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De profundis, voci da dietro le sbarre
L’Opinione on line, 2 8 settembre 2004
Le doppie verità dell’amministrazione penitenziaria
Da un lato il pietismo e dall’altro la sopraffazione e l’omertà contro quegli appartenenti a istituzioni penitenziarie che si lasciano andare ad atti di violenza. Gli esempi sono l’inchiesta sul carcere di Sassari e il pestaggio contro i detenuti locali e quella sulla microspia messa nel confessionale del cappellano di Sanremo. La domanda è semplice: come si possono rieducare i delinquenti se si usano metodi molto simili a quelli usati da chi in carcere sta dall’altra parte delle sbarre?
Una tradizione indecente, di Mauro Mellini
C’è una tradizione indecente nella storia delle carceri italiane. È la tradizione, purtroppo molto "italiana", della "doppia verità" dell’ipocrisia, dell’umanitarismo proclamato e codificato e della sopraffazione feroce e della violenza, praticate impunemente ed impudentemente date per scontate nella legittimazione e copertura di ogni abuso. Andate a vedere che fine hanno fatto inchieste come quella per il pestaggio nel carcere di Sassari, per la microspia nel confessionale del cappellano del carcere di Sanremo, per non citare quelle che per prime ci vengono alla memoria. Ma vi sono esempi di più generalizzata e palese ipocrisia. La Costituzione ed una serie di leggi vietano la tortura (fu in Italia, in Toscana, che alla fine del ‘700 fu per la prima volta abolita la tortura) e stabiliscono la nullità di ogni dichiarazione estorta con la violenza. Ma impudentemente, apertamente si afferma e si sostiene in Parlamento e sulla stampa che l’inumano trattamento del famigerato "41 bis" è finalizzato a costringere chi vi è sottoposto al "pentimento", alla confessione dei crimini propri e, soprattutto, di quelli altrui. Ma si può andare assai più indietro nel tempo e ricercare e ritrovare "doppie verità" ed ipocrisie immonde. Subito dopo l’Unità fu abolita nel nostro Paese la pena di morte. Gaetano Bresci, che uccise a Monza, il 21 luglio 1900, il re Umberto I, fu condannato il 29 agosto dello stesso anno "soltanto" all’ergastolo. Ma, nell’orribile ergastolo dell’isolotto di Santo Stefano, meno di un anno dopo, mentre era in attesa dell’esito del ricorso in Cassazione, fu trovato, come si disse, impiccato con un asciugamano alle sbarre della finestra della cella. Suicidio, in un "attimo di distrazione" della guardia che doveva sorvegliarlo a vista. Quando risultò che in cella quel detenuto "speciale" (aveva, contro il regolamento che l’aveva abolita, la catena ai piedi) non aveva alcun asciugamano, si "scoprì" che si era strangolato con un fazzoletto da naso. Andò forse peggio ad un altro ergastolano, che alla vita di Umberto I aveva solo attentato, Giovanni Passanante che, tenuto per otto anni incatenato in una cella buia sotto il livello del mare, in una torre del carcere di Portolongone, era impazzito totalmente ed aveva vissuto ancora molti anni nel manicomio criminale di Montelupo. Ma la manifestazione più ripugnante di ipocrisia e di impunita crudeltà si ebbe in danno di un terzo attentatore di Umberto I, Pietro Acciarito. Condannato all’ergastolo e tenuto in totale isolamento, privo di notizie della sua convivente, gli si voleva far confessare di aver avuto dei complici (si era servito di un pugnale costruito da sé!). Per convincerlo, un direttore di carcere, tale Angelelli, appositamente trasferito da Catanzaro a Santo Stefano con la promessa di un agognato trasferimento a Roma, gli fece credere che la ragazza avesse, dopo il suo arresto, dato alla luce un figlio e si falsificò una lettera di lei per raccontargli che il bambino era malato e bisognoso di cure e supplicarlo di chiedere la grazia "per sé e per i complici". Si cercò addirittura un bambino macilento che la giovane donna avrebbe dovuto mostrargli, ma poi vi si rinunziò. Acciarito rifiutò di denunziare complici innocenti, tuttavia firmò una domanda di grazia "per sé e per i complici". Tanto bastava per incriminare alcuni suoi amici. La turpe messa in scena si sgonfiò al dibattimento, quando Acciarito, informato della falsità della storia del supposto figlio, esplose in una denuncia particolareggiata degli inganni subiti. Pagò solo l’Angelelli, ma non il direttore generale delle carceri, che aveva organizzato tutto "arruolando" l’Angelelli e che, anzi, fu promosso. E non pagò affatto Sebastiano Caprino, procuratore generale della Corte d’appello che su quei falsi patenti aveva imbastito il processo per il "complotto". La tradizione continua.
