
"perdono", che quasi mai è stata pronunciata dalla mia bocca. Mi
piacerebbe che questa parola venisse usata molto più spesso, a cominciare dai
potenti della Terra sino ai più umili.
Io personalmente voglio chiedere perdono alla mia famiglia, a mia madre, ai miei
fratelli, a mia moglie e soprattutto alle mie due figlie. Perdono per non essere
a casa con loro, per non averle viste nascere. Non le sto vedendo crescere e
invece avrei voluto esserci, sentire il piacere di essere papà, sentire i primi
pianti, i primi sorrisi, pulire le prime pappine rovesciate addosso, essere
presente al primo giorno all'asilo, alle coccole, al primo compleanno. Ma a
niente di tutto questo ho potuto assistere. Perdonatemi, chiedo perdono a mia
moglie per non essere stato con lei nei momenti difficili, chiedo perdono a mia
madre che non vedo invecchiare con serenità, chiedo perdono a mio padre che è
morto chiedendo di me mentre io non ero accanto a lui, ero in una cella in
prigione. Voglio trascrivere quello che sto leggendo in queste sere, le parole
di Doris Donnelly sul perdono, con la speranza che vengano pubblicate e che voi
le leggiate. Il mio è un grido di dolore che porto dentro da cinque anni e che
non riuscivo a tirar fuori finché non ho letto questo articolo.
Considerazioni su "Il Perdono" di Doris Donnelly
Il più delle volte non è un gesto spontaneo e costa caro al nostro amor
proprio ferito. Ma il senso di libertà che ne deriva è incommensurabile. Il
poeta inglese del Settecento Alexander Pope doveva sapere quanto poco comune
fosse il perdono, se scrisse: "errare è umano, perdonare è divino".
Se è divino, è una virtù delle persone pie che siamo tutti chiamati ad
imitare per il bene nostro ed altrui. Quando qualcuno ci offende per leggerezza,
disprezzo o deliberata crudeltà, possiamo tentare di vendicarci o fingere che
l?offesa non esista, oppure possiamo fare qualcosa di assurdo, illogico e
divino: perdonare.
L'equivoco più diffuso, a proposito del perdono, è perdonare equivalga a
dimenticare. Il più delle volte non dimentichiamo affatto. Di solito passa un
po' di tempo tra il momento dell'offesa e quello in cui la fiducia e l'amore
possono rimettere radici nel nostro cuore. Il perdono rientra in un processo che
comincia con l'offesa e ha come obiettivo finale la riconciliazione. Si realizza
solo quando acquistiamo coscienza delle cause profonde della nostra collera, e
possiamo quindi perdonare di tutto cuore e assicurare una pace duratura.
Troppo spesso non ci sfiora nemmeno l'idea del perdono. Passiamo dall'offesa
ricevuta ad una apparente riconciliazione senza analizzare che cosa deve essere
perdonato prima che la ferita si rimargini. Cerchiamo di superare, con eccessiva
rapidità, la parte difficile perché fin da bambini ci hanno insegnato troppo
spesso a tener duro, a fingere che la crudeltà altrui, voluta o casuale, non ci
tocchi minimamente.
Il perdono non è qualcosa da concedere affrettatamente. Dobbiamo avere e dare
il tempo di valutare le nostre offese, le nostre ferite, di dar sfogo alle
nostre emozioni. Solo allora cominceremo a liberarci davvero dall'odio.
Immigrazione
e petrolio, di Mohammed
Battach
A
volte nascere in un paese ricco non vuol dire essere fortunati. Anzi la
ricchezza può trasformarsi in guerra e distruzione. In tempi non lontani,
l'Iraq era un paese a forte immigrazione. Accoglieva persone da tutto il globo:
africani, asiatici e persino occidentali in cerca di occupazione. Adesso questo
paese è ritornato cent'anni indietro e la sua popolazione è diventata oggetto
di emigrazione. Spesso la televisione ci mostra l'arrivo della popolazione
irachena sulle coste del Mediterraneo.
Mi è venuto spontaneamente da chiedere: "Ma questi signori governanti
europei non sanno che lo spostamento di massa di un popolo da un continente
all'altro è anche frutto di una politica imperialista sostenitrice delle guerre
e dell'oppressione dei popoli?" è facile scaricare il problema sugli
scafisti, come spesso sento dire da qualche politico. La verità è che
l'invasione di migliaia di disperati che ogni giorno tentano di sbarcare sulle
coste del Mediterraneo è dovuta ai tanti conflitti in atto nei paesi vicini del
Vecchio Continente che diventa così un luogo sicuro in cui rifugiarsi. Perché
allora questi signori non fanno nulla per fermare le guerre e lavorare per la
pace invece di schierarsi con Bush o Blair, unici beneficiari del petrolio di
quei paesi?
Il
Minculpop, di Simone
Scalici
Giovedì
12 Dicembre 2002 ho letto sul "Giornale di Sicilia" un articolo sulla
scuola con il seguente titolo: "Scuola. Sui libri di storia vigilerà il
ministero". L'articolo parla dell'approvazione da parte della maggioranza,
di una risoluzione che impegna il Governo a controllare che "L'insegnamento
si svolge secondo criteri oggettivi". L'opposizione ribatte che una cosa
del genere in Italia è accaduta solo in epoca fascista, quando si istituì un
apposito organo di controllo il "Minculpop", (più che come organo di
censura, io penso che serviva a proibire a tutti gli studiosi di storia, ed
intellettuali in generale di potere esprimere un pensiero, o peggio ancora di
poter pensare con menti proprie) che servì solo ad oscurare diabolicamente alla
popolazione dell'epoca tutte le nefandezze del regime fascista. Venerdì 13
Dicembre ho notato che il tema veniva ripresentato sul "Giornale di
Sicilia", evidenziando le reazioni dei diversi rappresentanti dei partiti
della maggioranza e dell'opposizione. Mi ha colpito positivamente il titolo
dell'articolo, dal quale desumo che sembra prevalere il buon senso e che il
Governo nega l'intenzione di controllare i libri di testo. Le prese di posizioni
delle varie coalizioni politiche hanno provocato opinioni diverse e contrastanti
anche in seno alla "Cdl". Il ministro Giovanardi, dichiara "irricevibile"
una mozione del Polo, affermando che non spetta all'esecutivo vigilare
sull'oggettività dei libri di storia, guadagnandosi così l'approvazione e
l'apprezzamento delle opposizioni. Il Forzista Fabio Garagnani, che aveva
proposto la risoluzione, mette in dubbio che il Ministro parlasse a nome del
Governo. Secca replica di Giovanardi: " La posizione che ho preso, è la
posizione del Governo". Il segretario dell'Udc Follini, definisce la
risoluzione "una baggianata". Marzio Tricoli, di AN, suggerisce di
lasciare agli studenti la libertà di scegliere. In classe, inoltre, ho
ascoltato con interesse, quanto letto dal quotidiano "La Repubblica"
che riportava tra le altre cose le opinioni di due grandi storici; il prof.
Villari, vicino alla sinistra, e il prof. Cardini, vicino alla destra. Ho potuto
farmi un'idea abbastanza chiara della discussione, restando impressionato
favorevolmente, poiché ho notato un grande equilibrio nell'esprimere il proprio
parere i su nominati studiosi di storia.
