Il
carcere in Italia
Inchiesta
realizzata dai Radicali italiani nel 2002
Presentazione
Dall'analisi complessiva del "pianeta carcere", compiuta in questi
anni dagli eletti Radicali con visite sistematiche negli Istituti di Pena, con
l'acquisizione di dati da fonti istituzionali, varie realtà di volontariato,
stampa locale e nazionale, lettere e testimonianze dei detenuti, emerge la
fotografia di una situazione di vero e proprio sfascio di legalità, di
azzeramento della dignità e del rispetto dei diritti umani e civili, di lesione
sicuramente colposa ed in alcuni casi volontaria dell'integrità psico-fisica
delle persone detenute.
Da evidenziare, innanzitutto, una certa difficoltà ad acquisire dati certi e
soprattutto aggiornati dalle fonti istituzionali quali il Ministero di Grazia e
Giustizia, il DAP, le direzioni delle carceri…
Il CPT (Comitato europeo per la prevenzione della Tortura e delle pene o dei
trattamenti inumani e degradanti) compie visite senza preavviso agli istituti di
pena e redige rapporti. In Italia le visite si sono svolte nel 1992, nel 1995 e
nel 2000.
La terza visita, svolta nel febbraio del 2000, ha riguardato 3 carceri, 2
carceri minorili, 1 ospedale psichiatrico giudiziario, 3 centri di soggiorno
provvisorio, 4 posti di Polizia e 3 dei Carabinieri.
Il rapporto, un dossier di quasi 100 pagine, per la terza volta consecutiva pone
al nostro Governo le grandi questioni del sovraffollamento (fattore determinante
di gran parte dei trattamenti degradanti), nonché dell'applicazione del 41bis e
della condizione degli stranieri clandestini in attesa di espulsione.
In 2 dei 16 siti visitati il Comitato è stato accolto malamente dalle forze di
polizia, che sono arrivate provocatoriamente a minacciare di arresto uno dei
membri che chiedeva di visionare il registro di detenzione (Posto di Polizia
Ferroviaria di Firenze), e ad assumere condotte sgarbate (Posto di Polizia di
Bologna).
Sono stati verificati maltrattamenti nei posti di polizia e dei carabinieri:
calci, pugni, schiaffi e ingiurie (il rapporto offre esempi che riguardano
persone appena arrestate a Roma, Napoli, Bari, di cui gli ispettori hanno potuto
accertare di persona l'attendibilità delle denunce riguardo alle violenze
subite). Gli ispettori osservano anche l'assenza dai registri e dalle cartelle
cliniche delle certificazioni di legge. Ragioni di preoccupazione vengono anche
da omissioni o violazioni di personale medico, cui viene raccomandato di
attenersi alla propria finalità di cura, senza soggezione a ispirazioni di
sicurezza e tanto meno di punizione.
Si condanna il disprezzo per il segreto medico.
Delle celle di sicurezza il Comitato deplora lo stato di sporcizia
"ripugnante".
Si raccomanda di non segregare le persone affette da HIV e da epatite C.
Si raccomanda di non vietare loro di coprirsi con un soprabito quando si
espongono all'aria d'inverno.
A Poggioreale, il Comitato scrive: "continua l'atmosfera opprimente… i
detenuti continuano a tenere la testa bassa e le mani dietro la schiena e
parlano solo col vicino a voce bassa".
Su questo "dettaglio" Adriano Sofri, in un articolo su Panorama del 13
febbraio 2003, cita la risposta del governo italiano: "Non si tratta di uno
stile imposto dalla polizia penitenziaria, ormai esente da approcci
militareschi, ma probabilmente di un'abitudine dei detenuti che è difficile da
estirpare."
Commenta Sofri: "Trovo che il sense of humour ministeriale dovrebbe avere dei
limiti".
Dice infine il Comitato: "Dobbiamo ripetere la raccomandazione che si
perseguano energicamente tutte le misure di lotta contro la sovrappopolazione
carceraria, comprese le politiche che mirino a limitare il numero delle persone
mandate in prigione".
Dati
generali
Popolazione detenuta in Italia:
1991 30.744
1992 44.108
1993 51.513
2001 55.275
Al 31/12/2002 i dati ufficiali analitici erano i seguenti:
Presenze - Statistiche dell'Amministrazione penitenziaria Dipartimento
dell'Amministrazione penitenziaria Ufficio per lo sviluppo e la gestione del
sistema informativo automatizzato - sezione statistica PRESENTI - Dati riferiti
al 31 Dicembre 2002 Tipo Istituto Donne Uomini Totale CASE DI RECLUSIONE
Condannati 224 6.949 7.173 Imputati 55 739 794 Totale 279 7.688 7.967 CASE
CIRCONDARIALI Condannati 1.169 24.434 25.603 Imputati 935 19.887 20.822 Totale
2.104 44.321 46.425 ISTITUTI PER LE MISURE DI SICUREZZA Condannati 83 1.129
1.212 Imputati 3 63 66 Totale 86 1.192 1.278 Totale generale 2.469 53.201 55.670
Al 31/07/02, gli imputati (in attesa di giudizio, appellanti, ricorrenti) erano
21.705 (38,7%); i definitivi erano 33.174; gli internati erano 1.123. Al 1°
luglio 2001, tra i condannati definitivi, 9.860 (31,46%) risultavano condannati
ad una pena inferiore a tre anni (vedi tabella).
A contestare la presunta automaticità delle misure alternative alla detenzione,
e quindi il presunto lassismo penitenziario che ne deriverebbe, si prestano i
dati relativi alla durata della pena residua dei 31.347 condannati definitivi:
ben 9.601 detenuti (il 30,63% del totale dei definitivi) erano a meno di un anno
dal fine pena; il 62.07% dei condannati definitivi avevano un residuo pena
inferiore ai tre anni (precondizione generale per accedere alla più diffusa
delle alternative al carcere, l'affidamento in prova ai servizi sociali).
Detenuti "definitivi" ripartiti per residuo pena al 01/07/01:
Pena Residua Detenuti Definitivi Valori Percentuali
fino ad un anno 9.601 30,63
da 1 a 3 anni 9.853 31,44
da 3 a 5 anni 4.863 15,51
da 5 a 10 anni 3.763 11,99
da 10 a 20 anni 1.969 6,28
oltre 20 anni 470 1,50
ergastolo 828 2,64
totale 31.347 100
Fonti: Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (di seguito, DAP);
"Inchiesta sulle carceri italiane", a cura di Stefano Anastasia e
Patrizio Gonnella, Carocci, 2000 (di seguito "Rapporto Antigone
2002").
Edilizia
penitenziaria
Il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e delle pene o dei
trattamenti inumani e degradanti (di seguito CPT) produsse un rapporto
riepilogativo delle visite effettuate tra ottobre e novembre del 1995 nelle
carceri italiane, raccomandando al governo italiano di accordare la massima
priorità alle misure destinate a mettere definitivamente fine al
sovraffollamento nel sistema penitenziario italiano. Già nel 1992 il CPT aveva
giudicato "gravi" le condizioni di detenzione a Regina Cœli e
"intollerabili" quelle di San Vittore; attualmente - ad esempio - nel
carcere di Poggioreale (Napoli), a fronte di una capienza massima di 1308
persone, i detenuti effettivi sono 2185 (900 in più).
Nel Primo Rapporto Nazionale di Antigone 2002, le carceri italiane sono state
così classificate:
Carceri Metropolitane (es. Roma, Torino, Milano, Napoli): sovraffollamento,
soprattutto rispetto ai detenuti extracomunitari;
Carceri Antiche (costruite prima del 1900): Lucca, Cagliari…; sono vincolate
dalla Sovrintendenza ai Beni Architettonici; hanno carenze strutturali legate
alla vetustà nonché carenze di spazi di socialità, aree verdi, aree sportive;
Carceri del Novecento: comprendono una casistica assai diversificata e non hanno
tratti comuni; abbisognano in genere di continue ristrutturazioni, soprattutto
nei locali dei servizi igienici, ridotti in condizioni di fatiscenza
insopportabili;
"Carceri d'Oro": carceri costruite negli anni '80, a costi
elevatissimi, con tempi di consegna ciclopici, e con materiali scadenti
(fenomeni di corruzione e concussione); in alcuni casi, istituti inaugurati
senza essere stati completati; costruite per fronteggiare l'emergenza
terrorismo, sono caratterizzate da una grande attenzione per la
"sicurezza" e da una scarsa propensione alla vivibilità; lontane dai
centri abitati (e mal servite dai mezzi pubblici: Asti, Saluzzo, Viterbo
Teramo…); presentano quasi ovunque gli stessi problemi: infiltrazioni di
umidità, difficoltà di funzionamento degli impianti idraulici ed elettrici.
In particolare:
Verona: dieci cancelli prima di arrivare all'interno dell'edificio;
Padova (Due Palazzi): rifatto completamente il sistema idraulico a pochi anni
dalla sua inaugurazione in quanto completamente marcito, la pavimentazione non
è mai stata finita;
Vicenza: costruito in zona paludosa, il carcere si sta letteralmente sfaldando;
le fognature sono spesso intasate, lo stato dei locali docce è indecoroso, i
muri delle celle sono coperti di macchie di sangue e zanzare, in biblioteca
piove…
Asti: il carcere, costruito nel 1990, non è mai stato allacciato
all'acquedotto; l'acqua, prelevata da pozzi artesiani, è molto calcarea e
danneggia tubature e caldaie; quindi, docce e celle fredde, cibo freddo…
Grazie anche alle pressioni costanti dei consiglieri regionali radicali, nel
febbraio 2003 è stato firmato un accordo fra Comune di Asti e Provveditorato
regionale alle carceri che prevede l'allacciamento dell'istituto di pena
all'acquedotto nel giugno 2004;
Catania: qui l'acqua non c'è proprio.
Nel 2000 è stato approvato il nuovo regolamento di esecuzione dell'Ordinamento
Penitenziario (Decr. Pres. 30/06/00 n.230 - Regolamento Penitenziario).