La salute dei detenuti toscani
Dopo l’istituzione del gruppo di lavoro sulla situazione generale delle carceri, la commissione Sanità del Consiglio regionale della Toscana ha iniziato il percorso conoscitivo con l’audizione dell’assessore alla Sanità Enrico Rossi. "Siamo di fronte a due esigenze: approfondire la conoscenza sullo stato delle carceri - ha affermato Rossi - e avere gli strumenti utili per garantire, come Regione Toscana, quel livello minimo di assistenza sanitaria ai circa 4000 detenuti nei nostri istituti penitenziari". L’assessore alla Sanità ha sottolineato come la Toscana si sia sempre impegnata, sul fronte della volontà egualitaria verso tutti i cittadini e quindi anche verso i detenuti, a rispondere, ad esempio, ai bisogni farmaceutici delle carceri. "Se in Toscana non abbiamo le gravi situazioni di protesta che caratterizzano istituti penitenziari di altre regioni - ha sottolineato Rossi - si deve alla disponibilità delle nostre aziende sanitarie". Ma per continuare sulla strada della garanzia dei servizi alla persona, in una situazione di pressoché totale assenza legislativa, è urgente un provvedimento di supporto. Da qui la proposta di legge di iniziativa della giunta regionale per garantire parità di trattamento, in tema di assistenza sanitaria, tra cittadini liberi e individui detenuti, in merito a prestazioni preventive, diagnostico-terapeutiche e riabilitative. Il presidente della commissione Sanità, Federico Gelli, ha ricordato che all’attenzione dell’organismo consiliare ci sono due proposte di legge: questa della giunta e un’altra di iniziativa del consigliere Fabio Roggiolani, che chiede di istituire l’ufficio del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Oltre all’assistenza sanitaria, come è stato sottolineato nel corso della commissione dai consiglieri Giovanni Barbagli e Filippo Fossati, occorre avere una visione complessiva sul mondo delle carceri, dal sovraffollamento all’inserimento nel mondo del lavoro, dai laboratori alle opportunità formative. Ed è proprio per arrivare a questa panoramica che la commissione, prima di licenziare le proposte di legge, ha deciso di svolgere audizioni con il Provveditore degli istituti penitenziari, col garante del comune di Firenze e con l’assessore regionale Paolo Benesperi. Tanti incontri ed iniziative che vanno in un’unica direzione: impegnarsi a migliorare la situazione delle carceri e ridurre gli altissimi costi dei detenuti, pari a circa 50 mila Euro giornalieri a persona.