Esprimo la mia modesta opinione, su un argomento lontano dalla mia competenza, e
dalle mie conoscenze specifiche. Io ritengo che nessuno, e tanto meno il Governo
di una Nazione democratica, ha il diritto di "imporre autorevolmente"
le sue opinioni su qualsivoglia problema. Anche su questo tema delicatissimo, in
quanto riguarda la formazione e l'educazione di intere generazioni, è
indispensabile agire con estrema cautela, coscienza e obiettività,
democraticamente, e non "autorevolmente".
Io penso che il buon senso prevarrà e si continuerà a lasciare fare ad ognuno
il proprio mestiere, specie se si tratta di professionisti così illustri come
gli Storici, capaci di darci una storia quanto più vicina alla verità. Non
bisogna però, dimenticare che finora al mondo esiste una sola scienza esatta;
la matematica. Sempre nel rispetto della verità dei fatti di storia, ognuno
deve essere libero di potersi fare una propria opinione, che potrà confrontare
e discutere con quella di altri, purché in nome e nel rispetto della libertà
di tutti. Solo così un popolo potrà rendersi conto di eventuali errori e fare
in modo che non si ripetano mai più.
Ancora, ribadisco che il "medico deve fare il medico" e, per
esercitare la professione deve essere abilitato da organi di Stato. Del pari, lo
storico che deve scrivere i libri di testo, e i docenti che devono insegnare,
anche loro sono abilitati da organi dello Stato, quindi, idonei e sicuri.
Concludo dicendo: "è bello far parte di Stati Democratici, dove il vivere
e convivere, dei parlamentari, in un alternarsi di maggioranza e minoranza,
significa lavorare attivamente nel rispetto reciproco e per il bene di tutti i
Cittadini.
Sperando
la pace, di Lulzim
Tafili
è
vero che le parole tranquille e bonaccione compaiono poco sui giornali. Forse ce
ne accorgiamo leggendo i giornali di questi giorni. Bush ha attaccato Baghdad
perché temeva che possedesse armi di distruzione di massa. Dall'Iraq arrivavano
le notizie che Saddam aveva distrutto i missili Al Samoud che possedeva.
Questa guerra in corso rappresenta veramente un pericolo pubblico non solo per
il popolo iracheno ma anche per il mondo intero in quanto le scuse di Bush non
hanno nessun senso oltre al possesso dell'oro nero di questo paese. La mia
opinione è che gli altri paesi arabi non possano far finta di niente per tutto
ciò che sta accadendo. Perché la guerra non appartiene a Saddam ma a tutta la
popolazione che soffre la fame da quando Saddam ha preso il potere e che, con la
sua ingenuità, sostengono il loro presidente che non è altro che un dittatore
egoista senza scrupoli e senza alcuna pietà. Le parole bonaccione, forse, sono
quelle di papa Giovanni Paolo II con i suoi messaggi per la pace e solidarietà
che la gente sta perdendo man mano con il passare del tempo. Milioni di persone
sono scese in piazza per manifestare contro la guerra. La gente ormai è stufa,
la gente vuole la pace perché è consapevole che la guerra non porta
nient'altro che odio, fame e devastazione e la morte di milioni di persone
innocenti. Non vedo nessun giornale che ci faccia ritornare un attimo indietro
nel tempo per riflettere sulle guerre che ci sono state e sulle perdite che
queste popolazioni hanno subito. Come l'America stessa, nella guerra del
Vietnam, quando morirono, se non vado errato, trecento mila soldati americani.
Non vedo una pagina in cui si scriva "All you need is love"... tutto
quello di cui si ha bisogno è l'amore, no? Forse avete capito male, qua non si
tratta di amore fra due fidanzatini ma fra popoli, nazioni, religioni senza fare
delle distinzioni. Leggendo i versi di questa canzone si pensa ai versi di una
poesia di William Shakespeare ma in realtà il contenuto è ben altro perché fa
venire i brividi a chiunque sia pacifista nell'anima e nel cuore come me.
Le
due facce della medaglia, di Mohammed
Battach
In
questi giorni si è parlato molto della convenzione di Ginevra, riguardo il
diritto dei prigionieri di guerra. A questo proposito, ho assistito ad uno show
televisivo fra politici, giornalisti, opinionisti e strateghi. La trasmissione
si è svolta in un clima da stadio come se assistessero ad una partita di calcio
tra Inter e Milan, in cui bisognava tifare per il più forte.
Qualcuno ha accusato la televisione araba Al Jazeera di essere un mezzo
propagandistico a favore del regime di Saddam, per aver diffuso le immagini di
soldati americani morti o catturati durante il combattimento da parte irachena;
considerando, così, tali immagini crude e sconvolgenti contro la convenzione di
Ginevra.
Vorrei replicare che, essere al servizio di un regime o per meglio dire, al
servizio di un padrone, significa non mostrare all'opinione pubblica (quello che
non piace ai politici), il vero volto della guerra.
La televisione Al Jazeera, con onestà e professionalità mostra al mondo le
immagini che documentano l'orrore della guerra, sia da parte irachena sia da
parte americana. Per questo questa televisione ha mostrato, ad esempio, le
immagini della cosidetta Shock and Awe di cui ha parlato il generale Franks
dicendo: "la nostra campagna sull'Iraq sarà caratterizzata da colpisci e
terrorizza".
Vorrei ricordare, però, che la convenzione di Ginevra è composta da 143
articoli di cui uno riguarda il non attaccare obiettivi civili. Anzi, di evitare
qualsiasi azione che possa mettere in pericolo la vita della popolazione
civile... gli americani le stanno rispettando?
Essi non hanno violato solo la convenzione di Ginevra ma il diritto
internazionale. Sono andati ad aggredire una nazione sovrana senza un legittimo
mandato. L'uomo (che vediamo nelle immagini) fu catturato dai Moujahidin,
l'alleanza del Nord, durante la guerra in Afghanistan, con compresenza
dell'esercito americano. Le immagini si commentano da sole. Nessun politico,
nessun giornalista vedendole si è appellato alla convenzione di Ginevra. Questo
ci fa capire come la convenzione di Ginevra venga invocata solo quando sono
coinvolti soldati di serie A.
Palermo
città d'amare, di Rocco
Giacchi
Mi
viene in mente un detto del grande Demopsicologo Pitrè, vissuto tre secoli
addietro secondo cui la Storia è stata sempre scritta dai dotti per i dotti e
si è sempre occupata di grandi imprese, più o meno vere, senza mai parlare di
ciò che faceva, pensava o credeva la massa del popolo, per chiarire che tale
concetto, ormai avanti negli anni, non fa più parte del nostro tempo perché il
Pitrè apparteneva all'800 quando le frontiere dello storico erano confinati nel
campo dell'erudizione classica di quel tempo, entro limiti ristretti di
veduta,lungi, quindi, dall'idea di un trasformismo culturale prossimo, così
come avvenne con l'avvento della moderna e sempre più sviluppata tecnologia di
scienza globale che il mondo senza storia è rientrato di pieno diritto in un
rinnovato concetto della storia, non di Re e di grandi, ma di strutture e non
solo di avvenimenti.
