"L'oscura
immensità della morte"
intervista
a Massimo Carlotto
Libertà
on line, 6 aprile 2004
Spiazzante, così si potrebbe definire, in una parola, l'ultimo libro di Massimo
Carlotto. Lo scrittore di punta del noir italiano, autore di romanzi di successo
come "Il fuggiasco" e "Arrivederci amore ciao", è infatti
da poco tornato in libreria con un nuovo romanzo, "L'oscura immensità
della morte" (Edizioni e/o), con il quale intende aprire un conflitto, in
primo luogo con il lettore, su temi difficili come la giustizia, l'ergastolo, il
carcere, la grazia, il perdono e la vendetta.
La
storia narrata nel libro è quella di Silvano Contin, al quale hanno ammazzato
moglie e figlio durante una rapina, che quindici anni dopo la tragedia che lo ha
gettato in una vita prigioniera della solitudine e della memoria, si vede
arrivare a casa una richiesta di grazia da parte dell'assassino che, condannato
all'ergastolo, è stato colpito da un tumore e chiede quindi il perdono di
Contin per poter uscire dal carcere. La risposta che darà Contin, con le parole
e con i fatti, è il cuore di questo romanzo.
Il
libro parla di punizione, grazia, perdono e vendetta, in una parola della
giustizia. Una giustizia che dal romanzo esce piuttosto malconcia... un romanzo
a tesi?
"Senz'altro. E' un romanzo a tesi nato dal desiderio di voler sgombrare il
campo dall'ipocrisia che domina il dibattito sulla giustizia in Italia. Ho
voluto usare lo strumento del noir per raccontare la verità: non temo infatti
di essere smentito su nessuno dei fatti raccontati nel romanzo, in particolare
sulle condizioni carcerarie".
Nelle
pagine del libro, infatti, viene raccontata come si svolge la vita in quel mondo
parallelo che è il mondo del carcere... vuole essere una denuncia contro le
carceri italiane?
"Il carcere in Italia è un carcere che non rispetta i dettami
costituzionali, che sta diventando solo un enorme serbatoio di delinquenza, che
non recupera. E' un carcere utile politicamente, per portare voti a una certa
parte politica, ma assolutamente inutile e dannoso dal punto di vista
sociale".
Il
tema della grazia, in particolare, è di stretta attualità, se si pensa ad
esempio ad Adriano Sofri. Lei cosa ne pensa di questo caso in particolare?
"Nel caso di Sofri penso che la grazia sia da interpretare come uno
strumento correttivo di una situazione giudiziariamente insostenibile. Il
processo non ha senso giuridico, non ha valore sociale, la pena per una persona
come Sofri - ma anche per gli altri due coimputati - è assolutamente inutile,
perché queste persone non hanno nulla per cui essere recuperate socialmente.
Quindi la pena è inutile e il caso veramente non dovrebbe avere più spazio,
dovrebbe essere chiuso con la grazia".
E
dell'istituto della grazia in generale e di come viene applicato, che ne pensa?
"Dalla Repubblica a oggi sono state concesse 47 mila grazie. Molto spesso
sono state usate come strumento correttivo o là dove era molto difficoltoso
risolvere delle situazioni carcerarie, là dove era lampante che queste persone
dovessero uscire dal carcere e non c'erano spazi tipo amnistie o indulti. Da
qualche tempo a questa parte, però, è in atto un affossamento dell'istituto
della grazia: l'anno scorso Ciampi ha concesso solo 4 grazie, in un minimo
storico assoluto; quest'anno, siamo ad aprile e non ne ha concessa nemmeno una.
La dichiarazione con cui il Presidente afferma che non concederà più grazie se
non c'è il perdono delle vittime rappresenta poi un affossamento definitivo di
questo istituto. C'è da dire anche che l'istituto della grazia ha un principio
a cascata rispetto a tutte le questioni che riguardano il carcere, e l'altra
faccia della medaglia è che sempre di meno vengono concesse delle misure
alternative alla pena, generando - insisto - un carcere sempre più punitivo,
che non offre spazi alla riabilitazione e al reinserimento sociale dei
detenuti".
Nel
suo romanzo la vittima e il carnefice si scambiano i ruoli e così scopriamo che
il confine tra la normalità e la devianza non è poi così netto. Possibile che
in un classico uomo "qualunque" come Silvano Contin possa albergare
tanta violenza?
"Questa violenza non è una costruzione letteraria: per creare il
personaggio di Silvano Contin ho realizzato una serie di interviste a parenti di
vittime del crimine e ho scoperto che queste persone vivono in un immaginario di
violenza molto forte. Del resto, la realtà parla chiaro: due settimane fa, un
uomo che in un disastro aereo perse tutta la famiglia, è partito dalla Russia
ed è andato a Zurigo, dove ha ucciso il controllore di volo responsabile della
sciagura. Se la gente potesse, ammazzerebbe tranquillamente. Il processo, la
giustizia dello Stato serve a impedire che la gente si faccia giustizia da
sola".
Tra
i tanti personaggi del romanzo, non ve n'è uno in cui il lettore si possa
riconoscere. In qualche modo sono tutti fastidiosi, sgradevoli. Perché ha
deciso di non salvare nessuno?
"Perché è un mondo in cui non si salva nessuno. Noi viviamo in un mondo
normale, dove abbiamo dei punti di riferimento e grandi possibilità di
riscatto: quando entri nel circuito giustizia e carcere, tutto questo non
succede".