La partita della speranza giocata "fuori casa" dai carcerati, di Francesca Mambro
Domenica sera i telegiornali raccontavano l’evento sportivo della giornata. Dal carcere di Opera per la prima volta usciva la squadra di calcio composta da detenuti per giocare una partita con una squadra professionista del girone C. I detenuti calciatori erano stati bravissimi vincendo l’anno scorso il campionato della loro categoria con la promozione automatica al girone superiore. La federazione calcistica, che aveva accettato fino ad allora di far giocare le squadre esterne sempre in trasferta nel campo interno al carcere, deve aver chiesto stavolta uno sforzo al ministero e alla magistratura per portare fuori dei bravi calciatori perché disputassero le partite secondo le regole del campionato. La partita ha visto la squadra di Opera perdere 3 a 0 ma la vittoria dei detenuti era nell’aver giocato ben altra partita! Avevano ottenuto il permesso di uscire dalle celle e di stare con persone libere in una situazione gratificante per se stessi e per i familiari, ma anche per il direttore di Opera e degli agenti che hanno vinto la scommessa con tutti gli scettici, contrari ad ogni apertura e cambiamento. La notizia veniva corredata da interviste ai protagonisti raggianti e commossi. L’iniziativa, unica nel suo genere, mette in risalto una politica penitenziaria che dovrebbe veder nascere altre esperienze simili e di cui si avverte l’assenza e ci ricorda che il carcere ha problemi davvero gravi e di cui purtroppo si parla troppo poco. Solo due settimane fa la rivista "Tempi" riportava, a firma Bruno Turci, una lunga lista di spaventose mancanze nel settore sanitario proprio nel carcere di Opera. In premessa occorre ricordare che Opera è considerato, dal ministero, uno dei principali centri clinici della penisola. Quello dei centri clinici è un argomento spinoso, su cui si dibatte da molti anni. Nascono per curare il maggior numero possibile di patologie all’interno delle strutture carcerarie, ma più volte gli stessi medici penitenziari hanno sollevato dubbi sulla loro intrinseca efficacia. Ammesso e non sempre concesso che la qualità dell’assistenza medica possa essere identica a quella di un ospedale civile, la permanenza all’interno di un carcere, dicono i medici, fa parte della malattia stessa. Il carcere aumenta e peggiora tutti i sintomi, e indebolisce la risposta psicologica del malato. I governi però, succedendosi, hanno deciso di incrementare al massimo l’uso dei centri clinici penitenziari e di limitare solo ai casi gravissimi i ricoveri all’esterno. Ecco un elenco di disfunzioni segnalato dai detenuti. Un detenuto aveva chiamato l’infermiere perché si sentiva male con dolori alle braccia che facevano pensare alle cardiopatie. Il medico di guardia lo visita per ben due volte e non riscontrando niente di allarmante non gli prescrive nulla e non lo mette sotto osservazione. Due ore dopo il detenuto è colpito da un infarto e solo per un caso fortunato è soccorso da un’autoambulanza che si trova fuori dal carcere per un altro intervento. Con l’uso dei defribillatori e di un’iniezione al muscolo cardiaco è intubato e portato all’ospedale dove viene operato d’urgenza. Eppure nel carcere di Opera dovrebbe esserci un importante centro clinico con ben quattro sale operatorie ed attrezzature avanzate tanto da essere considerato uno dei centri clinici all’avanguardia. In realtà la struttura c’è ma non è funzionante. I detenuti che da tutta Italia vengono trasferiti nel centro clinico di Opera in realtà sono collocati nelle sezioni del carcere con gli altri detenuti non malati. Non solo al centro clinico non arrivano affatto ma è piuttosto frequente la mancanza di farmaci salvavita come antiepilettici, antiaritmici, antiipertensivi e da tempo mancano ormai perfino aspirine e antinfluenzali. Ora, sarebbe disonesto da parte nostra mettere sullo stesso piano la facilità con cui tutto sommato si può organizzare una squadra di calcio e la risoluzione degli endemici problemi della sanità dentro o fuori dal carcere che sia. È però disonesto da parte di troppa stampa dare tutto lo spazio ai carcerati che giocano a pallone, e nessuno spazio a quelli che soffrono e muoiono senza nemmeno il conforto dei familiari.
Il paradosso Tanzi, di Davide Giacalone
Calisto Tanzi smette oggi di essere un detenuto in custodia cautelare, era stato arrestato il 27 dicembre dell’anno scorso. 105 giorni di carcere, più 170 di arresti domiciliari. 275 giorni di detenzione inflitti ad un uomo che tutti noi abbiamo il dovere di considerare innocente, perché ce lo impone la nostra Costituzione. Del processo, invece, non si scorge non solo la fine, ma l’inizio. Difficile immaginare un più suggestivo ritratto della bancarotta della giustizia. Ritenere quest’uomo colpevole o innocente è del tutto irrilevante, oltre che, come ho detto, illegittimo. Potrà farlo solo un processo, nei suoi tre gradi. Quel che è certo è che senza un processo, così com’è fino ad ora, nel caso Parmalat come nel caso Cirio, come in moltissimi altri casi, nessuna delle vittime, nessuno dei risparmiatori che hanno visto bruciare i propri risparmi, potrà avere giustizia. E non potendo avere giustizia non potranno neanche parlare del ruolo delle banche e degli intermediari finanziari, quindi non si potrà conoscere l’eventuale rete di complicità ed evidenziare le inefficienze dei controlli. Niente di tutto questo. Dopo gli scandali si disse che era urgente una riforma dei controlli per garantire il risparmio dalle truffe (dalle truffe, non dal rischio). Ma il tempo passa, gli animi s’assopiscono e l’andazzo continua. Rimane solo Calisto Tanzi, che dopo 275 giorni torna libero, può tornare a vedere i figli, mentre non ha mai smesso di essere un innocente. Un detenuto che non sconta alcuna pena, che non ha mai avuto una condanna, che non ha mai visto il suo giudice. Intanto i magistrati minacciano di tornare allo sciopero se si porrà mano ad una riforma del pianeta giustizia, mentre il governo la promise già in campagna elettorale, ma, al momento, ha sospeso anche le riunioni delle commissioni incaricate della riforma dei codici.