Ai giorni d'oggi è affermato un nuovo concetto di cultura, subentrato,
prepotentemente, nel contesto del sapere con forme e contenuti vari che
rispondono a comportamenti riconosciuti nella nostra società come veri e
giusti, ditalchè ogni tabù di ordine concettuale sulle culture differenziate
dalle classi sociali, per intenderci, egemoniche e subalterne è venuto a
crollare, grazie al massiccio processo di fusione delle dottrine che determinò
un nuovo percorso sulla direttiva del pensiero più riflesso verso la teoria
della doppia verità, a maggior ragione, sull'epicale rinnovamento storiografico
perché Storia è perenne svolgimento, nell'organica continuità di momenti e di
valori in cui il passato è premessa necessaria al presente, che a sua volta
reca in sé i germi del futuro e genera tradizione, folklore e leggenda.
Le frontiere culturali si sono estesi a una molteplicità di fenomeni di
manifesta esperienza ed hanno ridimensionato il rapporto fra classi sociali nel
modo di vivere. Un
esempio tangibile tratto dalla quotidiana vita carceraria, facendo riferimento a
quanto fin qui detto in forma di premessa ne avvalorerà il motivo di fondo.
A chi ha possibilità di visitare le aule scolastiche del Carcere di Pagliarelli
di Palermo consigliamo una visita al Centro corsistico di tipografia
informatizzata e rilegatoria, presente sin dal 1998, con tre corsi in attivo,
alla cui guida si alternano docenti, maestri di banco che hanno saputo inculcare
(col programma in cammino) ai loro discepoli, oltre all'amore per lo studio
programmato di cultura generale, l'arte di apprendimento sull'uso del computer,
sino allo sviluppo di idee atto a concretizzare elaborati e scritture di vario
genere, per il ripristino e lo sviluppo della mente assopita.
A conferma dell'ingegnoso obiettivo, ci si stupisce di fronte a una realtà, a
dir poco strabiliante, allorché si constatano, pronti per la stampa, una serie
di bozze relative a libri di folklore locale, a narrative, a racconti
fantasiosi, a manuali di facile lettura giuridica a manuali per lo studio della
tecnica del computer, da lasciare qualunque letterato a bocca aperta, perché
ideati e scritti da umili carcerati.
Di fronte a 10 ragazzi, sebbene muniti di buonissima volontà ma limitati nei
titoli acquisiti negli studi, è apparsa invera la possibilità secondo la quale
con la sola dedizione, ampia quanto possa essere, si arrivi ad andare aldilà
della propria forza intellettiva, invece dall'impegno hanno saputo trarre
tenacia e tanta buona volontà.
Ognuno di loro, e si parla di reclusi corsisti, assorbe l'onere di una parte di
un componimento, già programmato e discusso dal docente, la redige al computer,
secondo la propria intellettiva possibilità, quindi passa l'elaborato ad altro
corsista, correttore, il quale cura, fra l'altro, anche la tecnica espressiva,
in termini di intelligibilità, indi va al docente per la cura grafica
d'impostazione al computer. A compimento di lavoro, tutte le parti allogate nei
vari computers vengono unificati in quello maestro e il correttore rivisita
l'intero lavoro apportandogli, ove necessitano, le correzioni finali con
l'esigenza sistematica più consona all'aspetto fisionomico dell'opera, infine
si passa alla stampa della bozza di prima stesura, per arrivare alla rilegatoria
che lo farà diventare libro.
L'impegno e il senso di responsabilità di ognuno dei corsisti è da lodare, così
pure l'opera dei docenti, per l'immane fatica di caricarsi l'eccessivo onere di
un lavoro, sì interessante, ma estremamente difficile per il modesto grado di
istruzione..e per dar loro plauso dell'ingegnosa operosità, in anteprima, si da
in lettura, qui di seguito, della poesia di apertura di una delle opere di
primissima stampa e un assaggio del preambolo relativo al preludio storico
dell'opera medesima, interamente concepita e sviluppata, dalla prima all'ultima
pagina, dalla mente di dieci ragazzi, con tanta voglia di riscattarsi dal
burrascoso passato…ed è il caso di dire, dieci dilettanti allo sbaraglio.
Dal preludio storico della Palermo antica
(il preambolo)
… Sensibili al richiamo di quel fondo più sano e più vero della stirpe
palermitana che caratterizza la civiltà mediterranea, non poteva non
immettersi, con densità di narrazione, una specifica passeggiata verso Chiese e
palazzi, teatri e ville, opere d'arti,tradizioni, curiosità, proverbi e cantate
siciliane, per avvertire con più sensibilità coloristica la concreta realtà
di vita, nel contesto passato - presente, in una corrispondenza intima tra
ambiente e uomini che in essa hanno vissuto e vivono e ne riproducono, nel
carattere, le linee ora violentemente esuberanti, ora drammaticamente scabre ed
essenziali, ora tipicamente frivole e spensierate.
Cantico ibrido di Balarmu siciliana
Città omertosa, giardino di Sicilia,
fuit olim di Arabi e di Fenici,
del mediterraneo il dolce sito bello,
anche madre di trambusto e di bordello.
Balarmu limonera, sicula conca d'oro,
porto di mare di Goti e di Africani,
qui sbarcarono i germani d'Altavilla
e si insediarono Elimi e Sicani.
Historia antiqua trasmise la novella
Secondo cui Normanni e Bizantini,
per lotte di dominio, in tarantella,
ballarono con Svevi e Angioini.
E i Borbone dai mille infin cacciati
Furono l'epilogo del dolce sito in croce,
via i potenti e via anche i miti,
fu libero il suolo, ma minchia chi siti!
Oggi est locus di arte e di cultura,
di benerica a vossia e di spaddi n'gissati,
di baciammo li manu a c'cu s'annaca lu culu
e a cu è malatu di malantrinaria.
Ora li sciarri n'taverna s'appianunu,
n'nanzi a quarumi, stigghioli e sfinciuni,
gustannu calia, calacausi e semenza
e lu vinuzzu a saluti d'un voscenza.
Chista è Palermu di eri e di oggi,
cu li so cummedi e cu li so tragedi
terra di suli, di mari e di vaneddi
di masculi bravi e di fimmini beddi.
R. G.
Può
durare un amore per l'eternità?, di Lulzim
Tafili
Se
sei arrabbiata con il mondo, sappi che il mondo non sono io. Come stai, tesoro?
Ti sto scrivendo questa lettera per farti ricordare il giorno della nostra
conoscenza. Quegli anni insieme a te sono volati troppo in fretta. Com'è brutto
vivere separati uno dall'altra!
Se le cose sono andate così, la colpa no è tua e neanche mia, ma è di questo
brutto mondo in cui viviamo perché noi siamo due creature che sono state
condannate ingiustamente. C'è chi dice che con il tempo si cancella tutto, ma a
me nessuno può cancellare il nostro ricordo. Ti amavo così tanto con tutta la
forza del mio cuore. Tu sei la stella delle mie albe, sei il sogno che mi
accompagna durante tutta la notte. Sei il mio ricordo più bello. Avrei dato
tutto per avere la possibilità di averti un'altra volta fra le mie braccia. Ma
adesso non c'è niente da fare, tu mi regali solo compagnia mentre io ti penso
in ogni istante.