Prevede: docce in cella; bidet per le donne; luce naturale sufficiente; cucina
per non più di 200 detenuti; asili nido…
Per l'adeguamento delle strutture esistenti sono previsti cinque anni di tempo;
sarebbe necessario ed urgente un monitoraggio globale delle strutture e un
progetto di ristrutturazione unitario che tenga conto degli standard normativi
minimi e dei suggerimenti del CPT.
Non vi è dubbio che la struttura di un carcere abbia una ricaduta sensibile
sulla qualità della vita al suo interno, sui rapporti fra detenuti e personale
penitenziario, sulla garanzia e sul rispetto dei diritti fondamentali. Non
aiutano sicuramente a far diminuire tensione, frustrazione, disperazione e
violenza: il sovraffollamento; l'igiene precaria (bagno e cucina nello stesso
angusto locale); due docce la settimana; cambio lenzuola ogni 15 giorni;
gabinetti alla turca o water separati dal resto della cella soltanto da un
muretto alto poco più di un metro; docce rotte, senza acqua calda; muri e
tubature che si sbriciolano …
Fonte : "Rapporto Antigone 2000".
Carcere
e personale
A fronte di una dotazione organica che dovrebbe essere di 44.406 unità, nel
mese di agosto 2002, il corpo di polizia penitenziaria registra 42.186 presenze,
con una carenza di 2.220 unità riscontrabile quasi esclusivamente nelle
qualifiche superiori.
Per quel che riguarda il settore della professionalità dirigenziale, a fronte
di un organico di 385 unità, il 1° luglio 2002 ne erano presenti solo 48 (-
337).
Gli assistenti sociali in organico dovrebbero essere 1.630; gli effettivi sono
1.235 (- 395).
Gli educatori previsti in organico dovrebbero essere 1.376; gli effettivi sono
588 (- 788).
Gli psicologi praticamente non esistono: dei 95 previsti, risultano presenti 4
(- 91).
I medici, dei 42 previsti sono presenti 20 (- 22).
Per quanto riguarda il Settore della professionalità Organizzativa e delle
Relazioni-Direttore, l'organico previsto corrisponde a 653 unità fra Direttori
Coordinatori, Direttori e Collaboratori; se ne contano invece 440 in tutto (-
213).
Ecco i maggiori problemi riscontrati nel corso delle visite ispettive degli
eletti radicali:
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Dialogo, o meglio "comunicazione", fra detenuti e quadri
dirigenziali del tutto assente (con eccezioni che confermano la regola); il
"dialogo" con gli agenti è spesso caratterizzato dal ricatto e
dalla minaccia; conseguenze: accesso ai benefici di legge del tutto
aleatorio; peggioramento del regime penitenziario per i soggetti
"problematici"…
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Abbiamo verificato nelle nostre visite il continuo trasferimento dei
direttori da un carcere all'altro; questo ha come conseguenza immediata
l'assunzione di potere eccessivo da parte del corpo di polizia
penitenziaria, in particolare del comandante degli agenti; abbiamo, inoltre,
verificato l'alto livello di conflittualità tra i Direttori ed i sindacati
di polizia penitenziaria. Quest'ultimi, sostenuti da lobby parlamentari,
auspicano una riforma che elimini tutto il personale civile dalla direzione
e amministrazione delle carceri.
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Gli abusi di potere, i soprusi, le altre violazioni dei diritti dei
detenuti (ad Alessandria, Biella, Napoli, Secondigliano si stanno celebrando
processi penali contro agenti di polizia penitenziaria per abusi e violenze,
ma ad emergere è solo la punta dell'iceberg) sono rese possibili anche
dalla mancanza di una vera e propria tutela giurisdizionale dei loro
diritti. L'ordinamento penitenziario prevede che il Magistrato di
Sorveglianza, l'Ispettore Distrettuale e il Direttore dell'Istituto debbano
offrire a tutti i detenuti la possibilità di entrare in contatto con loro.
Ove ciò non possa avvenire tramite periodici colloqui individuali, le
figure suddette devono visitare con frequenza i locali del carcere,
agevolando in tal modo la possibilità che questi si rivolgano a loro per
presentare istanze o reclami orali (Decr. Pres. 30/06/00 n. 230, art. 5 e
art. 75, commi 1, 2, 3 e 4) .
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Non ci sono quasi mai registri che certifichino la consegna di istanze e
ricorsi che i detenuti inoltrano all'ufficio Matricola.
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Pochi educatori = pochi rapporti trattamentali ai Magistrati di
sorveglianza = pochi benefici di legge ai detenuti che ne hanno diritto =
numerosi casi di corruzione, come quello avvenuto ad Alessandria, dove un
detenuto ha elargito 30 milioni ad una educatrice per ottenere un rapporto.
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Liberazione Anticipata (L. 26/07/75, n. 354): consente di ottenere 45
giorni di detrazione per ogni semestre di pena scontata, sempre che il
condannato abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione.
Recentemente è stata così modificata: il Magistrato di Sorveglianza ha la
competenza di decidere su questa concessione, alla quale provvede con
ordinanza adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti
(prima era di competenza del Tribunale di Sorveglianza, organo collegiale:
dovevano essere presenti il Procuratore Generale, gli avvocati, il detenuto;
conseguenze: traduzioni impegnative, soldi ai legali, tempi lunghissimi); la
normativa è stata estesa anche a chi è sottoposto all'affidamento in prova
al servizio sociale e sempre che abbia dato prova di "un concreto recupero
sociale desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi delle
sua personalità".
Ma la liberazione anticipata non viene affatto concessa in maniera
automatica: per vedersi negare il beneficio è sufficiente aver ricevuto un
semplice richiamo per essersi lavato la maglietta sotto la doccia, o aver
fumato in un luogo dove non è consentito, o per "simulazione di buona
condotta" o per non aver "socializzato con i familiari"
(fattispecie accaduta ad un ragazzo calabrese, di famiglia indigente,
trasferito nel carcere di Saluzzo - Cn, a 1300 km da casa, e quindi
nell'impossibilità di effettuare colloqui e di "socializzare" con
i familiari).
Fonti: Relazione agosto 2002 Partito Radicale - Rapporti Antigone 2000 e
2002
Fonti legislative: Legge 26/07/75 n. 354 (Ordinamento Penitenziario); Decr.
Pres. 30/06/00 n.230 (Regolamento Penitenziario).
Carcere
e assistenza sanitaria
Come sarà evidenziato anche nel successivo capitolo su "Carcere e
Tossicodipendenza", e come è facile constatare con una semplice visita
in un carcere italiano, i cittadini detenuti non accedono in quantità e
qualità alle stesse prestazioni sanitarie dei cittadini non detenuti.
Partendo da questa constatazione, il Governo D'Alema, su delega del
Parlamento, emanò nel giugno 1999 il Decreto legislativo n. 230/99
(Riordino della medicina penitenziaria). L'art. 1 del decreto è categorico:
"I detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato
di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi,
cura e riabilitazione, efficaci e appropriate […] Il Servizio sanitario
nazionale assicura, in particolare, ai detenuti e agli internati: a) livelli
di prestazioni analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi […] Ogni
Azienda unità sanitaria locale, nel cui ambito è ubicato un istituto
penitenziario, adotta un'apposita Carta di servizi sanitari per i detenuti e
gli internati[…] I detenuti e gli internati conservano l'iscrizione al
Servizio sanitario nazionale per tutte le forme di assistenza, ivi compresa
quella medico-generica. Sono iscritti al Servizio sanitario nazionale gli
stranieri, limitatamente al periodo in cui sono detenuti o internati negli
istituti penitenziari. Tali soggetti hanno parità di trattamento e piena
uguaglianza di diritti rispetto ai cittadini liberi, a prescindere dal
regolare titolo di permesso di soggiorno in Italia. I detenuti e gli
internati sono esclusi dal sistema di compartecipazione alla spesa delle
prestazioni sanitarie erogate dal Servizio sanitario nazionale."
Si tratta di principi giuridici di grande rilevanza e civiltà, che tendono
a equiparare il "diritto alla salute" (diritto costituzionalmente
garantito, vedi la sentenza della Corte Costituzionale 26 luglio 1979, n.88:
"Il bene a questa afferente - alla salute, ndr - è tutelato dall'art. 32
Costituzione non solo come interesse della collettività, ma anche e
soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo, sicché si configura
come un diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti
tra privati. Esso certamente è da ricomprendere tra le posizioni soggettive
direttamente tutelate dalla Costituzione e non sembra dubbia la sussistenza
dell'illecito, con conseguente obbligo della riparazione, in caso di
violazione del diritto stesso...") dei cittadini detenuti (ma non solo,
anche di chi non è cittadino italiano) a quello dei cittadini fuori dalle
sbarre.
Come è accaduto e accade in altri contesti, il diritto è rimasto sulla
carta, non si è inverato; affronteremo nel capitolo "Carcere e
Tossicodipendenza" la questione della mancata attuazione della parte
del D.Lgs. 230/99 inerente l'assistenza sanitaria ai cittadini td.ti (che
dal 1° gennaio 2000 sarebbero dovuti passare sotto il Servizio Sanitario
Nazionale, ai sensi dell'art. 8, comma 1, del decreto citato).
Rispetto ai detenuti non tossicodipendenti, il D.Lgs. 230/99 rimandava ad un
decreto successivo, da emanare entro trenta giorni dall'entrata in vigore
della riforma (entro il 15/08/99), l'individuazione di tre regioni in cui
avviare "il graduale trasferimento, in forma sperimentale, delle restanti
funzioni sanitarie" (art. 8, comma 2). Il decreto era emanato solamente il
20/04/00 e indicava una regione del Nord, una del Centro e una del Sud:
Toscana, Lazio e Puglia. Al di là delle questioni geografiche (la Toscana
fa parte del Nord?), sarebbe stato più opportuno che il governo indicasse
una regione settentrionale più "problematica" (Piemonte?