De profundis, voci da dietro le sbarre
Assistenza, di Khatib Ahmat
Colpevoli o non colpevoli gli extracomunitari finiti in prigione, si parla del momento di primo impatto col carcere, questo è l’argomento primario da evidenziare. Non essendo cittadini italiani si esclude la possibilità di avere assistenza da parte dei familiari come l’invio del pacco vestiario per potersi cambiare, di soldi per poter acquistare il minimo bisogno alimentare e igienico. Quindi a parte il sentirsi in gabbia, c’è il disagio della mancanza di assistenza che potrebbe essere effettuata dalle organizzazioni umanitarie, come la Chiesa cattolica o altri enti umanitari. Comunque qui non si chiede il lusso, basterebbero sigarette di basso costo per i fumatori, oggetti per igiene personale, evitando così che tutti i detenuti della stessa cella usino lo stesso accappatoio e lo stesso asciugamano per lavarsi; mantenersi puliti è un diritto per tutti gli esseri umani e evita inutili epidemie che non giovano a nessuno. Fino a questo punto si è parlato solo di una possibile assistenza da parte esterna, invece parlando di quella interna, si potrebbe far lavorare i detenuti senza basarsi sulla lista di precedenza ma sulla situazione economica, esaminando lo stato finanziario del detenuto sia italiano che straniero. Questo messaggio che propongo, si potrebbe metterlo in atto guardandolo da un punto di vista logico e maturo, cioè come modo che sicuramente eviterebbe sensazioni di inferiorità e invidia che provocano conflitti tra i detenuti
La rassegnazione, di Giuseppe Santi
Non voglio parlare delle piccolezze che non vanno alle quali ormai siamo abituati, ma voglio dirle di aiutarci a farci sentire ancora uomini vivi, con un futuro davanti e delle speranze che il domani sarà migliore per molti di noi. Molti di noi si sono rassegnati alla realtà che vivono, ma in molti altri vorremmo fare qualcosa per far cambiare l’attuale andamento delle cose. Per esempio vorremmo poter tornare alle nostre famiglie entro tempi ragionevoli con la carica umana che abbiamo ancora dentro, non vogliamo aspettare che questo sistema ci annienti anche quel poco di umanità che ci è rimasto. Ci sono tantissime realtà diverse che andrebbero analizzate una per volta, poiché di sicuro saranno tutte meritevoli di maggiore attenzione. Purtroppo qui dentro non vediamo nessuna autorità con la quale interloquire esprimendo tutto il nostro disappunto per le molte cose che non funzionano e che con un minimo d’impegno si potrebbero migliorare. Sono qui dal 19 aprile di quest’anno e non ho mai visto né conosciuto l’educatore né tanto meno un direttore al quale domandare come vanno le cose in questo istituto. Mi sono reso conto da solo come vanno, o meglio come non vanno. Personalmente sono d’accordo per l’effettiva certezza della pena, ma non solo per i più deboli o indifesi. Oggi siamo solo i più poveri a restare dentro, perché quelli che si possono permettere un avvocato di grido difficilmente rimangono in questi luoghi. Gli avvocati d’ufficio assegnati dallo Stato, anche se retribuiti d’ufficio, non vengono neppure a conoscerti. Si limitano ad inviarti una missiva nella quale ti pregano di far passare dal loro studio un familiare o un parente al fine di prendere accordi, ma in realtà sappiamo benissimo che gli chiederanno dei soldi, quindi se da una parte si vuole la certezza della pena, dall’altra si deve garantire una difesa, possibilmente la migliore possibile, come avviene in Svizzera. Ma forse è pretendere troppo da un popolo abituato a fare sempre in ogni caso a modo proprio. Forse la buona educazione e la civiltà la dovrebbe praticare per primo chi pretende di rappresentare a qualsiasi titolo le istituzioni e poi magari pretendere che sia insegnata a