Mi ricordo una sera, era mezzanotte, ti ho telefonato ma non parlavo. Ti sentivo
quando tu dicevi: pronto, pronto, pronto ... ho chiuso. Poi ho rifatto il
numero. Ti ho chiesto cosa stessi facendo e tu, con la voce troppo bassa, mi hai
risposto: cerco di dormire ma non ci riesco.
Neanch'io ci riuscivo; forse erano i pensieri che mi tenevano sveglio, ti ho
telefonato un'altra volta, volevo dirti: grazie, grazie di avermi dato la
possibilità di viaggiare nel tuo cuore.
Che tu sia felice ovunque andrai. Mi auguro che tu sia felice con il ragazzo che
hai trovato. Che la vostra storia non abbia la nostra stessa fine, così
dolorosa! Mi auguro di non essere dimenticato da te. Non dimenticare quel
ragazzo col viso sorridente che in ogni istante della tua vita, stava vicino a
te e viveva insieme a te. Ricordati della nostra storia, così bella, romantica
e moderna, della nostra storia così tenera e anche complicata perché nessuno
lo poteva capire tranne te e me.
Le
ali della libertà, di Lulzim
Tafili
è
primavera, le foglie degli alberi hanno cominciato a diventare verdi, i fiori a
sbocciare ed io comincio ad immaginare la vita fuori da qui. Anche se oggi
piove, la pioggia battente cade vicino alla finestra; da lontano si sentono i
tuoni tra le nuvole, la gente si muove troppo in fretta per paura di qualche
alluvione. Guardando da qui la città sembra nuova con le luci che illuminano.
Osservo da questa finestra con i ferri arrugginiti perché a volte mi sembra che
ci resterò chiuso per l'eternità. Vivo, però, con la speranza che un giorno
queste porte si apriranno. Anche se qui sono solo, cerco di affrontare questo
tempo così difficile cercando di non avere un altro atteggiamento sbagliato
alla vita. Mi dispiace per questi anni che ho buttato al vento, mi dispiace per
quelli che mi hanno abbandonato.
La vita deve, comunque, continuare lo stesso con il desiderio di non ripetere
gli stessi errori e che le mie sofferenze si trasformino in felicità. In ogni
modo, vorrei approfittare per mandare un messaggio ad una famiglia intera e
mandare tanti auguri e saluti e tanta felicità nella vita di tutti i giorni
dicendo che li penso sempre!
Cerco di immaginare la loro vita, bella ma ferita nell'anima per quello che ho
combinato io. Comunque l'indipendenza l'uomo se la guadagna da solo e la può
gestire come vuole. Insomma deve sentirsi libero nel modo di fare e di pensare.
Anche se adesso la mia indipendenza e la mia libertà me le gestisce qualcun
altro, ma un giorno anch'io sarò libero come tutti gli altri e nessuno potrà
impedirmi di godermi la vita come voglio io perché la vita di ognuno è
personale. Restando chiuso qua dentro, in questi anni, ho avuto il tempo di
riflettere sul mio passato, sul presente e sul futuro e credo che la cosa
fondamentale della vita sia la pace. Sarebbe troppo bello vivere in santa pace
con tutto il resto del mondo. Purtroppo non possiamo restare indifferenti alla
realtà che la vita ci offre, anche se la mia realtà sta nel male che mi è
capitato e sto soffrendo lontano da tutti, soprattutto lontano da voi. Tutto
questo un giorno finirà e io continuerò ad immaginare il giorno del nostro
incontro ovunque sarà. Nella vita ho avuto molte ferite ma con voi le mie
ferite guariranno. Durante questi anni vi ho pensato sempre, non solo nei
singoli momenti ma sempre perché voi siete fantastici ed io ho avuto la fortuna
di conoscervi da vicino.
Vincitori
e vinti, di Mario
Francesco Di Stefano
Riflessioni
sul testo "Vincitori e Vinti" di Berthold Brecht... è veramente
difficile ed arduo riuscire a trovare un solo aspetto positivo nel termine
"guerra". La parola stessa è sinonimo di circostanze non solo
negative, ma a volte drammatiche e devastanti. L'essenza di ogni conflitto è
sempre qualcosa di gravissimo e di scellerato, ma l'uomo è per sua natura
portato a cadere in questo terribile errore, lo ha sempre fatto, continua a
farlo e di sicuro lo farà ancora in futuro. Spiegare il come, il perché, il
vero motivo di ogni guerra è cosa spesso ovvia e facile da fare, ma ciò che
veramente riesce difficile capire è come l'uomo possa concepire un atto che non
è altro che la negazione dell'armonia e della quiete sociale. Sono molti gli
elementi che l'insaziabilità e l'ambizione umana perseguono nello scatenare un
conflitto, specialmente se su scala globale: tra i più importanti bisogna
considerare i fattori economici, ma anche quelli sociali. C'è chi sostiene che
le guerre siano inevitabili, che l'ordine mondiale sia destinato ad essere
continuamente modificato da conflitti senza sosta. Ma perché c'è qualcuno che
dice ciò? Perché tanto pessimismo nella gente? Ma non sempre il pessimismo può
essere preso come modello di vita, esiste tanta altra gente che la pensa
diversamente, che sostiene che i conflitti non solo non sono necessari, ma sono
anche inutili e privi di fondamento.
è una bella questione ed è arduo trovare una soluzione valida agli
interrogativi del mondo; ognuno di noi vorrebbe sempre avere una risposta a
tutto, ma la vita non sempre presenta circostanze facili da decifrare, molto
spesso anzi sono misteriose e impenetrabili. Una cosa è però certa, una cosa
si può affermare senza incertezza, e nessuno può dire che ciò non sia vero,
nessuno può negare quanto ora dico: "La guerra ha vincitori da una parte e
vinti da un'altra parte", sempre e comunque, perché non esiste una guerra
dove non ci sia un vincente e dove, in corrispondenza, non ci sia un perdente.
Rimane però da precisare una cosa molto importante, fondamentale se vogliamo
veramente capire il significato della più terribile delle catastrofi che l'uomo
possa concepire, e cioè il nome di coloro che devono essere considerati i
vincitori, ed il nome di quelli che invece devono considerarsi sconfitti. A
prima vista questa considerazione potrebbe sembrare assurda, si potrebbe pensare
che è assurdo indicare i nomi delle persone che partecipano a una guerra,
figuriamoci quelli che la vincono e quelli che la perdono; ma analizzando bene
la situazione, si può subito capire che quei nomi che andiamo cercando, quei
nomi che vogliamo individuare, quei nomi sono sempre gli stessi in ogni
conflitto, a prescindere dal luogo e dal tempo della guerra: la povera gente,
questo è il nome di quelli che perdono sempre, e dall'altra parte è la
cattiveria umana il nome che deve darsi al vincitore! Ed è così che bisogna
descrivere i conflitti, è così che possiamo sempre identificare una guerra e
cioè come il trionfo del male e la sconfitta del bene! La soluzione da me
trovata sembra ovvia e scontata, ma quando ciò che è ovvio e scontato è
l'unico modo per descrivere una situazione così scellerata e gravissima, non
esistono altri termini o altre parole che possano esprimere così chiaramente
quanto gli uomini da secoli fanno a loro stessi, quanto danno e quanta rabbia
producono; sarebbe bello poter trovare una soluzione logica e plausibile a tutto
questo, ma la verità è che oggi non esiste nulla che possa far venir meno
questa realtà e cercare di cambiare il mondo è un sogno che difficilmente si
può realizzare, è un sogno che è destinato a morire, a restare vano ed
irrealizzabile per tutti, anche per coloro che hanno tanta volontà e tanta
speranza.