Lombardia? Liguria?), dove la sperimentazione sarebbe stata più
significativa. Altre regioni avrebbero potuto aggiungersi alla
sperimentazione; lo hanno fatto Emilia-Romagna, Molise e Campania. La
sperimentazione, a quasi quattro anni dall'entrata in vigore della riforma,
è ancora in corso…
Il D.Lgs. 230/99 conteneva anche la previsione di un "progetto
obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario", di
durata triennale, da emanare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore
della riforma (entro il 14/09/99); tale "progetto obiettivo" è
stato emanato il 21/04/00. Nel testo si affrontano sistematicamente i vari
settori della medicina penitenziaria e si enucleano le responsabilità in
materia dei vari soggetti coinvolti (Governo, Regioni, ASL).
I radicali, nel corso delle loro visite ispettive nelle carceri, hanno
potuto riscontrare il diffuso scetticismo degli addetti ai lavori rispetto
all'applicazione della riforma della medicina penitenziaria: scetticismo
rispetto alla concreta volontà delle ASL di farsi carico in prima persona
di un ulteriore servizio non certo remunerativo, né di facile gestione
organizzativa; scetticismo rispetto alla concreta volontà dei medici
penitenziari di abbandonare senza resistenze posizioni e status; scetticismo
rispetto alla concreta volontà delle direzioni degli istituti di pena di
non interferire con il lavoro delle équipe sanitarie. In definitiva, è
evidente e palpabile un ostruzionismo silenzioso attuato da diverse parti
nei confronti dell'attuazione della riforma, nella convinzione, formulata a
denti stretti, che "il nuovo governo farà marcia indietro…". Ci
interessa qui sottolineare una sola cosa: la guerra fra burocrazie,
apparati, interessi che si gioca in materia ha come sole vittime coloro che
dovrebbero essere i beneficiari della riforma: i cittadini detenuti.
Carcere e tossicodipendenza
La "Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze
in Italia nel 2001" - presentata dal Governo nel luglio 2002 - riporta
questi dati: dei 55.275 detenuti presenti al 31/12/2001, 15.442 erano
tossicodipendenti (27,94%); nell'ultimo decennio, la percentuale dei
detenuti td.ti rispetto al totale è costante. Fra i td.ti, 11.563 erano
italiani e 3.879 stranieri.
1.421 erano i detenuti sieropositivi all'HIV (2,57% del totale). Di questi
169 erano in AIDS conclamato (al 31 dicembre 2000 erano 128).
I detenuti in trattamento metadonico erano 1.686 (11% del totale).
Quale è la realtà dietro le cifre? Iniziamo l'analisi partendo dalle
parole del Governo: "…All'interno della Direzione Generale dei detenuti e
del trattamento, l'Ufficio Servizio sanitario ha rilevato che, sebbene
diversi interventi normativi (dal T.U. delle Leggi in materia di disciplina
degli stupefacenti n. 309/1990 al decreto legislativo n. 230/99) abbiano
affidato al S.S.N. (Ser.T.) l'assistenza del detenuto tossicodipendente,
tutta una serie di cause - mancanza di una programmazione specifica da parte
del Ministero della Sanità (ora Ministero della Salute), assenza di precise
direttive alle Aziende Sanitarie da parte degli Assessorati alla Sanità,
scarsità di finanziamenti finalizzati, incomprensioni tra sistema
penitenziario e Aziende Sanitarie - hanno comportato che il problema
tossicodipendenza in carcere non sia stato ancora affrontato nella maniera
dovuta…" (rel. cit, pag 76).
Quando le parole sono pietre; il Governo descrive dodici anni di
inadempienze e inattuazioni di legge: per un decennio, dal 1990 al 2000, la
responsabilità dell'assistenza sanitaria ai detenuti td.ti è stata
dell'unità (poi azienda) sanitaria locale "d'intesa con gli istituti di
prevenzione e pena ed in collaborazione con i servizi sanitari interni dei
medesimi istituti" (art. 96 DPR 309/90). Le "intese" e
"collaborazioni" fra il servizio tossicodipendenze (Ser.t.) dell'ASL
e il servizio interno di medicina penitenziaria sono rimaste spesso sulla
carta; il primo risponde al Ministero della Sanità (poi Salute), il secondo
a quello di Grazia e Giustizia (poi solo Giustizia). Il rapporto
problematico fra le due burocrazie ha comportato la mancata o insufficiente
assistenza sanitaria a migliaia di cittadini tossicodipendenti, rispetto a
tre precisi momenti della loro presenza in carcere: accoglienza; permanenza;
uscita dal carcere.
Illuminante a questo proposito è stata la vicenda riguardante i trattamenti
metadonici; il metadone è stato fino a due anni fa l'unico farmaco
sostitutivo consentito nella cura delle tossicodipendenze (ora c'è anche la
buprenorfina); dopo essere stato oggetto di attacchi indiscriminati nei
primi anni '90 (la "droga di Stato" che rendeva i ragazzi
"zombi"…), la sua diffusione quantitativa e qualitativa nei Sert
italiani è stata costante tanto da arrivare a dati odierni estremamente
significativi: praticamente un utente su due dei Sert usufruisce del
metadone (rel. cit, pag. 302 e 331). Dentro il carcere il metadone è
rimasto un farmaco proibito: sia per problemi organizzativi (chi lo porta in
carcere? Chi lo distribuisce? Chi lo custodisce? Il Sert o il servizio
medico interno?) sia per una malintesa finalità terapeutica. I radicali,
nelle loro periodiche visite nelle carceri, alla domanda "Quanti
tossicodipendenti sono detenuti?" si sono sentiti anche rispondere
"Qui non ci sono tossicodipendenti, perché qui la droga non c'è".
Spesso non si è risposto così, ma si è agito così; dal momento
dell'entrata in carcere si è negato al cittadino td.te la continuità del
trattamento terapeutico che aveva in corso con il Sert di riferimento o lo
si è sottoposto a trattamenti metadonici a scalare troppo rapidi e, perciò,
inefficaci; durante la sua permanenza in carcere, gli è stato negato il
trattamento metadonico "per liberarlo da qualsiasi dipendenza", in
realtà ponendolo di fronte a quest'alternativa: o farsi con le sostanze
proibite che comunque circolano nelle carceri o imbottirsi di tranquillanti
e antidepressivi, di droghe legali. La mancanza di adeguate terapie
metadoniche di sostegno, del cosiddetto "bastone chimico", produce
effetti deleteri anche nel momento dell'uscita dal carcere; il fisico
dell'ex-detenuto non è più assuefatto all'uso di droghe e la sua prima
endovena da libero può essere anche l'ultima.
I radicali hanno denunciato in tutte le sedi istituzionali questo stato di
cose, non ultime le sedi giudiziarie; il CORA (Coordinamento Radicale
Antiproibizionista) ha presentato tra il 1998 e il 2000 esposti in oltre 50
Procure italiane (vedi per approfondimenti "Il proibizionismo è un
crimine", CORA, 2000). Forse anche per questo, la situazione è un poco
migliorata; se nel 1999, su un totale di 15.097 detenuti td.ti, solamente
939 di essi usufruì di trattamenti metadonici (6,2%), nel 2001, su un
totale di 15.442 detenuti td.ti, sono stati 5.291 i trattamenti metadonici
effettuati; ricordiamo che un detenuto può usufruire di più trattamenti
metadonici nel corso dell'anno e che i trattamenti a mantenimento in carcere
nel 2001 sono stati solo 872; nei Sert i trattamenti a mantenimento sono
cinque volte quelli a breve termine e tre volte quelli a medio termine (vedi
"Relazione annuale… 1999" Tav. 2/39 e "Relazione annuale
… 2001" pagg. 331 e 339).
Anche sul piano legislativo vi sono state importanti innovazioni:
- il D.Lgs. 22 giugno 1999, n. 230 (Riordino della medicina penitenziaria),
in particolare: "il Servizio sanitario nazionale assicura, in particolare,
ai detenuti e agli internati: a) livelli di prestazioni analoghi a quelli
garantiti ai cittadini liberi" [art. 1]; "a decorrere dal 1° gennaio 2000
sono trasferite al Servizio sanitario nazionale le funzioni sanitarie svolte
dall'amministrazione penitenziaria con riferimento ai soli settori della
prevenzione e della assistenza ai detenuti e agli internati
tossicodipendenti" [art. 8]. La diversità di modalità di attuazione della
riforma penitenziaria in base ai soggetti destinatari (prima i detenuti td.ti
poi, previa sperimentazione, gli altri) testimonia la consapevolezza del
legislatore di quanto fosse necessario e urgente intervenire rispetto alla
questione "carcere e droga".
- la Circolare del Ministero della Sanità - allora Rosy Bindi - del 28
dicembre 1999 (Oggetto: Decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, recante
norme sul "Riordino della medicina penitenziaria…". Indicazioni
ed indirizzi in materia di prevenzione e di assistenza ai detenuti
tossicodipendenti.), in cui, tra l’altro, è scritto: "Tra gli obiettivi
di assistenza da garantire primariamente (ai detenuti tossicodipendenti)
vanno indicati: l’immediata presa in carico dei detenuti da parte del SERT
competente sull’istituto penitenziario, al fine di evitare inutili
sindromi astinenziali ed ulteriori momenti di sofferenza del
tossicodipendente, assicurando la necessaria continuità assistenziale […]
la predisposizione di programmi terapeutici personalizzati, predisposti a
partire da una accurata valutazione multidisciplinare dei bisogni del
detenuto, in particolare per quanto riguarda i trattamenti farmacologici
(metadone ecc.), anche di mantenimento; la disponibilità di trattamenti
farmacologici sostitutivi tenendo conto del principio della continuità
terapeutica (in particolare per le persone che entrano in carcere già in
trattamento), concordati e condivisi con il tossicodipendente detenuto";
- la Circolare del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero
della Giustizia - allora retto da Giancarlo Caselli - del 29 dicembre 1999
(Oggetto: trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni
sanitarie relative al settore della prevenzione ed al settore
dell’assistenza ai detenuti ed agli internati tossicodipendenti), in cui,
tra l’altro, è scritto: "è altresì noto che i SERT dal 1990 ad oggi
hanno prestato dei servizi che in determinati luoghi, sia per la ridotta
frequenza degli accessi in istituto penitenziario da parte dei medici
addetti a tale servizio, sia per obiettive difficoltà di raccordo
funzionale tra SERT ed istituto penitenziario, si sono rivelati non del
tutto soddisfacenti […] E’ tuttavia verosimile - oltre ad essere
auspicabile - che a partire dal 1° gennaio 2000 i SERT, in vista
dell’obiettivo finale dichiarato dalla legge di riordino della medicina
penitenziaria (il miglioramento dell’assistenza sanitaria offerta alla
popolazione detenuta e internata), si diano un’idonea organizzazione per
assicurare il funzionamento del servizio, aumentando la presenza di
operatori del SSN in ambito penitenziario. Ciò che avverrà certamente
anche nel settore della prevenzione, in ordine al quale oggi il SSN non è
presente negli istituti penitenziari […] Fermo restando lo status
giuridico ed economico in godimento al 31 dicembre 1999, dunque, a decorrere
dal 1° gennaio 2000 tutto il personale operante negli istituti penitenziari
nei settori della prevenzione e dell’assistenza ai tossicodipendenti sarà
posto alle dipendenze funzionali del SSN […] Sembra altresì opportuno
fornire le seguenti precisazioni (peraltro già sottolineate con riferimento
al SERT nella nota del Direttore Generale n. 150346/4-1-29 del 22 maggio
1998) in ordine ad alcuni possibili punti critici del nuovo regime: […]
deve essere assicurata al detenuto o internato tossicodipendente la
prosecuzione del programma terapeutico in svolgimento all’esterno; non
deve essere posto alcun ostacolo o resistenza di varia natura ad eventuali
interventi di disassuefazione mediante metadone o simili nei confronti di
tossicodipendenti."