noi che siamo considerati gli ultimi. Molti di noi hanno figli e abbiamo riconosciuto davanti a Dio e agli uomini i nostri errori. Ci sentiamo umili, e disposti a farci carico di tutte le responsabilità che ci gravano sulle spalle ma ci venga data l’opportunità di lavorare e dimostrare che siamo persone affidabili e non lasciarci nella più totale e assoluta emarginazione. Il carcere dovrebbe servire a riabilitare coloro che hanno sbagliato ma se effettivamente non svolge questa funzione, allora ci deve essere qualcosa che non va a monte di chi lo ha pensato come misura deterrente o correttiva. Lo Stato deve essere chiaro e sincero con i propri cittadini, non li può ingannare con leggi che poi non vengono applicate se ci sono le misure alternative a determinati livelli di pena raggiunti, perché non vengono applicate con i benefici concessi. Grazie alla legge Gozzini si è posto fine alle aggregazioni in carcere per lasciare che ognuno pagasse in proprio i suoi errori durante il percorso di riabilitazione. Concedendo i benefici dei permessi premio e man mano tutti gli altri come semi-libertà, affidamento in prova ai servizi sociali e articolo 21 interno e esterno, ognuno tende ad imitare coloro che riescono a godere di tali benefici e si sa che la base per ottenerli è il buon comportamento. Non ci si può lasciare in balia delle onde. In Toscana ancora vengono applicate alcune misure alternative, così come in alcune altre regioni, mentre in altre è così difficile ottenerle. Perché i magistrati di sorveglianza non si riuniscono e trovano una soluzione a questi problemi? Se questi istituti non producono uomini nuovi che possono essere reinseriti, allora cambiamo sistema. Ci vogliono educatori nuovi in abbondanza che ci scrutino e ci valutino in profondità. Come possiamo sperare che un solo educatore possa valutare 1400 detenuti? Riflettendo su tutte queste cose mi viene da piangere. Pensare a quante energie si sprecano e non producono anche il minimo che potrebbero mi sembra assurdo. Perché non ci sentiamo tutti italiani e contribuiamo a far crescere questo nostro paese? Possibile che ognuno è capace solo di trovare il modo con il proprio commercialista di evadere le tasse, invece di adoperarsi per sfruttare al meglio tutte le risorse del paese, e soprattutto quelle energie sprecate che siamo noi detenuti, costretti a oziare dalla mattina alla sera? È orribile assistere alle lotte di potere che avvengono tra governo e opposizione anche per cose lodevoli, nelle quali il paese si dovrebbe mostrare compatto. È così evidente lo scarso senso del dovere che non ci deludiamo più neppure quando qualcuno viene sorpreso ad intascare una mazzetta. Come possiamo sperare che le cose cambino, se noi chiudiamo gli occhi davanti a questi obbrobri? Mi piacerebbe ricevere una risposta personalizzata che mi stimoli a raccontarvi anche tutto il resto con maggiori dettagli. Ci sono così tante cose che non funzionano che non saprei da dove incominciare ad elencarle. Mi limito semplicemente a ripeterle di non lasciarci soli, ma non solo a parole o dedicandoci una rubrica come Radio radicale ove leggiamo le nostre lettere. Vogliamo qualcosa di più, tipo: evidenziare le nostre interiorità. Spero non ci siano problemi per l’inoltro di questo mio scritto. Mi sento sereno e credo di non aver offeso o colpevolizzato nessuno. Molti altri pensano le stesse cose che io ho scritto, ma forse non riescono neppure a dirle tanto si sentono delusi. Io, grazie all’aiuto di Dio sono lucido e voglio lottare. La lotta per la vita. Anche se ho sbagliato voglio migliorare per me stesso e per i due figli che mi aspettano fuori dal carcere e per tutte le persone che mi vogliono bene.
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