Bookcrossing,
a cura della classe
2 V
Riportiamo di seguito il testo scritto dagli alunni della II V per far conoscere
all'interno della sezione Est del carcere Pagliarelli, l'iniziativa del
bookcrossing alla quale abbiamo aderito. Quest'iniziativa è stata promossa a
Palermo dall'Associazione I Draghi Locopei in collaborazione con Next
e coordinata in ambito nazionale da Fahrenheit, il programma quotidiano di
Radio3. Da settembre è, infatti, partito anche in Italia, il primo bookcrossing
radiofonico. L'iniziativa prosegue in tutte le città dove ci siano ascoltatori
disposti a far circolare per il mondo un proprio libro, come un messaggio nella
bottiglia.
L'adesione al bookcrossing all'interno dell'Istituto penitenziario è stata
intesa, in accordo con educatori e Direttrice, come un modo per promuovere non
solo la fruizione dei libri ma anche la pratica di condivisione e di gestione
della cultura libraria. Evidementemente,
il senso di quest'attività all'interno del carcere non può assumere tutte le
valenze che ha in città, ma rimane, nel suo piccolo, un tentativo per
promuovere pratiche di responsabilizzazione collettiva rispetto ad un patrimonio
comune quale quello della cultura. Bookcrossing.
"Dai nuova vita al libro e tornerai a
vivere". Il Bookcrossing promuove la circolazione gratuita e libera dei
libri all'interno di questa struttura senza vincoli burocratici. Come?
L'iniziativa è rivolta a coloro che sono interessati ad avvicinarsi alla
lettura. Il libro è vita per ciò che esprime e per le emozioni che trasmette.
Rimetterlo in circolazione, dopo averlo letto, è un modo per donargli vitalità,
rendendo partecipi altri dei nostri coinvolgimenti emotivi. Chiunque può
aderire all'iniziativa semplicemente leggendo ? che già non è poco!- oppure
donando un proprio libro. Una volta letto il libro non è altro che un
contenitore vuoto privo di valore, non lo si possiede il libro ma si possiedono
le emozioni che ci ha trasmesso. Queste sono già dentro di noi! Allora fai
circolare il libro e questo sarà tuo insieme ad altri, non avrà solo una
storia, la tua, ma tante altre storie...
Gli
alunni della II V
La
bottiglia, di Giuseppe
Arnone
Con
il mio gruppo di amici, da sempre ci incontriamo nel solito bar del centro prima
di muoverci per la solita battuta di pesca subacquea, per organizzarci e
decidere dove andare. Quando tutto è pronto si parte.
La partenza avviene di mattina, prima che il sole spunti. Io mi diverto perché
è il mio sport preferito e perché passo un giorno diverso insieme ai miei
amici. Al ritorno, arrivati nella spiaggia dopo aver caricata tutta
l'attrezzatura necessaria a questo tipo di pesca, ci si ferma a festeggiare la
giornata di pesca conclusa. E così prepariamo il necessario che occorre per
arrostire il pesce pescato, ci dividiamo i compiti, chi pensa a pulire il pesce,
chi va a comprare da bere, etc...
Io, quel giorno, recuperavo la legna che doveva servire per accendere il fuoco.
Così andando in giro per raccogliere la legna, ho visto un mucchio di rifiuti
di ogni genere fra i quali c'era la legna che mi serviva. Rovistando ho visto
una bottiglia ancora tappata che aveva una forma strana e incuriositomi l'ho
presa. All'interno c'era qualcosa e così ho tolto il tappo e ho preso quello
che c'era dentro: era una richiesta di aiuto.
Leggendo il messaggio non ho creduto al contenuto, così ho continuato a
raccogliere la legna che mi serviva, conservando però il messaggio. Tornato dai
miei amici, mentre ci divertivamo e parlavamo del più e del meno, mi sono
ricordato del messaggio che avevo ritrovato. Mi sono allora deciso a parlarne
con loro e a mostrare il messaggio. Ho letto il contenuto che diceva così:
"Chi trova questo messaggio non deve pensare che questo è uno scherzo
perché quanto segue è vero. Siamo un gruppo di ragazzi e ragazze usciti in
barca, per passare un giorno a divertirci, ma è successo che si è fermato in
avaria e le correnti marine ci hanno spinti su un isolotto deserto e siamo a
corto di viveri ... aiutaci! Informa le autorità! Per credere che quello che
dico è vero, ti dico che siamo partiti dal porto di Palermo tre settimane fa e
che siamo palermitani. Aiutaci! Ti scongiuro".
Queste ultime frasi del messaggio hanno colpito un po' tutti. Così al ritorno,
io e un mio amico ci siamo fermati alla Capitaneria di Porto Empedocle ed
abbiamo consegnato il messaggio ad un funzionario. Dopo aver aspettato il
funzionario ci ha detto che già le ricerche erano state avviate.
Considerando il luogo dove avevo ritrovato la bottiglia, le autorità competenti
concludevano che in base correnti marine quell'isolotto doveva essere per forza
quello indicato dalle carte nautiche come "l'isola bianca". Proprio su
quell'isola, le autorità competenti hanno ritrovato i ragazzi vivi anche se un
po' malandati. Il funzionario ci ha ringraziato soprattutto per non aver preso
quel grido di aiuto per un banale scherzo.
Siamo stati così encomiati per quel gesto da noi fatto per aver salvato, seppur
indirettamente, delle vite umane.
Ormai sono passati quindici giorni dall'accaduto e noi siamo ancora tutti qui
sulla spiaggia a bere della buona birra fresca e a festeggiare. Mi sono accorto
che in riva al mare c'è un'altra bottiglia portata dal mare, incredulo mi
avvicino e vedo che dentro c'è un biglietto. La prendo, ritorno per strada e la
butto dentro un raccoglitore per il vetro... oppure no... decidete voi!
L'onore
della Patria, di Saverio Lovison
Siamo sposati da poco più di una settimana e dopo un luogo
fidanzamento abbiamo finalmente realizzato il nostro sogno.
Ora non ci rimane che andare avanti, abbiamo tutta la
vita davanti a noi. Ci saranno momenti belli e pieni di gioia (come quelli
attuali), altri meno, ma sono certo che nel complesso potrà essere, il nostro,
un matrimonio felice. Siamo partiti ieri da Roma ed ora siamo qui sotto il caldo
sole africano per goderci le bellezze dell'Egitto, nazione di cui, io e Maria,
siamo entrambi affascinati e a cui sentiamo vincolati vuoi per il nostro lavoro
(egittologa lei, studioso di lingue antiche io), ma anche perché entrambi
abbiamo avuto dei parenti che hanno combattuto e che sono morti nella battaglia
di El-Alamain.