- Il "Progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito
penitenziario" (D.M. 21 aprile 2000) ribadisce, rispetto all'assistenza
ai td.ti: "l'immediata presa in carico dei detenuti da parte del Sert
competente sull'istituto penitenziario, al fine di evitare inutili sindromi
astinenziali ed ulteriori momenti di sofferenza del tossicodipendente,
assicurando la necessaria continuità assistenziale […] la predisposizione
di programmi terapeutici personalizzati, predisposti a partire da
un'accurata diagnosi multidisciplinare dei bisogni del detenuto, in
particolare per quanto riguarda i trattamenti farmacologici (metadone,
ecc.), anche di mantenimento; la disponibilità di trattamenti farmacologici
sostitutivi tenendo conto del principio della continuità terapeutica (in
particolare per le persone che entrano in carcere già in trattamento),
concordati e condivisi con il tossicodipendente detenuto; l'attuazione di
trattamenti farmacologici con antagonisti, quando indicati, in particolare
nella fase di avviamento e preparazione all'assistenza post-detentiva."
Si evince chiaramente dal combinato disposto della normativa citata che dal
1° gennaio 2000 l'assistenza sanitaria ai detenuti td.ti è responsabilità
diretta del Servizio Sanitario Nazionale, tramite i Sert delle ASL. Abbiamo
già scritto dell'inattuazione di questa riforma di civiltà nel capitolo
"Carcere e assistenza sanitaria"; qui ci interessa sottolineare
che, a tre anni dall'entrata in vigore della normativa, nulla giustifica più
le inadempienze del Governo, delle Regioni, delle ASL, dei SERT; l'azione
radicale in difesa della vita del diritto perché diritto alla vita (e mai
come nelle carceri questo è vero) non ha che l'imbarazzo della scelta…
.Tossicodipendenza - Statistiche dell'Amministrazione penitenziaria
Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria
Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato
- sezione statistica
TOSSICODIPENDENTI - Dati riferiti al 30 Giugno 2002
Sesso Tossicodipendenti Alcoldipendenti In tratt. Metadonico
valori assoluti valori % (*) valori assoluti valori % (*) valori assoluti
valori % (*)
Donne 749 1,3% 24 0,0% 139 0,2%
Uomini 14.949 26,6% 832 1,5% 1.413 2,5%
Totale 15.698 27,9% 856 1,5% 1.552 2,8%
(*) Nota: Le percentuali sono calcolate rispetto ai detenuti presenti.
HIV - Statistiche dell'Amministrazione penitenziaria Dipartimento
dell'Amministrazione penitenziaria Ufficio per lo sviluppo e la gestione del
sistema informativo automatizzato - sezione statistica Dati riferiti al 30
Giugno 2002 DETENUTI AFFETTI DA HIV Detenuti affetti da Hiv (*): 1.401 pari
al: 2,5% dei detenuti presenti (*) Nota: Il test per l'Hiv è volontario. Il
numero degli affetti da Hiv può pertanto risultare sottostimato.
Carcere
e lavoro
Fra tutti i detenuti nelle carceri italiane solo 13.704 hanno la possibilità
di svolgere un lavoro.
Si è passati da una percentuale del 43,54 % nel giugno 1990 al 24,79 %
attuale.
Un detenuto su quattro ha oggi la possibilità di svolgere un lavoro a
stipendio dimezzato perché condiviso con un altro detenuto che altrimenti
non avrebbe questa opportunità.
L'85 % dei detenuti lavoranti è alle dipendenze dell'amministrazione
penitenziaria e svolge lavori di pulizia o di preparazione e distribuzione
del vitto.
Il restante 15 % è costituito per la maggior parte da semiliberi dipendenti
da datori di lavoro esterni.
Corsi professionali: nell'ultimo semestre del 2001 si è raggiunta la punta
minima con il 5,23 % dei detenuti impegnati nei corsi; nel primo semestre
del 1998 erano l'8,4 %.
Uno dei problemi cruciali in materia è stato ben evidenziato dal Magistrato
di Sorveglianza di Alessandria, dott. Alberto Marcheselli, nel corso di un
incontro con una delegazione radicale: a fronte di un'ottima offerta di
lavoro da parte del territorio, vi è l'impossibilità di avviare a
programmi di lavoro i detenuti per l'insufficienza degli educatori presenti
in carcere (che devono stilare le relazioni a sostegno della concessione del
lavoro esterno).
A questo proposito, è da segnalare come estremamente positiva la decisione
del Consiglio Regionale del Piemonte di approvare un emendamento radicale
alla Legge Finanziaria del 2003 che stanzia 600.000 euro per la stipulazione
di convenzioni fra gli enti gestori delle prestazioni socio-assistenziali
(comuni, consorzi e Asl) e l'amministrazione penitenziaria, convenzioni
volte a potenziare la dotazione di personale sociale, in particolare di
educatori, all'interno degli istituti di pena piemontesi.
Lo stato delle cose è felicemente riassunto in questo articolo di Libero
del 31/07/02:
"SPETTACOLI ANZICHE' SCUOLA E LAVORO E IL CARCERE NON RIEDUCA
NESSUNO…"
"La maggior parte delle attività rieducative organizzate nelle carceri
italiane sono futili e improvvisate. Va di gran moda organizzare recite
teatrali (attività che aiuta il detenuto a tirar fuori la parte negativa di
sé); favorevoli sono anche molte amministrazioni comunali che trovano nel
teatro un sistema relativamente semplice per finanziare piccole compagnie
teatrali disoccupate. Organizzare partite di calcio, mostre di ceramica o
concorsi di poesia vengono considerati segno di risocializzazione […] Per
motivi di elezioni, nel corso degli anni le leggi garantiste che erano state
fatte, sono state ritirate, o comunque riempite di tali cavilli che ormai
non vengono più applicate. Tipo la legge Simeone-Saraceni, che per le
persone chiamate a tornare in carcere dopo tanti anni prevedeva, in caso di
condanna inferiore a tre anni, che un magistrato dovesse esaminare in tempi
brevi la richiesta di lavorare di giorno e andare in carcere di notte,
oppure sostituire la carcerazione con gli arresti domiciliari. I politici,
per non essere tacciati di buonismo, l'hanno infarcita di commi ed
emendamenti e oggi viene applicata in media in 1 caso su 100."
.Lavoro - Statistiche dell'Amministrazione penitenziaria
Dipartimento dell'Amministrazionepenitenziaria
Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato
- sezione statistica
Dati riferiti al 30 Giugno 2002
DETENUTI LAVORANTI: 14.355 pari al: 25% dei detenuti presenti
Il compenso percepito dai detenuti con il lavoro turnativo è mediamente
inferiore di 1/3 a quello previsto dai contratti collettivi di lavoro (L.
354/75, art. 22). Un addetto alle pulizie guadagna al netto poco più di 3
euro all'ora (fonte: www.ristretti.it) .
Fonti: Relazione Agosto 2002 Partito Radicale - DAP 2002.
Piccole
grandi illegalità
1) Trasferimenti
Pena nella pena, i trasferimenti vengono usati come sanzione punitiva oppure
come "scambio di favori o dispetti" tra un carcere e l'altro ad
opera di direttori e comandanti delle guardie.
Il trasferimento comporta l'interruzione traumatica di legami affettivi, di
percorsi di lavoro o di studio, sospendendo di fatto un percorso formativo
indispensabile al futuro reinserimento in violazione al regolamento
sull'ordinamento penitenziario (Decr. Pres. 30/06/00 n. 230 art. 41, comma 4
e art.83, comma 9°.
Spesso i parenti non vengono avvisati, così scoprono dell'avvenuto
trasferimento quando si presentano al colloquio, in violazione del
regolamento sull'ordinamento penitenziario (Decr, Pres. 30/06/00, art. 62,
commi 1 e 2).
Spesso gli effetti personali che dovrebbero seguire il detenuto sono
consegnati anche dopo mesi, in violazione del regolamento sull'ordinamento
penitenziario (Decr. Pres. 30/06/00 n. 230, art.83, commi 3 e 6).
2) Controllo - Disciplina - Perquisizioni
A Palermo (Poggioreale) e Napoli (Secondigliano) i detenuti sono sottoposti
al controllo tre volte al giorno, stando in posizione di
"attenti"; devono camminare spalle al muro se incontrano un agente
penitenziario; sono costretti ad attendere faccia al muro il proprio turno
per il consiglio di disciplina.
A Poggioreale perquisizioni particolarmente invasive a parenti, anche
bambini, ed agli avvocati, tanto da renderli restii ad andare in carcere.
A Sulmona i detenuti sono costretti a chinarsi in avanti e a farsi
perquisire l'ano; minacce di isolamento per quindici giorni se non si esegue
l'ordine.