Nonostante il nostro sia un viaggio di nozze, non siamo riusciti a scindere
quelli che sono i nostri interessi dal mero calcolo utilitaristico. Venendo qui
avremmo avuto modo di visitare le bellezze della civiltà egizia, approfondire
conoscenze che stando a Sondrio non ci è consentito fare, ma che visto da poco
è caduto l'anniversario, andare in visita al monumento eretto proprio al
El-Alamain in onore di tutti i caduti di quella battaglia che, sicuramente, come
poche altre, ha cambiato il corso della storia. Ed ora siamo qui, sotto un sole
che cuoce il cervello a rimirare questo monumento ?peraltro bruttino- eretto per
ricordare alle popolazioni future lo sforzo e il sacrificio che qui, tante
giovani vite hanno compiuto ma che, a mio parere (che è anche quello di Maria)
dovrebbe essere l'emblema della stupidità e della ferocia umana.
Sicuramente questo è un luogo di culto, un cimitero dove l'ultima parola è
quella del silenzio e non si fa politica.
I morti meritano rispetto!
Camminiamo lentamente verso quelle che un tempo erano le fortificazioni
italiane. Ormai dei manufatti del tempo poco è riconoscibile, non fosse che per
la guida che ce le mostra. Quelle pietre e quelle dune per noi sarebbero tali
mentre molti anni addietro lì proprio dove noi due poggiamo i piedi sulla
sabbia rovente, molti anni addietro, il sangue versato colorava quelle dune
d'Africa dove la gioventù europea si affrontava per colpa della pazzia umana.
Il silenzio di questo posto è immenso, ti penetra e avvolge tutto quanto. Anche
il vento del deserto pare essere diverso, meno rumoroso, meno vento.
Lontano a non più di trecento metri, passa la strada asfaltata che porta a
Tobruk e al Cairo. Adesso è una bella strada asfaltata e libera, tutta diversa
da quella che doveva essere all'epoca dei fatti. La chiamavano l'autostrada per
l'inferno. Si snodava per chilometri e chilometri senza una curva o un dosso. I
mezzi che la percorrevano erano sotto il tiro incrociato di entrambi gli
schieramenti, di qua l'esercito Rammel e la sua divisione panzer, alla sua
destra la brigata Acqui e Frish, sulla sinistra a completare quella che doveva
essere "una formidabile tenaglia" era schierata la quarta, la sesta e
la settima divisione della Folgore. Praticamente il fior dell'esercito italiano.
Tutto quel paesaggio grondava ancora di sangue e di dolore, non si sente più
alcun rumore ma è come se nei nostri cuori avvertissimo il crepitio delle armi,
lo scoppio delle bombe e le urla dei feriti.
Guardando attentamente il terreno, si può ancora notare come, qua e là,
nonostante la bonifica fatta dal governo egiziano, il vento del deserto porti
ancora a galla le vestigia di un doloroso passato. Qui una baionetta, lì una
gavetta o una culotta di un obice da mortaio. Più avanti ancora un pezzo di
reticolato con vicino un cartello che invitava - ma era un obbligo - a non
toccare nulla per conservare la memoria.
Si sta facendo tardi, il sole è a picco e il caldo opprimente. Decidiamo di
fare ritorno al nostro albergo e al fresco dell'aria condizionata. Un ultimo
sguardo al panorama e ci avviamo su per il sentiero per andare al torpedone che
ci porterà ai nostri ai e comodità.
è stato un miraggio?
Un bagliore mi colpisce gli occhi. Proviene dalla base di uno di quei cartelli
che vietano la raccolta di cimeli. Guardo ancora attentamente e, niente, è
proprio un miraggio. Qualche metro ancora, questa volta da un'altra angolazione,
perché il sentiero faceva una piccola svolta. Il bagliore mi colpisce in pieno
volto obbligandomi a chiudere per un momento gli occhi. A questo punto non posso
fare altro che avventurarmi fuori dal sentiero avvicinandomi alla base del palo
da dove proviene, ormai forte ed inconfondibile un bagliore intenso, violento,
quasi un urlo che voglia lacerare il silenzio del luogo ma senza mancargli di
rispetto. Maria attonita mi guarda sgomenta: "lascia stare, non toccare può
essere pericoloso".
Giunto sul posto vedo che con nostro grande stupore, quel bagliore proviene da
una bottiglia che il vento ha dissepolto dal suo lungo sonno. Un sorriso mi si
stampa sul volto e mi sento quanto mai stupido. Chissà quali tesori speravo mai
di scoprire. Do un calcio alla bottiglia e ... non è vuota! La prendo in mano,
la guardo attentamente, la giro e la rigiro ma è proprio così dentro c'è un
foglio di carta.
Una bottiglia con un messaggio di solito si butta in mare, ma poi il deserto non
è forse un mare? Ci guardiamo negli occhi, un lampo di complicità fa
comprendere la sintonia del nostro desiderio. In fondo già siamo in fallo per
avere infranto un divieto categorico, ma una bottiglia può essere un ricordo di
guerra? E se il biglietto non può essere letto, allora, che ricordo potrà mai
aver trasmesso l'autore del messaggio?
Apro la bottiglia e con molta attenzione estraggo un foglio di carta di quaderno
che somiglia più ad una pergamena. Nonostante sia stato sepolto tanto a lungo,
il foglio ha subito l'azione del sole. Lo srotolo con molta delicatezza...
"Cara mamma,
ci hanno distribuito le munizioni. Domani andremo all'assalto delle postazioni
del nemico. Approfitto del silenzio di questa notte perché, sono certo, le mie
parole ti giungeranno comunque. Là davanti c'è il mio nemico, ma non lo
conosco, per me non è tale. Lui, come me, si starà domandando perché si trova
qua. Starà pensando alla sua famiglia, ai suoi amici, alla sua casa, al suo
paese natio dove vorrebbe poter tornare quando tutto si sarà concluso. Sono
convinto che se ci fosse consentito di conoscerci, nessuno dei due (ma nessuno
di noi soldati) vorrebbe più fare la guerra. Mi sono domandato perché sono qui
ed ogni volta mi sono arreso davanti all'impossibilità di trovare un senso a
tutta questa barbarie. Ci dicono che noi siamo l'orgoglio dell'esercito
italiano, che dobbiamo essere fieri di essere qui in questo momento storico e
che dobbiamo comportarci con onore. Ma c'è poi tanto onore in tutto questo? Ed
è giusto uccidere solo per rendere onore alla patria? Sono domande a cui non so
dare risposta. Ho solo tanta paura, cara mamma. Mi sostiene il pensiero che tu,
lì, nella nostra casetta attendi con ansia il mio ritorno e preghi per me. è
buio, cara mamma, tutto è silenzio e da questo silenzioso cielo africano la mia
voce giunga fino a te per dirti..."
A questo punto la lettera diventa illeggibile, ci sono delle macchie ad
impedirne la comprensione. Diventa nuovamente leggibile nel finale
"... è quasi l'alba. Lontano nel deserto i primi bagliori del sorgere del
sole mi ricordano che devo lasciarti".
La lettera si conclude con la firma: Marco. Non un indirizzo o un riferimento
storico per poter risalire alla famiglia di questo figlio d'Italia. Ci
domandiamo cosa fare, vorremmo portare via tutto, la tentazione è forte. Alla
fine la nostra razionalità prevale e rimettiamo il biglietto nella bottiglia e
la bottiglia alla base del palo... Il silenzio torna a coprire quest'urlo di
vita del passato.
Il
giradischi, di Alì
Samlal
Il
mio oggetto preferito è un antico giradischi che vedevo a casa mia da piccolo,
era di proprietà di mio padre e raramente lo vedevo funzionare perché era
considerato un gioiello. Vi ero affezionato perché vedevo girare i dischi
soprattutto i 33 giri e mi sentivo partecipe della trasformazione del movimento
in voce, non come accade con i mangiacassette o i lettori di CD che ti privano
della partecipazione.
Lo consideravo mio anche se nessuno me l'aveva regalato, forse perché piaceva
solo a me e gli altri miei fratelli lo consideravano obsoleto.
Dopo l'infanzia il mio attaccamento al mio feticcio
non si era più manifestato. Forse ero attirato dall'uso delle cassette che
erano più pratiche dei dischi e successivamente i CD hanno soppiantato i primi
due. Ma, mio malgrado, mi sono nuovamente innamorato di questo giradischi perché
era calmo, non aveva l'agitazione dei lettori laser che torturano il CD, lui
invece non aveva fretta. Sul suo piatto rotondo ti serviva lo squisito disco
fonografico sfiorato dal pick-up a sua volta sostenuto dal braccio. Questa
innocente complicità si trasforma in voce emessa dal suo piccolo altoparlante.
Ai miei occhi non pareva un oggetto, lo vedevo come un essere pensante perché
non era frenetico, con la sua azione indolente faceva oscillare il disco piano
piano, a vuoto, finché non arrivava alla parte incisa, sapendo che chi lo
ascoltava era uno che non aveva fretta e che quando finiva la musica doveva
sollevare il braccio, girare il disco e rimettere il pick-up e lui avrebbe
continuato così a mandare la voce. Alla fine si sarebbe alzato dal suo posto di
ascolto per andare a sollevare il pick-up, mettendo così fine allo sfrigolio
che gli procurava tanto dolore.
Lui sapeva che non era solo, sapeva che lì, accanto a lui, c'ero io che
attendevo solo questo momento per dargli il mio aiuto e per ripagarlo con un
semplice gesto della mano degli splendidi momenti di gioia che lui mi donava.
Eravamo una coppia quasi perfetta!
Miriam,
di Giuseppe
Strazzanti
A
Miriam capitava spesso di avere bisogno di ritrovarsi da sola, per liberare la
mente da ogni pensiero e per isolarsi dal mondo. Ma anche per ricercare qualcosa
che se l'avesse nuovamente trovata, quella volta, forse...
Per ore ed ore passeggiava a piedi scalzi lungo la battigia del golfo antistante
la sua vecchia casa, che si estendeva per oltre un chilometro, senza mai
stancarsi. Miriam era una ragazza minuta, con due grandi occhioni scuri ed un
visino dolcissimo. Da poco aveva perso il padre la cui vita era stata spezzata,
ancora in giovane età, da un male incurabile ed ella non si dava pace. Si
sentiva sola, era depressa. Di nulla, la sua vita fatta di stenti la faceva
gioire. Anche lei come tante altre ragazze sue coetanee, sognava una vita
d'amore e di sorrisi, una vita che le avrebbe regalato tante soddisfazioni.
Volentieri si occupava dei bambini le cui famiglie, più o meno impegnate, le
affidavano, o di assistere quei vecchietti che, per età avanzata o per
malattia, non potevano muoversi dal letto. Questa era Miriam.
Di tanto in tanto, durante le sue lunghe passeggiate al mare, raccoglieva
conchigliette e pietruzze che spesso usava, dopo averle ben levigate e colorate,
come monili o soprammobili. Questa era la sua vita.
Una sera d'ottobre, però, durante una delle sue solite passeggiate, i suoi
piedi scalzi si posarono su una bottiglia in parte affondata nella sabbia. Si
fermò, la guardò e subito vide che conteneva qualcosa di strano. Incuriosita
la raccolse ed al suo interno intravide un pezzetto di carta, forse un
messaggio. Ebbe allora come un brivido, si girò, si guardò intorno ed
istintivamente la nascose sotto gli abiti pensando fra sé e sé che magari si
potesse trattare della mappa di un tesoro.
In quel momento, il suo unico pensiero fu quello di correre a casa e vedere il
contenuto del biglietto. Così fece, ma avutolo fra le mani si rese subito conto
che non si trattava di un qualcosa che l'avrebbe condotta ad un'isola del
tesoro, bensì di una richiesta di aiuto lanciata da un pescatore dopo che la
sua piccola barca era andata in avaria e quindi naufragata. Rimase lì per lì
di stucco e un po' delusa, ma subito si riprese. Decise allora di recarsi alla
Guardia Costiera e consegnare quel pezzetto di carta.
Le ricerche scattarono immediatamente ed ella stessa volle partecipare, ma per
ben otto ore ogni tentativo di ritrovamento restò vano. I guardacoste decisero
di interromperle ma lei insistette affinché si continuasse. Non dovevano
desistere, prima o poi l'avrebbero ritrovato. Acconsentirono, ma tutto
continuava a rivelarsi inutile, anche Miriam si era rassegnata. D'un tratto, però,
s'intravide da lontano un lembo di terra che affiorava dalle onde dal mare. Si
avvicinarono e scesero giù per ispezionarlo. Ognuno dei componenti l'equipaggio
prese una direzione diversa, ma il buio pesto e il terreno accidentato non
favorirono certamente le ricerche. Tuttavia si continuò. Tutti cercavano come
impazziti.
D'improvviso, nel silenzio profondo della notte, la voce tremula di Miriam
sibillò nell'aria: ?Accorrete, accorrete, è qui, l'ho trovato?. Tutti si
precipitarono e davanti a lei, impietrita ed ancor più impaurita, scorsero il
corpo di un uomo che giaceva per terra, riverso bocconi: era lui, il pescatore
naufragato era stato ritrovato. Il capitano della Guardia Costiera fu il primo
ad avvicinarglisi. Il cuore dell'uomo batteva ancora, ma lui era ormai privo di
sensi; per ben due giorni e tre notti aveva nuotato, lottando disperatamente con
le onde del mare. Soccorso e trasportato sulla motovedetta e da lì, dopo una
folle corsa all'ospedale, ricevette i primi aiuti sanitari ma per lui restava
poco da fare. Portato in sala di rianimazione, Miriam fu autorizzata ad
assisterlo. Non si staccò da lui un solo minuto, sperando che i suoi occhi si
aprissero e che quell'uomo parlasse.