In generale, in tutte le carceri:
- perquisizioni in cella senza rispetto dei beni appartenenti ai detenuti,
in violazione al regolamento sull'ordinamento penitenziario (Decr. Pres.
30/06/00 n. 230, art. 74, comma 3);
- la notte, deprivazione del sonno causa urli spropositati ogni due ore al
cambio della guardia sul muro di cinta;
- luce notturna o faro tascabile puntato in faccia ogni due ore, in
violazione al regolamento sull'ordinamento penitenziario (Decr, Pres.
30/06/00 n. 230, art. 6, comma 4).
E ancora …
Istituti Modalità di controlli notturni
Asti controlli ogni quindici minuti
Vercelli controlli ogni ora
Padova C.R. apertura spioncini, accensione luce notturna, faretto o
torcia, in alcuni casi accensione luce a giorno apertura
con ispezione interna
Padova C.C. apertura stanze, conta e controllo visivo degli ambienti
Parma tramite spioncino con accensione luce interna
Sollicciano accensione luce celle, visionando con lo spioncino
Massa ogni 30 minuti in particolare dalle 24,00 alle 3,00
Rebibbia N.C. ogni ora controllo tramite sala regia, più conta alle 3,00
3) Colloqui
Nonostante il Decr. Pres. 30/06/00 n. 230, art. 37 c. 5, preveda che i
colloqui avvengano in locali interni senza mezzi divisori o in spazi
all'aperto a ciò destinati, in numerose carceri permangono i vetri
divisori.
4) Sopravvitto
Riferimenti normativi:
- Legge 26 Luglio 1975, n° 354 (Ordinamento Penitenziario), art. 9, comma 7
(Alimentazione):
"Ai detenuti e agli internati è consentito l’acquisto, a proprie spese,
di generi alimentari e di conforto, entro i limiti fissati dal regolamento.
La vendita dei generi alimentari o di conforto deve essere affidata di
regola a spacci gestiti direttamente dall’Amministrazione Penitenziaria, o
da imprese che esercitano la vendita a prezzi controllati dall’autorità
comunale.
I prezzi non possono essere superiori a quelli comunemente praticati nel
luogo in cui è sito l’Istituto. Una rappresentanza dei detenuti o degli
internati, designata mensilmente per sorteggio e integrata da un delegato
del direttore, scelto tra il personale civile dell’Istituto, controlla
qualità e prezzi dei generi venduti nell’Istituto."
- D.P.R. 29 Aprile 1976, n°431 (Regolamento di esecuzione), art. 12, comma
6 (Controllo sul trattamento alimentare e sui prezzi dei generi venduti
nell’istituto):
"La direzione richiede mensilmente all’autorità comunale informazioni
sui prezzi correnti all’esterno, relativi ai generi corrispondenti a
quelli in vendita da parte dello spaccio e mette a disposizione della
rappresentanza dei detenuti e degli internati le informazioni ricevute."
- Circolare D.A.P. 27 Aprile 1988 n° 687465. 1/3 (Sopravvitto detenuti):
"Si invitano le SS. LL. ad eseguire costanti, puntuali e penetranti
controlli in ordine al servizio del sopravvitto detenuti. Particolare
attenzione dovrà essere posta in merito ai prezzi praticati che, in
osservanza all’ultimo comma dell’art.12 del Regolamento di Esecuzione,
andranno confrontati con le informazioni sui prezzi correnti all’esterno,
richiesti mensilmente all’Autorità comunale locale…"
"La tariffa di tutti i generi posti in vendita [Mod.72], dovrà essere
diffusa all’interno delle sezioni, costantemente…"
"Oltre ai suddetti generi come è noto, i detenuti potranno procurarsi, nel
rispetto dei limiti di spesa e facendone richiesta mediante la
"domandina" [Mod. 393], generi ed oggetti non tariffati…"
"È indispensabile, quindi, che anche i prezzi di tali particolari
forniture, vengano controllati da personale incaricato dalle SS. LL.,
affinché sia verificato che non superino quelli praticati nei negozi più
modesti del luogo e che non prevedano alcuna percentuale di aumento…." "Le
SS. LL. saranno ritenute personalmente responsabili degli adempimenti
sopraindicati."
In ogni carcere, funziona uno spaccio, al quale è possibile acquistare
prodotti alimentari, tabacchi, generi vari, dalla cartoleria,
all’abbigliamento, ai medicinali. Alcuni prodotti sono forniti tramite
semplici ordinazioni rivolte all’impresa che gestisce lo spaccio; altri,
devono essere richiesti utilizzando la "domandina" [Mod.393], un
modulo che viene vistato dalla direzione. I prezzi di questi prodotti sono
controllati mensilmente da un ufficio comunale che deve garantire non
superino "quelli comunemente applicati nei negozi più modesti del
luogo".
In realtà i prezzi sono esorbitanti e non trovano riscontro all'esterno.
Da considerare, inoltre, come abbiamo visto, che l'80% circa dei detenuti
non ha possibilità di lavorare e quando lavora percepisce uno stipendio
inferiore di 1/3 rispetto a quello che percepirebbe fuori.
E' stata eseguita un'indagine, dall'ufficio stampa del centro documentazione
Due Palazzi (Padova), nel mese di febbraio del 2000, selezionando un
"paniere" di prodotti tra quelli di più largo consumo, accostando
i prezzi praticati all'interno della Casa di Reclusione di Padova e
dell'Istituto di Pena Femminile della Giudecca (VE) a quelli praticati in un
esercizio commerciale di Padova (Supermercato ALI) e nel Centro Giotto
"Città Mercato" dove si effettuano offerte speciali; va
considerato che le offerte speciali in carcere non vengono mai effettuate
anche quando per ragioni di magazzino, di mercato, o di stagione potrebbero
essere fatte.
"Radio Carcere" ci spiega che dietro il vitto ed il sopravvitto c'è
un grande business; togliere, dalla porzione che gli spetta, 20 grammi di
carne a ciascun detenuto, determina un accumulo che viene ridistribuito tra
il personale penitenziario che se lo porta a casa (zucchero, caffè,
pasta…).
"Una rappresentanza dei detenuti o degli internati, designata mensilmente
per sorteggio e integrata da un delegato del direttore, scelto tra il
personale civile dell’Istituto, controlla qualità e prezzi dei generi
venduti nell’Istituto." Legge 26 Luglio 1975, n° 354 (Ordinamento
Penitenziario). Art. 9, Comma 7.
"Radio Carcere" racconta di un rappresentante "estratto"
dei detenuti che si era fatto un programma di carico e scarico delle merci
acquistate per la mensa, che monitorava l'entrata e l'uscita dei generi
alimentari "al grammo". Tale rappresentante, appena mostrato il
programma al delegato del direttore, fu minacciato di rimozione immediata
dall'incarico, nel caso avesse continuato ad usare il programma…
5) Trasferimenti negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari/OPG (Dpr. Pres.
30/06/00 n.230 art.112)
Il trasferimento negli OPG viene spesso usato come sanzione per motivi anche
banali: sciopero della fame (registrato come "disturbo
dell'alimentazione"); lite con un altro detenuto (registrata come
"turbe comportamentali di tipo antisociale, incompatibilità marcata
verso i compagni di cella).
Nei periodi festivi natalizi ed estivi, il fenomeno si acutizza; l'ipotesi
è che a causa del sovraffollamento ed in relazione ad una minore presenza
di personale penitenziario si tenda a disfarsi di quei soggetti
"fastidiosi" per il buon equilibrio dell'istituto. Ipotesi
difficile da provare ma un'indagine statistica effettuata nell'OPG di Aversa,
indicante i motivi dell'invio in osservazione in OPG e le relative diagnosi
operate dagli psichiatri, ad osservazione conclusa parla da sola: nella
categoria "Missing" sono stati raccolti numerosi casi in cui
mancava qualsiasi tipo di indicazione e motivazione di invio; inoltre, solo
61 casi, su 667 soggetti osservati, sono stati ritenuti bisognosi di
trasferimento e cure in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
Fonte: " Ristretti " ottobre-novembre 2002
6) Mancata applicazione della legge sulle detenute madri:
Fonte: Osservatorio nazionale sull'esecuzione penale e le condizioni di
detenzione/Pre-Rapporto 2001:
Donne in carcere
"Il carcere è prevalentemente abitato da uomini. La percentuale di donne
sulla popolazione detenuta al 31 maggio 2001 era inferiore al 5% per un
numero complessivo di 2425. Il totale delle donne entrate in carcere dallo
stato della libertà nel 2000 è di 6519 unità. Numero stabile rispetto al
decennio precedente, salvo le quasi 8000 unità del 1992. Esse sono
suddivise in sei istituti e svariate sezioni femminili all’interno di
istituti misti.
1151 sono imputate, 1193 condannate, di cui 81 in semilibertà, 81
internate. 946 le donne straniere (percentualmente di poco superiori al
numero delle donne italiane detenute)
Secondo dati riferibili al primo gennaio 2001 tendenzialmente la popolazione
femminile è condannata a pene inferiori rispetto alla popolazione totale
detenuta. L’11,75% delle detenute è priva di titolo di studio e il 4,71%
è analfabeta. Il 35,78% possiede il diploma di scuola media inferiore. Il
20,92% ha il diploma di scuola media superiore o titoli di formazione
professionale, l’1,64% é laureata. Fra le donne i reati più
frequentemente commessi sono in violazione della legge sulla droga (32,71%).
Ovviamente compare la voce prostituzione, pur non essendo incriminabile lo
status di prostituta, con una percentuale del 5,10%.
Fra gli ultimi atti della tredicesima legislatura, a febbraio 2001, è stata
definitivamente approvata la legge che prevede nuove misure alternative alla
detenzione a tutela del rapporto fra detenute e figli minori. I bambini in
carcere con le loro madri sono meno di 50. Dopo alcuni mesi di applicazione
la legge non ha ancora prodotto risultati significativi, in quanto non
prevede forme automatiche di scarcerazione per quelle detenute che hanno
bambini con età inferiore ai 10 anni."
Sono circa sessanta i piccoli "ospiti" dei penitenziari
Bimbi in carcere con le mamme la nuova legge non funziona
[Gazzetta del Mezzogiorno, 11 agosto 2002]
Laura ha grandi occhi grigio-verde, un sorriso contagioso, uno sguardo a
volte spaventato. Ha quasi 2 anni e dovrebbe trascorrere questi giorni in
vacanza: a lei, però, l'estate non riserva castelli di sabbia. Laura è uno
dei 20 minori tra 0 e 3 anni che vivono con le madri nel carcere romano di
Rebibbia.
In Italia sono una sessantina i bambini che vivono in carcere con le mamme:
un numero che, nonostante una legge sulle detenute madri varata nel 2001,
quasi al termine del Governo di centrosinistra, non tende a diminuire. I
dati mostrano che negli anni la situazione non si è sostanzialmente
modificata: i bambini in carcere erano 57 a fine '93, 52 nel '97, 60 nel
'99, 63 a dicembre 2001.
La legge, sulle "misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto
tra detenute e figli minori" era stata presentata nel '97 dall'allora
ministro per le Pari opportunità Anna Finocchiaro. Riservato alle
condannate madri di bambini che non hanno più di 10 anni, il provvedimento
introduce l'istituto della carcerazione domiciliare speciale nell'abitazione
della detenuta o in strutture di cura, assistenza o accoglienza. Tutte le
detenute possono usufruire del provvedimento, anche se hanno compiuto reati
gravi, ad alcune condizioni: principalmente che abbiano scontato un terzo
della pena e che, nei casi di ergastolo, abbiano scontato almeno 15 anni.
E ancora, devono esistere le normali condizioni per ripristinare una normale
convivenza tra madre e figlio e non deve esservi il pericolo che la donna
compia gli stessi o simili atti per i quali è stata condannata. Ad un anno
e mezzo dal varo del provvedimento, tuttavia, i risultati che ha prodotto
sono piuttosto deludenti, tanto da indurre la stessa Finocchiaro ed altri
deputati, qualche tempo fa, a presentare una interrogazione in cui si
evidenzia che "la legge risulta pressoché inapplicata, mentre sale il
numero dei bambini d'età inferiore ai 3 anni detenuti in carcere insieme
alle madri" e si chiede "quali iniziative il Governo abbia già adottato o
intenda adottare."
Detenuti
stranieri
1991 erano il 17,3 %
1996 il 28,1 %
1999 il 33,4 %
2000 il 36,2 %
2001 il 35,8 %
2002 il 30,1 %
Per gli stranieri, ancor più che per gli italiani, si fa ricorso alla
custodia cautelare e questo fa si che quasi il 60 % degli stranieri nelle
carceri italiane sia in attesa di giudizio, contro il 40 % degli italiani.
Le loro garanzie di difesa in sede processuale risultano essere meno
tutelate per una serie di ragioni:
non possono permettersi il difensore di fiducia e devono quindi ricorrere
al difensore d'ufficio (il gratuito patrocinio è spesso impraticabile,
mancando la possibilità di dimostrare il reddito);
difficoltà linguistiche, di comunicazione e di scarsa conoscenza del
sistema giuridico italiano;
è facile dimostrare come, nei confronti degli stranieri provenienti dai
paesi poveri, l'istituzione giudicante mostra in genere un livello di
attenzione minore rispetto a quello che viene garantito a chiunque per
status, benessere economico e posizione sociale abbia strumenti di tutela da
attivare in caso di errori giudiziari o di palese violazione delle garanzie
di difesa; ne è un esempio la brevità con cui vengono chiusi i processi a
carico di stranieri e la frequenza con cui in questi casi si consiglia
all'imputato di optare per il patteggiamento della pena.
|
infine, a parità di imputazione o di condanna, la permanenza in carcere
degli stranieri è mediamente più lunga di quella degli italiani, sia in
fase di custodia cautelare che dopo l'eventuale sentenza.(non solo per la
difficoltà ad avere un domicilio certificato per poter usufruire degli
arresti domiciliari, ma perché da parte della Magistratura di Sorveglianza
si riscontra spesso un atteggiamento di maggior chiusura nei confronti degli
stranieri che rende loro ancor più infrequente che per gli italiani il
ricorso a percorsi penali alternativi al carcere).
|
Un ultimo fattore che è importante citare è che, sempre in conseguenza
dell'impossibilità a certificare il luogo di residenza loro e della loro
famiglia, sono i primi ad essere coinvolti nei periodici sfollamenti che
interessano molti degli istituti penitenziari.
Fonte: "Rapporto Antigone 2002"; Relazione Agosto 2002 Partito
Radicale
41 bis
Sezioni del 41 bis: Cuneo, L'Aquila, Marino del Tronto (Ascoli Piceno),
Novara, Parma, Pisa (Centro Diagnostico Terapeutico), Rebibbia (Femminile),
Rebibbia (Maschile), Secondigliano (Napoli), Spoleto, Terni, Tolmezzo
(Udine), Viterbo
Detenuti in 41 bis (al 27-7-02): 645, di cui 17 nell'Area Riservata
Posizione giuridica: 421 definitivi (e non); 55 ricorrenti; 81 appellanti;
79 in attesa di primo giudizio; 9 non classificati (dati non forniti
dall'ufficio matricola di alcune carceri)
Le sezioni del 41 bis sono gestite dai GOM (Gruppo Operativo Mobile),
reparti speciali dei quali abbiamo potuto verificare la professionalità e,
in linea di massima, l'uniformazione alle regole dettate centralmente.
Laddove la gestione non è affidata ai GOM, come nel carcere di Parma, la
situazione è al limite più grave, dal punto di vista del trattamento
riservato ai detenuti in 41 bis, come se i custodi "normali" di
detenuti così "speciali" volessero dimostrare che anche loro
sanno gestire il "carcere duro" e, per dimostrarlo, adottano
qualche restrizione supplementare.
L'Area Riservata... riservata a chi?
Le 13 sezioni dei 41 bis sono quasi sempre in una palazzina separata dal
resto del carcere e 6 di queste hanno una cosiddetta Area Riservata per i
detenuti "eccellenti" del tipo di Totò Riina, Leoluca Bagarella,
Nitto Santapaola e pochi altri, 17 in tutto. Di solito sono al piano terra
della sezione, quella meno areata e illuminata del carcere, con il bagno
nella stanza che spesso è un cesso alla turca o nel migliore dei casi un
water posto dietro a un muretto. Il "passeggio" di questi detenuti
più "speciali" degli altri è una possibilità spesso non
sfruttata perché andare all'aria per loro vuol dire andare in una sorta di
gabbia di cemento armato di due, tre metri per cinque e alta tre metri,
chiusa in cima da una pesante rete a maglie molto strette.
I detenuti dell'Area Riservata sono totalmente isolati dagli altri detenuti
in 41 bis, ma in quest'area sono finiti anche detenuti dallo scarso rilievo
criminale, i quali dopo una lunga e accurata selezione sono stati designati
dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria a fare da compagni ai
"capi di Cosa Nostra" dopo che, da un paio d'anni a questa parte,
i giudici hanno riconosciuto anche a loro il diritto all'aria in comune e
alla socialità. É quanto accaduto a Salvatore Bavarese, un condannato per
associazione a delinquere di stampo camorristico entrato in carcere nell'82
e uscito nel '96, poi rientrato nel '99 per una condanna a 3 anni e che
quando abbiamo incontrato aveva un mese a fine pena [nel frattempo sarà già
uscito]. E' stato messo al carcere duro di Ascoli nell'aprile del 2001,
proveniente dal carcere di Trani dove non era in 41 bis e ora non capisce
cosa faccia uno come lui, il detenuto forse meno pericoloso d'Italia, in una
sezione col "pericolo pubblico numero uno". Il risultato è che su
di lui si sono determinati un isolamento pressoché totale e le più dure
condizioni del carcere duro mai riservate a un detenuto italiano: nel
budello dell'aria non ci va quasi mai, come d'altra parte Riina, e a fare
socialità nella cella del "capo di Cosa Nostra" nemmeno, "perché
- ci ha detto - con tutte quelle telecamere è come andare nella casa del
Grande Fratello".
Le sezioni "normali" del 41 bis
Le sezioni "normali" del 41 bis hanno un bagno separato ricavato
in un angolo e con il water. In alcune sezioni, come quelle di Cuneo,
L'Aquila, Viterbo, alle finestre delle celle ci sono fino a tre
sbarramenti: il primo di sbarre vere e proprie, il secondo di una rete
abbastanza fitta, il terzo fatto da una serie di fasce di ferro o di vetro
antiscasso attaccate una sopra all'altra a formare una specie di tapparella
(chiamata, chissà perchè, "gelosia" in gergo penitenziario)
leggermente inclinata verso l'esterno dalla quale filtra poca aria e poca
luce. I detenuti di queste celle hanno avuto in questi anno un notevole
abbassamento della vista. E' una delle tante limitazioni vissute nelle
sezioni del 41 bis che i detenuti di Viterbo, rivolgendosi al Capo dello
Stato in una lettera del 5 agosto scorso hanno definito "come sofferenze
inutili e non ragionevoli, inflitte per mero sadismo, tanto da far maturare
nel popolo dei reclusi la certezza che le stesse abbiano il solo scopo di
annullare del tutto persino la loro coscienza e volontà".
I detenuti di queste sezioni vanno all'aria, due ore al giorno, in gruppi di
6 o 7, così pure in socialità in una saletta normalmente ricavata da due
celle a cui hanno tolto il muro divisorio o, in alternativa, vanno in una
cosiddetta palestra dove di solito c'è una cyclette, un vogatore (quando
funziona) e una panca per fare i pesi. I passeggi per l'ora d'aria variano
da carcere a carcere. Si va da quelli davvero ridotti di Viterbo a quelli
grandi come campi di calcetto di Spoleto.
In queste sezioni, ci sono anche detenuti che non hanno lo spessore
criminale di capi mafiosi. Intanto, un terzo è in attesa di un giudizio
definitivo, e molti di coloro condannati in via definitiva, hanno già
scontato la pena per il reato 'ostativo' alla concessione dei benefici
penitenziari che ha motivato l'applicazione del 41 bis.