Purtroppo non fu così. L'agonia del pescatore ritrovato, così come le speranze
di Miriam, durarono fino alle prime luci dell'alba, poi si spensero. Un forte
dolore ed una grande tristezza s'impossessarono di Miriam.
Da lì a poco avrebbe saputo dai familiari che quell'uomo era stato una persona
onesta ed un gran lavoratore, che si guadagnava da vivere sacrificandosi giorno
e notte e che, per fare studiare i figli, nulla aveva ricercato in tutta la sua
vita se non il mare e i pesci da rivendere. Lasciava due figli in giovane età
ed una moglie attanagliata dal dolore. Da quel giorno Miriam non smetterà mai
più di pensare che se i soccorsi fossero arrivati prima forse quel pescatore si
sarebbe salvato. Miriam non smetterà mai più di ricercare bottiglie vuote
lungo la battigia del golfo antistante la sua vecchia casa. Ci sarà una volta,
forse, che qualcuno invocherà aiuto e lei arriverà in tempo.
Cara
scuola, di Marcello
Patricola
Cara
mia scuola, fra le soddisfazioni del presente, l'amarezza del passato che non c'è
più, la mancanza di entusiasmo verso un'inutile vita, il rimpianto di perdute
illusioni, il bisogno di rifugiarsi nella memoria, sento la necessità di
evadere dai limiti dell'ora per raggiungere nuove mete e rigenerare la mia anima
in un mondo nuovo, in un sogno di arricchimento intellettivo.
Eh già, questa sera, mia cara scuola, sei la protagonista dei miei pensieri
perché mi sento in vena di dedicarti lo spazio che meriti, per raccontarti la
parte buona di tante esperienze che hai lasciato e continui a lasciare incise
nel carattere ancora in cerca di stabilità. Esperienze, successi, delusioni,
amarezze e sogni sono scanditi da una lunga teoria di ore trascorse e da
trascorrere ancora fra i banchi, accanto ad altri compagni, sotto lo sguardo ora
sorridente, ora corrucciato, ma sempre vigile e attento degli insegnanti.
Ci si riapre alla vita, si sperimentano le nostre capacità, si mettono alla
prova la nostra intelligenza e la nostra volontà, si affrontano battaglie con
noi stessi e con gli altri, ci si incammina lungo la strada del sapere, si
gioisce d'aver fatto nostra una materia che pareva così difficile da
comprendere, o ci si abbandona allo sconforto, quando si è costretti a dubitare
delle nostre forze e del nostro impegno.
Ci si commuove e ci si entusiasma dietro il richiamo di una materia o si avverte
un invincibile fastidio per una fatica spesso noiosa e pesante che ci sottrae
dai nostri problemi familiari e personali.
E intanto il tempo scorre e quasi mi ritrovo al secondo anno superiore
alberghiero, in cui la scuola, amata e odiata, ma sempre, dopo, nostalgicamente
rimpianta, è al centro dei miei interessi perché si compenetra con la vita, ne
regola il ritmo e impone le sue giuste leggi. Forse un giorno ritornerò
indietro alla ricerca del piccolo paradiso perduto e la scuola riapparirà in un
alone d'incanto ed i volti degli insegnanti ritorneranno alla memoria
strappandomi un sorriso d'affettuoso rimpianto per il dono di umanità e di
cultura ricevuto da loro. Si scoprirà, allora, l'umanità che si nascondeva
dietro la loro maschera di rigore e si apprezzerà la bontà che traspariva
dalla loro apparente debolezza e sempre riconosceremo che senza di loro, senza
la scuola, la nostra personalità sarebbe rimasta informe. Mi auguro, dunque,
che questa esperienza scolastica supplisca allo squallore del mio temporaneo
sbandamento di vita ridando luce ed entusiasmo alle mie giornate. Buone vacanze
a tutti e in particolare a te, mia cara scuola, luogo di gente di buona volontà
che, come me, ti vuole un mondo di bene.
Arrivederci in autunno per affrontare un nuovo anno scolastico, per percorrere
insieme un'altra tappa lungo l'itinerario del sapere insieme ai docenti che
contribuiscono ad arricchire il nostro bagaglio culturale e a forgiare la nostra
personalità. Cara scuola, mi domando come abbia fatto a non accorgermi prima
della tua prorompente bellezza. Tu colpa non ne hai affatto, ecco perché ti
voglio un mondo di bene
Baciami,
di Giuseppe
Arnone
Baciami,
e non giurare:
non mi tocca il giuramento
di una donna!
è dolce quello che tu mi dici,
ma più dolce è il bacio che ho rubato alla tua bocca.
Soltanto questo è mio,
e questo sento che è vero:
la parola è come il vento.
Ma giura, o mio tesoro, giura:
appieno io voglio credere
al tuo giuramento.
Se affondo la mia testa nel
tuo seno io pienamente beato
mi sento.
E che in eterno m'amerai
io credo.
Carcerazione,
di Domenico
Spitaleri
"Mobili",
pensili e letti ancorati al pavimento
come se temessero l'arrivo di un uragano distruttore.
In una nicchia la televisione protetta da uno spesso cristallo
Per sottolineare la barriera esistente con il "mondo reale".
Inferriate a porte e finestre per imprigionare il corpo
Ma che, per fortuna, nulla possono contro l'amore
Che riesce comunque ad evadere e raggiungere
Le persone care.
Telecamere e spioncini disseminati ovunque
Per farti dimenticare cosa vuol dire intimità.
Nessun quadro alle pareti
Nessun fiore sui davanzali delle finestre;
unicamente ferro e cemento
solamente rabbia e rassegnazione
unici compagni i tuoi pensieri
unica confidente la tua coscienza
vorrebbero annientare anche questi.
Non ci riusciranno mai!
Io
lascerò, di Mohammed
Battach
Qualcuno ha voluto
che io nascessi diverso,
qualcuno ha voluto
che io solo
scegliessi.
Qualcosa ha voluto
che della mia spicciola
storia
le strade le percorressi
solo,
e di strade ne ho
percorse.
Oggi non rimane che
ripetitività
ma solo
per le mie strade
vincerò,
perché nonostante il bene e il male,
io qualcosa lascerò
a chi mi ha amato e stimato
io sono poco e poco lascerò
ma è il mio tutto
è la mia anima
è la mia verità.
A chi mi ha odiato, ieri,
a quei tanti lascerò la possibilità, la possibilità
di continuare.
A chi mi ha desiderato
lascerò il ricordo di un nazista
violento e arrogante
ma simpatico che come sempre
o spesso ha detto no.
A voi lascerò la certezza della mia parte buona
che è malata!
Me
stesso, di Lulzim
Tafili
Mi
piace la vita
mi piace lottare
ci vuole poco
a farmi volare.
Non sto mai fermo
mi piace passeggiare,
non ci crederete
ma amo rischiare.
Mi piace il caldo
mi anche il freddo
Fate attenzione:
vi ho detto un segreto.
Non sono povero
ma neanche ricco
ed è questo il segreto
per essere figo.
Non mi piace la guerra
mi piace la pace
vorrei conoscere tante belle facce.
Ho fatto di tutto nella vita
più del bene che del male
anche se ho trent'anni
mi sento speciale.