Il vetro dello scandalo
I colloqui, uno al mese, si svolgono in un locale di solito molto piccolo,
una sorta d'acquario col vetro divisorio fino al soffitto, telecamera,
citofono per parlare coi parenti. Le sale "colloqui", quanto a
dimensioni vanno dalle più grandi, nel carcere di Tolmezzo, alle più
piccole di Viterbo e L'Aquila dove consistono in due "cabine
telefoniche" di 1 metro per 1 metro, una dalla parte del detenuto dove
più o meno una persona ci sta, l'altra dalla parte dei familiari dove
devono fare i turni per parlare al citofono.
Poi ci sono quelle senza vetro divisorio che servono per i dieci minuti di
colloquio consentiti coi figli minori di 12 anni: non hanno il vetro fino al
soffitto ma un bancone che consente il contatto fisico comunque sottoposto a
videoregistrazione da parte di una telecamera. In queste sale si verificano
di solito le scene più penose: bambini in tenera età che - staccati dalla
madre che non può accompagnarli - piangono, urlano, scappano dal padre che
non hanno mai visto o non riconoscono più dopo tanti anni. Sono diffusi i
casi di figli minori di detenuti in 41 bis che sono sottoposti a trattamenti
psicoterapeutici.
Il vetro divisorio è il problema su cui tutti i detenuti si sono
soffermati. "La nostra protesta civile è per abbracciare i nostri figli.
Il vetro divisorio è una tortura psicologica, ci sono mezzi alternativi,
telecamere, microfoni e quant'altro. Se lo mantengono è solo per farci
pentire, ma il pentimento coercitivo non è genuino", hanno dichiarato
molti detenuti. Pur di avere un minimo contatto coi propri cari, un detenuto
è arrivato a proporre: "Possono farci mettere solo le mani attraverso due
buchi praticati nel vetro come avviene in certi laboratori per i ricercatori
che devono trattare sostanze pericolose". Sostanze pericolose, non è detto
a caso: nei decreti ministeriali di assegnazione al 41 bis, i familiari e la
loro visita sono chiaramente visti come la fonte principale del pericolo per
l'ordine e la sicurezza pubblica.
Sui colloqui con o senza vetro è illuminante un episodio riportato nella
Relazione del Procuratore Generale della Corte d'Appello di Caltanissetta
per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2000 (15 gennaio 2000). Tra le
operazioni di polizia giudiziaria che hanno avuto successo nella relazione
si cita il fatto che: "In data 21/01/1999 ancora la Squadra Mobile eseguiva
un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Paolello Antonio e
Tascone Leonardo in ordine ai delitti di associazione per delinquere di tipo
mafioso e tentata evasione. Il provvedimento scaturiva dall'esito di mirate
indagini che, sulla base di videoregistrazione dei colloqui in carcere tra
il detenuto Paolello e il nipote Tascone nonché di intercettazioni
ambientali, avevano portato ad accertare un piano di fuga del primo da
eseguire con l'impiego delle armi anche a costo di commettere una strage
durante una delle tante sue traduzioni per partecipare a udienze processuali".
Dalla notizia si evince che i colloqui coi familiari possono essere
videoregistrati e costituire fonte di informazione utile per attività
investigative e per prevenire reati... Con buona pace del vetro divisorio!
C'è poi chi ci mette del suo
Oltre alle limitazioni scritte nel decreto del ministro e che valgono per
tutti i detenuti in 41 bis, c'è poi il valore aggiunto limitante che è a
discrezione del singolo direttore del carcere: la lista della spesa
consentita varia da sezione a sezione; a Spoleto sono pericolosi i fagioli,
a Parma le uova, a Terni i sigari (anche se fumati all'aria). In un carcere
è consentito il walkman per studiare l'inglese in altri no. In uno i libri
non pesano nel conto dei dieci chili mensili consentiti per i pacchi dalla
famiglia, ad Ascoli fanno peso. A L'Aquila è consentito indossare una
giacca imbottita e trapuntata durante l'inverno, privilegio che non possono
avere i detenuti a Viterbo e a Novara, però in cambio a Novara come pure a
Cuneo, a discrezione del Tribunale di Sorveglianza, ai detenuti possono
essere concessi fino a 4 pacchi al mese dalla famiglia e a Parma addirittura
4 colloqui.
Nelle sezioni del 41 bis, i detenuti non possono frequentare corsi
scolastici, si può studiare solo per proprio conto e l'unico intermediario
coi professori è un educatore, che però si fa vedere raramente.
Ciononostante, non sono rari i casi di detenuti che si sono diplomati in 41
bis o hanno conseguito una laurea o la stanno conseguendo.
La salute in 41 bis
La cura della salute di questi detenuti è un optional ed è affidata al
buon cuore di operatori penitenziari, spesso gli stessi agenti, piuttosto
che alla presenza di un presidio sanitario efficace. Non sono rari i casi di
detenuti infartuati, colpiti da ictus, operati di cancro, di paralizzati o
costretti sulla sedia a rotelle che non hanno il "piantone" in
cella o non l'hanno avuto nemmeno pochi giorni dopo l'operazione.
Leonardo Vitale, 47 anni (anche se ne dimostra 70), operato per un tumore al
cervello il 31 luglio 1999 all'Ospedale S. Camillo di Roma, è stato dimesso
il 7 agosto e dopo sette giorni messo in una cella dell'Area Riservata della
sezione 41 bis del carcere di Viterbo, dove è tuttora, da solo e con grandi
difficoltà a usare il cesso alla turca.
Antonino Geraci, 85 anni, da 86 chili che pesava nel '92 quando è entrato
in carcere, direttamente al 41 bis, ora ne pesa 57. E' nel cosiddetto centro
clinico della sezione 41 bis di Secondigliano, quasi cieco, sempre a letto o
sulla sedia a rotelle, non va all'aria da più di un anno e non ha il
piantone. Lo
aiuta un compagno di cella, Francesco Loiacono, che del piantone avrebbe
bisogno lui stesso, con i suoi tre infarti già avuti e il cuore al 65%
necrotico, e che invece è costretto a imboccare l'altro per farlo mangiare
e accompagnarlo al cesso per fargli fare i bisogni.
Da denuncia penale è la situazione nel Centro Diagnostico Terapeutico del
Carcere di Parma dove vi sono anche 4 detenuti in 41 bis, ai quali per non
fargli avere contatti con i detenuti "normali" tengono la blindata
chiusa dalla mattina alla sera e gliela aprono di notte (insomma, tutto al
contrario). Uno di questi è Marcello Gambuzza, in carcere da 5 anni, è
sempre stato nel circuito normale, ma da un mese è in 41 bis. Entrato in
carcere già sulla sedia a rotelle per un colpo d'arma da fuoco che lo ha
colpito al midollo spinale e lo ha paralizzato dalla quarta vertebra in giù,
è costretto a letto, non ha un piantone e il medico lo vede solo quando lui
ne fa richiesta. Le lenzuola sono lerce e sul letto ne ha un paio pulite che
però lui non può cambiarsi da solo e possono essere cambiate solo da un
altro detenuto che può entrare nella cella quando lui non c'è. Ha un
catetere per raccogliere le urine oppure per svuotare la vescica si deve far
aiutare da una guardia a salire sulla sedia a rotelle e farsi accompagnare
al bagno dove la sedia non entra e allora lui scarica l'urina nel bidet.
Stessa storia per un altro detenuto, Giovanni Alfano, anche lui costretto
sulla sedia a rotelle a seguito di un'ischemia cerebrale: entrato in carcere
5 anni fa che pesava 105 chili, ora ne pesa 50 a causa di una anoressia
ipocondriaca; da 3 anni e mezzo in 41 bis, di cui 3 nel cosiddetto centro
clinico di Parma.
Luigi Giuliano, detenuto a L'Aquila dopo 3 anni di isolamento a Parma, si
era costituito (anche se nei fascicoli risulta arrestato dalle forze
dell'ordine) e dopo 20 giorni era già in 41 bis. Nel '98, per motivi di
salute, il ministero gli ha attenuato il regime duro e il 12 giugno del 2002
gli ha revocato il regime attenuato. Tra le varie patologie ha anche un
fegato da trapiantare, ma non è seguito dal punto di vista medico.
Le donne in 41 bis
Le donne in 41 bis sono tre, tutte detenute nel carcere di Rebibbia. Una,
Maria Buompastore, di Montescaglioso (Matera), è in carcere da 4 anni, in
41 bis dal 31 gennaio 2001. Condannata in primo grado insieme a suo marito,
anche lui in 41 bis, a 22 anni di carcere, ha tre bambini di cui uno malato
di leucemia. Un'altra è Erminia Giuliano, di Napoli, arrestata nel dicembre
2000 e in 41 bis dal maggio 2002, è ancora in custodia cautelare. Nessun
precedente penale, è in attesa del primo grado e in due anni non ha fatto
ancora nessuna udienza processuale, mentre per sei volte in due anni è
cambiato il collegio giudicante. La terza e ultima donna in 41 bis è Teresa
De Luca, di Napoli, condannata a 8 anni in appello per traffico di droga e
poi andata definitiva, è stata arrestata nel dicembre 2000 per associazione
camorristica e messa in 41 bis nel gennaio del 2000. "Mi hanno arrestato
per far pentire mio figlio [Antonio Bossa De Luca, anche lui in 41 bis a
Parma, in condizioni gravi di salute, ndr]", ha dichiarato. Ha altri
quattro figli, tra cui uno che è diventato balbuziente da quando l'ha vista
in carcere la prima volta che vi era finita nel '98.
La gabbia procedurale
Oltre che nella cella da 41 bis, i detenuti sono prigionieri anche di una
sorta di "gabbia procedurale" dalla quale non riescono ad uscire
se non per mezzo del pentimento: la proroga semestrale dei decreti, spesso
sempre gli stessi e basati sulle note informative degli organi di polizia,
non consente
loro di ricorrere in Cassazione perchè i tribunali di Sorveglianza
rispondono ai loro reclami quando ormai il decreto è stato
"rinnovato" e per la Suprema Corte viene meno l'interesse a
prendere in esame il loro ricorso. Sicché si contano sulle dita di una mano
i casi di detenuti che hanno visto il loro reclamo accolto da un Tribunale
di Sorveglianza o un ricorso accolto dalla Cassazione, nell'uno o nell'altro
caso risolvendosi in una 'vittoria di Pirro' per il detenuto perché nel
frattempo un "nuovo" decreto ministeriale ha azzerato tutto. "Siamo
- ha detto un detenuto - in una sorta di gioco dell'oca nel quale si riparte
sempre e inesorabilmente dal punto di partenza".
Le videoconferenze
Molti sono i detenuti condannati in processi fondati sul "sentito
dire" dei pentiti dai quali la possibilità di difendersi si è
drasticamente ridotta da quando è stato inaugurato il sistema delle
videoconferenze. "Prima del 41 bis - ci ha detto un detenuto - ho vinto
molti processi, poi con le videoconferenze ho cominciato a perderli, perché
è impossibile difendersi, non riesco a far fare al mio avvocato una domanda
a chi mi accusa che il pentito se ne è già andato. Il 41 bis serve a
produrre pentiti da cui non ci si può difendere per via delle
videoconferenze: è un circolo vizioso, ma perfetto per chi accusa". Le
stesse modalità tecniche di comunicazione e possibilità di ascolto e
comprensione tramite i collegamenti in videoconferenza, sono tali da non
assicurare agli imputati di mafia una effettiva possibilità di difendersi.
Ne è un esempio clamoroso proprio il cosiddetto "proclama" di
Leoluca Bagarella. Nessuno ha potuto ascoltare cosa ha detto realmente
Bagarella quel giorno eppure - forse, grazie a questo - si è potuta aprire
la fiera delle interpretazioni "autentiche": messaggio in codice,
ricatto politico, annuncio di guerre di mafia.
41 bis e diritti umani
E' incredibile come tutti siano allineati e coperti sulla necessità di
mantenere questo regime di 41 bis e come nessuno veda nell'applicazione di
condizioni di pena così inumane e degradanti un rischio di morte e un
degrado, innanzitutto, del nostro stato di diritto e del nostro senso di
umanità. E chi parla di stato di diritto, di Costituzione, di rispetto dei
diritti umani anche nei confronti dei capi mafiosi, viene considerato un
garantista ingenuo se non un utile idiota.
Qui in discussione non è chi sono, cosa hanno fatto o cosa potranno fare
questi detenuti, in discussione è chi siamo noi - noi stato, noi società
civile -, cosa facciamo e cosa rischiamo di divenire se noi non
riconoscessimo al peggiore degli assassini quei diritti umani fondamentali
che lui ha negato alle sue vittime. E' proprio di fronte a casi estremi di
emergenza ed efferatezza che si misura la forza di uno stato, e la forza sta
innanzitutto nel diritto, nel limite cioè che stabiliamo di porre (e che
serve) a noi stessi, al nostro sacrosanto senso di giustizia, di rivalsa, di
legittima difesa.
Porre l'aggressore in condizione di non nuocere, di non minacciare più la
nostra vita, la nostra sicurezza, è obiettivo prioritario anche nostro. Ma
dopo aver visitato le sezioni del 41 bis e riscontrato alcune storie di
detenuti lì rinchiusi, ci chiediamo se lo Stato italiano stia realizzando
questo obiettivo o non stia invece vendicandosi di fatti orribili, con ciò
arrecando un danno inutile a se stesso e andando verso una deriva pericolosa
della propria civiltà.
Fonte: Relazione Agosto 2002 Partito Radicale
Integrazione
Applicazione della legge Gozzini n.354/75 e del
successivo D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230
Gli articoli 74- 75- 76- 77 della Legge Gozzini così recitano:
Art.74
Consigli di aiuto sociale
Nel capoluogo di ciascun circondario é costituito un consiglio di aiuto
sociale, presieduto dal presidente del tribunale o da un magistrato da lui
delegato, e composto dal presidente del tribunale dei minorenni o da un
altro magistrato da lui designato, da un magistrato di sorveglianza, da un
rappresentante della regione, da un rappresentante della provincia, da un
funzionario dell'amministrazione civile dell'interno designato dal prefetto,
dal sindaco o da un suo delegato, dal medico provinciale, dal dirigente
dell'ufficio provinciale del lavoro, da un delegato dell'ordinario
diocesano, dai direttori degli istituti penitenziari del circondario. Ne
fanno parte, inoltre, sei componenti nominati dal presidente del tribunale
fra i designati da enti pubblici e privati qualificati nell'assistenza
sociale.
Il consiglio di aiuto sociale ha personalità giuridica, é sottoposto alla
vigilanza del ministero di grazia e giustizia e può avvalersi del
patrocinio della avvocatura dello stato.
I componenti del consiglio di aiuto sociale prestano la loro opera
gratuitamente.
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per la
grazia e giustizia, può essere disposta la fusione di più consigli di
aiuto sociale in un unico ente.
Alle spese necessarie per lo svolgimento dei compiti del consiglio di aiuto
sociale nel settore della assistenza penitenziaria e post-penitenziaria si
provvede:
1) con le assegnazioni della cassa delle ammende di cui all' articolo 4
della legge 9 maggio 1932,n.547 ;
2) con lo stanziamento annuale previsto dalla legge 23 maggio 1956,n.491 ;
3) con i proventi delle manifatture carcerarie assegnati annualmente con
decreto del ministro per il tesoro sul bilancio della cassa delle ammende
nella misura del cinquanta per cento del loro ammontare;
4)con i fondi ordinari di bilancio;
5) con gli altri fondi costituenti il patrimonio dell'ente.
Alle spese necessarie per lo svolgimento dei compiti del consiglio di aiuto
sociale nel settore del soccorso e dell'assistenza alle vittime del delitto
si provvede con le assegnazioni della cassa prevista dall'articolo
precedente e con i fondi costituiti da lasciti, donazioni o altre
contribuzioni ricevuti dall'ente a tale scopo.
Il regolamento stabilisce l'organizzazione interna e le modalità del
funzionamento del consiglio di aiuto sociale, che delibera con la presenza
di almeno sette componenti.
Art.75
Attività del consiglio di aiuto sociale per l'assistenza penitenziaria e
post-penitenziaria
Il consiglio di aiuto sociale svolge le seguenti attività:
1) cura che siano fatte frequenti visite ai liberandi, al fine di favorire,
con opportuni consigli e aiuti, il loro reinserimento nella vita sociale;
2) cura che siano raccolte tutte le notizie occorrenti per accertare i reali
bisogni dei liberandi e studia il modo di provvedervi, secondo le loro
attitudini e le condizioni familiari;
3) assume notizie sulle possibilità di collocamento al lavoro nel
circondario e svolge, anche a mezzo del comitato di cui all' articolo 77
,opera diretta ad assicurare una occupazione ai liberati che abbiano o
stabiliscano residenza nel circondario stesso;
4) organizza, anche con il concorso di enti o di privati, corsi di
addestramento e attività lavorative per i liberati che hanno bisogno di
integrare la loro preparazione professionale e che non possono
immediatamente trovare lavoro; promuove altresì la frequenza dei liberati
ai normali corsi di addestramento e di avviamento professionale predisposti
dalle regioni;
5) cura il mantenimento delle relazioni dei detenuti e degli internati con
le loro famiglie;
6) segnala alle autorità e agli enti competenti i bisogni delle famiglie
dei detenuti e degli internati, che rendono necessari speciali interventi;
7) concede sussidi in denaro o in natura;
8) collabora con i competenti organi per il coordinamento dell'attività
assistenziale degli enti e delle associazioni pubbliche e private nonché
delle persone che svolgono opera di assistenza e beneficenza diretta ad
assicurare il più efficace e appropriato intervento in favore dei liberati
e dei familiari dei detenuti e degli internati.
Art.76
Attività del consiglio di aiuto sociale per il soccorso e l'assistenza alle
vittime del delitto
Il consiglio di aiuto sociale presta soccorso, con la concessione di sussidi
in natura o in denaro, alle vittime del delitto e provvede alla assistenza
in favore dei minorenni orfani a causa del delitto.
Art.77
Comitato per l'occupazione degli assistiti dal consiglio di aiuto sociale
Al fine di favorire l'avviamento al lavoro dei dimessi dagli istituti di
prevenzione e di pena, presso ogni consiglio di aiuto sociale, ovvero presso
l'ente di cui al quarto comma dell' articolo 74 ,é istituito il comitato
per l'occupazione degli assistiti dal consiglio di aiuto sociale.
Di tale comitato, presieduto dal presidente del consiglio di aiuto sociale o
da un magistrato da lui delegato, fanno parte quattro rappresentanti
rispettivamente dell'industria, del commercio, dell'agricoltura e
dell'artigianato locale, designati dal presidente della camera di commercio,
industria, artigianato e agricoltura, tre rappresentanti dei datori di
lavoro e tre rappresentanti dei prestatori d'opera, designati dalle
organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, un
rappresentante dei coltivatori diretti, il direttore dell'ufficio
provinciale del lavoro e della massima occupazione, un impiegato della
carriera direttiva della amministrazione penitenziaria e un assistente
sociale del centro di servizio sociale di cui all' articolo 72 .
I componenti del comitato sono nominati dal presidente del consiglio di
aiuto sociale.
Il comitato delibera con la presenza di almeno cinque componenti.
Anche l'art. 95 del D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 prevede l'esistenza dei
Consigli di aiuto sociale.
Da tenere presente che il suddetto regolamento di esecuzione
dell'ordinamento penitenziario prevede 5 anni di tempo per la sua
attuazione.
Abbiamo verificato che, ad esempio in Piemonte, un solo tribunale ha
provveduto all'istituzione di tali Consigli, quello di Mondovì. Il
tribunale di Torino ha chiesto solo recentemente (03 settembre 2002) al
Consiglio Regionale, di comunicare il nome del rappresentante regionale la
cui presenza nel Consiglio di aiuto sociale è prevista dalla legge insieme
a molte altre figure istituzionali.
Date le finalità di questi Consigli, finalità assai importanti,
determinanti, per il reinserimento dei detenuti, l'inadempienza da parte dei
tribunali è molto grave.
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